Sentenza 8104/2016
Procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata – Promuovibilità azioni dei creditori di accertamento e di condanna nei confronti dell’erede
In pendenza della procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata, il divieto posto dall’art. 506 c.c. di promuovere procedure individuali concerne unicamente le azioni esecutive, sicché non impedisce ai creditori ereditari di promuovere nei confronti dell’erede azioni di accertamento e di condanna per procurarsi un titolo giudiziale – accertativo o esecutivo – azionabile per soddisfarsi sul residuo della procedura concorsuale.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 21 aprile 2016, n. 8104 (CED Cassazione 2016)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
L’ingegner (OMISSIS) otteneva un decreto ingiuntivo nei confronti di (OMISSIS) e dei figli sigg.ri (OMISSIS) e (OMISSIS), tutti quali eredi di (OMISSIS) e la prima anche in proprio, per il pagamento del corrispettivo dell’opera professionale, commissionatagli dal defunto (OMISSIS) e da (OMISSIS), di progettazione e di direzione dei lavori di costruzione di una villetta bifamiliare in (OMISSIS).
Gli ingiunti si opponevano al decreto ingiuntivo, deducendo l’inesistenza del credito e rilevando che il medesimo era stato escluso dalla procedura liquidatoria dell’eredità beneficiata di (OMISSIS), con stato di graduazione non reclamato.
Il tribunale di Taranto, in parziale accoglimento dell’opposizione, determinava il credito dell’attore nella minor somma di euro 15.444,34 e condannava al relativo pagamento la signora (OMISSIS) per metà e la stessa signora (OMISSIS) insieme ai figli (OMISSIS) e (OMISSIS) per l’altra metà.
La Corte d’appello di Lecce, adita con l’appello principale della signora (OMISSIS), presentato in nome proprio e dei figli, nonchè con l’appello incidentale del (OMISSIS), rigettava entrambi gli appelli.
Per quanto qui ancora interessa, la Corte territoriale argomentava che l’art. 506 c.c., comma 1, preclude le azioni esecutive ma non impedisce ai creditori di procurarsi un titolo giudiziale di accertamento esecutivo.
Avverso la sentenza secondo grado ricorre per cassazione la signora (OMISSIS), in proprio e in rappresentanza di figli, sulla scorta di tre motivi concernenti, il primo, la statuizione sulla legittimità della formazione di un titolo giudiziale di accertamento di un credito escluso da uno stato di graduazione non impugnato, il secondo la statuizione sulla conclusione del contratto d’opera intellettuale ed il terzo la quantificazione del credito professionale.
L’ingegner (OMISSIS) si è costituito con controricorso.
Il ricorso e stato discusso alla pubblica udienza del 25.1.16, per in onte non sono state depositate memorie e nella quale il Procuratore Generale ha concluso come in epigrafe.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo mezzo di ricorso, riferito al vizio di violazione di legge, i ricorrenti denunciano la violazione degli artt. 499, 501, 502 e 506 c.c. e art. 778 c.p.c., in cui la Corte territoriale sarebbe incorsa ritenendo ammissibile l’accertamento giudiziale di un credito che sia stato insinuato nella procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata ed in tale procedura sia stato escluso con stato di graduazione non reclamato ai sensi dell’art. 501 c.c..
Secondo i ricorrenti l’accertamento dei crediti insinuati nella sede concorsuale deve avvenire in tale sede e, conseguentemente, l’azione proposta dal creditore escluso dallo stato di graduazione dovrebbe ritenersi inammissibile. Al riguarda si argomenta che la disposizione di cui all’art. 502 c.c., comma 2 (“i creditori ed i legatari che non si sono presentati hanno azione contro l’erede solo nei limiti della somma che residua dopo il pagamento dei creditori e dei legatari collocati nello stato di graduazione”), menzionando solo i “creditori ed i legatari che non si sono presentati”, implicherebbe che nessuna azione è data contro l’erede ai creditori che si siano presentati e siano rimasti esclusi dallo stato di graduazione.
Il motivo è infondato.
Questa Corte ha infatti già chiarito, con la sentenza n. 4704/01, che la pendenza della procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata non impedisce ai creditori ereditari di promuovere nei confronti dell’erede azioni di accertamento e di condanna per procurarsi un titolo giudiziale accertativo o esecutivo (azionabile per soddisfarsi sul residuo della suddetta procedura di liquidazione), giacchè il divieto di procedure individuali previsto dall’art. 506 c.c., si riferisce alle sole procedure esecutive. D’altra parte, se i creditori – presentatisi o meno nella procedura concorsuale di liquidazione dell’eredità beneficiata – possono promuovere nei confronti dell’erede azioni di accertamento e di condanna in pendenza della stessa, non vi è ragione di ritenere che tali azioni restino precluse dopo che detta procedura si sia conclusa. Ciò del resto si desume dalla sentenza n. 25670/08 con cui questa Corte, pronunciandosi in ordine ad una pretesa fiscale che il giudice tributario aveva ritenuto non azionabile perchè l’ufficio creditore non aveva fatto opposizione allo stato di liquidazione – ha affermato che l’erede contro il quale sia stato formato un titolo esecutivo che lo condanni in qualità di erede beneficiato, pur se tenuto al pagamento non oltre il valore dei beni a lui pervenuti (ex art. 490 c.c., comma 2, n. 2), non è esonerato dal pagamento se non dimostra (non che l’asse ereditario fosse originariamente insufficiente a coprire la passività, bensì) che l’asse ereditario sia rimasto esaurito nel pagamento di creditori presentatisi in precedenza.
Il primo motivo di ricorso va quindi respinto.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia l’insufficienza della motivazione della sentenza gravata in relazione al fatto decisivo dell’affidamento dell’incarico professionale da parte di (OMISSIS) e (OMISSIS) nei confronti dell’ingegner (OMISSIS). In particolare, secondo i ricorrenti, la Corte distrettuale avrebbe omesso di considerare:
1) i rapporti di amicizia colleganza di studio tra (OMISSIS) e il (OMISSIS)
2) l’assenza di documentazione in ordine ai rapporti incorsi fra il direttore dei lavori e l’impresa appaltatrice;
3) l’assenza del professionista dal luogo dei lavori;
4) l’assenza di richieste di pagamento parziali nell’arco di quasi nove anni dall’inizio dei lavori (1981);
5) il comportamento complessivo tenuto dal professionista dopo la conclusione del contratto d’opera e, segnatamente, la circostanza che il medesimo non avesse eccepito il proprio credito professionale in compensazione dei crediti vantati nei suoi confronti dalla signora (OMISSIS).
Il motivo va disatteso perchè si risolve nella richiesta alla Corte di cassazione di operare una rivalutazione complessiva delle istanze istruttorie che esula dall’ambito del giudizio di legittimità. Va infatti qui ricordato che, secondo il costante orientamento di questa Corte. Il ricorso per cassazione conferisce al giudice di legittimità non il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale, ma solo la facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, al quale spetta, in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllarne l’attendibilità e la concludenza e di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicità dei fatti ad essi sottesi, dando così liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge (tra le tante, sentt. n. 27197/11 e 24679/13).
Con il terzo motivo, riferito al vizio di violazione di legge in relazione all’art. 2697 c.c., i ricorrenti lamentano che la Corte territoriale avrebbe fatto proprie le risultanze della consulenza tecnica di ufficio senza considerare che l’ingegner (OMISSIS) non aveva provato l’entità delle prestazioni eseguite, al fine di consentire la determinazione del suo compenso.
Anche questo motivo deve essere disatteso, perchè il giudice territoriale non ha trascurato la regola di riparto dell’onere della prova fissata dalla norma di cui i ricorrenti lamentano la violazione, ma ha ritenuto che il professionista abbia soddisfatto l’onere della prova su di lui incombente esibendo la documentazione sulla cui base è stata svolta la consulenza tecnica di ufficio; il fatto che tale documentazione fosse scarsa o frammentaria, o non consentisse di precisare la data della prestazione, come si legge negli stralci della consulenza tecnica trascritti a pag. 10 del ricorso per cassazione, non ha tuttavia impedito al consulente di rispondere ai quesiti postigli dal giudice di merito, nè alla Corte d’appello di giudicare tale consulenza “logicamente motivate tecnicamente corretta” (pag. 7 della sentenza), senza peraltro, che tale giudizio sia stato specificamente censurato dai ricorrenti.
In conclusione, il ricorso va respinto in relazione a tutti i motivi nei quali si articola.
Le spese seguono la soccombenza.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna i ricorrenti a rifondere alla contro ricorrente le spese del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.000,00, oltre Euro 200,00 per esborsi.