Ordinanza 8220/2023
Esecuzione forzata – Titolo esecutivo non giudiziale impugnato giudizialmente – Opposizione all’esecuzione – Motivi deducibili
Nel giudizio di opposizione all’esecuzione promossa in base a titolo esecutivo non giudiziale, ma impugnato giudizialmente, possono essere dedotti esclusivamente fatti e questioni sopravvenuti rispetto alla formazione del titolo, come tali non già deducibili nel giudizio di impugnazione dello stesso, determinandosi, altrimenti, la violazione del principio del “ne bis idem” ed eventualmente anche quello della certezza del diritto attraverso un possibile contrasto di giudicati. (Nella specie, la S.C. ha confermato la pronuncia della Corte territoriale che aveva dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione esattoriale fondata su sanzione amministrativa irrogata dalla Consob, affermando che la questione dell’estensione retroattiva del trattamento sanzionatorio più mite, introdotto con il d.lgs. n. 72 del 2015, era stata già posta all’attenzione del giudice dell’impugnazione del provvedimento sanzionatorio azionato come titolo esecutivo, il quale, nel giudizio ancora pendente, avrebbe rivalutato la sanzione da applicare alla luce dell’illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del citato d.lgs. dichiarata con la sopravvenuta ad opera della sentenza n. 63 del 2019 della Corte cost.).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 22-3-2023, n. 8220 (CED Cassazione 2023)
Art. 615 cpc (Opposizione all’esecuzione)
Art. 2909 cc (Cosa giudicata)
FATTI DI CAUSA
1. Con delibera notificata il 12 febbraio 2018, la CONSOB,
Commissione Nazionale per la Società e la Borsa, applicò a
Vestini la sanzione amministrativa di Euro 130.000, per l’illecito di
abuso di informazioni privilegiate di cui all’articolo 187-bis del decreto
legislativo 24 febbraio 1998, n. 58 (Testo unico delle disposizioni in
materia di intermediazione finanziaria), oltre alla sanzione accessoria
interdittiva e alla confisca dei beni fino alla concorrenza del valore del
prodotto dell’illecito contestato, rispettivamente previste dall’art. 187-
quater e dall’art. 187-sexies dello stesso Testo unico.
Avverso tale provvedimento, (OMISSIS) propose opposizione
con ricorso alla Corte di appello di Napoli, ai sensi dell’art.187-
septies, comma 4, del citato decreto legislativo.
Con sentenza 6 luglio 2018, n. 3367, la Corte di appello di Napoli
ha rigettato il ricorso e avverso tale sentenza il Vestini ha proposto
ricorso per cassazione, ancora pendente.
2. Nel frattempo, decorso inutilmente il termine fissato per il
pagamento, la CONSOB ha posto in esecuzione il provvedimento
sanzionatorio e ha proceduto all’esazione delle somme dovute in base
alle norme previste per la riscossione, ai sensi dell’art.187-octies del
Testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione
finanziaria.
In data 6 novembre 2018, l’Agenzia delle Entrate-Riscossione ha,
dunque, notificato al debitore una cartella di pagamento dell’importo
di Euro 133.904,72, di cui Euro 130.004,58 per la sanzione inflitta
dalla CONSOB, oltre la maggiorazione per ritardato pagamento, e il
resto per compensi di riscossione.
All’esecuzione esattoriale si è opposto il Vestini ai sensi
dell’art.615 cod. proc. civ., convenendo, sempre dinanzi alla Corte di
appello di Napoli, oltre all’agente riscossore, anche l’autorità che gli
aveva irrogato la sanzione e chiedendo l’accertamento della nullità,
illegittimità e inefficacia della cartella di pagamento, nonché di ogni
atto presupposto, consequenziale o connesso, compreso il piano di
rateizzazione precedentemente concordato e, al momento, in corso.
Nel contraddittorio con la CONSOB (che aveva invocato la
declaratoria di inammissibilità o il rigetto, nel merito,
dell’opposizione) e dell’Agenzia delle Entrate-Riscossione (che aveva
pure eccepito l’incompetenza del giudice adìto), la Corte di appello,
con sentenza 17 settembre 2020, n. 3165, rigettata quest’ultima
eccezione, ha tuttavia dichiarato inammissibile l’opposizione
all’esecuzione esattoriale e ha condannato l’opponente a rimborsare
alle parti opposte le spese del giudizio.
3. Avverso questa sentenza propone ricorso per cassazione Luca
Vestini sulla base di due motivi.
Rispondono con distinti controricorsi la CONSOB e l’Agenzia delle
Entrate-Riscossione.
La trattazione del ricorso è stata fissata in adunanza camerale, ai
sensi dell’art. 380-bis.1 cod. proc. civ..
Il pubblico ministero non ha presentato conclusioni scritte.
Sia il ricorrente che la controricorrente CONSOB hanno depositato
memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. Il ricorso è infondato e va rigettato.
1.1. La Corte di appello ha premesso che il ricorrente aveva
invocato la declaratoria di invalidità o inefficacia della cartella
esattoriale sul presupposto che la sanzione pecuniaria di Euro
130.000 gli era stata inflitta in base alla cornice edittale di cui
all’art.187-bis del decreto legislativo n. 58 del 1998 (minimo: Euro
20.000; massimo: Euro 3.000.000), quintuplicata ai sensi dell’art.39,
comma 3, della legge n. 262 del 2005 (e, quindi, facendo riferimento
ad un minimo edittale di Euro 100.000 e ad un massimo edittale di
Euro 15.000.000), senza tener conto che l’applicabilità di quest’ultima
norma alle sanzioni amministrative previste dal Testo unico in
materia di intermediazione finanziaria era stata esclusa da una
disposizione successiva (l’art.6, comma 3, del decreto legislativo n.
72 del 2015), la quale aveva reso più mite il trattamento
sanzionatorio di tali illeciti, eliminando la c.d. “quintuplicazione” della
sanzione edittale; sebbene l’applicazione retroattiva di questo più
mite trattamento sanzionatorio sembrasse preclusa dal disposto del
comma 2 del medesimo art.6 del decreto legislativo n. 72 del 2015
(che ne riservava l’applicazione agli illeciti commessi successivamente
all’emanazione dei regolamenti attuativi dello stesso provvedimento
legislativo), tuttavia questa preclusione era stata dichiarata illegittima
dalla Corte costituzionale con sentenza n.63 del 2019 (successiva alla
decisione della Corte di appello che aveva rigettato l’opposizione ex
art.187-bis d.lgs. n. 58/1998) sicché, non essendovi dubbio sulla
retroattività della lex mitior introdotta nel 2015, la sanzione
pecuniaria di 130.000 Euro doveva ritenersi sproporzionata nel
quantum e, pertanto, illegittima.
1.2. Tutto ciò premesso, la Corte partenopea – nel dichiarare
inammissibile l’opposizione all’esecuzione esattoriale – ha osservato
che la questione dell’estensione retroattiva del trattamento
sanzionatorio più mite introdotto con il decreto legislativo n. 72 del
2015 (che escludeva la c.d. “quintuplicazione” prevista dall’art.39,
comma 3, della legge n. 262/2005) era stata già posta all’attenzione
del giudice dell’opposizione al provvedimento sanzionatorio, ai sensi
dell’art.187-septies del d.lgs. n. 58 del 1998, sul rilievo della natura e
della finalità punitive della sanzione irrogata, cui avrebbe dovuto
applicarsi estensivamente la regola che governa il trattamento
sanzionatorio penale, basato sulla retroattività della legge più
favorevole. Poiché tale specifico motivo di opposizione era stato
rigettato con la sentenza n.3367 del 2018, avverso la quale il Vestini
aveva proposto ricorso per cassazione, censurando espressamente la
violazione del principio del favor rei in tema di successione di leggi nel
tempo, enunciato nell’art.7 CEDU, doveva ritenersi che la questione
della congruità della sanzione, alla luce della cornice edittale prevista
per la fattispecie accertata e, soprattutto, quella della legittimità o
meno della “quintuplicazione”, fossero ancora sub iudice, in quanto
oggetto del giudizio di opposizione al provvedimento sanzionatorio,
ancora pendente nel grado di legittimità, e sarebbero state pertanto
oggetto di rivalutazione, alla luce della declaratoria di illegittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015 (avente
efficacia retroattiva, salva l’avvenuta formazione del giudicato),
nell’ambito degli ulteriori sviluppi di quel giudizio, senza potere essere
introdotte anche in quello di opposizione all’esecuzione, non venendo
in considerazione fatti sopravvenuti al titolo esecutivo ma questioni
già deducibili – ed in effetti dedotte – nel giudizio di merito di
formazione dello stesso.
2. La decisione della Corte di appello di Napoli, dotata di articolata
e coerente motivazione e conforme a diritto, resiste alle censure
formulate da (OMISSIS) con i due motivi di ricorso per cassazione.
2.1. Con il primo motivo viene denunciata «nullità della sentenza
per motivazione manifestamente contraddittoria e illogica: violazione
dell’articolo 132 cod. proc. civ. n. 4 con riferimento all’articolo 360 n.
4 cod. proc. civ. – violazione e falsa applicazione dell’art.187-bis
d.lgs. n. 58 del 1998 e dell’articolo 30, comma 3, legge cost. n. 87
del 1953, con riferimento all’articolo 360 numero 3 cod. proc. civ.».
2.2. Con il secondo motivo viene denunciata «nullità della
sentenza per motivazione manifestamente contraddittoria e illogica:
violazione dell’articolo 132 cod. proc. civ. n. 4 con riferimento
all’articolo 360 n. 4 cod. proc. civ. – violazione/falsa applicazione
dell’art.615, comma 1, cod. proc. civ., con riferimento all’articolo 360
numero 3 cod. proc. civ.».
3. Entrambi i motivi – che possono essere trattati congiuntamente
per ragioni di connessione – si articolano in due doglianze, la prima
diretta a denunciare vizi di motivazione costituzionalmente rilevanti,
la seconda volta a censurare vizi di violazione di legge.
3.1. Il vizio di motivazione costituzionalmente rilevante
denunciato con il primo motivo è formulato sul presupposto che la
Corte di appello, sebbene avesse espressamente riconosciuto la
sussistenza del diritto vantato dal ricorrente, nonché l’illegittimità e
l’ingiustizia della sanzione irrogatagli (evidenziando che la sentenza n.
63/2019 della Corte costituzionale avrebbe imposto nel giudizio di
opposizione pendente una «diversa valutazione» sulla sanzione da
applicare), avrebbe poi contraddittoriamente dichiarato
l’inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione.
3.2. I vizi di motivazione costituzionalmente rilevanti denunciati
con il secondo motivo consisterebbero, invece, anzitutto, nell’avere
reputato che il ricorrente avesse posto a fondamento, tanto
dell’opposizione al provvedimento sanzionatorio quanto
dell’opposizione alla cartella esattoriale, l’incostituzionalità della
norma che escludeva l’applicazione retroattiva del trattamento più
favorevole, così erroneamente ritenendo che egli, con l’introduzione
del secondo giudizio, avesse indebitamente realizzato una
“duplicazione” del primo, senza considerare che il giudizio di
opposizione ex art.187-quater d.lgs. n.58/1998 era stato definito, nel
grado di merito, in epoca antecedente all’emissione della sentenza n.
63 del 2019 della Corte costituzionale, sicché non sarebbe stato
possibile invocare, in esso, la disapplicazione di una vigente norma di
legge, prima della sua declaratoria di incostituzionalità ad opera del
giudice delle leggi; la Corte di appello, inoltre, sarebbe incorsa in un
ulteriore vizio di coerenza motivazionale nella parte in cui, in funzione
della declaratoria di inammissibilità dell’opposizione, ha escluso che la
dedotta illegittimità del provvedimento sanzionatorio, a causa della
sopravvenuta declaratoria di incostituzionalità, fosse imputabile ad un
fatto sopravvenuto alla formazione del titolo esecutivo, così
ponendosi in contraddizione con quanto appena prima affermato in
funzione della statuizione sull’eccezione di incompetenza sollevata
dall’Agenzia delle Entrate, che era stata rigettata sull’opposto rilievo
che l’opponente avesse, invece, proprio prospettato fatti estintivi
sopravvenuti alla formazione del titolo.
4. I ricordati passaggi motivazionali della sentenza impugnata,
oltre che a vizi di motivazione costituzionalmente rilevanti, darebbero
luogo anche a violazioni di legge.
4.1. In particolare, l’insanabile contrasto tra la premessa
motivazionale volta a dare atto della fondatezza della pretesa
dell’opponente e il dispositivo di inammissibilità dell’opposizione,
concreterebbe la violazione sia dell’art.187-bis del Testo unico delle
disposizioni in materia di intermediazione finanziaria (nella misura in
cui il trattamento sanzionatorio previsto da tale disposizione
continuerebbe a trovare attuazione nella formulazione dichiarata
incostituzionale, invece che essere rideterminato alla luce della nuova
cornice edittale), sia dell’art. 30, comma 3, della legge cost. n. 87 del
1953, attuativo dell’art.136, primo comma, della Costituzione, per il
quale le norme dichiarate incostituzionali non possono avere
applicazione dal giorno successivo alla pubblicazione della decisione.
4.2. Invece, l’individuazione della declaratoria di illegittimità
costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del 2015 come
fatto inerente alla formazione del titolo, anziché come fatto (almeno
parzialmente) estintivo, sopravvenuto al titolo stesso, si sarebbe
tradotto nella violazione dell’art.615, primo comma, cod. proc. civ..
5. Come si è accennato, le censure non sono fondate.
5.1. In primo luogo, manifestamente infondato è l’argomento
basato sul presunto errore in cui la Corte di appello sarebbe incorsa
nel ritenere che l’incostituzionalità dell’art.6, comma 2, del d.lgs. n.
72 del 2015 fosse stata già dedotta a fondamento del giudizio di
opposizione al provvedimento sanzionatorio, sebbene non fosse stata
ancora emessa, a quel tempo, la sentenza n. 63/2019 della Corte
costituzionale.
La Corte di appello, infatti, non ha affatto affermato che in quel
giudizio il ricorrente aveva chiesto la disapplicazione della predetta
norma, in quanto incostituzionale, ma che tra i motivi di opposizione
aveva posto la questione dell’applicabilità retroattiva del trattamento
più favorevole, sul presupposto della natura punitiva della sanzione
irrogatagli, e che, in seguito al rigetto di tale motivo di opposizione,
aveva riproposto la questione in cassazione, deducendo la violazione
del principio del favor rei in tema di successione di leggi nel tempo, di
cui all’art.7 CEDU.
5.2. Parimenti manifestamente infondato è l’argomento basato
sul dedotto contrasto irriducibile tra il presunto riconoscimento del
diritto vantato dal ricorrente, nonché dell’ingiustizia ed illegittimità
della sanzione irrogatagli, e la decisione di inammissibilità
dell’opposizione.
La Corte territoriale, infatti, nell’evidenziare che «gli effetti della
pronuncia della Corte costituzionale del 21 marzo 2019, n.63 …
impongono nel giudizio di opposizione pendente una diversa
valutazione in ordine alla sanzione da applicare» (e nel citare, a
supporto di tale affermazione, la pronuncia di questa Corte n. 8782
del 2020), non ha preso posizione sul merito della domanda proposta
nel giudizio di opposizione al provvedimento sanzionatorio, ma ha
soltanto evidenziato che essa domanda dovrà necessariamente
essere sottoposta ad una nuova valutazione alla luce della
declaratoria di incostituzionalità dell’art.6, comma 2, del d.lgs. n. 72
del 2015, stante l’efficacia di tale pronuncia anche nei giudizi in corso,
salva l’avvenuta formazione del giudicato.
Questa affermazione, lungi dal porsi in contrasto con la
statuizione di inammissibilità dell’opposizione all’esecuzione, ne
costituisce il coerente presupposto logico, giacché la questione
dell’applicazione retroattiva della lex mitior (con conseguenze sulla
rideterminazione, in bonam partem, della sanzione irrogata) è stata
ritenuta inammissibile, quale ragione posta a fondamento
dell’opposizione esecutiva, proprio in ragione della circostanza che
costituiva questione deducibile – ed in effetti dedotta – nel giudizio di
cognizione.
Pertanto, non sussiste né il denunciato vizio di coerenza
motivazionale né la censurata violazione degli artt. 187-bis del
decreto legislativo n. 58 del 1998 e 30 della legge cost. n. 87 del
1953.
5.3. Eguale manifesta infondatezza mostra, infine, l’argomento
volto ad individuare un vizio di coerenza di motivazione nel presunto
contrasto tra la statuizione di rigetto dell’eccezione pregiudiziale di
competenza e quella di inammissibilità dell’opposizione.
Invero, mentre la statuizione pregiudiziale sulla competenza ha
tenuto conto della prospettazione della parte istante, quella definitiva
di inammissibilità dell’opposizione è stata fondata sul rilievo che la
dedotta incongruità della sanzione, alla luce della cornice edittale
prevista per la fattispecie accertata (ed in ragione dell’asserita
necessità di escludere la c.d. “quintuplicazione”), aveva già formato
oggetto del giudizio di impugnazione del provvedimento
sanzionatorio, ancora pendente nel grado di legittimità, e sarebbe
stata pertanto nuovamente apprezzata, alla luce della declaratoria di
illegittimità costituzionale dell’art. 6, comma 2, del d.lgs. n. 72 del
2015 (avente efficacia retroattiva, salva l’avvenuta formazione del
giudicato), nell’ambito degli ulteriori sviluppi di quel giudizio, senza
poter essere introdotta anche in quello di opposizione all’esecuzione
esattoriale, non venendo in considerazione fatti sopravvenuti al titolo
esecutivo ma questioni già deducibili – ed in effetti dedotte – nel
giudizio di cognizione diretto alla formazione dello stesso.
Alla luce di tale statuizione, non solo appare manifestamente
insussistente anche il terzo ed ultimo vizio di motivazione
infondatamente denunciato ma deve escludersi, con evidenza, anche
la dedotta violazione dell’art.615 cod. proc. civ., atteso che, al
contrario, la pronuncia impugnata appare perfettamente conforme, in
iure, al principio – reiteratamente affermato da questa Corte con
orientamento consolidato – secondo il quale, con il giudizio di
opposizione esecutiva, possono essere fatti valere esclusivamente
fatti estintivi sopravvenuti alla formazione giudiziale del titolo
esecutivo, come tali non già deducibili nel giudizio di merito di
formazione dello stesso (tra le altre, Cass. 17/11/2009, n. 24215;
Cass. 17/04/2015, n.7829; Cass. 02/08/2016, n. 16024).
Questo principio deve valere a maggior ragione nell’ipotesi in cui,
stante il possibile scollamento tra esecutività del titolo e sua
definitività (ad es., nel caso di sentenza esecutiva ma non passata in
giudicato o, come nella fattispecie, di titolo non giudiziale impugnato
giudizialmente), i fatti e le questioni eventualmente posti a
fondamento dell’opposizione all’esecuzione, oltre che deducibili, siano
stati effettivamente dedotti nel giudizio di cognizione non ancora
definito.
In una simile ipotesi, infatti, consentire la deduzione dei fatti e
delle relative questioni (anche) in sede di opposizione esecutiva, non
solo aprirebbe in tale sede una inammissibile “finestra” sulla
cognizione del diritto posto in esecuzione, ma determinerebbe
certamente la violazione del principio di ne bis idem ed
eventualmente anche quello della certezza del diritto attraverso un
possibile contrasto di giudicati.
6. In definitiva, il ricorso proposto da (OMISSIS) deve essere
rigettato.
7. Le spese del giudizio di legittimità seguono la soccombenza e
vengono liquidate come da dispositivo.
8. A norma dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del
2002, si deve dare atto della sussistenza dei presupposti processuali
per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a
titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso a
norma del comma 1-bis del citato art. 13, ove dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Condanna il ricorrente al pagamento, in favore delle parti
controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida per
la CONSOB, in Euro 7.600,00, e per la Agenzia delle EntrateRiscossione in Euro 5,800,00, oltre, per ciascuna parte
controricorrente, alle spese forfetarie nella misura del 15 per cento,
agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17, della legge n. 228 del 2012, dà atto
della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da
parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello previsto per il ricorso a norma del comma 1-bis
dello stesso art. 13, ove dovuto.
Così deciso nella Camera di consiglio della Terza Sezione Civile il
giorno 8 febbraio 2023.