Sentenza 7883/2017
Il contratto autonomo di garanzia – Inapplicabilità a tale contratto del disposto dell’art. 1957 c.c. salvo diversa specifica pattuizione
Il contratto autonomo di garanzia reca come connotato fondamentale l’assenza di accessorietà dell’obbligazione del garante rispetto a quella dell’ordinante, essendo la prima qualitativamente diversa dalla seconda, oltre che rivolta non al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostitutiva della mancata o inesatta prestazione del debitore; ne consegue, pertanto, una generale inapplicabilità a tale contratto del disposto dell’art. 1957 c.c., salvo diversa specifica pattuizione intercorsa tra le parti, purché compatibile con le restanti clausole contrattuali.
Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 28 marzo 2017, n. 7883 (CED Cassazione 2017)
Articolo 1957 c.c. commentato con la giurisprudenza
FATTI DI CAUSA
- La s.p.a. (OMISSIS) convenne in giudizio, davanti al Tribunale di Milano, la (OMISSIS) e la s.r.l. (OMISSIS) e – sulla premessa di essere garante, in favore della (OMISSIS), delle obbligazioni assunte dalla (OMISSIS) in favore della prima, in relazione ad un contratto di agenzia per la vendita di biglietti aerei – chiese che fosse riconosciuto che la (OMISSIS) non aveva diritto alla prestazione della garanzia conseguente all’inadempimento della (OMISSIS); ovvero, in via subordinata, che quest’ultima fosse tenuta a rivalerla dall’obbligazione di garanzia in favore della (OMISSIS); ovvero, in via ancora subordinata, che fosse riconosciuto il diritto della società attrice di surrogarsi alla (OMISSIS) nei diritti ad essa derivati dall’insinuazione al passivo della società (OMISSIS), dichiarata fallita.
Si costituirono in giudizio entrambe le convenute, chiedendo il rigetto di tutte le domande. La (OMISSIS), a sua volta, propose domanda riconvenzionale affinchè la s.p.a. (OMISSIS) fosse condannata al pagamento dell’intera somma prevista nel massimale, pari ad Euro 438.398,36.
Il Tribunale, espletata prova per testi ed emessa ordinanza in favore della (OMISSIS), ai sensi dell’articolo 186-ter c.p.c., per il pagamento del massimale di polizza per la somma indicata, con la successiva sentenza rigettò tutte le domande della società attrice, accolse la riconvenzionale della (OMISSIS) e condannò la società attrice al pagamento, in favore della convenuta, della somma di Euro 438.398,36, con il carico delle spese di lite.
- La pronuncia è stata impugnata in via principale dalla s.p.a. (OMISSIS) e in via incidentale dalla (OMISSIS) (in ordine al mancato riconoscimento della temerarietà della lite) e la Corte d’appello di Milano, con sentenza del 7 febbraio 2014, ha rigettato entrambe le impugnazioni ed ha condannato l’appellante principale al pagamento delle ulteriori spese del grado.
2.1. Ha innanzitutto osservato la Corte territoriale che, come già spiegato dal Tribunale nella motivazione dell’ordinanza emessa ai sensi dell’articolo 186-ter c.p.c., il contratto esistente tra la società di assicurazione e la (OMISSIS) era da considerare un contratto autonomo di garanzia, dovendosi ritenere rilevante, a tal fine, la previsione dell’articolo 6 della polizza circa l’assenza del beneficio della preventiva escussione del debitore principale da parte del garante. Nè poteva ritenersi ostativo a simile qualificazione la circostanza dell’avvenuto richiamo all’articolo 1957 c.c., posto che tale elemento non era da solo in grado di escludere il carattere autonomo della garanzia.
Ha poi aggiunto la Corte milanese che la (OMISSIS), contrariamente a quanto sostenuto dalla società di assicurazione, non era decaduta dalla garanzia ai sensi dell’articolo 1957 suindicato. Dalla lettura della polizza, infatti, risultava da un lato che era prevista una generale ultrattività dell’obbligazione di garanzia rispetto a quella principale e, dall’altro, che, verificatasi la situazione di insolvenza della società (OMISSIS), la (OMISSIS) aveva denunciato il sinistro già in data (OMISSIS), cioè a meno di un mese di distanza dalla conoscenza di detta insolvenza.
2.2. Quanto agli ulteriori motivi di gravame, la Corte d’appello ha ritenuto che il Tribunale aveva correttamente liquidato l’intero massimale di polizza in favore della (OMISSIS), posto che quest’ultima aveva dimostrato che, a fronte di un credito nei confronti della società (OMISSIS) pari ad Euro 1.300.000, essa aveva recuperato, insinuandosi al passivo della debitrice principale, la sola somma di Euro 285.766,82, per cui il massimale era comunque dovuto.
Era da rigettare, poi, anche l’ulteriore motivo di appello col quale la società di assicurazione aveva chiesto di poter esercitare azione di rivalsa nei confronti della società (OMISSIS) rientrata in bonis dopo il concordato fallimentare. Ha osservato la Corte di merito, in proposito, richiamando la L. Fall., articolo 135, che tale rivalsa era preclusa nei confronti dei creditori che non avessero fatto richiesta di ammissione al passivo fallimentare, stante l’obbligatorietà del concordato per tutti i crediti anteriori alla dichiarazione di fallimento. D’altronde, il credito della società (OMISSIS) era da considerare anteriore rispetto alla dichiarazione di fallimento, posto che era stato previsto fin dalla stipula della polizza il diritto di rivalsa della società di assicurazione nei confronti del contraente; e poichè la (OMISSIS) aveva subito una falcidie del proprio credito in sede fallimentare, “incombeva su (OMISSIS) un preciso obbligo di partecipare a concordato fallimentare onde esercitare il proprio diritto di rivalsa nei confronti di (OMISSIS) e la coeva azione di surroga nei confronti di (OMISSIS)”.
La Corte d’appello ha infine respinto anche l’appello incidentale di (OMISSIS) in punto di condanna per lite temeraria.
- Contro la sentenza della Corte d’appello di Milano propone ricorso l’ (OMISSIS) s.p.a., già (OMISSIS), con atto affidato a quattro motivi.
Resistono con separati controricorsi la (OMISSIS) e la s.r.l. (OMISSIS) in liquidazione.
Le parti hanno depositato memorie.
RAGIONI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 3), erronea e falsa applicazione della polizza in oggetto quale contratto autonomo di garanzia.
Osserva la ricorrente che la qualifica di contratto autonomo di garanzia non può derivare dalla semplice circostanza per cui il garante non gode del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, perchè ciò che conta è la relazione che le parti hanno inteso creare tra l’obbligazione principale e quella di garanzia. Nella specie, inoltre, mancherebbe nel contratto in questione ogni chiaro riferimento ad un obbligo di pagamento a semplice richiesta, perchè l’articolo 6 prevede comunque l’esistenza di alcune condizioni (termine di trenta giorni dal ricevimento della documentazione, valutazione delle perdite fatta d’accordo). D’altra parte, anche nella fideiussione a prima richiesta è sempre concesso al garante di far valere l’exceptio doli.
1.1. Il motivo, quando non inammissibile, è privo di fondamento.
Osserva la Corte, innanzitutto, che non è genericamente proponibile una censura di violazione di legge ai sensi dell’articolo360 c.p.c., comma 1, n. 3), in relazione alla “erronea e falsa applicazione della polizza”, posto che si sarebbe dovuta dedurre, semmai, la violazione di alcune specifiche norme di legge relative ai criteri di interpretazione del contratto (articoli 1362-1371 c.c.). Generico è, poi, il riferimento alla exceptio doli, probabilmente mai richiamato in sede di giudizio di merito.
Decisiva è, comunque, la circostanza che la Corte di merito, avvalendosi dei propri poteri di interpretazione, ha ritenuto nella specie sussistente un contratto autonomo di garanzia anzichè una fideiussione, ponendo l’accento, nel contesto globale dell’accordo, sull’assenza del beneficio della preventiva escussione del debitore principale, non dovendosi ritenere obbligatoria l’esplicita previsione della clausola “a prima richiesta” (v., sul punto, la sentenza 20 aprile 2004, n. 7502).
Ne consegue che il motivo in esame tende a sollecitare questa Corte ad un nuovo e non consentito esame del merito.
- Con il secondo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’articolo 1 delle condizioni generali di assicurazione e dell’articolo1957 c.c..
Richiamati gli articoli 1 e 12 del contratto, la società ricorrente osserva che la sentenza impugnata nulla avrebbe detto in ordine all’applicabilità dell’articolo 1957 cit., tanto più che nel contratto non vi sarebbe alcuna clausola tale da precludere al garante la facoltà di opporre al creditore le eccezioni spettanti al debitore principale. Nella specie, poi, poichè i pagamenti da parte della s.r.l. (OMISSIS) dovevano pervenire entro il giorno 15 di ogni mese, alla scadenza del 15 agosto 2003 la (OMISSIS) doveva essere a conoscenza della situazione di default della propria debitrice; di talchè essa sarebbe incorsa nei termini di decadenza dell’articolo1957 c.c., non avendo proposto nei due mesi successivi alcuna istanza, tale dovendosi intendere una iniziativa di carattere giudiziario e non una mera denuncia di sinistro.
2.1. Il motivo non è fondato, pur essendo necessaria sul punto una correzione della motivazione della sentenza impugnata.
2.2. La Corte d’appello, come si è detto, ha ritenuto che il contratto concluso tra la società di assicurazione e la (OMISSIS) fosse un contratto autonomo di garanzia e non una fideiussione. Tale qualificazione – che costituisce l’esplicazione di un potere spettante al giudice di merito – è stata però affiancata da un’ulteriore considerazione, e cioè che “la circostanza che le parti, in un contratto autonomo di garanzia, abbiano regolamentato gli oneri gravanti sul creditore ai sensi dell’articolo 1957 c.c., non è da sola sufficiente ad escludere il carattere autonomo della garanzia stessa, essendo tale norma espressione di un’esigenza di tutela del fideiussore, che può essere considerata meritevole di protezione anche in caso di garanzia non accessoria”. A tale conclusione la Corte di merito è pervenuta richiamando la sentenza 5 aprile 2012, n. 5526, di questa Corte (poi seguita dalla più recente sentenza 9 agosto 2016, n. 16825).
2.3. Rileva questo Collegio – senza ripetere le argomentazioni della nota sentenza 18 febbraio 2010, n. 3947, delle Sezioni Unite di questa Corte, la quale ha affrontato e risolto funditus tutta la complessa problematica della distinzione tra fideiussione e contratto autonomo di garanzia – che la pronuncia del massimo Consesso ora ricordata, alla quale l’odierna sentenza intende prestare totale e convinta adesione, ha chiarito che normalmente al contratto autonomo di garanzia non può applicarsi la previsione dell’articolo 1957 c.c..
Insegna la sentenza in questione che “l’obbligazione del garante autonomo è qualitativamente altra rispetto a quella dell’ordinante, sia perchè non necessariamente sovrapponibile ad essa, sia perchè non rivolta al pagamento del debito principale, bensì ad indennizzare il creditore insoddisfatto mediante il tempestivo versamento di una somma di denaro predeterminata, sostituiva della mancata o inesatta prestazione del debitore”. Caratteristica definita “fondamentale” del contratto autonomo di garanzia “è la carenza dell’elemento dell’accessorietà” (sul punto, v. pure la sentenza 31 luglio 2015, n. 16213), per cui la causa del contratto “risulta essere quella di trasferire da un soggetto ad un altro il rischio economico connesso alla mancata esecuzione di una prestazione contrattuale”. Da ciò consegue, nella ricostruzione delle Sezioni Unite, che, in difetto di diversa previsione da parte dei contraenti, al contratto autonomo di garanzia “non possa applicarsi la norma dell’articolo 1957 c.c., sull’onere del creditore garantito di far valere tempestivamente le sue ragioni nei confronti del debitore principale, poichè tale disposizione, collegata al carattere accessorio della obbligazione fideiussoria (così Cass. n. 3964/1999 cit., ancora in tema di polizza fideiussoria; Cass. n. 11368/2002, in motivazione) instaura un collegamento necessario e ineludibile tra la scadenza dell’obbligazione di garanzia e quella dell’obbligazione principale, e come tale rientra tra quelle su cui si fonda l’accessorietà del vincolo fideiussorio, per ciò solo inapplicabile ad un’obbligazione di garanzia autonoma”.
La citata sentenza n. 5526 del 2012 di questa Corte ha affermato, in modo condivisibile, che le enunciazioni della sentenza delle Sezioni Unite non possono essere intese nel senso che la regolamentazione degli oneri del creditore ai sensi dell’articolo1957 c.c., escluda di per sè il carattere autonomo della garanzia, a condizione che il giudice di merito compia una valutazione in termini di compatibilità delle singole clausole contrattuali.
2.4. Ritiene questo Collegio che vada ribadito come, in linea di principio, la disposizione dell’articolo 1957 c.c., sia incompatibile con la garanzia autonoma, posto che tale disposizione presuppone proprio quel collegamento tra le due obbligazioni che manca nel contratto autonomo. Di tanto, peraltro, si è in qualche modo avveduta anche la Corte d’appello di Milano la quale, dopo aver richiamato il testo di alcune clausole del contratto che prevedevano ipotesi di decadenza dalla garanzia a tutela della società di assicurazione, ha avuto cura di precisare che, nella specie, il Tribunale aveva correttamente ritenuto non operative tali ipotesi di decadenza, poichè la polizza prevedeva “una generale ultrattività dell’obbligazione di garanzia rispetto all’obbligazione principale, limitandola in ogni caso a due mesi dalla conoscenza da parte di (OMISSIS) del default di (OMISSIS)”.
Ora, poichè non risulta dalla sentenza impugnata nè dal motivo di ricorso in esame che il contratto in contestazione facesse un esplicito richiamo all’articolo 1957 c.c., – se non nella generica indicazione dei termini di decadenza annuale o bimestrale ivi previsti – non è possibile trasporre meccanicamente il sistema di decadenze previsto dalla citata disposizione al caso oggi in esame. D’altra parte, è proprio la caratteristica del contratto autonomo di garanzia quella di essere, appunto, autonomo, nel senso di non inquadrabile in uno schema legale tipico. Ciò comporta che la presenza di un singolo elemento di somiglianza con il regime dell’articolo 1957 c.c., non implica, di per sè, l’applicazione integrale di una disposizione che è stata dettata a proposito del diverso contratto di fideiussione.
È appena il caso di rilevare, del resto, che la censura richiama la questione dell’applicazione dell’articolo 1957 c.c., al solo scopo di pervenire alla conclusione che il creditore sarebbe decaduto dalla garanzia ai sensi di detta norma, non avendo proposto le dovute istanze nel termine di decadenza di due mesi. Ritiene invece questa Corte che, stante la suddetta tendenziale incompatibilità tra l’articolo 1957 cit., ed il contratto autonomo di garanzia, la previsione del contratto in esame doveva essere intesa in modo restrittivo, cioè nel senso di escludere che la mancata proposizione delle istanze (intese nei termini di cui alle sentenze 20 aprile 2004, n. 7502, e 29 gennaio 2016, n. 1724, di questa Corte) potesse determinare l’esclusione della garanzia.
Ciò comporta che la sentenza impugnata, così corretta nella motivazione, resiste alla censura di cui al secondo motivo di ricorso, posto che diventa irrilevante ogni discussione sull’osservanza del termine bimestrale, sull’idoneità delle istanze proposte e sulla conseguente possibilità di ipotizzare l’avvenuta maturazione di una qualche decadenza.
- Con il terzo motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), erronea applicazione delle condizioni di polizza per la determinazione dell’ammontare del credito vantato da (OMISSIS) in relazione ai recuperi dalla stessa effettuati.
Con tale motivo si censura innanzitutto che la documentazione fornita in giudizio non sarebbe idonea a dimostrare l’effettiva entità del credito della (OMISSIS) nei confronti della società (OMISSIS). Oltre a ciò, il motivo rileva che, in base agli articoli 4 e 7 delle condizioni generali di contratto, dall’importo del credito di (OMISSIS) dovrebbero essere detratte le somme recuperate in sede di insinuazione al passivo del fallimento della (OMISSIS). In altri termini, dall’importo del massimale garantito dovrebbe essere detratto ciò che l’assicurato (OMISSIS) ha recuperato dalla società fallita; sicchè la sentenza sarebbe errata perchè ha invece sommato le due entità.
3.1. Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata, come si è detto, è pervenuta alla conclusione che la società di assicurazione doveva essere condannata a versare l’intero massimale di polizza, sul rilievo che il credito di (OMISSIS), benchè decurtato della somma da essa recuperata in sede fallimentare, era comunque superiore al detto massimale.
Ora, dando per pacifico che i conteggi delle spettanze sono sottratte a nuovi accertamenti in questa sede, è appena il caso di osservare che la doglianza qui in esame trae spunto da una presunta errata interpretazione di clausole del contratto. Secondo la società ricorrente, l’articolo 4 della polizza che prevede che l’importo garantito nei confronti dell’assicurato sia decurtato “dell’ammontare di eventuali recuperi effettuati dall’assicurato prima della riscossione del risarcimento” – dovrebbe essere interpretato nel senso che dal massimale assicurativo si dovrebbe sottrarre quanto ricevuto da (OMISSIS) in sede di insinuazione al passivo fallimentare della debitrice società (OMISSIS).
Ad avviso del Collegio, anche volendo ammettere che si tratti di una clausola di dubbia interpretazione – e tenendo comunque presente che nel caso dovrebbe valere il criterio dell’interpretazione contro il predisponente (articolo 1370 c.c.) – è evidente che la lettura data dalla parte ricorrente perverrebbe all’assurdo risultato per cui l’iniziativa assunta dal danneggiato, nella specie tramite l’insinuazione al passivo fallimentare, finirebbe col premiare la società di assicurazione. In altri termini, nessun beneficio trarrebbe (OMISSIS) dall’insinuazione al passivo della società fallita, perchè tutto quanto ottenuto in quella sede andrebbe a ridurre il massimale che la società garante è tenuta a versare, il che è evidentemente un non senso. In alternativa, accogliendo l’interpretazione proposta dalla società ricorrente, si dovrebbe giungere alla conclusione che la clausola in questione potrebbe applicarsi solo nell’ipotesi in cui il massimale assicurativo sia superiore al danno risarcibile; il che è pure illogico.
Consegue da ciò l’infondatezza del motivo in esame.
- Con il quarto motivo di ricorso si lamenta, in riferimento all’articolo360 c.p.c., comma 1, nn. 3) e 5), violazione e falsa applicazione dell’articolo 9 delle condizioni generali di assicurazione e degli articoli1949 e 1950 c.c..
Osserva la società ricorrente di aver formulato domanda, in sede di merito, affinchè le fosse riconosciuto il diritto a surrogarsi sulla somma di Euro 285.766,82 recuperata dalla (OMISSIS) in sede di concordato fallimentare. Poichè, infatti, il versamento dell’intero massimale di polizza in favore della (OMISSIS) è avvenuto dopo la chiusura del concordato fallimentare, se anche la società di assicurazione si fosse insinuata al passivo, come sostiene la Corte d’appello, non avrebbe ottenuto nulla. Di qui il diritto di surroga nei confronti della somma recuperata da (OMISSIS), previsto dall’articolo 9 delle condizioni generali di assicurazione, riportato nel ricorso; su questo punto la Corte d’appello avrebbe omesso ogni pronuncia, pur avendo la ricorrente chiesto di potersi surrogare a prescindere dalla insinuazione in via condizionale al passivo della società (OMISSIS).
4.1. Il motivo non è fondato.
La sentenza impugnata, con un accertamento di fatto insindacabile in questa sede, è arrivata alla conclusione che la ragione di credito nei confronti della società fallita era anteriore alla dichiarazione di fallimento e che la società di assicurazione oggi ricorrente ben avrebbe potuto e dovuto insinuarsi anch’essa al passivo fallimentare, allo scopo di poter esercitare sia il diritto di rivalsa nei confronti della fallita che l’azione di surroga nei confronti della (OMISSIS). Tutto ciò muovendo dalla corretta premessa per cui il concordato fallimentare è, a norma della L. Fall., articolo 135, obbligatorio per tutti i creditori anteriori all’apertura del fallimento.
Questa motivazione è sufficiente ad escludere qualsiasi omissione di pronuncia da parte della Corte d’appello.
Nel merito, si osserva che tali considerazioni, del tutto corrette in punto di diritto, non sono affatto superate dal motivo di ricorso in esame; esso, infatti, insiste sulla circostanza che l’ammissione al passivo sarebbe stata inutile, in quanto il pagamento in favore di (OMISSIS) era avvenuto in data successiva alla chiusura della procedura concorsuale; è evidente, invece, che l’inerzia della società di assicurazione resta a carico della stessa, con gli effetti penalizzanti che inevitabilmente ne conseguono. Nè è pensabile, come pretenderebbe la ricorrente, che l’impossibilità di procedere nei confronti della società fallita si traduca nel conseguente diritto di recuperare quanto ricevuto da (OMISSIS) in sede fallimentare.
- Il ricorso, pertanto, è rigettato.
A tale esito segue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate ai sensi del Decreto Ministeriale 10 marzo 2014, n. 55.
Sussistono inoltre le condizioni di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate per ciascuno dei controricorrenti in complessivi Euro 12.200, di cui Euro 200 per spese, oltre spese generali ed accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza delle condizioni per il versamento, da parte della società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.