Sentenza 8530/2001
Simulazione – Prova dell’esistenza di un accordo simulatorio
In tema di simulazione, nell’ipotesi di rappresentanza volontaria non è sufficiente, per ritenere la simulazione dell’atto, la prova di un’eventuale collusione tra rappresentante e terzo, essendo necessaria anche la prova dell’esistenza di un accordo simulatorio, cui non sia rimasto estraneo il rappresentato, e, quindi, che il potere di rappresentanza è stato conferito soltanto perché il rappresentante ponga in essere coll’altra parte un contratto simulato.
Dichiarazione di fallimento della parte avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio
La dichiarazione di fallimento di una parte, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio, non determina l’automatica interruzione del processo, non esistendo in materia fallimentare alcuna disposizione che deroghi al principio di cui all’articolo 300 Cpc, secondo cui l’interruzione del processo a seguito della perdita della capacità della parte costituita si verifica soltanto quando il procuratore della stessa dichiari in udienza o notifichi alle altre parti l’evento interruttivo. In difetto di tale dichiarazione o notificazione il processo prosegue tra le parti originarie e l’eventuale sentenza pronunciata nei confronti del fallito non è nulla, né inutiliter dat a, bensì soltanto inopponibile alla massa dei creditori, rispetto ai quali il giudizio in tal modo proseguito costituisceres inter alios act a. Tuttavia, qualora la sentenza di primo grado venga appellata dalla curatela fallimentare, il curatore del fallimento non può pretendere che la sentenza stessa sia dichiarata inopponibile al fallimento, dal momento che la dichiarazione di inopponibilità presuppone il permanere di una situazione di terzietà che con l’impugnazione viene meno, avendo la curatela in tal modo fatto proprio il processo in corso.
Cassazione Civile, Sezione 1, Sentenza 22-6-2001, n. 8530
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con atto di citazione, notificato il 23 giugno 1987, la Società I.A. S.p.A. conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma la Società (OMISSIS) a r.l. per sentir dichiarare trasferito, ai sensi dell’art. 2932 cod. civ., un terreno con sovrastante capannone industriale, sito in Roma, via (OMISSIS), promesso in vendita dalla società convenuta alla attrice con scrittura privata non adempiuta del 2 aprile 1987 e per il quale era stato interamente corrisposto il prezzo.
Costituitasi in giudizio, la Società (OMISSIS) contestava di avere incassato il prezzo, convenuto in lire 500.000.000, e chiedeva in via preliminare la chiamata in garanzia di D. D., intervenuto nell’atto summenzionato in nome e per conto della deducente, e la condanna dello stesso alla restituzione delle somme eventualmente riscosse oltre al risarcimento del danno. In subordine, chiedeva l’accertamento della simulazione del contratto preliminare con condanna della società (OMISSIS) e del D. al risarcimento dei danni.
Il giudice autorizzava la chiamata in causa del D. e la (OMISSIS) vi provvedeva con atto notificato il 28 settembre 1988, disertando, però, successivamente il giudizio.
Il D. non si costituiva in giudizio.
Con sentenza 5 febbraio 1992 il Tribunale adito dichiarava trasferita alla Società I.A., in virtù della scrittura privata in data 2 aprile 1987, la proprietà dell’immobile sopraindicato.
Avverso detta sentenza proponeva appello alla Corte d’appello di Roma il Fallimento della (OMISSIS) S.r.l., con atto notificato alla I.A. S.p.A. in data 17 settembre 1992 e a D. D. in data 19 settembre 1992, deducendo la improcedibilità del processo di primo grado per l’avvenuta interruzione di esso a seguito della dichiarazione di fallimento; la nullità del giudizio perché non proseguito nei confronti curatore; l’inopponibilità, in ogni caso, della sentenza al fallimento; nel merito denunciava la erroneità della sentenza per non aver ritenuto la simulazione del contratto; si doleva altresì della mancata pronunzia sulle domande avanzate nei confronti del D..
Con sentenza del 29 settembre 1997, depositata in cancelleria il 21 ottobre 1997, la corte di appello, in parziale riforma della decisione impugnata, che confermava nel resto, condannava D. D. al pagamento, il favore del predetto Fallimento, della somma di lire 500.000.000, con gli interessi legali dalla domanda al saldo.
Osservava la corte che il fallimento, sopravvenuto nel corso del giudizio, di una parte costituita a mezzo di procuratore non determina l’interruzione del processo automaticamente dal momento dell’evento (data di pubblicazione della sentenza dichiarativa del fallimento, nel caso di specie intervenuta il 7 gennaio 1989), indipendentemente da qualsiasi dichiarazione del fatto interruttivo, non sussistendo alcuna disposizione, in materia fallimentare, da cui possa ricavarsi una deroga al principio generale dell’art. 300 cod. proc. civ., secondo il quale, allorché la parte sia costituita a mezzo di procuratore, non esistono eventi che possono determinare ipso iure l’interruzione.
Doveva escludersi, poi, che all’intervenuta dichiarazione di fallimento potessero riconnettersi gli effetti processuali prospettati dall’appellante, atteso che la causa promossa dal creditore, pur se non si interrompe per la sopravvenienza del fallimento del convenuto, qualora l’evento stesso non sia stato dichiarato, non è idonea, ove prosegua nei confronti del fallito e non della curatela, a fornire una pronuncia opponibile alla massa.
Osservava, altresì, che nel contratto in questione doveva ravvisarsi un contratto idoneo a produrre immediati effetti traslativi del diritto sulla cosa, restando affidata ad un ulteriore manifestazione di volontà la mera riproduzione in forma pubblica delle intese raggiunte.
A tale conclusione inducevano: la perfetta individuazione, anche catastale del bene ceduto; la determinazione del corrispettivo, del cui avvenuto pagamento il venditore dava atto, la contestuale immissione del possesso; la prestazione, infine, delle garanzie d’uso in ordine alla disponibilità e libertà del bene.
Tale soluzione comportava l’assorbimento del medi gravame relativo allo scioglimento del vincolo in virtù dell’esercizio da parte del curatore della facoltà di cui all’art. 72 legge fall., versandosi in tema di contratto definitivo.
Infine gli elementi indicati dall’appellante non consentivano, data la genericità ed equivocità degli stessi, di ritenere sussistente la simulazione assoluta dell’atto in questione.
Fondata era, invece, la pretesa creditoria nei confronti del D., posto che, nella persistente sua contumacia, non aveva offerto alcuna prova di avere adempiuto all’obbligazione posta a suo carico dall’art. 1713 primo comma, cod. civ., rendendo il conto del suo operato e rimettendo tutto quanto ricevuto a causa del mandato.
Avverso detta sentenza il Fallimento della (OMISSIS) S.r.l. ha proposto ricorso per cassazione sulla base di cinque motivi illustrati con memoria. Gli intimati Società I.A. S.p.A. ed eredi di D. D.: Ci. An. e D. Em., non si sono costituiti in giudizio.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 43, primo comma,R.D. 16 marzo 1942 n. 267 e dell’art. 101 e 354 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 nn. 3 e 4 cod. proc. civ..
Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 cod. proc. civ.).
Deduce il ricorrente che la corte di merito avrebbe dovuto dichiarare l’inopponibilità della sentenza di primo grado al fallimento e, comunque, ove non avesse voluto accogliere semplicemente l’appello proposto dichiarando detta inopponibilità, avrebbe dovuto rimettere la causa ai primi giudici essendo stato violato il principio del contraddittorio.
Infatti il giudizio di primo grado si sarebbe svolto, nonostante l’intervenuta dichiarazione di fallimento nel corso del giudizio, nei confronti della fallita società e non nei confronti della curatela fallimentare, configurando così una attività processuale inter alios acta
Con il secondo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 cod. proc. civ., in relazione all’art. 360 n. 4 c.p.c. (nullità della sentenza e del procedimento).
La corte di appello avrebbe errato nel non rilevare il vizio di ultrapetizione o extrapetizione, in cui sarebbe incorso il tribunale emettendo una sentenza dichiarativa di trasferimento dell’immobile per cui è causa, sul presupposto dell’esistenza di un contratto definitivo di compravendita, mai dedotto dalle parti, avendo la società I.A. domandato, in maniera inequivocabile, l’emissione di una sentenza sostitutiva ex art. 2932 cod. civ. sulle premesse dell’esistenza di un contratto preliminare non rispettato dalla promittente venditrice, essendosi questa rifiutata di concludere il contratto definitivo.
Con il terzo motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1414, primo comma, 1415, ultimo comma, 1417, 1388, 1390, 1391, primo comma, 2727 e 2729 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.). Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Secondo il ricorrente la corte di appello avrebbe errato nel non ritenere rilevante ai fini della simulazione lo stato soggettivo del rappresentante della (OMISSIS) e non avrebbe spiegato perché le presunzioni, tratte dalle seguenti circostanze: a) prezzo di importo rilevante, asseritamente pagato in contanti, di cui l’I.A. non aveva dato alcuna prova; b) contiguità tra parte acquirente ed il D.; c) contumacia di quest’ultimo in entrambi i gradi del giudizio, che in tal modo avrebbe evitato di fornire la sua versione sul pagamento in questione; d) la sua difesa assunta d’ufficio dalla società appellata, non debbano ritenersi gravi, precise e concordanti, incorrendo così oltre che in una violazione di legge anche in un vizio di motivazione.
Con il quarto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 1362, primo e secondo comma, cod. civ. (art. 360 n. 3 c.p.c.). Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c. n. 5).
Secondo il ricorrente la corte di appello nell’indagine tesa ad individuare il carattere preliminare o definitivo del contratto non avrebbe fatto corretto uso dei criteri ermeneutici, svalutando il prioritario e fondamentale criterio letterale, nonostante la chiarezza ed univocità delle espressioni usate.
La corte, poi, ritenuto insufficiente il criterio letterale, avrebbe dovuto valutare il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto, costituito dalla richiesta di sentenza costitutiva di esecuzione specifica di un contratto preliminare.
Con il quinto motivo il ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 72, ultimo comma e dell’art. 45 del R.D. 16 marzo 1942, n. 257, e degli artt. 2652, primo comma, n. 3, e 2653, primo comma, n. 1, cod. civ. (art. 360 n. 3 c.p.c.).
Omessa motivazione circa un punto decisivo della controversia (art. 360 n. 5 c.p.c.).
Secondo il ricorrente, quale conseguenza dell’accertato carattere preliminare del contratto, la corte di merito avrebbe dovuto dichiarare, in ogni caso, sciolto il contratto medesimo, avendo il curatore manifestato la propria volontà in tal senso con lettera raccomandata ricevuta dalla I.A. in data 14.2.90 ed avendo lo stesso ribadito tale volontà nel giudizio di appello.
Inoltre, perfino nella ipotesi di attribuzione di carattere definitivo al contratto de quo, la corte d’appello avrebbe dovuto considerarlo inopponibile alla massa, ai sensi dell’art. 45 legge fall., in quanto non trascritto prima della dichiarazione di fallimento, non potendo avere effetto di prenotazione la trascrizione della domanda, non solo perché avente un altro oggetto (esecuzione specifica di un preliminare), ma anche perché non trascrivibile come domanda di accertamento giudiziale dell’avvenuto trasferimento.
Conseguentemente avrebbe dovuto considerarlo sciolto effetto della scelta effettuata dal curatore, dovendo le compravendite non opponibili al fallimento essere parificate all’ipotesi in cui la cosa venduta non sia ancora passata in proprietà del compratore.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
Secondo l’orientamento, ormai costante, di questa corte la dichiarazione di fallimento di una parte, avvenuta dopo la sua costituzione in giudizio, non determina l’automatica interruzione del processo, non esistendo in materia fallimentare alcuna disposizione che deroghi al principio sancito dall’art.300 cod. proc. civ., secondo cui l’interruzione del processo a seguito della perdita della capacità della parte costituita si verifica soltanto quando il procuratore della stessa dichiari in udienza o notifichi alle altre parti l’evento interruttivo.
In difetto di tale dichiarazione o notificazione il processo prosegue tra le parti originarie e l’eventuale sentenza pronunciata nei confronti del fallito non è nulla, né “inutiliter data”, bensì soltanto inopponibile alla massa dei creditori, rispetto ai quali il giudizio in tal modo proseguito costituisce “res inter alios acta” (cfr. tra le molte: cass. n. 8363/2000; cass. n. 1588/1993; cass. n. 398/1993).
Tuttavia, qualora la sentenza di primo grado, come avvenuto nel caso di specie, venga appellata dalla curatela fallimentare, il curatore del fallimento non può pretendere che la sentenza stessa sia dichiarata inopponibile al fallimento, dal momento che la dichiarazione di inopponibilità presuppone il permanere di una situazione di terzietà che con la impugnazione viene meno, avendo la curatela in tal modo fatto proprio il processo in corso (cfr. in tal senso in motivazione cass, n. 398/1993).
Non sussiste pertanto né la denunciata violazione di legge né la insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza impugnata, essendosi questa uniformata ai su esposti principi.
Il secondo motivo, con cui il ricorrente lamenta che il giudice di appello non abbia rilevato il vizio di ultrapetizione, in cui sarebbe incorso il tribunale, per aver pronunciato sentenza dichiarativa dello avvenuto trasferimento dell’immobile in questione, quando, invece, era stata proposta domanda di esecuzione specifica dell’obbligo di contrarre ex art. 2932 cod. civ., e inammissibile.
Infatti, secondo il costante orientamento di questa corte, che il collegio condivide non ravvisando serie ragioni per discostarsene, la violazione del principio della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, non determinando nullità assoluta della sentenza, ma vizio denunciabile con i normali mezzi di impugnazione, non può essere rilevata d’ufficio in grado di appello, né essere dedotta per la prima volta in sede di legittimità, come avvenuto nella specie (cfr. tra le molte: cass. n. 2028/1984; n. 4451/1985; cass. n. 5183/1988; cass. n. 6152/1996; con detta ultima sentenza questa corte ha precisato che il vizio di ultrapetizione della sentenza di primo grado, quando non abbia costituito motivo di gravame davanti al giudice di appello, non può essere utilmente dedotto come mezzo di ricorso per cassazione neppure se riferito alla sentenza di secondo grado confermativa della precedente).
Il terzo motivo di ricorso è infondato.
Si afferma testualmente nella impugnata sentenza: ” Quanto alla affermata simulazione del contratto ……. sostiene l’appellante che essa andrebbe riconosciuta in via presuntiva sulla base di una serie di elementi che vengono individuati nelle seguenti circostanze: mancata prova di pagamento del prezzo; persistente contumacia, protrattasi per i due gradi del giudizio del D.; difesa del predetto impropriamente svolta dalla società (OMISSIS); qualità di moglie dello stesso D. della signora Ci. An., rappresentante legale della I.A.; sospetta contiguità del domicilio del D. e della sede di quest’ultima società; mantenimento del possesso e della detenzione da parte della (OMISSIS) dell’immobile oggetto del contratto.
Anche tale doglianza appare infondata.
Par di comprendere, in difetto di più concrete e chiarificatrici indicazioni, che con le esposte prospettazioni la parte intenda denunciare la simulazione assoluta dell’atto consacrato nella scrittura privata del 2.4.1987, simulazione che andrebbe desunta dal quadro presuntivo innanzi delineato. Sennonché, a parte che una eventuale collusione tra il procuratore della società (OMISSIS) e la parte acquirente non è idonea in sé ad integrare, sotto il profilo soggettivo, l’elemento costitutivo della simulazione, il quale, invece, rinvia ad uno stato soggettivo delle parti in senso sostanziale del rapporto, va comunque osservato come i dati offerti sul punto alla valutazione giudiziale appaiono, per la loro genericità ed equivocità, comunque incongrui al fine voluto, onde va disattesa la ricostruzione operata al riguardo dal fallimento appellante.”.
Tale motivazione appare adeguata, logica e giuridicamente corretta.
Come emerge dalla sentenza impugnata, il D. non ha stipulato il contratto del 2.4.1987 come rappresentante legale della società (OMISSIS) S.r.l., dichiarata fallita, ma in qualità di procuratore della stessa.
Di ciò da atto anche il ricorrente.
Si legge, infatti, nel ricorso (pag. 2) : “In data 23.5.1987 la società (OMISSIS) conferiva procura speciale al sig. D. D., perché vedesse per un prezzo non inferiore a £. 500.000.000 l’immobile sito in Roma via Leonello Petri n. 15 ….”
La sentenza impugnata ha considerato scarsamente significative, al fine della prova della simulazione assoluta del contratto, le circostanze rappresentate dal Fallimento della (OMISSIS), osservando, come su riportato, che “un’eventuale collusione tra il procuratore della società (OMISSIS) e la parte acquirente non è idonea in sé ad integrare, sotto il profilo soggettivo, l’elemento costitutivo della simulazione, il quale, invece, rinvia ad uno stato soggettivo delle parti in senso sostanziale del rapporto”; la sentenza impugnata ha, in altre parole, affermato che nell’ipotesi di rappresentanza volontaria non é sufficiente, per ritenere la simulazione dell’atto; la prova di un’eventuale collusione tra rappresentante e terzo, essendo necessaria anche la prova dell’esistenza di un accordo simulatorio, cui non sia rimasto estraneo il rappresentato, e, quindi, che il potere di rappresentanza è stato conferito soltanto perché il rappresentante ponga in essere con l’altra parte un contratto simulato.
Rettamente e logicamente la corte di merito ha ritenuto, pertanto, non significative della simulazione del contratto le circostanze rappresentate dal Fallimento, in quanto generiche ed equivoche e in definitiva inidonee a provare la intenzione della società dichiarata fallita di porre in essere un contratto simulato.
Fondato è, invece, il quarto motivo di ricorso.
Il giudice a quo ha ritenuto di individuare il carattere definitivo del contratto in questione, ritenendo non decisive le espressioni letterali usate dalle parti e la previsione della riproduzione in atto pubblico della scrittura privata – potendo questa essere considerata in funzione della trascrizione e non del trasferimento – in considerazione dei seguenti elementi: la perfetta individuazione, anche catastale, del bene ceduto; la determinazione del corrispettivo, del cui avvenuto pagamento il venditore da atto; la contestuale immissione nel possesso (con la quale non contrasterebbe l’eventuale mantenimento della detenzione da parte della società cedente); la prestazione, infine, delle garanzie d’uso in ordine alla disponibilità e libertà del bene.
Così operando, la corte di appello, come giustamente osservato dal ricorrente, ha svalutato il prioritario e fondamentale criterio letterale, nonostante la chiarezza ed univocità delle espressioni usate (atto preliminare di vendita – promette, si impegna e si obbliga a cedere, vendere e trasferire – promette, si impegna e si obbliga ad acquistare) sulla base di elementi quali la previsione dell’immediato trasferimento del possesso del bene (peraltro, come si da atto nella sentenza impugnata, di fatto non attuato) e del pagamento del prezzo, che non sono vicende assolutamente incompatibili con l’intento di stipulare un semplice preliminare di vendita, potendo le parti, con tali pattuizioni, manifestare null’altro che l’intento di anticipare le prestazioni del futuro contratto definitivo (cfr. in tal senso cass. n. 5132/2000; cass. n. 9478/1991).
Rettamente il ricorrente sostiene, poi, che la corte, ritenuto insufficiente il criterio letterale, avrebbe dovuto valutare il comportamento delle parti posteriore alla conclusione del contratto e, precisamente, il fatto che con la domanda introduttiva del presente giudizio si è chiesta l’emanazione di una sentenza ex art. 2932 cod. civ. ed il giudizio di primo grado si è svolto senza che controparte contestasse la natura di preliminare del contratto posto in essere con la scrittura privata del 2.4.87.
L’accoglimento di tale motivo comporta l’assorbimento del quinto motivo, venendo meno, con l’accoglimento del quarto motivo, l’accertamento, presupposto dal quinto, relativo alla natura del contratto summenzionato.
Per quanto precede, come detto, deve essere accolto il quarto motivo, devono essere respinti i primi tre e deve essere dichiarato assorbito il quinto. La sentenza impugnata deve essere cassata in relazione al motivo accolto e rinviata ad altra sezione della Corte d’appello di Roma, che provvederà alla liquidazione delle spese anche del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il quarto motivo di ricorso; rigetta i primi tre e dichiara assorbito il quinto. Cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte d’appello di Roma, altra sezione, anche per le spese.