Ordinanza 8265/2023
Liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale – Tabelle milanesi ante 2022 – Valore monetario “base” – Significato
In tema di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, i criteri di cui alle tabelle milanesi ante 2022 devono essere intesi nel senso che essi non indicano una “forbice liquidatoria” fra un minimo ed un massimo, bensì tra un “valore monetario base”, espressione di una valutazione media uniforme del danno e una personalizzazione massima, applicabile solo alla luce di circostanze peculiari specificatamente allegate. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha affermato l’inesistenza del denunciato contrasto della sentenza di merito che, riconoscendo dovuta la liquidazione del danno nella misura del valore medio aveva, poi, fatto riferimento al dato minimo della tabella milanese ante 2022).
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 22-3-2023, n. 8265 (CED Cassazione 2023)
Art. 2059 cc (Danni non patrimoniali) – Giurisprudenza
Rilevato che:
in relazione al decesso di (OMISSIS), avvenuto a seguito
di un sinistro stradale verificatosi il 14.9.2011, il Tribunale di
Pordenone accertò l’esclusiva responsabilità di (OMISSIS)
(conducente del veicolo antagonista, di proprietà della
(OMISSIS) s.r.l. e assicurato presso la (OMISSIS) s.p.a.) e
condannò i convenuti (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS),
in solido, a risarcire i danni alla vedova e ai figli della vittima,
nonché ai sette fratelli (riconoscendo a questi ultimi l’importo di
25.000,00 euro ciascuno, in aggiunta all’importo già percepito di
15.000,00 euro);
la Corte di Appello di Trieste ha rigettato il gravame incidentale
proposto -in punto di responsabilità- dalla
(OMISSIS) s.a. (che aveva incorporato la
(OMISSIS)) e dal (OMISSIS), mentre ha accolto parzialmente l’appello
principale dei fratelli della vittima, condannando i convenuti al
pagamento dell’ulteriore somma di 1.510, 75 euro a titolo di
“anticipazioni” per spese di lite sostenute nel giudizio di primo
grado; inoltre, compensate integralmente le spese del grado fra gli
appellanti principali e quelli incidentali, ha condannato i fratelli
(OMISSIS) al pagamento delle spese in favore della (OMISSIS),
liquidandole in euro 19.160,00 per compenso, oltre rimborso
forfetario e accessori di legge;
hanno proposto ricorso per cassazione i fratelli (OMISSIS), (OMISSIS),
(OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), in proprio e in qualità
di eredi della sorella (OMISSIS), nel frattempo deceduta, affidandosi a
quattro motivi illustrati da memoria; ha resistito, con controricorso
la (OMISSIS);
con ordinanza interlocutoria del 12.2.2021, questa Corte ha
rilevato che il ricorso era stato proposto contro la (OMISSIS)
che, nelle more del giudizio, era stata incorporata dalla (OMISSIS), e
ha disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti della
società incorporante; all’esito, l’(OMISSIS) s.a. ha resistito con
controricorso;
con successiva ordinanza interlocutoria n. 33031/2022 emessa
all’esito dell’adunanza del 22.9.2022, questa Corte ha rinviato il
ricorso a nuovo ruolo in attesa del deposito della decisione delle
Sezioni Unite sulla questione (rimessa con ordinanza n.
28048/2021) concernente la possibilità di condannare la parte
parzialmente vittoriosa al pagamento delle spese di lite;
per la nuova trattazione del ricorso è stata fissata l’odierna
adunanza ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c.;
entrambe le parti hanno depositato memorie.
Considerato che:
le controricorrenti (OMISSIS) ed (OMISSIS) s.a. hanno
eccepito l’inammissibilità del ricorso in quanto nello stesso è stata
indicata come parte intimata la (OMISSIS) -società
incorporata dalla (OMISSIS) s.a.- anziché la società incorporante (che
si è costituita nel giudizio di appello e nei cui confronti è stata
emessa la sentenza impugnata);
l’eccezione è infondata, atteso che il complessivo tenore del
ricorso (che riporta anche -a pag. 10- uno stralcio della sentenza
in cui la compagnia assicuratrice è indicata nella (OMISSIS) s.a.) non
consente di dubitare che l’indicazione della incorporata deve
intendersi riferita alla incorporante (ossia alla società che, a seguito
della incorporazione, era succeduta nei rapporti della (OMISSIS)
e si trovava a garantire la responsabilità risarcitoria del
(OMISSIS) e della (OMISSIS)), indicata come tale anche
nell’intestazione della sentenza di appello, e la notifica del ricorso
a quest’ultima -effettuata a seguito dell’ordinanza interlocutoria n.
14273/2021- ha comportato la regolarizzazione del contraddittorio;
in via preliminare, deve rilevarsi che la tecnica di esposizione
del fatto non incide sul requisito di cui all’art. 366, n. 3 c.p.c.,
giacché quanto riportato nella ricostruzione del fatto e del processo
e quanto premesso all’illustrazione di ciascun motivo consente alla
Corte di avere chiara conoscenza della vicenda e delle questioni
controverse in funzione dello scrutinio delle censure;
il primo motivo denuncia la violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c.
«con riguardo alle spese di causa liquidate in favore di
(OMISSIS) s.r.l. con riferimento anche all’art. 100 c.p.c. e alla
Tariffa Forense ex D.M. 55/2014», nonché la «nullità della sentenza
per violazione dell’art. 132 c.p.c. per mancata motivazione sul
punto»;
i ricorrenti contestano la possibilità di condannare la parte che,
seppure parzialmente, sia risultata vittoriosa e assumono
(richiamando Cass. n. 1572/2018) che «la Corte doveva semmai
applicare l’art. 92 c.p.c. II comma perché essendovi reciproca
soccombenza, ci stava la compensazione: comunque mai “la
condanna dell’appellante parzialmente vittorioso”»;
in subordine, sostengono che doveva applicarsi l’art. 92, 1° co.
c.p.c., con esclusione delle spese eccessive o superflue, e che «in
ogni caso», a tutto concedere, lo scaglione di riferimento avrebbe
dovuto essere quello compreso fra 52.000,00 e 260.000,00 euro (a
fronte di una richiesta di 106.000,00 euro per ciascun danneggiato
ed esclusa la possibilità di sommatoria fra le domande);
il motivo è fondato in relazione al primo profilo;
il contrasto giurisprudenziale sul punto è stato risolto dalle
SSUU -con pronuncia del 32061/2022- nel senso che, «in tema di
spese processuali, l’accoglimento in misura ridotta, anche sensibile,
di una domanda articolata in un unico capo non dà luogo a reciproca
soccombenza, configurabile esclusivamente in presenza di una
pluralità di domande contrapposte formulate nel medesimo
processo tra le stesse parti o in caso di parziale accoglimento di
un’unica domanda articolata in più capi, e non consente quindi la
condanna della parte vittoriosa al pagamento delle spese
processuali in favore della parte soccombente, ma può giustificarne
soltanto la compensazione totale o parziale, in presenza degli altri
presupposti previsti dall’art. 92, comma 2, c.p.c.»; con il che è stata
esclusa la possibilità di condannare al pagamento delle spese di lite
la parte che abbia visto accogliere, anche in minima parte, la sua
domanda, dovendosi piuttosto agire con la leva della
compensazione delle spese;
il motivo va pertanto accolto sotto tale profilo (assorbiti gli
altri) in quanto l’appello dei (OMISSIS) è stato accolto parzialmente
(in relazione all’importo di 1.510,75 euro) nei confronti di tutti gli
appellati e, quindi, anche nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., a
favore della quale la Corte di Appello ha erroneamente riconosciuto
il ristoro delle spese processuali;
il secondo motivo denuncia la «violazione dell’art. 360 sub 3 e
5 per insanabile contrasto tra la scelta operata del valore medio
delle Tabelle di Milano 2014 quale liquidazione del danno, e il
riferimento poi al dato minimo di tal[i] Tabelle divenendo quindi
vizio logico della motivazione che non consente neppure la
possibilità di interpretazione complessiva della sentenza»; con
conseguente violazione dell’art. 132 c.p.c. e, quindi, nullità della
sentenza ex art. 156, 2° co. c.p.c.; «il tutto con violazione degli
artt. 1223-1226 c.c. non sapendosi se la Corte si sia attivata come
doveva per liquidare il danno nel modo più equo possibile»;
la censura investe la parte della sentenza in cui la Corte ha
affermato che il Tribunale aveva liquidato «ben più del valore
“medio” dettato dalle tabelle di Milano» (pari, all’epoca della
pronuncia, a 23.740,00 euro) e che l’importo di 25.000,00
riconosciuto a ciascuno di fratelli della vittima, sommato a quello di
15.000,00 euro già percepito da ognuno di essi prima del giudizio,
costituiva «il risultato di un congruo aumento personalizzato del
suddetto valore monetari “medio”, che, pertanto, non [era]
suscettibile di essere aumentato ulteriormente»; premesso che era
risultato provato il «grande turbamento creato alla comunità dei
fratelli (OMISSIS) dalla morte» del congiunto, i ricorrenti rilevano
che, pur riconoscendo dovuto il dato “medio”, la Corte ha poi
erroneamente posto alla base del calcolo il dato “minimo” della
forbice (euro 23.740) prevista dalle tabelle milanesi, salvo
aumentarlo a 40.000,00 euro a titolo di congrua personalizzazione;
sostengono che la Corte avrebbe dovuto applicare il dato medio
della forbice (pari a 84.220,00 euro, secondo l’edizione 2018 delle
Tabelle);
il motivo va disatteso, in quanto:
i “criteri orientativi” delle tabelle milanesi del 2018 relativi alla
liquidazione del danno parentale precisavano che «non esiste un
importo “minimo garantito” da liquidarsi in ogni caso» e che gli
importi indicati in tabella erano «quelli medi che, di regola, la prassi
giurisprudenziale ha ritenuto congruo ristoro compensativo»,
mentre la «misura massima di personalizzazione» andava applicata
solo laddove fossero state allegate e provate circostanze di fatto da
cui poter desumere «il massimo dello sconvolgimento della propria
vita in conseguenza della perdita del rapporto parentale»;
tanto premesso, nella versione originaria (pubblicata il
14.2.2018), le tabelle indicavano una forbice di liquidazione del
danno prevedendo -a pag. 4- due colonne di importi denominate
rispettivamente “da” e “a” e -nella successiva tabella riepilogativa
(dopo la pag. 30/30 della tabella del danno biologico)- una prima
colonna denominata “valore monetario medio” e una seconda
denominata “aumento personalizzato (fino a max)”;
con nota del 5.7.2018, l’Osservatorio sulla giustizia civile di
Milano ha dato atto di una criticità, costituita da un’«interpretazione
comportante l’applicazione di un valore mediano tra quelli minimi e
massimi indicati nella predetta forbice anche in assenza di
comprovate peculiarità del caso concreto», e ha ritenuto opportuno
dare una nuova veste grafica alla tabella, denominando la prima
colonna “valore monetario base” (anziché “medio”), lasciando
invariati la denominazione della seconda e gli importi indicati nelle
due colonne;
tutto ciò considerato, deve escludersi che la Corte di Appello,
pur ritenendo dovuti gli importi medi, abbia invece erroneamente
applicato quelli minimi: invero, la Corte ha correttamente rilevato
che il Tribunale aveva liquidato più del valore monetario “medio”
indicato dalle Tabelle, attendendosi alla denominazione
inizialmente data dalle medesime al valore monetario “base” (che
è stato successivamente denominato come tale con la nota del
5.7.2018);
la censura dei ricorrenti è dunque basata su un equivoco
linguistico/classificatorio e su una non corretta lettura delle Tabelle
del 2018, che (secondo il criterio poi ripreso dalle Tabelle del 2021)
individuavano la forbice liquidatoria non fra un minimo ed un
massimo, bensì tra un importo “base” (costituente espressione di
una “uniformità pecuniaria di base”) e una personalizzazione
massima (applicabile solo alla luce di circostanze peculiari
specificamente allegate e provate);
esclusa pertanto un’erronea e contraddittoria applicazione
delle Tabelle da parte della Corte, deve ritenersi che, per il resto,
le censure siano inammissibili in quanto dirette a sostenere
l’opportunità di una liquidazione più elevata, e quindi volte a
sollecitare una rivisitazione della valutazione di “congruità” degli
importi liquidati che è stata effettuata dalla Corte di merito e che –
comportando apprezzamenti di merito- non è sindacabile in sede di
legittimità;
col terzo motivo (che denuncia la violazione degli artt. 201 e
91 c.p.c. e degli «artt. 2054-2056 e quindi 1223-1226 c.c.»), i
ricorrenti censurano la sentenza nella parte in cui ha escluso il
rimborso delle spese sostenute per l’assistenza del c.t.p. per il fatto
che era stato depositato solo un preavviso di fattura e che non era
stato documentato (e neppure allegato) il relativo pagamento;
assumono che il giudice era «obbligato […] a liquidare le spese nella
somma ritenuta equa e giusta, avendo tra l’altro un parametro
certo e sicuro in causa: la liquidazione delle spese del CTU da lui
operata»;
il motivo è infondato alla stregua del principio di diritto di cui
a Cass. n. 21402/2022, secondo cui, «in tema di spese sostenute
per la consulenza tecnica di parte, non è possibile disporre la
condanna del soccombente al pagamento delle stesse in mancanza
di prova dell’esborso sopportato dalla parte vittoriosa, dovendosi
escludere che l’assunzione dell’obbligazione sia sufficiente a
dimostrare il pagamento»; va rimarcato, peraltro, che è priva di
pregio la prospettazione della possibilità di liquidazione equitativa,
giacché nel caso si tratta di provare un esborso per spese vive,
rispetto alle quali gli stessi ricorrenti avevano indicato l’ammontare
facendo riferimento a preavvisi di fattura;
il quarto motivo deduce «violazione dell’art. 360 n. 3 in
relazione agli artt. 2054-2056 c.c. con riguardo agli artt. 1223-1220
c.c. e 91 c.p.c. sulle spese per l’assistenza nella fase stragiudiziale»
e censura la sentenza nella parte in cui ha ritenuto non provato il
pagamento per spese di assistenza stragiudiziale prestata da
un’agenzia infortunistica (documentato a mezzo di fatture non
quietanzate); i ricorrenti assumono che anche il costo
dell’assistenza tecnica prestata nella fase stragiudiziale di gestione
del sinistro costituisce un danno patrimoniale consequenziale
all’illecito che deve essere risarcito;
anche questo motivo è inammissibile poiché, di fronte
all’affermazione della Corte in ordine alla mancata prova del
pagamento, non si preoccupa di spiegare come e perché quanto
esposto nelle fatture dovesse essere riconosciuto, limitandosi a
contestare la mancata liquidazione senza contrastare
adeguatamente la ratio della decisione, basata sull’assunto che, per
poter essere rimborsato, l’esborso va prima sostenuto;
in conclusione, il ricorso deve essere accolto soltanto in
riferimento al primo motivo, con cassazione della sentenza in
relazione ad esso;
non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, può
procedersi a decisione nel merito, disponendosi la compensazione
delle spese del giudizio di appello fra i (OMISSIS) e la (OMISSIS),
in considerazione della modestissima misura in cui il gravame dei
(OMISSIS) è stata accolto;
quanto alle spese del giudizio di legittimità, l’esito della lite
giustifica la compensazione per due terzi fra i (OMISSIS) e la
(OMISSIS), con condanna della seconda a rifondere il residuo terzo;
le originarie difficoltà di lettura della tabella milanese (che
hanno indotto l’Osservatorio a una successiva precisazione)
giustificano la compensazione integrale delle spese fra i (OMISSIS) e
la (OMISSIS) s.a.;
P.Q.M.
La Corte, rigettati gli altri motivi, accoglie il primo, cassa in
relazione e, decidendo nel merito, compensa le spese del giudizio
di appello fra i (OMISSIS) e la (OMISSIS);
compensate per 2/3 le spese del giudizio di legittimità fra le
anzidette parti, condanna la (OMISSIS) a rifondere ai ricorrenti
il residuo terzo, liquidato in euro 2.847,50 per compensi, oltre ad
euro 66,66 per esborsi e oltre spese forfettarie e accessori di legge;
compensa integralmente le spese del presente giudizio fra i
ricorrenti e l’altra controricorrente.
Roma, 1.2.2023