Sentenza 7972/2016
Provvedimenti adottati dal giudice delegato – Autonoma valutazione circa la sussistenza di un credito incluso fra quelli aventi diritto di prelazione
I provvedimenti adottati dal giudice delegato, in sede di discussione del concordato preventivo, riguardo alla sussistenza ed al rango dei vari crediti hanno la sola funzione di stabilire se ed in quali limiti spetti il diritto di voto ai fini dell’approvazione del concordato stesso, sicchè non pregiudicano le pronunce definitive sulla esistenza dei crediti medesimi. Pertanto, l’inclusione di un credito, nell’adunanza di cui all’art 174 l.fall., tra quelli aventi diritto di prelazione e, come tali, privi del diritto di voto, non preclude, in sede di accertamento del passivo del fallimento dichiarato per la mancata approvazione del concordato, la possibilità di un’autonoma valutazione circa la sussistenza e la natura del credito relativo.
Contratti bancari – Conservazione delle scritture contabili oltre il decennio – Onere della prova
Nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo, volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale, non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore.
Cassazione Civile, Sezione 1 Civile, Sentenza 20 aprile 2016, n. 7972 (CED Cassazione 2016)
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE
1.- Con il provvedimento impugnato il Tribunale di Bari ha rigettato l’opposizione allo stato passivo del fallimento della s.p.a. (OMISSIS) proposto dalla s.p.a. (OMISSIS) la quale lamentava l’esclusione del proprio credito di Euro 4.120.043,00, quale saldo di un conto corrente.
Il tribunale, in sintesi, ha ritenuto non provato il credito insinuato perchè l’opponente non aveva prodotto alcun documento, essendosi limitata a produrre copia della comunicazione degli organi della procedura di concordato che aveva preceduto il fallimento e altri documenti relativi alla procedura concordataria. Stante la contestazione del curatore, poi, i documenti prodotti erano del tutto insufficienti mentre non poteva essere acquisito il fascicolo relativo all’insinuazione al passivo (di contenuto imprecisato), essendo onere dell’opponente produrre lo stesso. Nell’opposizione, inoltre, la banca aveva premesso di non avere conservato le scritture contabili attestanti il credito, trattandosi di documentazione ultradecennale e, infine, era irrilevante la richiesta esibizione delle scritture contabili della società fallita, stante l’inapplicabilità dell’art. 2710 c.c., mentre in relazione ai piani di riparto relativi al concordato preventivo, la richiesta di esibizione era irrilevante perchè la non contestazione nel concordato preventivo non si estende al successivo fallimento.
Contro il decreto del tribunale la banca ha proposto ricorso per cassazione affidato a cinque motivi.
Resiste con controricorso il curatore del fallimento.
Nel termine di cui all’art. 378 c.p.c., parte ricorrente ha depositato memoria.
2.- Con il primo motivo di ricorso la ricorrente denuncia la “violazione del principio di legittimo affidamento”, quale risultante anche dalla normativa europea, lamentando che il tribunale non abbia tenuto conto della sentenza di omologa del concordato preventivo, violando tutti i principi di buona fede. Una volta omologato il concordato la banca non aveva più motivo di conservare le scritture contabili.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia vizio di motivazione lamentando che il tribunale non abbia motivato sulle circostanze invocate a fondamento del legittimo affidamento.
Con il terzo motivo la banca denuncia la violazione e falsa applicazione della L. Fall., artt. 98 e 99, lamentando che il tribunale le abbia erroneamente precluso la possibilità di provare il credito anche mediante l’ordine di esibizione delle scritture contabili al curatore.
Con il quarto motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 2710 c.c., nonchè vizio di motivazione con riguardo alla ritenuta inapplicabilità dell’art.2710 c.c., nei confronti del curatore del fallimento.
Con il quinto motivo la banca denuncia vizio di motivazione in ordine alla ritenuta inapplicabilità dell’art. 210 c.p.c., in relazione ai progetti di riparto relativi alla procedura di concordato preventivo.
3.- Tutti i motivi di ricorso – esaminabili congiuntamente perchè sostanzialmente convergenti sulla prova del credito e sui mezzi di prova ammissibili – sono infondati.
Va innanzitutto evidenziato che la ricorrente non censura l’affermazione del tribunale secondo cui la stessa banca aveva ammesso di non possedere più la documentazione relativa al credito insinuato.
Ciò posto, quanto alla pretesa di provare il credito con le scritture contabili della società fallita, va ricordato che al curatore fallimentare, che agisca non in via di successione in un rapporto precedentemente facente capo al fallito ma nella sua funzione di gestione del patrimonio di costui, non è opponibile l’efficacia probatoria tra imprenditori, di cui agli artt.2709 e 2710 c.c., delle scritture contabili regolarmente tenute, senza che tale inopponibilità, in sede di accertamento del passivo, resti preclusa ove non eccepita, trattandosi di eccezione in senso lato – e, dunque, rilevabile d’ufficio in caso di inerzia del curatore – poichè non si riconnette ad una azione necessaria dell’organo ma al regime dell’accertamento del passivo in sè, nel cui ambito il curatore, quale rappresentante della massa dei creditori, si pone in posizione di terzietà rispetto all’imprenditore fallito. (Sez. 1, Sentenza n. 14054 del 07/07/2015, Rv. 635932).
Quanto alla richiesta acquisizione dei progetti di riparto nella procedura di concordato, va evidenziato che in questa procedura non esiste un vero procedimento di accertamento del passivo. I provvedimenti adottati dal giudice delegato in sede di discussione del concordato preventivo riguardo alla sussistenza e al rango dei vari crediti hanno il solo effetto di accertare se ed in quali limiti sussista il diritto di voto ai fini dell’approvazione del concordato stesso e, come testualmente chiarisce la L. Fall., art. 176, non pregiudicano le pronunce definitive sulla sussistenza dei crediti medesimi. Pertanto, si è ritenuto Che l’inclusione di un credito nell’adunanza di cui alla L. Fall., art. 174, tra quelli aventi diritto a prelazione e, come tali, privi del diritto di voto, non preclude, in sede di accertamento del passivo del fallimento dichiarato per la mancata approvazione del concordato, la possibilità di una autonoma valutazione circa la sussistenza e la natura del credito relativo (Sez. 1, Sentenza n. 4583 del 09/12/1976, Rv. 383329).
Quanto, infine, alla dedotta violazione del principio di affidamento, è appena il caso di evidenziare – ammessa per ipotesi l’applicabilità di un tale principio nella procedura in esame – che in tutte le ipotesi in cui esso è stato applicato mai si è potuto prescindere dall’incolpevolezza dell’affidamento mentre, se lo stesso principio volesse essere inteso come richiamato per desumerne una “non contestazione”, giova ricordare che il tribunale ha dato atto dell’esistenza della contestazione da parte del curatore e che a quest’ultimo non può certo imputarsi la eventuale non contestazione di un diverso organo (commissario giudiziale) di una diversa procedura (concordato preventivo), sebbene in rapporti di consecuzione con il fallimento.
Da ultimo, va ribadito che nei rapporti bancari in conto corrente, la banca non può sottrarsi all’onere di provare il proprio credito invocando l’insussistenza dell’obbligo di conservare le scritture contabili oltre dieci anni dalla data dell’ultima registrazione, in quanto tale obbligo volto ad assicurare una più penetrante tutela dei terzi estranei all’attività imprenditoriale non può sollevarla dall’onere della prova piena del credito vantato anche per il periodo ulteriore. (Sez. 1, Sentenza n. 1842 del 26/01/2011, Rv. 616351)
Il ricorso deve essere, quindi, rigettato.
Le spese del giudizio di legittimità – liquidate in dispositivo – seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 10.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi oltre spese forfettarie e accessori come per legge.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 24 marzo 2016.