Ordinanza 7871/2019
Reintegrazione da spoglio – Risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile
Non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile (nella specie, tre posti auto all’interno di un cortile condominiale) in modo violento o clandestino (che si configura come fatto illecito) nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell’esistenza e dell’entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull'”an debeatur”, non essendo allora ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno.
Cassazione Civile, Sezione 6-2, Ordinanza 20-3-2019, n. 7871
Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza
MOTIVI IN FATTO ED IN DIRITTO DELLA DECISIONE
Con ricorso proposto ai sensi dell’art. 703 c.p.c., (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.r.l. per ottenere la reintegra nel compossesso dei tre posti auto siti nel cortile condominiale, con la condanna alla remissione in pristino stato dei luoghi, nonchè con la condanna degli stessi al risarcimento del danno subito, da liquidare in via equitativa, con rifusione delle spese giudiziali.
Con la comparsa di costituzione (OMISSIS) eccepiva il proprio difetto di legittimazione passiva, affermando che gli autori materiali dello spoglio erano stati gli operai incaricati della collocazione dei ferri che bloccavano la sosta, mentre lui si era limitato a ordinare la collocazione dei detti ferri su incarico e nell’interesse della società (OMISSIS) s.r.l. la quale, a seguito dell’installazione, era unica posseditrice.
La (OMISSIS) s.r.l. confermava di aver incaricato (OMISSIS) di installare i ferri blocca-parcheggi, sostenendo la legittimità del proprio operato alla luce del contenuto dell’atto notarile con cui aveva acquistato la disponibilità esclusiva dei tre posti auto.
A seguito dell’udienza fissata per la comparizione delle parti, il giudice pronunciava ordinanza con la quale dichiarava cessata la materia del contendere, in ragione del sostanziale ripristino della situazione ex ante, avvenuto nel frattempo grazie all’intervento dell’amministratrice di condominio, e compensava le spese di lite tra l’attore e la società (OMISSIS) s.r.l.; inoltre dichiarava il difetto di legittimazione passiva di (OMISSIS), e condannava il ricorrente a rifondergli le spese di lite.
Nella prosecuzione del giudizio, ai sensi dell’art. 703 c.p.c., comma 4, l’attore chiedeva l’accertamento dello spoglio durato otto mesi e la condanna al risarcimento dei danni da liquidare in separato giudizio. Si costituiva in giudizio la convenuta contestando le affermazioni attoree sulla base delle stesse difese addotte nella fase sommaria. Nella prima memoria ex art. 183 c.p.c., comma 6, il ricorrente si richiamava alle domande di merito originariamente proposte nel ricorso e, per l’effetto, alla liquidazione del danno in via equitativa ex art. 1226 c.c..
Al termine della fase istruttoria, il Tribunale di Venezia, sezione distaccata San Donà del Piave, con sentenza n. 213/2015 rigettava la domanda dell’attore e lo condannava al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 3.000,00, sulla base del fatto che la domanda di risarcimento del danno, unica pretesa che rimaneva ancora in piedi, rimaneva sfornita di prova non solo in ordine al suo ammontare, ma prima ancora in relazione alla effettiva sussistenza del danno. Il Tribunale rilevava, infatti, la mancanza del possesso esclusivo da parte di ciascun condomino sugli spazi destinati al parcheggio, ragion per cui ne veniva fatto un uso promiscuo, essendo perdurata la condotta della convenuta per un lasso di tempo (da ottobre 2009 ad aprile 2010) in cui si registrava una scarsa affluenza di auto, considerata l’ubicazione del condominio in una località prettamente balneare. In definitiva il ricorrente che aveva l’onere di provare i fatti costitutivi del proprio diritto, non aveva fornito alcun elemento idoneo per accertare la sofferenza di un qualsiasi danno.
(OMISSIS) proponeva appello chiedendo l’accertamento della soccombenza della (OMISSIS) quale responsabile dell’atto illecito e dell’esistenza del danno, da liquidare in via equitativa. Nella resistenza degli appellati, con sentenza n. 2934/2016, la Corte d’Appello rigettava l’appello e condannava (OMISSIS) al pagamento delle spese del secondo grado.
Secondo la Corte distrettuale la domanda proposta dall’appellante andava qualificata unicamente come domanda di accertamento e rispetto ad essa si doveva necessariamente dichiarare la soccombenza dell’appellante, attesa la mancanza di prove in ordine alla dimostrazione dell’ingiusto vantaggio conseguito dalla (OMISSIS) s.r.l. con lo spossessamento dei tre posti auto, restando cioè indimostrate la sussistenza e la quantificazione del danno. Secondo i giudici dell’appello, dall’istruttoria non emergeva mai la prova specifica del concreto ed effettivo disagio subito dall’appellante, tenuto conto peraltro dell’esistenza di altri parcheggi all’interno dell’area condominiale, di cui egli avrebbe potuto usufruire. Pertanto la carenza probatoria inerente l’esistenza del danno impediva conseguentemente di poter pervenire a una liquidazione dello stesso in via equitativa.
(OMISSIS) propone ricorso per cassazione sulla base di due motivi.
L’intimata non ha svolto attività difensiva in questa sede.
Con il primo motivo di ricorso si lamenta ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “Violazione dell’art. 112 c.c., dell’art. 703 c.c., comma 1, degli artt. 167, 91, 1168, 1140, 1102 e 1117 c.c. per avere la Corte d’Appello di Venezia omesso di pronunciarsi sull’avvenuto spoglio clandestino e violento di tre posti auto condominiali dal ricorrente attribuito alla (OMISSIS) s.r.l. quale sua autrice morale e soggetto che in virtu’ di esso ha acquisito ed esercitato sui predetti beni il possesso esclusivo per otto mesi”.
In sede di appello il ricorrente aveva già denunciato la violazione dell’art. 112 c.p.c., poichè il Tribunale aveva omesso di pronunciarsi sulla fondatezza del ricorso possessorio proposto, e di accertare se la (OMISSIS) s.r.l. fosse responsabile di tale fatto illecito. L’installazione dei ferri blocca-parcheggi era atto non solo incontestato, ma espressamente riconosciuto dai convenuti, nonchè confermato con le prove testimoniali. Tale atto risultava essere in primo luogo clandestino, sulla base delle modalità di esecuzione, nonchè della consapevolezza degli autori della contrarietà all’uso esclusivo di detti posti auto da parte degli altri condomini, ed in secondo luogo violento, in ragione delle modalità di collocazione dei ferri blocca-parcheggio.
Senonchè i giudici dell’appello avrebbero omesso di pronunciarsi sulla domanda possessoria principale, volta all’accertamento dell’uso esclusivo, per otto mesi, dei tre posti auto condominiali da parte della (OMISSIS) s.r.l. mediante lo spossessamento clandestino e violento degli stessi, e si sarebbero occupati solo di quella accessoria relativa al risarcimento danni.
Con il secondo motivo si lamenta sempre ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la “violazione degli artt. 1168, 2043, 1223, 1226, 1227 e 2056 c.c. essendo stato giudicato che la privazione per otto mesi del compossesso di tre posti auto condominiali dal ricorrente patito per fatto illecito dalla (OMISSIS) s.r.l. non ha arrecato alcun danno al ricorrente giustificando la decisione con una motivazione illogica, irrazionale e contraria a principi di matematica elementare”.
Secondo il ricorrente non è condivisibile l’affermazione della Corte veneta, in quanto il danno scaturente dalla privazione del possesso di un posto auto deve ritenersi “in re ipsa”.
A detta del ricorrente il danno può esistere anche in mancanza di prova da parte del danneggiato. D’altra parte essendo dimostrato in via documentale che il condominio ha dieci unità abitative, ed essendo diritto dei dieci condomini quello di parcheggiare negli appositi spazi condominiali, poichè per duecentottanta giorni (quanto è durato il periodo di spossessamento), tre condomini su dieci non ebbero la possibilità di parcheggiare nell’apposito spazio condominiale, è certo matematicamente che questi dovettero recarsi in altri luoghi, esterni al condominio, per parcheggiare la loro auto. Le spese sostenute dal ricorrente relative al carburante e al ticket pagato nei parcheggi custoditi, nonchè la perdita di tempo, che causò stress e nervosismi, sarebbero tutti elementi idonei a rendere certa l’esistenza di danno, tuttavia difficile da quantificare nel suo esatto ammontare.
I motivi possono essere trattati congiuntamente e devono essere entrambi rigettati.
In linea di principio non si nega certamente il carattere turbativo, tutelabile con l’azione di manutenzione, di qualsiasi comportamento che ponga in essere un’innovazione della cosa comune idonea a modificare le concrete modalità di utilizzazione del bene fino a limitare, in misura apprezzabile, le facoltà del suo godimento (Cass. n. 22227/2006). Infatti, ai sensi dell’art. 1102 c.c., comma 1 – che si applica in materia condominiale in ragione dell’espresso rinvio di cui all’art. 1139 c.c. – l’uso della cosa comune da parte di ciascun partecipante è legittimo purchè non ne alteri la destinazione e non impedisca il pari uso da parte degli altri; pertanto la compromissione da parte di un comproprietario dell’uso da parte degli altri configura un atto illecito. (Cass. n. 13424/2003).
Tuttavia, e tornando al caso in esame, deve escludersi che ricorra un difetto di pronuncia quanto alla richiesta di tutela possessoria avanzata dal ricorrente, occorrendo avere riguardo alla circostanza che i giudici di merito hanno ritenuto che la richiesta di reintegra fosse ormai assorbita per effetto della cessazione della materia del contendere pronunciata con ordinanza dell’8 luglio 2011 – 11 luglio 2011 (cfr. ricorso pag. 5).
In tal senso questa Corte ha già avuto modo di affermare che (cfr. Cass. n. 6881/1991) il giudice del merito deve dichiarare, anche d’ufficio, la cessazione della materia del contendere, una volta venuto a conoscenza di fatti obiettivi posteriori alla domanda giudiziale, riconosciuti e non contestati dalle parti, dai quali deriva l’eliminazione del contrasto tra le stesse, ed il conseguente venir meno della necessità della pronuncia giudiziale; il che, per quanto specificamente attiene al giudizio possessorio, si verifica qualora nelle more del giudizio stesso, il ricorrente sia reintegrato spontaneamente, prima del provvedimento del giudice, nella situazione di fatto alterata dal resistente.
Ciò è quanto appunto è avvenuto nella vicenda in esame, posto che, come riconosce lo stesso ricorrente, ad aprile del 2010 sono stati rimossi da parte della società i ferri che avevano temporaneamente impedito agli altri condomini di poter liberamente fruire di tre dei dieci posti siti nelle aree comuni.
E’ però altrettanto radicato il principio per cui lo spoglio o la turbativa del possesso costituiscono atti illeciti lesivi del diritto del possessore alla conservazione della disponibilità della cosa, tutelati al punto che la sopravvenuta reintegrazione, o la cessazione della turbativa, prima di un ordine del giudice, non eliminano l’interesse del soggetto passivo ad ottenere una sentenza che, pur non potendo contenere quell’ordine (ormai inutile), esamini la fondatezza nel merito dell’azione possessoria, sia ai fini del necessario regolamento delle spese, sia perchè l’attore possa eventualmente porla a base di un separato giudizio di danni (Cass. n. 1578/1987), i quali tuttavia devono essere provati da chi propone la domanda di reintegrazione, secondo i principi generali in tema di ripartizione dell’onere probatorio.
Nel caso di specie, venuto meno lo spoglio lamentato dal ricorrente, il giudice di primo grado in sede interdittale dichiarava cessata la materia del contendere, ma avendo l’attore cumulato anche la domanda risarcitoria, ha provveduto doverosamente ad esaminare anche la ricorrenza del pregiudizio dedotto dal (OMISSIS), ritenendo tuttavia, pur ravvisando l’esistenza dello spoglio violento e clandestino ad opera della società, che la domanda risarcitoria non potesse essere accolta,, essendo rimasta sfornita di prova sia con riferimento al quantum che all’an.
Ne consegue che non vi è stata omissione di pronuncia da parte del giudice di merito, che ha valutato la condotta della resistente ai fini della connessa domanda risarcitoria (per la quale unicamente aveva fatto richiesta il ricorrente che il processo proseguisse nel merito), che è stata però rigettata.
I giudici di appello hanno, infatti, reputato che non fosse stata fornita la prova del danno sia nell’an che nel quantum, dando seguito ai principi affermati da questa Corte in base ai quali il danno da occupazione abusiva di immobile, infatti, non può ritenersi sussistente “in re ipsa” e coincidente con l’evento, che è viceversa un elemento del fatto produttivo del danno, ma, ai sensi degli artt. 1223 e 2056 c.c., trattasi pur sempre di un danno-conseguenza, sicchè il danneggiato che ne chieda in giudizio il risarcimento è tenuto a provare di aver subito un’effettiva lesione del proprio patrimonio ovvero di aver sofferto qualsivoglia situazione pregiudizievole (Cass. n. 15111/2013; Cass. n. 13071/2018).
Con specifico riferimento al danno da privazione del possesso, si è altresì ribadito che (Cass. n. 8854/2012) non può essere accolta la domanda di risarcimento del danno derivante dalla privazione del possesso di un immobile in modo violento o clandestino (che si configura come fatto illecito) nel caso in cui la parte non abbia fornito la prova dell’esistenza e dell’entità materiale del pregiudizio e la domanda non sia limitata alla richiesta della sola pronuncia sull'”an debeatur”, non essendo allora ammissibile il ricorso al potere officioso di liquidazione equitativa del danno.
I giudici di merito, con valutazione in fatto, non suscettibile di sindacato in questa sede, hanno ritenuto che, alla luce della peculiare conformazione dei luoghi e tenuto conto del periodo per il quale si è protratta la condotta illecita della convenuta, non vi fosse la prova del danno subito del ricorrente, attesa l’esistenza nel condominio di altri posti suscettibili di libera fruizione e considerato altresì che il mancato godimento dei tre posti auto si era verificato in un periodo dell’anno nel quale è ragionevole presumere che non vi sia l’esigenza per tutti i condomini di poter parcheggiare, attesa l’ubicazione del condominio in una località balneare, oggetto di frequentazione assidua da parte di tutti i condomini verosimilmente solo nel periodo estivo.
In tal senso non appare risolutivo il richiamo a principi matematici, quali il fatto che il numero dei posti disponibili fosse inferiore a quello dei condomini aventi diritto a parcheggiare, in quanto, stante la possibilità di poter comunque avvalersi di altri posti auto, il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare la concreta impossibilità di potersene servire.
Il ricorso dev’essere pertanto rigettato.
Nulla a disporre quanto alle spese nei confronti dell’intimata che non ha svolto attività difensiva.
Poiché il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi dell’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228 (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilità 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater dell’art. 13 del testo unico di cui al d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso;
Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, del d.P.R. n. 115/2002, inserito dall’art. 1, co. 17, I. n. 228/12, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente del contributo unificato dovuto per il ricorso a norma dell’art. 1 bis dello stesso art. 13.
Così deciso nella camera di consiglio del 24 gennaio 2019