Ordinanza 813/2011
Patto di non concorrenza – Limitazione dell’attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, accidentalmente comprendenti anche la p.a. – Reato di turbata libertà degli incanti – Esclusione
Il patto di non concorrenza, concluso ai sensi dell’art. 2596 cod. civ. e destinato a fissare una limitazione all’attività contrattuale verso una serie indeterminata di soggetti, tra cui accidentalmente anche la P.A., non integra di per sé il reato di turbata libertà degli incanti, di cui all’art. 353 cod. pen. – nella parte in cui esso prevede un’intesa, più o meno clandestina, che ha come finalità esclusiva l’impedimento o la turbativa della gara o l’allontanamento degli offerenti ed il conseguente dolo, cioè la volontà consapevole di determinare uno dei predetti risultati con quei mezzi – né, quindi, appare viziato da nullità virtuale, ai sensi dell’art. 1418 cod. civ.; non é invero ammissibile, già per la sua previsione come obbligo legale accedente all’alienazione d’azienda (ex art. 2557 cod. civ.) ovvero al suo affitto (ex art. 2562 cod. civ.), ipotizzarne “a priori” la sua contrarietà a norme imperative in caso di contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici, il che, in caso di impresa attiva esclusivamente o in via prevalente nel settore dei contratti pubblici, imporrebbe, di fatto, la sua disapplicazione.
Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Ordinanza 14 gennaio 2011, n. 813 (CED Cassazione 2011)
Articolo 2596 c.c. annotato con la giurisprudenza
RITENUTO
che con atto di citazione notificato il 26 giugno 2000 la DE. s.r.l. conveniva dinanzi al Tribunale di Torino la G.L.T. s.r.l., proponendo opposizione al decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di lire 35.482.200, a titolo di prezzo di vendita di prodotti elettronici; svolgendo, altresì, domanda riconvenzionale di risarcimento dei danni, o in subordine eccezione di compensazione, da inadempimento di un patto di non concorrenza, in base al quale la società opposta si era impegnata a non effettuare trattative dirette o indirette con clienti della DE. s.r.l.;
che, costituitasi ritualmente, la G.L.T. s.r.l. negava la violazione del patto, dai momento che la DE. s.r.l. non le aveva preventivamente indicato il nome del cliente su cui non interferire, com’era suo onere contrattualmente previsto;
che con sentenza 3 maggio 2004 il Tribunale di Torino rigettava sia l’opposizione sia la domanda riconvenzionale, motivando che non era stata offerta la prova della prescritta comunicazione del potenziale cliente;
che il successivo gravame era respinto dalla Corte d’appello di Torino con sentenza 22 ottobre 2006, sul rilievo pregiudiziale della illiceità parziale del patto di non concorrenza: che, se riferito al divieto di partecipare a trattative commerciali con enti pubblici mediante gara, integrava il reato di turbata libertà degli incanti (articolo 353 cod. pen.);
che avverso la sentenza proponeva ricorso per cassazione la DE. s.r.l. deducendo, in due motivi, la violazione dell’articolo 1418 cod. civ. in relazione all’articolo 353 cod. pen. e la falsa applicazione delle norme in materia di concorrenza sleale;
che resisteva con controricorso la G.L.T. s.r.l.;
che all’udienza camerale del 17 Dicembre 2010, dopo la relazione ex articolo 380-bis cod. proc. civ., le parti non comparivano ed il P.G. non moveva rilievi.
CONSIDERATO
che la norma incriminatrice di cui all’articolo 353 cod. pen. (Turbata libertà degli incanti) è volta ad assicurare il regolare svolgimento delle aste pubbliche e delle licitazioni private e, in ordine all’elemento oggettivo, prevede che la collusione in cui essa si sostanzia (unica ipotesi pertinente al caso in esame, essendo escluse le ulteriori modalità previste: violenza, minaccia, doni, promesse o altri mezzi fraudolenti) debba consistere in una intesa, più o meno clandestina, che abbia come finalità esclusiva l’impedimento o la turbativa della gara, ovvero l’allontanamento degli offerenti;
che l’elemento psicologico è il dolo, consistente nella volontà consapevole di determinare uno dei predetti risultati facendo uso di uno dei mezzi sopra richiamati;
che non appare quindi riconducibile alla fattispecie penale, nè viziato da nullità virtuale (articolo 1418 cod. civ.), il patto di non concorrenza stipulato ex articolo 2596 cod. civ. se destinato ad una pluralità indeterminata di contratti possibili, che solo accidentalmente possano riguardare la Pubblica amministrazione;
che, del resto, il divieto di concorrenza accede, quale obbligo legale, all’alienazione dell’azienda (articolo 2557 cod. civ.), o al suo affitto (articolo 2562 cod. civ.) e non è dunque ammissibile postularne, a priori, la sua contrarietà a norma imperativa in caso di contingente applicabilità a forme di partecipazione ad incanti pubblici: il che, in caso di impresa attiva esclusivamente o prevalentemente nel settore dei contratti pubblici, importerebbe, di fatto, la sua disapplicazione;
che resta impregiudicato, nella specie, l’accertamento, nel merito, dell’effettiva violazione del patto ed assorbita la disamina delle ulteriori censure sotto il profilo della concorrenza sleale.
P.Q.M.
Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa alla Corte d’appello di Torino, in diversa composizione, anche per le spese della fase di legittimità.