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Cassazione Civile 8110/2022 – Fallimento del debitore opponente in pendenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – Mancata riassunzione del giudizio

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Sentenza 8110/2022

Fallimento del debitore opponente in pendenza del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo – Mancata riassunzione del giudizio

Il fallimento del debitore, intervenuto nel corso di un giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, non determina l’inefficacia assoluta di quest’ultimo ma la sua mera inopponibilità alla massa, con la conseguenza che, una volta tornato “in bonis” il debitore, i relativi effetti tornano a dispiegarsi, divenendo definitivi qualora il processo di opposizione (interrotto a seguito dell’apertura della procedura concorsuale) non sia stato tempestivamente riassunto dall’opponente. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione di merito che, a seguito della mancata riassunzione del giudizio di opposizione instaurato dal debitore successivamente fallito, aveva ritenuto che il decreto ingiuntivo rappresentasse titolo esecutivo idoneo a fondare l’intervento dei creditori nella procedura esecutiva immobiliare instaurata dopo la chiusura del fallimento, secondo la prelazione derivante dall’ipoteca originariamente iscritta).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 14-3-2022, n. 8110   (CED Cassazione 2022)

Art. 653 cpc (Efficacia esecutiva del decreto ingiuntivo opposto) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

La (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)) S.p.A. e la (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)) S.p.A. proponevano opposizioni ex artt. 512 e 617 c.p.c. avverso il progetto di distribuzione del ricavato dalla procedura esecutiva immobiliare promossa dalla (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) S.r.l.

La società esecutata era stata precedentemente dichiarata fallita dal Tribunale di Foggia con la sentenza n. 37 del 28/6/2004; al passivo fallimentare non erano stati ammessi i crediti vantati dalla (OMISSIS) per inidoneità della documentazione presentata a provare il credito; analoga sorte aveva subito la domanda di insinuazione della (OMISSIS), mentre le istanze L.Fall., ex art. 93 della (OMISSIS) e della (OMISSIS) venivano respinte, oltre che per l’omessa dimostrazione delle pretese creditorie, perchè il decreto ingiuntivo ottenuto da (OMISSIS) non era opponibile alla curatela in quanto non definitivo alla data del fallimento.

Una volta dichiarata chiusa la procedura concorsuale e tornata in bonis la (OMISSIS) S.r.l., le società (OMISSIS) e (OMISSIS) ottenevano decreti ingiuntivi immediatamente esecutivi nei confronti della debitrice per i medesimi crediti non ammessi al passivo fallimentare e i provvedimenti monitori divenivano, in seguito, definitivi in esito al rigetto delle opposizioni svolte dalla (OMISSIS).

Nella procedura individuale di espropriazione intrapresa da (OMISSIS) in forza del decreto ingiuntivo da ultimo ottenuto intervenivano la (OMISSIS) e altri creditori: tra questi, (OMISSIS) S.r.l. (cessionaria dei crediti di (OMISSIS)) e (OMISSIS) intervenivano in forza dei decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi conseguiti prima della dichiarazione di fallimento della (OMISSIS) (e non riconosciuti come titoli nella procedura concorsuale in ragione della loro non definitività), i quali erano stati impiegati anche per iscrivere, anteriormente al fallimento, ipoteche giudiziali (non consolidatesi stante la pendenza – al momento della declaratoria dell’insolvenza – delle opposizioni ex art. 645 c.p.c. della debitrice e dei fideiussori) sui cespiti poi staggiti.

Liquidati i beni immobili della (OMISSIS), il giudice dell’esecuzione procedeva alla distribuzione del ricavato, sulla scorta di un progetto predisposto dal professionista delegato, riconoscendo alla (OMISSIS) e alla (OMISSIS) sia il credito vantato in virtù dei citati provvedimenti monitori, sia il privilegio ipotecario; respinte le contestazioni delle odierne ricorrenti – le quali avevano eccepito l’inopponibilità delle ipoteche iscritte – il piano di riparto veniva approvato con ordinanza del 30/10/2013, comunicata con p.e.c. del 7/11/2013.

Con successivi ricorsi depositati il 26/11/2013 la (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)) S.p.A. e la (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)) S.p.A. proponevano opposizioni distributive chiedendo di escludere dalla ripartizione del ricavato la (OMISSIS) e la (OMISSIS) per inesistenza del titolo esecutivo nei confronti della (OMISSIS) e per inefficacia delle ipoteche giudiziali iscritte sui beni pignorati.

Introdotto il giudizio di merito, la causa veniva decisa dal Tribunale di Foggia con la sentenza n. 1945 del 5/9/2017, che respingeva l’opposizione avanzata e condannava le opponenti a rifondere le spese in favore di (OMISSIS) S.r.l. e di (OMISSIS) s.c. (già (OMISSIS)).

Avverso tale decisione (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) S.p.A. proponevano ricorso per cassazione, fondato su due motivi; resistevano con distinti controricorsi (OMISSIS) S.p.A. (già (OMISSIS) s.c., a sua volta incorporante per fusione la (OMISSIS)) e (OMISSIS) S.r.l.; in questo giudizio di legittimità nessuna difesa svolgevano, invece, gli altri intimati.

Per la trattazione della controversia è stata fissata l’udienza pubblica del 16 dicembre 2021; il ricorso è stato trattato e deciso in camera di consiglio – in base alla disciplina dettata dal Decreto Legge n. 137 del 2020, art. 23, comma 8-bis, inserito dalla Legge di conversione n. 176 del 2020, successivamente prorogato dal Decreto Legge n. 105 del 2021, art. 7, comma 1, convertito dalla L. n. 126 del 2021 – senza l’intervento del Procuratore Generale e dei difensori delle parti, non avendo nessuno degli interessati avanzato richiesta di discussione orale.

Il Pubblico Ministero ha presentato conclusioni motivate scritte, chiedendo il rigetto del ricorso; le ricorrenti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo, le ricorrenti deducono (ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) la violazione e falsa applicazione della L.Fall., artt. 52, 53, 54, 55, art. 67, n. 4, artt. 93, 94, 95, 96, 97, 120 (nella formulazione anteriore alla novella legislativa del 2006) e artt. 474, 499, 510 e 512 c.p.c., per avere il Tribunale di Foggia erroneamente ammesso a partecipare alla distribuzione del ricavato dalla vendita dei beni della (OMISSIS), altresì riconoscendo la prelazione ipotecaria, sia la (OMISSIS) S.r.l. (cessionaria del credito di (OMISSIS)), sia la (OMISSIS) (oggi (OMISSIS)) S.p.A., senza considerare che i predetti creditori erano privi di titolo esecutivo e le ipoteche iscritte inefficaci.

In particolare, le ricorrenti sostengono che, in forza delle previgenti disposizioni della Legge Fallimentare (ratione temporis applicabili), in caso di fallimento intervenuto nelle more dell’opposizione a decreto ingiuntivo, il provvedimento monitorio (anche se provvisoriamente esecutivo) diviene inefficace o addirittura inesistente, così come l’ipoteca iscritta in base al medesimo titolo, e che le ragioni di credito fatte valere col ricorso per decreto ingiuntivo devono essere necessariamente dedotte mediante l’insinuazione al passivo fallimentare, stante l’inopponibilità alla curatela del decreto non definitivo; secondo la tesi affermata nel ricorso, la mancata ammissione al passivo dei crediti delle controricorrenti non ha effetti esclusivamente endoconcorsuali (come invece prevedono le norme sopravvenute e non applicabili alla fattispecie), ma incide – con portata extrafallimentare – sui decreti ingiuntivi ancora sub iudice rendendoli tamquam non essent e determina, così, la loro caducazione come titoli esecutivi e la conseguente inefficacia delle iscrizioni ipotecarie.

Sulla scorta di tali argomentazioni, le ricorrenti concludono che alla ripartizione del ricavato non si sarebbero dovute ammettere le controricorrenti, perchè – in seguito alla declaratoria di fallimento della (OMISSIS), intervenuta in pendenza dei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi dalle stesse ottenuti, e alla loro mancata ammissione al passivo fallimentare – gli interventi nel processo esecutivo non erano supportati da titoli esecutivi e le iscrizioni ipotecarie, già inopponibili alla curatela, erano da reputarsi inefficaci.

Le medesime argomentazioni fondano la censura di nullità della decisione, formulata nel secondo motivo con richiamo all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

2. Entrambi i motivi – che possono essere trattati congiuntamente – sono infondati per le ragioni di seguito esposte.

Il Tribunale di Foggia ha respinto l’opposizione distributiva delle odierne ricorrenti, perchè l’inopponibilità alla curatela fallimentare dei decreti ingiuntivi opposti (e, dunque, non definitivi) e delle relative ipoteche giudiziali e la mancata ammissione dei creditori muniti di tali titoli al passivo del fallimento non privano i provvedimenti monitori immediatamente esecutivi della loro natura di titoli ex art. 474 c.p.c., idonei a consentire sia l’intervento ex art. 499 c.p.c., sia l’iscrizione ipotecaria ex art. 655 c.p.c.; secondo il giudice di merito, la sopravvenienza del fallimento non determina la caducazione (o l’inesistenza, come sostenuto dalle opponenti) dei provvedimenti monitori non definitivi, bensì, oltre alla loro inopponibilità alla curatela, l’interruzione del giudizio di opposizione con facoltà di riassunzione da parte del fallito (non ravvisandosi, invece, un interesse del curatore fallimentare) allo scopo di evitare che la definitività dell’ingiunzione (ex art. 653 c.p.c.) possa essergli opposta una volta tornato in bonis.

3. Le censure svolte dalle ricorrenti a tali argomentazioni sono infondate.

Si osserva, innanzitutto, che “tra gli effetti della chiusura del fallimento non è affatto compresa la liberazione del fallito dalle obbligazioni non fatte valere o non soddisfatte nel corso della procedura fallimentare. Come sancito inequivocabilmente dal capoverso della L.Fall., art. 120 i creditori riacquistano il libero esercizio delle azioni verso il debitore anche per la parte non soddisfatta dei loro crediti, sia per capitale che per interessi, il che comporta la possibilità per il creditore di far valere il suo credito nei confronti del debitore ritornato in bonis” (Cass., Sez. U, Sentenza n. 11718 del 26/11/1993); nell’alveo della L.Fall., art. 120, dunque, deve inquadrarsi l’azione esecutiva esercitata, mediante intervento nella procedura già pendente, da (OMISSIS) e da (OMISSIS).

Il ricorso solleva questioni che possono essere riassunte nei seguenti quesiti:

– se l’espressa esclusione dal passivo fallimentare del creditore del fallito comporti (o, quantomeno, comportasse in forza delle disposizioni della Legge Fallimentare anteriori alle modifiche del 2006) un definitivo accertamento negativo sulla sussistenza del credito tale da impedire l’esercizio dell’azione di recupero del credito anche dopo la chiusura della procedura concorsuale e nei confronti del fallito tornato in bonis;

– se l’inefficacia nei confronti della curatela del decreto ingiuntivo immediatamente esecutivo e fatto oggetto di opposizione (ancora pendente al momento della dichiarazione di fallimento) comporti (o comportasse) l’inesistenza o un’automatica e definitiva perdita di effetti del provvedimento monitorio (e anche delle ipoteche iscritte in forza dello stesso) o, comunque, se tali conseguenze derivino dall’interruzione L.Fall., ex art. 43, comma 3, del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo non seguita da riassunzione nei confronti della curatela o del fallito stesso.

A tali quesiti deve darsi risposta negativa.

4. In ordine alla prima questione, è errata la premessa da cui muovono le ricorrenti, secondo le quali “gli interventi normativi di riforma del 2006-2007 e succ. modifiche che hanno espressamente riconosciuto ai provvedimenti resi in sede concorsuale un’efficacia solo endoconcorsuale” manifestano la volontà innovativa del legislatore rispetto alla previgente disciplina della procedura fallimentare, nella quale era invece “affermata la efficacia extrafallimentare dei provvedimenti giurisdizionali resi in sede concorsuale, sebbene in un contesto di non univocità degli orientamenti in dottrina e giurisprudenza”.

In senso contrario alla tesi delle ricorrenti si è più volte pronunciata la giurisprudenza di legittimità: “La legge fallimentare, nella formulazione anteriore alla riforma e qui applicabile ratione temporis, non stabilisce espressamente l’efficacia endofallimentare, e cioè limitata agli effetti del concorso, del decreto di esecutività dello stato passivo; tale efficacia, tuttavia, in conformità del costante orientamento della giurisprudenza (Cass. 11 marzo 2003, n. 3550; Cass. 22 febbraio 2002, n. 2573), deve essere affermata in base al rilievo che l’accertamento del passivo si svolge secondo regole proprie che vedono, da un lato, una speciale disciplina della opponibilità degli atti alla massa dei creditori e, dall’altro, una posizione marginale del fallito che non dispone di mezzi per impugnare la decisione del giudice delegato. Analoga efficacia deve essere attribuita, per le stesse ragioni, anche alle sentenze che nel regime anteriore alla riforma concludono i giudizi a cognizione ordinaria previsti per l’accertamento del passivo.” (così Cass., Sez. 1, Sentenza n. 8431 del 05/04/2013, in motivazione).

La decisione ora citata è stata recentemente ripresa da Cass., Sez. 1, Ordinanza n. 23175 del 22/10/2020, secondo cui le modifiche normative intervenute non hanno introdotto una disciplina diversa rispetto a quella previgente, ma hanno, al contrario, recepito e rafforzato l’orientamento interpretativo che attribuiva (e tuttora attribuisce) alle statuizioni degli organi fallimentari un’efficacia meramente endoconcorsuale, e – limpidamente – da Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22047 del 13/10/2020: “L’accertamento posto in essere in sede fallimentare non spiega effetto sul giudizio ordinario coltivato dal creditore e dal debitore con riguardo al singolo rapporto di obbligazione tra loro intercorso, onde non esiste la possibilità che quest’ultimo sia vanificato dagli esiti della verifica dello stato passivo o dei giudizi di impugnazione o di opposizione che si svolgono avanti al tribunale fallimentare: lo chiarisce, ora, espressamente la L.Fall., art. 96, u.c., nel testo modificato dal Decreto Legislativo n. 5 del 2006, art. 87 secondo cui “(I)l decreto che rende esecutivo lo stato passivo e le decisioni assunte dal tribunale all’esito dei giudizi all’art. 99, producono effetti soltanto ai fini del concorso”. Ma tale disposizione recepisce un principio, assolutamente fermo, preesistente alla riforma del 2006.”.

è, quindi, smentita la tesi delle ricorrenti che vorrebbero assegnare all’esclusione dal passivo fallimentare dei crediti delle controricorrenti l’effetto, extrafallimentare, di un definitivo riconoscimento dell’insussistenza dei crediti.

5. Esaminando la seconda questione, si rileva che non conducono ad una diversa conclusione le argomentazioni delle ricorrenti riguardanti l’inopponibilità alla curatela dei provvedimenti monitori oggetto di opposizioni ex art. 645 c.p.c. e delle iscrizioni ipotecarie eseguite in forza degli stessi.

Per le ragioni già esposte, gli accertamenti compiuti in sede fallimentare – ivi compresi quelli concernenti la limitata efficacia nei confronti della curatela (rectius, inopponibilità) delle condanne monitorie e delle ipoteche – hanno (e avevano anche prima della riforma della Legge Fallimentare del 2006) effetti esclusivamente ai fini della procedura concorsuale e non si estendono oltre il perimetro del fallimento, la cui speciale disciplina in tema di accertamento dei crediti è legata alla sua caratteristica di procedura “universale” e all’esigenza di salvaguardia della par condicio dei creditori concorrenti sull’intero patrimonio del debitore (in proposito, Cass., Sez. U, Sentenza n. 33408 dell’11/11/2021 “L’oggetto dell’accertamento del passivo è dunque il diritto al concorso (L.Fall., art. 96, u.c.); e il soddisfacimento propiziato dalla domanda d’insinuazione concerne la porzione concorsuale dei crediti vantati”).

Poi, contrariamente a quanto sostenuto nel ricorso, nè il sopravvenuto fallimento dell’opponente, nè l’automatica interruzione del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo L.Fall., ex art. 43 determinano la caducazione del decreto ingiuntivo, vuoi per sopraggiunta “inesistenza giuridica” del provvedimento già emesso (alla quale si riferiscono le ricorrenti in più punti dell’atto introduttivo), vuoi per privazione definitiva dei suoi effetti.

L’inesistenza giuridica (o nullità radicale), alla quale si riconduce la fattispecie normativa prevista dall’art. 161 c.p.c., comma 2, riguarda, secondo la giurisprudenza, i limitati ed eccezionali casi di provvedimenti aventi contenuto decisorio erroneamente emessi da un giudice in toto carente di potere o dal contenuto abnorme, che li renda irriconoscibili come atti processuali di un determinato tipo perchè privi dei requisiti indefettibili in un provvedimento giurisdizionale (in proposito, Cass., Sez. 3, Ordinanza n. 27428 del 28/12/2009 e Cass., Sez. 6-1, Ordinanza n. 22334 del 15/10/2020).

Si tratta, all’evidenza, di un vizio del provvedimento talmente grave che non è concepibile quale esito di una fisiologica (perchè conforme alle disposizioni della Legge Fallimentare e del codice di rito) interruzione del processo (e, difatti, nemmeno nel ricorso si prospetta una invalidità dei decreti ingiuntivi, nonostante i reiterati riferimenti alla loro asserita inesistenza).

Quanto alla dedotta inefficacia dei decreti ingiuntivi provvisoriamente esecutivi, la stessa riguarda esclusivamente la procedura concorsuale che ha interessato il debitore destinatario dell’ingiunzione, nei cui confronti nè possono essere avviate (o proseguite) azioni esecutive individuali in forza di detti titoli esecutivi, nè possono svolgersi, ai fini del concorso con gli altri creditori, giudizi di accertamento di suoi debiti al di fuori delle forme e con le modalità prescritte dalla Legge Fallimentare.

Di inefficacia, dunque, può parlarsi esclusivamente con riguardo alla procedura concorsuale e al curatore, posto che un eventuale accertamento estraneo al fallimento risulterebbe inopponibile alla procedura (tra le altre, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22047 del 13/10/2020).

Nessuna disposizione, però, impedisce l’accertamento, al di fuori della procedura concorsuale, di un credito nei confronti del fallito da far valere, necessariamente, nella prospettiva di un suo ritorno in bonis; in proposito, la giurisprudenza è da tempo granitica.

Già nella decisione di Cass., Sez. 3, Sentenza n. 221 del 08/02/1963, Rv. 260288-01, si era statuito che “Qualora nelle more del giudizio inteso all’accertamento di un debito ed alla conseguente condanna del debitore, il debitore stesso venga dichiarato fallito, il creditore, ove intenda persistere nell’intento di realizzare il suo credito, deve obbligatoriamente sottostare alle norme del procedimento concorsuale, e cioè seguire la speciale procedura d’insinuazione. A questo principio, per cui, in sostanza, il fallimento del debitore, intervenuto nelle more del giudizio, importa l’improcedibilità del giudizio stesso in sede ordinaria, sussistono due limitazioni: quella per cui, se al momento della dichiarazione di fallimento sia stata già pronunciata una sentenza ancora suscettibile di gravame, il giudizio d’impugnazione può e deve essere promosso in sede ordinaria nei confronti del curatore e quella per cui, essendo l’improcedibilità non di ordine assoluto, bensì relativa alla massa fallimentare, il creditore può proseguire il giudizio in sede ordinaria contro il convenuto in proprio ottenendo una sentenza inopponibile alla massa fallimentare e destinata ad avere efficacia pratica se e quando il fallito tornerà in bonis” (la massima richiama precedenti addirittura antecedenti: Cass. 754/1960 e Cass. 3475/1955).

Più recentemente, a conferma della possibilità di intraprendere o proseguire un giudizio volto ad accertare un credito nei confronti del soggetto fallito – giocoforza da azionare dopo il suo ritorno in bonis si sono pronunciate, tra le altre, Cass., Sez. L, Sentenza n. 31843 del 05/12/2019, Rv. 656003-01, Cass., Sez. 3, Sentenza n. 2608 del 05/02/2014, Rv. 629853-01, e Cass., Sez. 1, Sentenza n. 28481 del 22/12/2005, Rv. 585606-01.

Con specifico riguardo all’opposizione a decreto ingiuntivo pendente in primo grado al momento della dichiarazione di fallimento dell’ingiunto-opponente, la necessità del creditore di insinuare il credito al passivo fallimentare per soddisfarsi nella procedura concorsuale non incide la facoltà di riassumere il processo (interrotto L.Fall., ex art. 43). La facoltà di riassunzione del giudizio di opposizione interrottosi spetta sia al creditore opposto, sia al debitore opponente: al primo per conseguire una esplicita pronuncia sul merito oppure di estinzione che gli consentano di munire il decreto di efficacia esecutiva e di renderlo così opponibile al debitore una volta tornato in bonis (Cass., Sez. 1, Sentenza n. 23394 del 16/11/2015, Rv. 637714-01; Cass., Sez. 1, Sentenza n. 14981 del 28/06/2006, Rv. 590808-01); al secondo per la finalità opposta e, cioè, per evitare che all’estinzione dell’opposizione per mancata riassunzione del processo consegua l’effetto ex art. 653 c.p.c., comma 1, (in proposito, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 22047 del 13/10/2020, Rv. 658984-01: “In caso di interruzione per intervenuto fallimento dell’opponente del giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo, quest’ultimo rimane inopponibile alla massa, mentre è interesse e onere del debitore fallito riassumere il processo nei confronti del creditore opposto, onde evitare che il provvedimento monitorio consegua la definitiva esecutorietà per mancata o intempestiva riassunzione, divenendo opponibile nei suoi confronti una volta tornato in bonis”; analogamente, Cass., Sez. 1, Sentenza n. 5727 del 23/03/2004, Rv. 571403-01).

Per le ragioni precedentemente esposte, in contrasto con quanto sostenuto nel ricorso, perciò, – il fallimento del debitore opponente non determina affatto la caducazione del decreto ingiuntivo opposto: l’accertamento provvisorio compiuto nel procedimento monitorio non spiega alcun effetto nei confronti della curatela fallimentare, nè il curatore è tenuto a riassumere il giudizio di opposizione interrottosi, perchè, se il creditore intende far valere il titolo nei confronti del fallimento, deve far accertare il proprio credito mediante la procedura di accertamento del passivo, non essendo il decreto ingiuntivo equiparabile alle sentenze non ancora passate in giudicato e non trovando, quindi, applicazione l’eccezione al principio dell’accertamento concorsuale;

– nemmeno l’interruzione del pendente giudizio di opposizione elimina il decreto ingiuntivo (o la sua efficacia di condanna e di titolo per l’iscrizione ipotecaria), posto che lo stesso può ancora spiegare i suoi effetti – definitivi qualora il processo interrotto non sia tempestivamente riassunto dall’opponente (anche se fallito) e, così, pervenga ad estinzione (art. 653 c.p.c., comma 1) – nei confronti del debitore una volta che questo sia tornato in bonis.

6. In conclusione, il fallimento di (OMISSIS) S.r.l., dichiarato nelle more dei giudizi di opposizione ai decreti ingiuntivi ottenuti da (OMISSIS) e (OMISSIS), non ha determinato nè l’inesistenza, nè l’inefficacia assoluta dei provvedimenti monitori (ma soltanto la loro inefficacia relativa nei confronti della curatela fallimentare); al contrario, la mancata riassunzione dei processi interrotti ha consentito che i titoli provvisori (e provvisoriamente esecutivi, nonchè sufficienti all’iscrizione ipotecaria) conseguiti dalle banche divenissero definitivi (e quindi, definitivamente, titoli esecutivi) nei confronti della società tornata in bonis. Come tali, i decreti monitori erano idonei a permettere l’intervento nell’esecuzione forzata intrapresa contro la debitrice dopo la chiusura del fallimento e la partecipazione alla distribuzione del ricavato con la prelazione derivante dall’ipoteca precedentemente iscritta sui cespiti venduti.

7. Al rigetto del ricorso consegue la condanna delle ricorrenti alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, le quali sono liquidate, secondo i parametri normativi, nella misura indicata nel dispositivo.

8. Va dato atto, infine, della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte delle ricorrenti, ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, Legge 24 dicembre 2012, n. 228, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello previsto per il ricorso, ove dovuto, a norma dell’art. 1-bis dello stesso art. 13.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta il ricorso, condanna le ricorrenti, in solido tra loro, a rifondere a ciascuna delle controricorrenti le spese di questo giudizio, per ognuna liquidate in Euro 8.000,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre ad accessori di legge;

ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte delle ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso a norma del comma 1-bis dello stesso articolo 13, qualora dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 16 dicembre 2021.