Sentenza 8128/2016
Imposte sui redditi – Attività connessa ad attività agricola – Requisiti
In tema d’imposte sui redditi, le attività agricole vanno qualificate come “connesse” quando ricorrono le condizioni previste dall’art.2135 c.c. ovvero quando i prodotti conseguenti ricadono tra quelli individuati dal decreto ministeriale emesso con cadenza periodica ai sensi dell’art. 32, comma 2, lett. c, del d.P.R. n. 917 del 1986, per cui, qualora l’attività oggetto di verifica fiscale ed i relativi prodotti (nella specie, pane e altri prodotti da forno) non siano sussumibili nell’ambito applicativo dell’art. 2135 c.c. o, alla luce del decreto ministeriale vigente “ratione temporis”, dell’art. 32 del d.P.R. n. 917 del 1986, è esclusa anche l’operatività del regime fiscale forfettario di cui all’art. 56 bis, comma 2, del d.P.R. n. 917 del 1986 e si applica quello ordinario.
Cassazione Civile, Sezione Tributaria, Sentenza 22 aprile 2016, n. 8128 (CED Cassazione 2016)
RITENUTO IN FATTO
- Sulla scorta del processo verbale di constatazione redatto il 23 giugno 2008 da funzionari dell’Ufficio dell’Agenzia delle entrate, veniva emesso per l’anno 2004, l’avviso di accertamento nei confronti di (OMISSIS), titolare di un’azienda agricola ed esercente anche l’attività di panificatore e di produzione di altri prodotti da forno.
Nel corso della verifica i funzionari avevano riscontrato che il contribuente aveva ritenuto tale attività come mera trasformazione dei prodotti agricoli e, quindi, connessa all’attività di produzione agricola secondo la previsione dell’art. 2135 c.c..
L’Ufficio alla luce del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, artt. 32 e 56 bis (TUIR), nonchè della circolare dell’Agenzia delle entrate n. 44 del 17.11.2004, al contrario, aveva ritenuto che l’attività di produzione di pane e simili non poteva essere considerata come mera trasformazione dei prodotti agricoli, ma configurava una autonoma attività commerciale: aveva provveduto quindi a rideterminare il reddito e il volume di affari ai fini IVA, ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, art. 39, comma 2, lettera c), e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, art. 55, comma 2.
Nel corso del controllo, tra l’altro, aveva anche rilevato che il (OMISSIS) non aveva dichiarato la plusvalenza realizzata con la cessione del ramo di azienda relativo alla panificazione, avvenuto con contratto privato autenticato stipulato il 30 luglio 2004.
A seguito di questi rilievi veniva accertato nei confronti del (OMISSIS), per l’anno di imposta 2004, un reddito di impresa di Euro 125.555, con maggiori imposte IRPEF, IRAP, IVA ed Add. comunale, oltre sanzioni.
- Il ricorso proposto dal contribuente veniva respinto in primo grado; il suo appello trovava parziale accoglimento da parte della CTR dell’Umbria, con la sentenza n. 58/04/10, depositata il 29.06.2010 e notificata il 01.10.2010.
- Il giudice di appello riteneva che l’attività di produzione di pane fresco, pizza, dolci ed altri prodotti da forno svolta dal contribuente era da considerare “connessa” a quella agricola ed era imponibile secondo il regime forfettario di cui all’art.56 bis TUIR.
- L’Agenzia delle entrate ricorre per cassazione su due motivi, ai quali replica il contribuente con controricorso e ricorso incidentale fondato su un motivo.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1.1. Il ricorso principale è fondato per le ragioni di seguito espresse.
1.2. La controversia riguarda l’attività di produzione di pane fresco, pizza, dolci ed altri prodotti da forno (di seguito, in breve, attività di panificazione) svolta dal contribuente, imprenditore agricolo, e da questi considerata come “connessa” a quella agricola. Le circostanze in fatto della condotta in esame sono pacifiche.
1.3. Dagli atti del giudizio emergono le seguenti tre prospettazioni in diritto:
- A) Secondo il contribuente l’attività di panificazione era da considerarsi connessa a quella agricola e rientrava nel reddito agrario, da determinare ai sensi dell’art.32 TUIRsu base catastale, con la conseguenza che il maggior reddito derivante da questa attività di lavorazione dei prodotti agricoli non era soggetta ad alcuna tassazione (questa è la condotta della parte privata oggetto del rilievo e costituisce l’argomento posto a sostegno dell’unico motivo del ricorso incidentale);
- B) Secondo la Commissione Regionale la attività in questione era da considerare “connessa” a quella agricola, ma la stessa era imponibile secondo il regime forfettario di cui all’art.56 bis TUIR;
- C) Secondo l’Agenzia doveva essere esclusa la qualificazione di “attività connessa” per l’attività di panificazione e la stessa, rientrando nell’attività di natura commerciale, era soggetta al regime imponibile ordinario (su tale considerazione sono fondati i rilievi dell’Ufficio finanziario confluiti nell’avviso di accertamento ed i due motivi del ricorso principale).
2.1. Nel proporre il ricorso per cassazione la Agenzia lamenta con il primo motivo la violazione e falsa applicazione degli artt. 2135 c.c., artt. 32 e 56 bis TUIR e del Decreto Ministeriale 19 marzo 2004 (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3): sostiene che la CTR ha errato nel ritenere la attività di panificazione come attività “connessa” a quella agricola e, dunque, soggetta al regime forfettario di cui all’art. 56 bis TUIR.
2.2. Con il secondo motivo la Agenzia denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 56 bis e 86 TUIR (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) e sostiene che la CTR, avendo erroneamente qualificato la attività di panificazione e falsamente applicato l’art. 56 bis TUIR, aveva di conseguenza ritenuto, sempre erroneamente, l’inesistenza della plusvalenza rilevata dall’Ufficio per la cessione del ramo di azienda relativo all’attività di panificazione.
A parere dell’Agenzia l’attività in questione doveva essere ritenuta commerciale e, quindi, sottoposta al regime impositivo ordinario.
2.3. Osserva la Corte che il ricorso va accolto alla luce delle disposizioni normative richiamate che risultano essere state applicate falsamente dalla Commissione territoriale, sulla scorta di un difetto di sussunzione, ed i due motivi possono essere trattati congiuntamente.
2.4. Il quadro normativo di riferimento richiamato nel caso di specie è il seguente:
Art. 2135 C.C. (come sostituito dal Decreto Legislativo 18 maggio 2001, n. 228, art. 1) – Imprenditore agricolo – “(1) È imprenditore agricolo chi esercita una delle seguenti attività: coltivazione del fondo, selvicoltura, allevamento di animali e attività connesse, (2) Per coltivazione del fondo, per selvicoltura e per allevamento di animali si intendono le attività dirette alla cura ed allo sviluppo di un ciclo biologico o di una fase necessaria del ciclo stesso, di carattere vegetale o animale, che utilizzano o possono utilizzare il fondo, il bosco o le acque dolci, salmastre o manne. (3) Si intendono comunque connesse le attività, esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, nonchè le attività dirette alla fornitura di beni o servizi mediante l’utilizzazione prevalente di attrezzature o risorse dell’azienda normalmente impiegate nell’attività agricola esercitata, ivi comprese le attività di valorizzazione del territorio e del patrimonio rurale e forestale, ovvero di ricezione ed ospitalità come definite dalla legge.
Art. 32 TUIR (nella versione vigente ratione temporis, a seguito delle modifiche apportate dal Decreto Legislativo 12 dicembre 2003, n. 344, art. 1 con modifiche recate dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 6) – Reddito Agrario “1. Il reddito agrario è costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di attività agricole su di esso. 2. Sono considerate attività agricole: a) le attività dirette alla coltivazione del terreno e alla silvicoltura; b) l’allevamento di animali con mangimi ottenibili per almeno un quarto dal terreno e le attività dirette alla produzione di vegetali tramite l’utilizzo di strutture fisse o mobili, anche provvisorie, se la superficie adibita alla produzione non eccede il doppio di quella del terreno su cui la produzione insiste; e) le attività di cui all’art. 2135 c.c., comma 3, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorchè non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con decreto del Ministro dell’economia e delle finanze su proposta del Ministro delle politiche agricole e forestali. 3. Con decreto del Ministro delle finanze, di concerto con il Ministro dell’agricoltura e delle foreste, è stabilito per ciascuna specie animale il numero dei capi che rientra nei limiti di cui alla lettera b) del comma 2, tenuto conto della potenzialità produttiva dei terreni e delle unità foraggere occorrenti a seconda della specie allevata. 4. Non si considerano produttivi di reddito agrario i terreni indicati nell’art. 27, comma 2.
“Art. 56 bis TUIR (inserito dalla L. 24 dicembre 2003, n. 350, art. 2, comma 6, come modificato dal Decreto Legislativo 29 marzo 2004, n. 99, art. 15, comma 2, lettera b) – Altre attività agricole – 1. Per le attività dirette alla produzione di vegetali esercitate oltre il limite di cui all’art. 32, comma 2, lettera b), il reddito relativo alla parte eccedente concorre a formare il reddito di impresa nell’ammontare corrispondente al reddito agrario relativo alla superficie sulla quale la produzione insiste in proporzione alla superficie eccedente. 2. Per le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, valorizzazione e commercializzazione di prodotti diversi da quelli indicati nell’art. 32, comma 2, lettera c), ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 15 per cento. 3. Per le attività dirette alla fornitura di servizi di cui all’art. 2135 c.c., comma 3, il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 25 per cento. 4. Le disposizioni di cui ai commi 1, 2 e 3 non si applicano ai soggetti di cui all’artt. 73, comma 1, lettera a), b) e d), nonchè alle società in nome collettivo ed in accomandita semplice. 5. Il contribuente ha facoltà di non avvalersi delle disposizioni di cui al presente art.. In tal caso l’opzione o la revoca per la determinazione del reddito nel modo normale si esercitano con le modalità stabilite dal regolamento recante norme per il riordino della disciplina delle opzioni in materia di imposta sul valore aggiunto e di imposte dirette, di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 10 novembre 1997, 11. 442, e successive modificazioni.”-.
Decreto Ministeriale 19 marzo 2004, intitolato “Individuazione dei beni che possono essere oggetto delle attività agricole “connesse”, di cui all’art. 32 testo unico delle imposte sui redditi. (pubb. sulla G.U. 02/04/2004, n.78)”, che in relazione al nuovo art. 32 TUIR, recante la qualificazione del reddito agrario ed in particolare delle attività considerate comunque produttive di reddito agrario, ha individuato i beni prodotti e le relative attività agricole di cui all’art. 32, comma 2, lettera c) TUIR e tra questi ha inserito la “Manipolazione dei prodotti derivanti dalle coltivazioni di cui alle classi 01.11 (coltivazione di cereali, etc.), 01.12 (coltivazione di ortaggi, etc.) e 01.13 (coltivazioni di culture viticole, olivicole, frutticole, etc.)”, sulla scorta della classificazione delle attività economiche “Atecofin 2004” approvata con provvedimento del direttore approvata con provvedimento del direttore dell’Agenzia delle entrate del 23 dicembre 2003 pubblicato nella G. U. n. 301 del 30 dicembre 2003.
2.5. Sulla scorta delle disposizioni fiscali in tema di attività agricole emerge che all’attività agricola sono riservati alcuni regimi speciali agevolativi, con la conseguenza che si tratta di regimi di stretta interpretazione e che possono essere applicati solo ove ne ricorrano i presupposti, la prova della cui ricorrenza grava sul contribuente; che tale principio vige anche per le attività agricole connesse; che i regimi fiscali previsti per le attività agricole connesse sono diversificati in quanto, per parte rientrano nel “reddito agrario” (art. 32, comma 2, lettera c)) e per altra parte rientrano nel “regime forfettario” (art.56 bis….); che il legislatore fiscale ha scelto di ricondurre le attività agricole connesse alla nozione civilistica desunta dall’art. 2135 c.c., comma 3, anche se ha riservato all’Amministrazione finanziaria il compito di individuare, con scadenza periodica e per la durata di vigenza del decreto ministeriale, i beni che possono essere oggetto di attività agricole connesse rientranti nel regime fiscale del “reddito agrario”, dovendosi invece applicare a tutti beni prodotti con le altre attività connesse il “regime forfettario; che, la circostanza che nella decretazione ministeriale, il criterio di connessione risulti essere stato in alcune occasioni ampliato, tuttavia non ne consente una applicazione estensiva o analogica a periodi di imposta diversi da quelli ai quali il decreto stesso si applica; che, conclusivamente, i beni prodotti a seguito di attività che non possono essere qualificate come connesse ai sensi dell’art. 2135 c.c., comma 3, e che non rientrano nella previsione della decretazione ministeriale periodica, circostanza che ricorre nel caso in esame, sono soggetti al regime ordinario.
2.6.1. Giova osservare che la Commissione territoriale, nella sentenza impugnata, dopo aver ricordato che l’attività di coltivazione diretta di terreni per la produzione di cereali ed ortaggi svolta dal (OMISSIS) era attività agricola rientrante nel campo di applicazione dell’art. 32 TUIR, ha sostenuto che l’attività di panificazione e produzione di altri prodotti da forno, era posta in essere utilizzando prevalentemente prodotti coltivati nella sua azienda agricola e poteva configurare, anche fiscalmente, un’ attività agricola connessa.
In particolare ha fondato tale ragionamento sull’applicazione dell’art. 2135 c.c., comma 3, dell’art. 32, comma 2, lettera c) TUIR e della previsione del Decreto Ministeriale 19 marzo 2004, nella parte riguardante l’attività di manipolazione dei prodotti derivanti dalle coltivazioni del fondo agricolo e, segnatamente ha affermato che “il sig. (OMISSIS) svolge in via principale l’attività agricola quale imprenditore agricolo e che l’attività di panificazione di cui all’art. 2135 c.c., comma 3 ovvero di trasformazione e/o manipolazione del grano e degli ortaggi, regolarmente autorizzata al sig. (OMISSIS) con apposito D.M., può rientrare, ad avviso di questo consesso, tra le attività agricole per connessione di cui all’art. 32, comma 2, lettera c) TUIR ed in quanto tali da tassare, non in base al reddito di impresa, bensì almeno sulla base della disciplina dell’art. 56 bis, comma 2 TUIR, applicando il regime forfettario…. e cioè una forma di determinazione forfettaria del reddito per le attività agricole aventi i requisiti richiesti dal citato art. 32, comma 2, lettera c) TUIR stesso, ma che tuttavia non rientrano tra quelle espressamente indicate nell’apposito Decreto Ministeriale oppure perchè non sono ottenute prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento” (fol. 3 della sentenza imp.).
Esclusa la sussistenza di una apparente contraddittorietà della pronuncia, denunciata dalla ricorrente in via incidentale, tra la prima parte della motivazione, che fornisce una ricostruzione normativa ed astratta, sia pure afflitta da una certa imprecisione terminologica, e la seconda parte che ne fa concreta applicazione, la decisione non convince.
2.6.2. La conclusione cui perviene il giudice di appello va, infatti, disattesa, alla luce della normativa richiamata, rilevando che la Commissione ne ha dato una falsa applicazione, mediante una errata sussunzione della fattispecie concreta nelle norme disciplinanti le “attività connesse” ed ha altresì violato l’art. 56 bis – comma 2 TUIR.
2.6.3. Osserva la Corte che il corretto inquadramento normativo della questione in esame comporta da un lato la individuazione delle attività agricole connesse e la verifica della riconducibilità nel loro ambito della attività de quo agitur, dall’altro la individuazione del regime fiscale applicabile.
2.6.4. Invero sul piano civilistico, l’art. 2135 c.c., comma 3, novellato, nella prima parte che qui interessa, stabilisce intendono comunque connesse le attività esercitate dal medesimo imprenditore agricolo, dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione che abbiano ad oggetto prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo (..)”.
Tale disposizione, innovando rispetto alla disciplina previgente (precedente formulazione art. 2135 c.c. “(1) È imprenditore agricolo chi esercita un’attività diretta alla coltivazione del fondo, alla silvicultura, all’allevamento del bestiame e attività connesse. (2) Si reputano connesse le attività dirette alla trasformazione o all’alienazione dei prodotti agricoli, quando rientrano nell’esercizio normale dell’agricoltura.”) ha richiesto, al fine della individuazione delle attività connesse, un collegamento soggettivo tra le attività, che devono essere svolte dallo stesso imprenditore agricolo che esercita la attività principale ed un collegamento oggettivo, individuato nella circostanza che i prodotti utilizzati nell’attività connessa provengano dalla attività agricola principale in un rapporto di prevalenza rispetto ai prodotti utilizzati, anche se ha meglio specificato lo spettro delle attività prese in considerazione (manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione).
In merito è opportuno evidenziare che si ha trasformazione quando il prodotto originario, per effetto della lavorazione, viene a perdere i caratteri merceologici che lo distinguono (ad esempio nel caso dei cereali utilizzati per produrre farine o delle olive con cui viene prodotto l’olio). Si ha, invece, manipolazione quando il prodotto, nonostante le lavorazioni subite, abbia conservato le sue qualità merceologiche originarie (ad esempio pulitura e confezionamento di verdure e frutta).
Dunque, sul piano civilistico, sono qualificabili come attività agricole connesse quelle che si esplicano su prodotti che provengono prevalentemente e direttamente dall’attività agricola principale, mentre vanno escluse le attività che riguardano prodotti di secondo grado, conseguenti a successive attività.
Ne discende, avendo riguardo al caso in esame, che la attività di panificazione, in quanto successiva a quella di trasformazione dei cereali in farina, non è riconducibile nell’alveo civilistico delle attività connesse: in proposito la CTR ha applicato falsamente l’art. 2135 c.c. laddove ha sussunto l’attività in esame tra le attività connesse affermando che l’attività di panificazione è attività connessa, ai sensi dell’art. 2135 c.c., comma 3, in quanto “attività di trasformazione e/o manipolazione del grano e degli altri ortaggi” laddove, al contrario, la attività di panificazione presuppone quanto meno la precedente attività di trasformazione dei cereali in farina.
2.6.5. Passando alla normativa del TUIR in esame, si evince che il legislatore fiscale pur avendo mutuato dalla disciplina civilistica la qualificazione di imprenditore agricolo e la definizione di “attività connesse” all’attività agricola, ha tuttavia introdotto una più specifica articolazione delle attività connesse, suscettibile anche di ampliamento, e radicata sui prodotti ottenuti, con differenti ricadute sul piano fiscale.
Va rilevato, infatti che l’art. 32 TUIR, dopo aver definito il “reddito agrario” come “costituito dalla parte del reddito medio ordinario dei terreni imputabile al capitale d’esercizio e al lavoro di organizzazione impiegati, nei limiti della potenzialità del terreno, nell’esercizio di atti vità agricole su di esso” al comma 2, lettera c), ha considerato attività agricole equiparate ai fini fiscali, anche “le attività di cui all’art. 2135 c.c., comma 3 dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, commercializzazione e valorizzazione, ancorchè non svolte sul terreno, di prodotti ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, con riferimento ai beni individuati, ogni due anni e tenuto conto dei criteri di cui al comma 1, con Decreto Ministeriale economia”.
In base a tale norma, quindi, non tutte le attività agricole connesse rientrano sotto l’applicazione della disciplina più favorevole del “reddito agrario”, determinato su base catastale, ma solo quelle a cui conseguono i prodotti di volta in volta individuati con decreto ministeriale.
Ed infatti la disciplina fiscale, se da un lato richiama la disciplina civilistica prima ricordata sia formalmente, attraverso il rinvio diretto all’art. 2135 c.c., comma 3, (sul rinvio diretto all’art. 2135 c.c. in materia fiscale cfr. Cass. n. 17951/2013), sia attraverso la descrizione delle attività considerate, descrizione che rimarca l’immediatezza del collegamento oggettivo richiesto tra i prodotti prevalentemente ottenuti dall’attività agricola principale e quelli conseguenti all’ulteriore attività posta in essere, dall’altro circoscrive le “attività connesse” fiscalmente rilevanti e lo fa spostando il punto di osservazione sugli specifici prodotti, attraverso il rinvio mobile al Decreto Ministeriale Economia, da emanarsi ogni due anni tenuto conto dei criteri di cui all’art. 32 cit., comma 1.
2.6.6. Con riferimento all’anno di imposta in esame (2004), come peraltro riconosciuto anche dalla Commissione Regionale, la attività di panificazione non rientrava tra quelle individuate dal Decreto 16 marzo 2004, che aveva preso in considerazione solo i prodotti derivanti dalla manipolazione dei prodotti derivanti da alcuni tipi di coltivazioni, ma non i prodotti conseguenti ad ulteriore attività di trasformazione di secondo grado, come il pane ed altri prodotti da forno, rispetto alla produzione di farine.
2.6.7.1. In proposito va osservato che, nel corso degli anni seguenti, i Decreto Ministeriale che si sono succeduti hanno ampliato o ristretto le categorie dei beni, rientranti nel “reddito agrario”.
In particolare con il successivo Decreto Ministeriale 5 agosto 2010 (con effetto dal periodo successivo a quello in corso al 31.12.2009) era stata inserita nella tabella dei prodotti agricoli la “Produzione di prodotti di panetteria freschi”; di seguito il Decreto Ministeriale 17 giugno 2011 (con effetto dal periodo successivo al 31.12.2010) ha modificato tale previsione, limitandola espressamente alla sola “Produzione di pane”, con dizione confermata anche nel più recente Decreto Ministeriale 13 febbraio 2015 (con effetto dal periodo successivo al 31.12.2013).
Tale circostanza non è rilevante nel caso di specie perchè – come già ricordato questi ultimi decreti non si riferiscono al periodo di imposta in esame e sono privi di efficacia retroattiva oltre il periodo di vigenza: gli stessi sono infatti previsti dalla legge proprio per individuare con cadenza periodica, in concreto, le fattispecie rilevanti per l’applicazione del regime fiscale più favorevole, con una vigenza limitata nel tempo che esclude la possibilità di una sovrapposizione applicativa degli stessi che inciderebbe negativamente sul principio di certezza del diritto.
La stessa tuttavia, a contrario, rende evidente la necessità di una specifica previsione normativa per l’ampliamento dei prodotti fiscalmente assoggettabili al regime del “reddito agrario”.
2.6.7.2. Anche la circostanza che i successivi decreti ministeriali abbiano ampliato il novero dei prodotti, al di là di quelli riconducibili alle attività connesse, come definite in sede civilistica, introducendo prodotti di seconda trasformazione, è privo di ricadute sul caso in esame.
La specificità della materia tributaria senza dubbio consente al legislatore di allontanarsi dagli istituti civilistici o di prescindere dagli stessi, in relazione agli obiettivi fiscali perseguiti: tuttavia, quando ciò non avvenga con legge, come nel caso in esame, ma nell’esercizio di un potere regolamentare secondario, con decreto ministeriale, non è idoneo ad incidere con efficacia espansiva sulle qualificazioni giuridiche contenute nella legislazione primaria, oltre i limiti consentiti dalla stretta interpretazione della norma che lo consente, nel caso in esame l’art. 32, comma 2, lettera c) cit.
2.6.8. Sempre sul piano fiscale l’art. 56 bis TUIR prevede l’applicazione di un trattamento impositivo forfettario per le cd. “altre attività agricole”. Anche questa disposizione, al comma 2, esamina le attività connesse nei termini di seguito riportati “2. Per le attività dirette alla manipolazione, conservazione, trasformazione, valorizzazione e commercializzazione di prodotti diversi da quelli indicati nell’art. 32, comma 2, lettera c), ottenuti prevalentemente dalla coltivazione del fondo o del bosco o dall’allevamento di animali, il reddito è determinato applicando all’ammontare dei corrispettivi delle operazioni registrate o soggette a registrazione agli effetti dell’imposta sul valore aggiunto, conseguiti con tali attività, il coefficiente di redditività del 15 per cento.”
In questo caso la individuazione delle attività agricole connesse è compiuta per esclusione: anche se manca il richiamo diretto all’art. 2135 c.c., lo stesso può essere desunto sia dalla descrizione dell’attività in esame – che ripropone sostanzialmente la disposizione civilistica -, sia dal rinvio diretto all’art. 32, comma 2, lettera c) TUIR, anche se utilizzato per definire per esclusione ed in via residuale il campo di operatività del regime fiscale forfettario.
In proposito va rimarcato che questa disposizione non modifica il criterio civilistico di connessione, nè amplia il campo delle attività agricole connesse ed il novero dei prodotti presi in considerazione, sui quali proprio in ragione della natura fiscale, è focalizzata, con la conseguenza che, contrariamente a quanto erroneamente ritenuto dalla CTR, non è applicabile ad attività – come quelle di panificazione in esame – che non possono essere qualificate come “connesse”.
Quindi se l’attività connessa riguarda la produzione di beni non compresi nel decreto ministeriale sopra citato il reddito viene determinato forfettariamente con la percentuale del 15%. Di contro se il bene di cui sopra sostiene più manipolazioni/trasformazioni, la cessione sarà soggetto a reddito di impresa: devono ritenersi, infatti, escluse dall’ambito di applicazione dell’art. 56-bis TUIR le attività di trasformazione non usualmente esercitate nell’ambito dell’attività agricola che intervengono in una fase successiva a quella che ha originato i primi prodotti, atte a trasformare ulteriormente questi ultimi fino a realizzare prodotti nuovi che non trovano connessione con l’attività agricola principale ai sensi dell’art. 2135 c.c., comma 3.
Ciò avviene nel caso in esame in quanto non rientra nel disposto dell’art. 56-bis la trasformazione della farina in pane, pizze ed altri prodotti da forno, in quanto frutto in successiva trasformazione dello farina, a sua volta prodotto “derivato dal grano e da altri cereali” compreso nell’elenco approvato con il D.M..
2.6.8. Ne discende che la Commissione Regionale ha dato falsa applicazione all’art. 2135 c.c., comma 3 e del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, art. 56 bis, comma 2, nelle quali ha sussunto la fattispecie concreta, peraltro non contestata, della produzione di pane, pizze ed altri prodotti da forno, priva delle caratteristiche di attività agricola connesse, laddove correttamente l’Agenzia delle entrate aveva applicato il regime fiscale ordinario.
2.6.9. Si può quindi affermare il seguente principio “In tema di imposte sui redditi le attività agricole vanno qualificate come “connesse” quando ricorrono le condizioni previste dall’art. 2135 c.c., ovvero quando i prodotti conseguenti siano stati individuati dal Decreto Ministeriale emesso con cadenza periodica previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986. Qualora, come nel caso in esame, l’attività oggetto della verifica fiscale ed i prodotti conseguenti (pane ed altri prodotti da forno) non sia sussumibile tra le attività agricole connesse ai sensi dell’art. 2135 c.c., comma 3, nè rientri nell’ambito di applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, art. 32, comma 2, lettera c) alla luce della decretazione ministeriale vigente ratione temporis, resta esclusa anche l’applicabilità del regime fiscale forfettario previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, art. 56 bis, comma 2, e la attività ricade sotto il regime fiscale ordinario.”
2.6.10. In applicazione di questo principio, anche la cessione del ramo di azienda relativo all’attività di panificazione è idonea a generare plusvalenza tassabile ai sensi dell’art.86, comma 2 TUIR, contrariamente a quanto ritenuto dalla Commissione Territoriale.
3.1. Si deve quindi passare all’esame del ricorso incidentale.
3.2. Il motivo sul quale è incardinato il ricorso incidentale è inammissibile e va respinto.
3.3. Osserva la Corte che la parte privata lamenta la contraddittoria motivazione e la violazione e falsa applicazione degli artt. 56 – bis e 32 TUIR da parte della Commissione territoriale (art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 5).
Sostiene il controricorrente che la CTR, nonostante avesse ritenuto che l’attività di panificazione posta in essere dal (OMISSIS) dovesse configurarsi anche fiscalmente come attività agricola connessa, sia per effetto del tenore letterale dell’art. 32, comma 2, lettera c) TUIR che della previsione contenuta nella tabella allegata al Decreto Ministeriale 19 marzo 2004 e della relazione di accompagnamento, aveva tuttavia contraddittoriamente affermato che la stessa non era da tassare non in base al reddito di impresa, ma della disciplina dell’art. 56 bis, comma 2 TUIR applicando il regime fiscale forfettario, giusta riforma del reddito agrario di cui alla L. n. 350 del 2003.
3.4. Premesso che va esclusa la contraddittorietà della pronuncia impugnata per i motivi già ricordati sub 2.6.1., il motivo risulta comunque inammissibile.
3.5. Il motivo infatti prospetta due vizi di diversa natura, con argomenti indissolubilmente intrecciati che non permettono di apprezzare funditus la ragioni di autonoma doglianza.
3.6. Il motivo è, comunque, assorbito dall’accoglimento del ricorso principale, in quanto si fonda sulla qualificazione giuridica delle attività di panificazione e produzione di prodotti da forno, formulata dalla Commissione territoriale quali “attività connesse” all’attività agricola, qualificazione che questa Corte ha escluso con l’accoglimento del ricorso principale.
4.1. In conclusione il ricorso principale va accolto sui due motivi ed il ricorso incidentale va rigettato per inammissibilità dell’unico motivo; la sentenza impugnata va cassata e la causa, non essendo necessarie ulteriori valutazioni, può essere decisa nel merito con il rigetto dell’originario ricorso.
4.2. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e si liquidano nella misura stabilita in dispositivo; le spese delle fasi di merito si compensano.
P.Q.M.
La Corte di Cassazione:
– accoglie il ricorso principale sui due motivi e rigetta il ricorso incidentale per inammissibilità dell’unico motivo;
condanna il controricorrente alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità che liquida nel compenso di Euro 7.000,00, oltre spese prenotate a debito, e compensa le spese di giudizio delle fasi di merito.