Sentenza 8108/2016
Procedimento davanti al giudice di pace – Domanda riconvenzionale del convenuto – Rinvio per consentire di replicare alla domanda riconvenzionale del convenuto
Nei procedimenti dinanzi al giudice di pace deve essere concesso un rinvio all’attore, ove lo richieda, per poter replicare alla domanda riconvenzionale del convenuto.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 21 aprile 2016, n. 8108 (CED Cassazione 2016)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione notificato in data 28/2/2005, (OMISSIS) conveniva (OMISSIS) dinanzi al Giudice di Pace di Tetti affinchè fosse condannato al pagamento della somma di Euro 1000,00 quale prezzo della vendita del veicolo Bmw 316 targato (OMISSIS), che assumeva avere alienato al convenuto, concordando quale corrispettivo la predetta somma, da versare entro il mese di ottobre del 2004, senza che però tale scadenza fosse stata rispettata.
Si costituiva il convenuto il quale contestava la domanda attorea, deducendo in particolare che non era stato l’attore a trasferire la proprietà del bene, bensì la società (OMISSIS) S.r.l., così come documentato nel certificato di proprietà, dovendosi pertanto ritenere che l’attore fosse del tutto estraneo rispetto alla vicenda contrattuale. Inoltre deduceva che aveva già corrisposto all’attore la somma di Euro 2.500,00, avendo ceduto a quest’ultimo un proprio autoveicolo Renault Megane, dalla cui successiva rivendita il (OMISSIS) aveva ricavato la detta somma, utilizzata per l’appunto quale corrispettivo per l’acquisto dell’auto Bmw.
In via riconvenzionale chiedeva quindi la condanna dell’attore al pagamento della somma di Euro 1.500,00.
Nel corso del giudizio l’attore deduceva che in realtà la somma richiesta costituiva il saldo del prezzo fissato per la vendita, il cui importo era in realtà di Euro 3.500,00, aggiungendo che in precedenza aveva percepito in più soluzioni la complessiva somma di Euro 2.500,00, restando pertanto creditore della somma richiesta con l’atto introduttivo del giudizio.
Il Giudice di Pace con la sentenza n. 1708 del 27/12/2007 rigettava la domanda non essendo emersa la prova che l’attore fosse effettivamente proprietario del veicolo e che, in quanto tale, potesse reclamare il corrispettivo della vendita.
All’esito del giudizio di appello intentato da parte del (OMISSIS), il Tribunale di Terni con la sentenza n. 811 del 5/10/2010, ed in riforma della pronuncia del giudice di primo grado, accoglieva la domanda proposta dall’attore.
In primo luogo rilevava che l’affermazione dell’attore secondo cui la somma richiesta non costituiva l’integrale corrispettivo della compravendita, bensì il saldo, affermazione compiuta all’udienza del 13/5/2005, costituiva una mera precisazione della domanda e non un suo mutamento, non potendosi peraltro nemmeno sostenere la tardività della precisazione, posto che l’udienza del 13 maggio era stata fissata all’esito della celebrazione della prima udienza dell’8 aprile, ed al solo fine di meglio esaminare la comparsa di costituzione della controparte e per la precisazione dei mezzi istruttori, senza che vi fosse stata opposizione della difesa del convenuto.
Nel merito rilevava che la trascrizione nei pubblici registri automobilistici non incideva sulla validità nè costituiva un requisito di efficacia del contratto avente ad oggetto beni mobili registrati, dal momento che le risultanze dei relativi registri hanno un valore meramente presuntivo, suscettibile di poter essere vinto con ogni mezzo di prova.
Dalle prove raccolte emergeva che l’attore fosse effettivamente proprietario dell’autovettura, in quanto l’intervento nella vendita della precedente proprietaria si era reso necessario al solo fine di assicurare l’annotazione al PRA dell’avvenuto trasferimento di proprietà.
Inoltre, sempre sulla base delle prove raccolte, riteneva che il prezzo concordato fosse pari ad Euro 3.500,00, di cui Euro 2.500,00 frutto della cessione a favore dell’attore di un’altra autovettura del convenuto, il quale pertanto restava obbligato al versamento del saldo pari ad Euro 1.000,00.
Per la cassazione di tale sentenza, (OMISSIS) ha proposto ricorso, affidato a quattro motivi.
(OMISSIS) non ha svolto difese in questa fase.
MOTIVI DELLA DECISIONE
- Con il primo motivo di ricorso si denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art.112 c.p.c., nonchè degli artt.183, 184 e 320 c.p.c., in relazione alla previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 3.
Ci si duole del fatto che il Tribunale avrebbe affermato che l’indicazione del titolo della pretesa, da corrispettivo integrale della compravendita a saldo di tale corrispettivo, effettuata dall’attore all’udienza del 13/5/2005, costituisse una mera precisazione della domanda, e non un suo mutamento, escludendo altresì che la precisazione in oggetto dovesse ritenersi tardiva.
Assume il ricorrente che il Tribunale avrebbe doppiamente errato in quanto la “precisazione” in oggetto consisteva nell’introduzione nel giudizio di nuovi elementi di fatto, contraddittori e inconciliabili rispetto a quelli originariamente esposti nell’atto introduttivo, dando ingresso pertanto ad una domanda nuova. Inoltre tale precisazione sarebbe avvenuta non nella prima udienza dell’8/4/2005, bensì all’udienza successiva del 13/5/2005, non potendosi ritenere che con tale rinvio sia consentita al giudice l’alterazione del sistema delle preclusioni, che è sottratto al potere dispositivo non solo delle parti ma anche del giudice.
Con il secondo motivo di ricorso si denuncia la violazione ovvero la falsa applicazione dell’art. 320 c.p.c., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione su un punto decisivo della controversia, in quanto sarebbe stata esclusa la tardività della deduzione da parte dell’attore che la somma richiesta non costituiva l’integrale corrispettivo della vendita, bensì solo il saldo.
Infatti, come sopra evidenziato, ciò è avvenuto non alla prima udienza di comparizione, ma ad una seconda udienza che era stata fissata per consentire all’attore di poter esaminare la comparsa di costituzione della controparte e per la precisazione dei mezzi istruttori, nonchè per la comparizione personale delle parti.
In realtà la prima udienza del 8/4/2005 non era stata un’udienza di mero rinvio, con la conseguenza che alla successiva udienza del 13/5/2005 non era consentita nemmeno una semplice emendatio.
Con il terzo motivo si denuncia la nullità della sentenza per violazione del combinato disposto degli artt. 183, 184 e 320 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 4.
Infatti l’attore avrebbe articolato i mezzi istruttori soltanto nel corso della quarta udienza del 30/9/2005, laddove la disciplina del procedimento dinanzi al giudice di pace prevede che possa avvenire un solo rinvio per la definitiva articolazione dei mezzi di prova, i quali vanno pertanto dedotti entro la seconda udienza. Nella fattispecie invece le richieste istruttorie sarebbero state formulate ben oltre la celebrazione della seconda udienza.
Conseguentemente il giudice d’appello avrebbe dovuto rilevare d’ufficio l’illegittimità dell’ammissione degli avversi mezzi istruttori.
Con il quarto motivo di ricorso si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 116 c.p.c., nonchè l’omessa ed insufficiente motivazione della sentenza per l’erronea valutazione delle risultanze istruttorie su punti decisivi della controversia.
Nella formulazione del motivo, oltre a richiamarsi la contraddittorietà tra la versione iniziale dei fatti fornita dall’attore e quella successivamente elaborata all’esito dell’udienza del 13/5/2005, circostanza questa suscettibile di poter essere valutata ai sensi dell’art. 116 c.p.c., comma 2, si denuncia che il giudice avrebbe raggiunto il proprio convincimento avvalendosi di dichiarazioni di testi tutte de relato ex parte actoris, prive come tali di valore probatorio, e ciò sia per quanto attiene alla prova della proprietà dei veicoli in capo all’attore, sia per quanto concerne l’individuazione dell’effettivo corrispettivo della compravendita.
Si denunzia altresì che le deposizioni prese in considerazione sarebbero fra loro contraddittorie ed inoltre, pur affermando che il teste addotto dal convenuto non poteva essere preso in considerazione, riferendo esclusivamente fatti conosciuti da quest’ultimo, non aveva svolto analoghe considerazioni peri testi indicati dall’intimato.
Inoltre era stata del tutto omessa la valutazione della deposizione testimoniale resa dalla moglie del convenuto, la quale appariva idonea ad inficiare totalmente la ricostruzione dei fatti fornita dagli altri testi.
Infine era stato del tutto omesso l’esame del punto decisivo costituito dal fatto che del trasferimento della proprietà del veicolo da parte della precedente proprietaria in favore dell’attore, il quale, così come riferito dalle testi indicate dal (OMISSIS), sarebbe avvenuto mediante atto stipulato da un notaio, mancava qualsivoglia traccia documentale.
- Ad avviso del Collegio si palesa l’opportunità di una disamina congiunta dei primi due motivi di ricorso (dovendosi a tal fine precisare che in realtà gli stessi appaiono sussumibili nella previsione di cui dell’art. 360 c.p.c., n. 4 e non anche del n. 3, venendo prospettato in effetti un error in procedendo, ma senza che tale imprecisione determini l’inammissibilità dei motivi stessi) con i quali nel complesso il ricorrente intende contestare l’ammissibilità della domanda così come in concreto accolta da parte del Tribunale, sia in considerazione di un preteso ampliamento della causa petendi, al di fuori dei limiti consentiti per la semplice precisazione della domanda, sia in considerazione, nella diversa prospettiva che comunque si sia trattato di una mera emendati, della intervenuta preclusione processuale anche al compimento di tale più contenuta modificazione del thema decidendum.
Come si rileva dagli atti di causa, l’attore in citazione ha richiesto il pagamento della somma di Euro 1.000,00, quale prezzo della vendita di un veicolo di sua proprietà effettuata in favore del convenuto. Tuttavia, a seguito della costituzione dello stesso convenuto, il quale in tale occasione ha altresì proposto domanda riconvenzionale finalizzata ad ottenere il versamento della somma di Euro 1.500,00 pari alla differenza tra il valore di una propria auto ceduta allo stesso attore ed il prezzo invece dovuto per la vendita posta a fondamento della domanda introduttiva, all’udienza del 13/5/2005 l’intimato deduceva che la somma richiesta con la citazione in realtà costituiva il saldo del prezzo fissato per la vendita della propria autovettura, prezzo che era pari ad Euro 3.500,00, assumendo altresì che aveva già incassato, in più soluzioni, la somma di Euro 2.500,00.
Ritiene la Corte che la conclusione alla quale a pervenuto il giudice di appello, circa l’impossibilità di avvisare nell’allegazione di tali fatti la proposizione di una nuova domanda sia del tutto condivisibile, atteso che gli elementi costitutivi della domanda, individuati comunemente nella causa petendi e nel petitum sono rimasti sostanzialmente immodificati, atteso che, quanto a quest’ultimo, la somma richiesta è rimasta inalterata nel suo importo pecuniario, mentre quanto alla prima, il titolo giustificativo del credito dell’attore risiede comunque nel diritto al corrispettivo scaturente dal contratto di compravendita così come originariamente allegato in citazione, mutando unicamente la deduzione secondo cui la somma richiesta non costituirebbe l’intero corrispettivo, bensì il solo saldo del prezzo, già in precedenza parzialmente versato.
Le allegazioni integrative compiute da parte dell’attore, non determinando una radicale innovazione del thema decidendum, non possono pertanto essere ritenute idonee ad integrare la proposizione di domanda nuova, non palesandosi pertanto nemmeno idonee a determinare il pericolo di disorientamento dell’avversa difesa, rimanendo in ogni caso la pretesa ancorata alla verifica circa l’esistenza del contratto di compravendita, occorrendo unicamente riscontrare se ed in che misura fosse stato effettivamente corrisposto il prezzo da parte dell’acquirente.
2.1 Quanto invece al secondo motivo, assume il ricorrente che all’esito della prima udienza tenutasi in data 8/4/2005, nella quale si era costituito il convenuto, il difensore del (OMISSIS) aveva chiesto un termine per poter meglio esaminare la comparsa di costituzione di controparte nonchè per la precisazione dei mezzi istruttori e per permettere la comparizione personale delle parti.
Senza che vi fosse opposizione da parte della difesa del convenuto, il giudice di pace aveva rinviato alla successiva udienza del 13/5/2005 per la precisazione dei mezzi istruttori e per la comparizione personale delle parti.
Si sostiene pertanto che tale seconda udienza, nel corso della quale sono intervenute le suddette precisazioni in ordine all’effettiva entità del prezzo concordato ed al fatto che la somma richiesta costituiva il saldo e non il versamento dell’intero corrispettivo, era riservata unicamente alla precisazione dei mezzi istruttori, senza che fosse quindi più consentita la precisazione dei fatti che Fattore poneva a fondamento della domanda, trattandosi di attività preclusa una volta celebratasi la prima udienza, che nella fattispecie, non poteva essere ritenuta di mero rinvio, essendo stata per l’appunto teatro dello svolgimento di significative attività processuali.
Avrebbe errato pertanto il Tribunale nel ritenere consentite, anche nella considerazione che si tratti di mere precisazioni, le ulteriori allegazioni da parte dell’attore, e ciò in considerazione del principio per il quale il regime delle preclusioni, in quanto posto a tutela di interessi pubblicistici, non potrebbe essere derogato ancorchè in ragione di un provvedimento adottato da parte del giudice di pace.
Anche tale deduzione deve essere disattesa.
Invero, così come ricordato anche in ricorso dalla difesa del (OMISSIS), costituisce principio pacifico nella giurisprudenza di questa Corte, quello secondo cui (Cass. 21 dicembre 2011 n. 27925) a norma dell’art. 320 c.p.c., nel procedimento davanti al giudice di pace non è configurabile una distinzione tra prima udienza di comparizione e prima udienza di trattazione, pur essendo il rito caratterizzato dal regime di preclusioni tipico del procedimento davanti al tribunale, così che le eventuali preclusioni maturate non possono essere derogate per effetto del provvedimento con il quale il giudice di pace rinvii ad un’udienza successiva al fine di consentire, nel caso di specie, la produzione documentale non avvenuta tempestivamente.
Con specifico riferimento alle allegazioni concernenti il thema decidendum, si veda negli stessi termini Cass. 4 gennaio 2010 n. 18, nonchè Cass. 16 maggio 2008 n. 12454, che ribadisce il limite al potere di allegazione di nuovi fatti, trattandosi di una preclusione non derogabile dal giudice di pace mediante un rinvio della prima udienza, per consentire attività oramai precluse (in termini si veda anche Cass. 6 dicembre 2006 n. 26066).
Tuttavia la rigidità del sistema di preclusioni, operante, come visto, anche per il procedimento dinanzi al giudice di pace, ha ricevuto un’attenuazione in ragione dell’intervento della Corte Costituzionale con la sentenza interpretativa del 12/11/2002 n. 447, per la quale gli artt. 319 e 320 c.p.c., interpretati in modo costituzionalmente corretto, consentono che, nei casi di domande riconvenzionali o chiamate in causa di terzi, l’udienza di trattazione possa essere rinviata, per consentire all’attore di precisare le proprie difese. Infatti, in virtù del rinvio, contenuto nell’art. 311 c.p.c., per il procedimento davanti al giudice di pace – che riguarda un tipo di “controversia semplice” – alle norme che regolano il procedimento davanti al tribunale in composizione monocratica, in quanto applicabili, la Consulta ha affermato che il principio del contraddittorio comporta che anche nei confronti dell’attore convenuto in riconvenzionale davanti al giudice di pace debba essere assicurato “il leale svolgimento del procedimento”, sicchè la relativa normativa deve essere interpretata in armonia con il suddetto principio. La norma di cui all’art. 320 c.p.c., comma 4, deve infatti essere letta, conformemente a Costituzione, al di là della sua letterale formulazione, come espressiva di una direttiva generale, pur tenuto conto dell’obiettivo di una rapida soluzione del processo: il giudice di pace risulta, dunque, obbligato a fissare una nuova udienza qualora l’attore abbia necessità di apprestare le proprie difese, comprendenti non soltanto ulteriori attività probatorie, ma anche ulteriori attività assertive, in conseguenza della proposizione in prima udienza di domanda riconvenzionale da parte del convenuto.
La vicenda in esame ha visto per l’appunto la proposizione da parte del convenuto di una domanda riconvenzionale, la quale investiva proprio il problema relativo alla corretta determinazione del corrispettivo della compravendita, atteso che il ricorrente, sul presupposto che il prezzo pattuito fosse in totale di soli Euro 1.000,00, richiedeva, per l’ipotesi in cui fosse stata rigettata la tesi difensiva principale, circa l’impossibilità di poter attribuire all’attore la qualità di venditore, la restituzione della differenza tra quanto già versato, pari ad Euro 2.500,00, ed il suddetto prezzo.
In tale ottica, le precisazioni compiute dall’attore alla successiva udienza del 13/5/2005 appaiono obiettivamente consequenziali alla domanda riconvenzionale proposta, essendo necessarie al fine di giustificare l’attualità di una pretesa creditoria ancora insoddisfatta, evidenziandosi in tal modo le ragioni dell’infondatezza dell’avversa domanda riconvenzionale.
In tal senso questa Corte in precedenti occasioni ha ritenuto di dover dar seguito a quanto affermato nella suddetta sentenza interpretativa della Corte Costituzionale, ammettendo pertanto la possibilità, o addirittura la doverosità, per il giudice di pace di dover concedere un rinvio su richiesta dell’attore al fine di consentirgli le necessarie precisazioni, in replica alla domanda riconvenzionale del convenuto ovvero alla richiesta di chiamata in causa del terzo. In tal senso si veda Cass. 10 aprile 2008 n. 9350, a mente della quale, pur essendo la regola generale, quella secondo cui nella prima udienza risulta concentrata tutta l’attività processuale delle parti (quali la precisazione dei fatti, la produzione dei documenti e le richieste istruttorie), il rinvio a successiva udienza essendo consentito solo quando, in relazione all’attività svolta, risultino necessarie ulteriori produzioni o richieste di prova (udienza nella quale è, peraltro, preclusa alle parti la possibilità di proporre nuove domande o eccezioni ovvero di allegare nuovi fatti costitutivi, modificativi o estintivi), tuttavia, qualora il convenuto si costituisca alla prima udienza e chieda la chiamata in causa del terzo, è consentito il rinvio ad una successiva udienza su richiesta dell’attore, proprio al fine di poter allegare alle deduzioni del convenuto.
In termini conformi, ed in motivazione si veda anche Cass. 6 marzo 2007 n. 5096, la quale, negando la possibilità di concedere detto rinvio in presenza della semplice costituzione del convenuto, ha ribadito che la citata pronunzia della Corte costituzionale debba essere interpretata nel senso che il rinvio ad altra udienza non può non essere disposto se l’attore abbia necessità di apprestare ulteriori attività assertive in relazione alla domanda riconvenzionale proposta dal convenuto.
Pertanto, e ribadita l’avvenuta proposizione della domanda riconvenzionale da parte del convenuto, come si ricava dalla lettura del verbale della prima udienza del 8/4/2005, trascritto nel ricorso, deve ritenersi che la richiesta di rinvio formulata dal difensore dell’attore ed il conseguente accoglimento da parte del giudice di pace siano avvenuti in sostanziale attuazione dei criteri interpretativi offerti dalla pronuncia della Consulta, palesandosi in tal modo l’infondatezza della deduzione di parte ricorrente circa la tardività della precisazione dei fatti compiuta dalla difesa dell’intimato all’udienza di rinvio.
- Parimenti infondato appare il terzo motivo di ricorso con il quale si lamenta il fatto che l’articolazione dei mezzi istruttori sia avvenuta ad opera dell’attore solo nel corso della quarta udienza del 30/9/2005, allorchè le preclusioni istruttorie, così come delineate dall’art.320 c.p.c., erano abbondantemente maturate.
Si sostiene pertanto che, essendo il regime delle preclusioni sottratto alla disponibilità delle parti, l’inammissibilità doveva essere rilevata d’ufficio da parte del giudice, con la conseguenza che tale omissione determina un vizio della sentenza di primo grado nonchè di quella impugnata.
La deduzione tuttavia non considera che, pur dovendosi ribadire la natura inderogabile e come tale sottratta alla disponibilità delle parti del regime delle preclusioni istruttorie, anche nel procedimento dinanzi al giudice di pace, tuttavia l’omesso rilievo delle stesse da parte del giudice di primo grado determina un vizio della sentenza che, in mancanza di una previsione che espressamente ne consenta il rilievo in ogni stato e grado del giudizio, deve essere specificamente denunziato mediante la proposizione di uno specifico motivo di appello, e ciò in applicazione del più generale principio di conversione delle nullità in motivi di gravame, di cui dell’art. 161 c.p.c., comma 1.
Nella fattispecie pertanto il ricorrente avrebbe dovuto sottoporre la questione al giudice d’appello e ciò non risulta sia avvenuto, con la conseguenza ulteriore che il vizio in oggetto deve ritenersi ormai sanato, non potendo essere denunciato per la prima volta dinanzi al giudice di legittimità.
- Egualmente immeritevole di accoglimento risulta il quarto motivo di ricorso, il quale, ancorchè formalmente volto a denunziare la violazione dell’art.116 c.p.c., nonchè l’insufficienza della motivazione per quanto concerne la valutazione dei mezzi istruttori, mira sostanzialmente a sollecitare un’indebita rivalutazione dei fatti di causa, attività questa preclusa al giudice di legittimità.
In tal senso, occorre ribadire che la deduzione con il ricorso per Cassazione di un vizio di motivazione della sentenza impugnata, per omessa, errata o insufficiente valutazione delle prove, non conferisce al giudice di legittimità il potere di riesaminare il merito dell’intera vicenda processuale sottoposta al suo vaglio, bensì la sola facoltà di controllo, sotto il profilo della correttezza giuridica e della coerenza logico-formale, delle argomentazioni svolte dal giudice di merito, restando escluso che le censure concernenti il difetto di motivazione possano risolversi nella richiesta alla Corte di legittimità di una interpretazione delle risultanze processuali, diversa da quella operata dal giudice di merito.
La SC ha più volte affermato (Cass. 4.3.2014, n. 4980) che, qualora con il ricorso per cassazione venga dedotta l’incongruità o illogicità della motivazione della sentenza impugnata per l’asserita mancata valutazione delle risultanze processuali, è necessario, al fine di consentire al giudice di legittimità il controllo della decisività della risultanza non valutata (o insufficientemente valutata), che il ricorrente precisi – mediante integrale trascrizione della medesima nel ricorso – la risultanza che egli asserisce decisiva non valutata o non sufficientemente valutata, dato che solo tale specificazione consente alla Corte, alla quale è precluso l’esame diretto degli atti di causa, di delibare la decisività della risultanza stessa, ed in tale prospettiva non può non evidenziarsi che sebbene si denunzi l’erronea valutazione della deposizione resa dal teste (OMISSIS), nel ricorso non risulta riprodotta in maniera integrale la deposizione resa dal medesimo, ancorchè la sentenza impugnata si fondi sulla stessa quanto alla ricostruzione delle vicende contrattuali ed in particolare per quanto attiene alla determinazione del corrispettivo della vendita.
Inoltre la motivazione omessa o insufficiente è configurabile soltanto qualora dal ragionamento del giudice di merito, come risultante dalla sentenza impugnata, emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre ad una diversa decisione, ovvero quando sia evincibile l’obiettiva carenza, nel complesso della medesima sentenza, del procedimento logico che lo ha indotto, sulla base degli elementi acquisiti, al suo convincimento, ma non già quando, invece, vi sia difformità rispetto alle attese ed alle deduzioni della parte ricorrente sul valore e sul significato dal primo attribuiti agli elementi delibati, risolvendosi, altrimenti, il motivo di ricorso in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento di quest’ultimo tesa all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, certamente estranea alla natura ed ai fini del giudizio di cassazione (Sez. U,Sentenza n. 24148 del 25/10/2013).
Ancora, qualora le deposizioni testimoniali esaminate dalla Corte di Cassazione comportino valutazioni ed apprezzamenti di fatto, quali la maggiore o minore attendibilità dei testi, suffragata da non illogici argomenti, ovvero presunzioni ex art. 2727 c.c., il motivo è inammissibile, in particolare ove si chieda una valutazione delle deposizioni prese singolarmente e non già in maniera complessiva (Cass., Sez. L, sentenza n. 15205 del 3 luglio 2014, Rv. 631686; Cass., Sez. L, sentenza n. 25608 del 14 novembre 2013, Rv. 628787; Cass., Sez. U, sentenza n. 24148 del 25 ottobre 2013, Rv. 627790). Inoltre, nel giudizio di cassazione, con riferimento alle testimonianze assunte nei gradi precedenti, non è configurabile il vizio di motivazione di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5, qualora siano richiesti apprezzamenti di fatto, compresi quelli sulla maggiore o minore attendibilità dei testi, non essendo consentito in sede di legittimità un nuovo esame di merito (Cfr. Cass., Sez. L, sentenza n. 15205 del 3 luglio 2014, Rv. 631686).
Poste tali premesse che rispondono ai principi costantemente seguiti da questa Corte, e restando alla disamina del motivo di ricorso, va innanzi tutto esclusa la possibilità di poter trarre argomenti di prova di segno negativo per la posizione dell’attore dal fatto che questi abbia provveduto alla modificazione della domanda così come illustrato nella disamina del primo motivo di ricorso, atteso che trattasi di un lecito esercizio delle facoltà processuali della parte che non può pertanto negativamente incidere sul diverso piano della valutazione delle risultanze istruttorie.
Ancora quanto alla valutazione delle deposizioni testimoniali, il motivo, oltre a sollecitare nei fatti una disamina non già complessiva delle stesse, come invece correttamente fatto dal giudice di merito, denunzia una non corretta valutazione delle deposizioni de relato che non trova conferma nella lettura della motivazione della snetenza impugnata.
Ed, infatti, quanto alla questione della proprietà del veicolo in capo al (OMISSIS), la sentenza del Tribunale, pur dando rilievo a deposizioni testimoniali che in parte si richiamano a quanto riferito dallo stesso attore, tuttavia evidenzia come le stesse trovino anche conforto in ulteriori circostanze di carattere obiettivo o istruttorio, come appunto le dichiarazioni rese dallo stesso ricorrente in sede di interrogatorio, di tal che appare possibile richiamare il principio affermato da questa Corte, e ricordato anche dalla difesa del
secondo cui la testimonianza “de relato ex parte actoris” può assurgere a valido elemento di prova quando sia suffragata da ulteriori risultanze probatorie, che concorrano a confermarne la credibilità (da ultimo Cass. n. 18352/2013).
Quanto invece alla diversa questione relativa ala determinazione dell’effettivo prezzo della compravendita, rientra nella insindacabile valutazione del giudice del merito stabilire quale delle varie deposizioni rese sia da ritenere dotata di maggiore attendibilità e credibilità, non senza ribadire che la dichiarazione resa sul punto dal teste (OMISSIS) (di cui come detto non è stato nemmeno trascritto il contenuto integrale) è il frutto di una diretta partecipazione del teste alle trattative, a differenza della deposizione del teste (OMISSIS), che ha riferito esclusivamente circostanze de relato, senza nemmeno il conforto di diverse risultanze istruttorie.
Ne appare sindacabile la valutazione di attribuire rilevanza alla deposizione del detto teste (OMISSIS) rispetto ad altre deposizioni, atteso che ciò rientra nell’insindacabile potere di valutazione del giudice di merito, così come del pari insindacabile è, come sopra ricordato, la valutazione di attendibilità dei testi compiuta dal Tribunale, in presenza di una motivazione del proprio convincimento che si palesa immune da profili di illogicità ed incoerenza.
- Il ricorso deve pertanto essere integralmente disatteso, ma nulla deve disporsi quanto alle spese del presente giudizio atteso il mancato svolgimento di attività difensiva da parte dell’intimato.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 5 aprile 2016.