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Cassazione Civile 7973/2016 – Concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori – Compenso Commissario liquidatore

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Sentenza 7973/2016

Concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori – Compenso Commissario liquidatore

Nel concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori, le funzioni svolte dal liquidatore nominato ex art. 182 l.fall. sono assimilabili a quelle esercitate dal curatore fallimentare, sicchè sono utilizzabili, per la quantificazione del compenso del primo, i medesimi criteri stabiliti per quello del secondo. Pertanto, è ragionevole che il tribunale riconosca al commissario giudiziale somme maggiori rispetto a quelle attribuite al liquidatore, posto che l’attività espletata dal primo prende avvio già dal decreto di ammissione alla procedura ex art. 163 l.fall. e si protrae anche dopo l’omologa del concordato, dovendo egli sorvegliarne l’adempimento ex art. 185 l.fall., mentre il ruolo del liquidatore è necessariamente ristretto alla sola fase esecutiva del concordato, successiva rispetto all’omologa della proposta.

Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 20 aprile 2016, n. 7973 (CED Cassazione 2016)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

(OMISSIS) impugna per cassazione il decreto con il quale il Tribunale di Roma determinò il suo compenso finale, quale liquidatore giudiziale dei beni nel concordato preventivo della (OMISSIS) s.p.a., in liquidazione, omologato dal medesimo tribunale.

Tenuto conto dell’attivo inventariato e del passivo accertato, il tribunale ritenne di liquidare a (OMISSIS) una somma inferiore a quanto già accordato al commissario giudiziale e pari all’acconto in precedenza riscosso dal medesimo liquidatore.

Il ricorso è affidato a due motivi.

La (OMISSIS) s.p.a., in liquidazione, non ha spiegato difese.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione della L. Fall., artt. 39 e 165, nonchè vizio di motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), avendo il tribunale accordato al liquidatore giudiziale una somma assai inferiore rispetto a quella già liquidata al commissario giudiziale, senza addurre alcuna giustificazione per il diverso trattamento, incorrendo altresì in un errore nella determinazione dell’attivo liquidato e del passivo accertato.

Con il secondo motivo il ricorrente deduce la violazione del Decreto Ministeriale 28 luglio 1992, n. 570, artt. 1 e 6, nonchè omessa motivazione ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), per avere il tribunale liquidato un compenso finale pari esattamente all’acconto già corrisposto, senza addurre motivazione alcuna.

Il primo motivo è in parte inammissibile e in parte infondato.

È inammissibile nella parte in cui censura l’errore che sarebbe stato commesso dal tribunale nella indicazione dell’attivo liquidato e del passivo accertato, in quanto, secondo il costante orientamento di questa corte, il ricorso per cassazione con cui si denunci l’errore del giudice di merito in relazione alla percezione di documenti acquisiti agli atti del processo e menzionati dalle parti non corrisponde ad alcuno dei motivi di ricorso ai sensi dell’art. 360 c.p.c.; si tratta, piuttosto, di in una inesatta percezione da parte del giudice delle circostanze poste a base del suo ragionamento in contrasto con le risultanze degli atti del processo, suscettibile quindi di essere denunciata con il mezzo della revocazione, ai sensi dell’art. 395 c.p.c., n. 4), (Cass. 9 ottobre 2015, n. 20240).

Il motivo di ricorso è per altro verso infondato, perchè nel concordato preventivo con cessione dei beni ai creditori,

le funzioni svolte dal commissario liquidatore, nominato ai sensi della L. Fall., art. 182, sono indubbiamente assimilabili a quelle esercitate dal curatore fallimentare; e pertanto legittimamente, nel silenzio del Decreto Ministeriale 28 luglio 1992, n. 570, il giudice poteva utilizzare i criteri stabiliti da questo stesso Decreto Ministeriale per la liquidazione del compenso al curatore fallimentare (Cass. 26 agosto 2004, n. 16989).

D’altronde prima il Decreto Legislativo 17 settembre 2007, n. 169, introducendo della L.F. art. 182, il nuovo comma 2 e poi del Decreto Ministeriale 25 gennaio 2012, n. 30, art. 5, comma 3, che ha sostituito integralmente il Decreto Ministeriale n. 570 del 1992 – discipline pure non applicabili ratione temporis nella vicenda in esame -, hanno previsto espressamente che, nel concordato con cessione dei beni, al liquidatore giudiziale si applichi direttamente la L. Fall., art. 39, spettandogli un compenso determinato secondo i medesimi parametri previsti per il curatore.

Del tutto plausibilmente dunque il tribunale ha liquidato al commissario giudiziale somme superiori rispetto a quelle accordate al liquidatore L. Fall., ex art. 182, posto che l’attività espletata dal primo prende avvio già dal decreto di ammissione alla procedura L. Fall., ex art. 163 e si protrae anche dopo l’omologa del concordato, spettando al commissario il compito di sorvegliarne l’adempimento L. Fall., ex art. 185, mentre il ruolo del liquidatore giudiziale è necessariamente ristretto alla sola fase esecutiva del concordato, successivamente all’omologa della proposta.

Il secondo motivo è inammissibile, perchè propone censure attinenti al merito della decisione impugnata.

Rientra in realtà nella piena discrezionalità del tribunale, non censurabile in sede di legittimità, liquidare al professionista con il provvedimento finale un importo non superiore ai compensi già corrisposti a titolo di acconto, dovendo comunque il giudice – anche al momento di determinare il compenso definitivo – rispettare unicamente il vincolo derivante dalle percentuali, oscillanti tra un minimo e un massimo, previste nei relativi scaglioni per valore, riferiti sia all’attivo liquidato sia al passivo accertato all’esito della procedura.

In mancanza di difese dell’intimato, non v’è pronuncia sulle spese processuali.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio del 25 marzo 2016.