Sentenza 7758/2023
Revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio
Il ricorso per revocazione delle pronunce di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni, questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova, libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione.
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza 17-3-2023, n. 7758 (CED Cassazione 2023)
Art. 395 cpc (Casi di revocazione) – Giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
1. L’Agenzia delle entrate propose ricorso per la cassazione della
sentenza n. 434/01/2019, depositata dalla Commissione tributaria
regionale del Molise il 9 luglio 2019, che, nella controversia relativa alla
impugnazione di avviso di accertamento per l’IRPEF relativa all’anno
d’imposta 2010, aveva rigettato l’appello proposto dalla medesima nei
confronti di (OMISSIS) avverso la sentenza n. 59/01/2017,
depositata dalla Commissione tributaria provinciale di Isernia il 21
marzo 2017, con compensazione delle spese giudiziali.
La C.T.R. aveva confermato la decisione di primo grado sul
presupposto che l’avviso di accertamento fosse stato notificato al
contribuente prima della scadenza del termine dilatorio di sessanta
giorni dalla redazione del processo verbale di constatazione e
contenesse la generica contestazione di un elenco sintetico di
versamenti sul conto corrente del contribuente.
(OMISSIS) si costituì con controricorso.
2. La Corte, con ordinanza n. 28832/2021, accolse il ricorso,
cassando la sentenza impugnata e rinviando alla Corte di giustizia
tributaria di secondo grado del Molise.
In particolare, accolse sia il primo motivo, ritenendo che la C.T.R.
non avesse tenuto in debito conto le circostanze dedotte
dall’amministrazione ai fini dell’urgenza che consentivano
l’inosservanza del termine di cui all’art. 12, comma 7, della l. n. 212
del 2000, sia il secondo motivo, ritenendo che la C.T.R., nel considerare
irrilevante l’elenco sintetico dei versamenti eseguiti sui conti correnti
del contribuente, richiedendo una specifica contestazione della
riferibilità a ricavi imponibili di ciascun accredito, avesse invertito la
presunzione legale di cui all’art. 32 d.P.R. n. 600 del 1973 in tema di
versamenti bancari.
3. Contro tale ordinanza ha proposto ricorso per revocazione
(OMISSIS).
E’ rimasta intimata Agenzia delle entrate, cui il ricorso è stato
notificato il 27 aprile 2022.
4. La causa è stata discussa all’udienza pubblica del 7 febbraio
2023.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Con unico motivo di ricorso, (OMISSIS) deduce l’errore di
fatto, ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, e 391-bis cod. proc.
civ.; premesso che nell’accertamento e negli atti prodromici vi era solo
la presenza di un mero elenco sintetico dei versamenti eseguiti dal
contribuente, la Corte avrebbe errato nel ritenere che dagli atti di causa
risultasse il contrario, ossia che l’ufficio avesse fin dalla fase
amministrativa indicato ciascuna singola operazione bancaria da
giustificare.
La censura si riferisce alla seconda statuizione resa dalla Corte,
relativa all’accoglimento del secondo motivo di ricorso dell’Agenzia.
2. Deve premettersi che non osta all’ammissibilità della
revocazione la circostanza che la pronuncia impugnata abbia cassato
la sentenza della C.T.R. con rinvio.
I termini di tale questione sono stati riassunti da Cass. 25/09/2019,
n. 23871.
Secondo un primo orientamento, sarebbe esclusa in ogni caso
l’ammissibilità della revocazione quando la sentenza della quale si
chiede la revoca abbia pronunciato la cassazione con rinvio: «È
inammissibile il ricorso per cassazione per revocazione proposto, ai
sensi degli articoli 395, n. 4, e 391-bis cod. proc. civ., avverso la
sentenza con la quale la decisione di merito sia stata cassata con rinvio,
potendo ogni eventuale errore revocatorio essere fatto valere nel
giudizio di riassunzione» (Cass. 12/10/2015, n. 20393); «in tema di
revocazione, l’art. 391-bis cod. proc. civ, interpretato anche alla luce
dell’espressione “altresì” di cui all’art. 391-ter cod. proc. civ. che pone
in collegamento le diverse ipotesi revocatorie, comporta che, ove la
decisione della S.C., oggetto di impugnazione revocatoria, non abbia
deciso nel merito ma abbia rinviato la causa ad altro giudice a norma
dell’art. 384, secondo comma, cod. proc. civ., in tale sede possono
essere fatti valere gli errori di fatto previsti dall’art. 395, n. 4, cod.
proc. civ. relativi ai vizi processuali che la parte rimasta contumace
avrebbe potuto conoscere a seguito del ricorso in riassunzione. Tale
soluzione si pone in linea con i principi del giusto processo atteso che,
da un lato, valorizza la fase rescindente rendendola funzionale a
garantire il riesame della controversia e, dall’altro, impedisce che la
fase rescissoria ostacoli l’accertamento della verità materiale» (Cass.
25/07/2011, n. 16184).
Secondo un diverso orientamento, il ricorso per revocazione ai
sensi dell’art. 391-bis cod. proc. civ. è inammissibile soltanto se l’errore
revocatorio denunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni,
questioni e tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova,
libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio (Cass.
07/11/2001, n. 13790; Cass. 20/10/2003, n. 15660).
Tuttavia, una successiva pronuncia di questa Corte, cui si intende
dare continuità, ha consapevolmente rimeditato i due orientamenti,
concludendo nel senso che «Il ricorso per revocazione delle pronunce
di cassazione con rinvio deve ritenersi inammissibile soltanto se l’errore
revocatorio enunciato abbia portato all’omesso esame di eccezioni,
questioni o tesi difensive che possano costituire oggetto di una nuova,
libera ed autonoma valutazione da parte del giudice del rinvio ma non
anche se la pronuncia di accoglimento sia fondata su di un vizio
processuale dovuto ad un errore di fatto o se il fatto di cui si denuncia
l’errore percettivo sia assunto come decisivo nell’enunciazione del
principio di diritto, o, nell’economia della sentenza, sia stato
determinante per condurre all’annullamento per vizio di motivazione»
(Cass. 17/05/2018, n. 12046; cfr. altresì Cass. 22/3/2019, n. 8259, in
motivazione).
Nel caso di specie la parte assume, con la propria impugnazione,
che l’errore sia caduto proprio sul fatto assunto dalla Corte ai fini della
espressione del principio di diritto.
3. In relazione alla revocazione delle sentenze e delle ordinanze
di questa Corte, deve osservarsi che, ai sensi dell’art. 391-bis, primo
comma, cod. proc. civ., essa è consentita ove le stesse siano affette da
errore di fatto ai sensi del n. 4 dell’art. 395 cod. proc. civ.; tale errore
ricorre, come la norma precisa, quando la decisione è fondata sulla
supposizione di un fatto la cui verità è incontrastabilmente esclusa,
oppure quando è supposta l’inesistenza di un fatto la cui verità è
positivamente stabilita, e purché il fatto non abbia costituito un punto
controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare; la revocazione
delle sentenze della Corte di Cassazione – è stato precisato da Cass.
05/07/2004, n. 12283 – comporta l’accertamento di un errore che deve
riguardare gli atti interni al relativo giudizio (ossia quelli che la Corte
può e deve esaminare direttamente con la propria indagine di fatto
all’interno dei motivi di ricorso) e deve incidere unicamente sulla
sentenza di cassazione (Cass. 28/06/2005, n. 13915; Cass.
14/04/2010, n. 8907).
3.1. La giurisprudenza di legittimità ha perimetrato l’errore di fatto
tracciandone, in primo luogo, il confine rispetto alla violazione o falsa
applicazione di norme di diritto sostanziali o processuali, laddove
l’errore di fatto riguarda solo l’erronea presupposizione dell’esistenza o
dell’inesistenza di fatti considerati nella loro dimensione storica di
spazio e di tempo, non potendosi far rientrare nella previsione il vizio
che, nascendo ad esempio da una falsa percezione di norme che
contempli la rilevanza giuridica di questi stessi fatti, integri gli estremi
dell’error iuris, sia che attenga ad obliterazione delle norme medesime,
riconducibile all’ipotesi della falsa applicazione, sia che si concreti nella
distorsione della loro effettiva portata, riconducibile all’ipotesi della
violazione.
Resta, quindi, esclusa dall’area del vizio revocatorio la sindacabilità
di errori formatisi sulla base di una pretesa errata valutazione o
interpretazione di fatti, documenti e risultanze processuali che
investano direttamente la formulazione del giudizio sul piano logico-giuridico,
perché siffatto tipo di errore, se fondato, costituirebbe un
errore di giudizio, e non un errore di fatto (Cass., Sez. U., 27/12/2017,
n. 30994; Cass., Sez. U., 11/04/2018, n. 8984; Cass. 14/04/2017, n.
9673, § 4-5). In sintesi, la combinazione dell’art. 391-bis e dell’art.
395, n. 4, cod. proc. civ. non prevede come causa di revocazione della
sentenza di cassazione l’errore di diritto sostanziale o processuale e
l’errore di giudizio o di valutazione.
3.2. L’errore di fatto previsto dall’art. 395, n. 4, cod. proc. civ., poi,
deve consistere, al pari dell’errore revocatorio imputabile al giudice di
merito, nell’affermazione o supposizione dell’esistenza o inesistenza di
un fatto la cui verità risulti invece, in modo indiscutibile, esclusa o
accertata in base al tenore degli atti o dei documenti di causa; deve
essere decisivo, nel senso che deve esistere un necessario nesso di
causalità tra l’erronea supposizione e la decisione resa; deve
presentare i caratteri della evidenza ed obiettività; infine, non deve
cadere su un punto controverso sul quale la Corte si sia pronunciata
(Cass. 28/02/2007, n. 4640; Cass. 20/02/2006, n. 3652; Cass.
11/04/2001, n. 5369).
In particolare, il punto si può dire controverso quando sia, appunto,
oggetto di controversia, ossia incerto e per questo dibattuto. È la
contestazione di un fatto a renderlo incerto e a farlo divenire
giustiziabile, il che comporta l’assoggettamento di esso al dibattito del
processo. Per sciogliere l’incertezza che deriva dalla contestazione
proposta da una delle parti, il giudice deve quindi valutare la
contestazione stessa stabilendo se essa sia fondata, o no. Perciò se vi
è valutazione del contrasto tra le parti, non può esservi alcuna svista
percettiva.
3.3. Con particolare riferimento alla deduzione di un errore nella
lettura degli atti interni al giudizio di cassazione, Cass., Sez. U.,
27/11/2019, n. 31032 ha precisato che l’impugnazione per revocazione
delle sentenze della Corte di cassazione è ammessa in caso di errore
che presuppone l’esistenza di divergenti rappresentazioni dello stesso
oggetto, emergenti una dalla sentenza e l’altra dagli atti e documenti
di causa; pertanto, è esperibile, ai sensi degli artt. 391-bis e 395, primo
comma, n. 4, cod. proc. civ., la revocazione per l’errore di fatto in cui
sia incorso il giudice di legittimità che non abbia deciso su uno o più
motivi di ricorso, ma deve escludersi il vizio revocatorio tutte le volte
che la pronunzia sul motivo sia effettivamente intervenuta, anche se
con motivazione che non abbia preso specificamente in esame alcune
delle argomentazioni svolte come motivi di censura del punto, perché
in tal caso è dedotto non già un errore di fatto (quale svista percettiva
immediatamente percepibile) bensì un’errata considerazione e
interpretazione dell’oggetto di ricorso e, quindi, un errore di giudizio.
3.4. Il carattere d’impugnazione eccezionale della revocazione,
prevista per i soli motivi tassativamente indicati dalla legge, comporta
l’inammissibilità di ogni censura non compresa nel novero di quelle
indicate (Cass. 07/05/2014, n. 9865).
4. Alla luce di tali principi il motivo di revocazione si rivela
inammissibile.
L’errore attribuito alla Corte è individuato nell’aver affermato,
contrariamente a quanto emergente dagli atti, che l’avviso di
accertamento contenesse un elenco specifico di operazioni contestate
al contribuente laddove tale elenco era stato introdotto in causa
tardivamente e cioè solo in sede di deposito delle memorie.
In realtà tale affermazione, nei termini evidenziati ai fini revocatori,
non è presente nell’ordinanza impugnata la quale individua la questione
a pagina 3 e la decide a pagina 5; la questione è infatti individuata nel
fatto che la C.T.R. avesse <<erroneamente ritenuto che la
contestazione nell’avviso di accertamento di taluni versamenti di
denaro contante sul conto corrente del contribuente esigesse una
specifica e precisa deduzione della loro illiceità>> ed è risolta nel senso
che non occorresse <<una specifica contestazione della riferibilità a
ricavi imponibili di ciascun accredito>>, altrimenti violandosi gli oneri
probatori al riguardo.
Ciò è del resto confermato dalla lettura degli atti del giudizio
conclusosi con l’ordinanza oggetto di impugnazione, ed in particolare
del controricorso, ove il motivo di ricorso dell’Agenzia era relativo al
riparto degli oneri probatori in tema di accertamenti bancari e la difesa
del contribuente era affidata all’eccezione di inammissibilità del motivo,
asseritamente non conferente con la ratio decidendi della C.T.R. che
sarebbe stata in termini di nullità dell’avviso per difetto di motivazione.
E ciò induce evidentemente a ritenere che la parte, mediante il
rimedio della revocazione, faccia valere in realtà un’errata
considerazione e interpretazione dell’oggetto di ricorso e una errata
soluzione data al medesimo, il che non assume rilevanza revocatoria
(Cass. 15/02/2018, n. 3760).
5. Il ricorso va quindi dichiarato inammissibile mentre non occorre
provvedere in merito alle spese in assenza di controricorso dell’Agenzia
delle entrate.
p.q.m.
La Corte dichiara inammissibile il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del
ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a
quello dovuto per il ricorso principale, a norma del comma 1-bis, dello
stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso in Roma il 7 febbraio 2023