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Cassazione Civile 8571/2023 – Liquidazione degli onorari di avvocato – Esibizione del parere del consiglio dell’ordine è necessaria allorché la parte domandi la liquidazione degli onorari in misura superiore al massimo della tabella

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Sentenza 8571/2023

Liquidazione degli onorari di avvocato – Esibizione del parere del consiglio dell’ordine è necessaria allorché la parte domandi la liquidazione degli onorari in misura superiore al massimo della tabella

In tema di liquidazione degli onorari di avvocato e dei diritti di procuratore, l’esibizione del parere del consiglio dell’ordine è necessaria allorché la parte domandi la liquidazione degli onorari in misura superiore al massimo della tabella, e la spesa inerente alla richiesta del parere in questione deve essere rimborsata dal cliente a titolo di danno emergente, essendo risultato l’esborso utile in relazione all’esito del giudizio.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 27-3-2023, 8571   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

L’avvocato Alessandro Santoro ha proposto ricorso, articolato in
undici motivi, avverso la sentenza n. 7612/2016 della Corte d’appello
di Roma, pubblicata il 19 dicembre 2016.

Beatrice Sagna ha resistito con controricorso, proponendo altresì
ricorso incidentale articolato in tre motivi.

Alessandro Santoro ha notificato controricorso per resistere al ricorso
incidentale.

Beatrice Sagna convenne l’avvocato Alessandro Santoro dinanzi al
Tribunale di Latina per sentir determinare “nella misura ritenuta
conforme alle tariffe applicabili”, il compenso dovutogli per
l’attività professionale svolta nell’interesse dell’attrice. Negli atti si
espone che Beatrice Sagna nell’aprile del 2011 conferì mandato al
legale dapprima per la presentazione di una denuncia per
circonvenzione di incapaci in danno di tale Laura Chiella, la quale
avrebbe abusato dello stato di infermità in cui versava l’anziano
architetto Giuseppe Persichetti, nonno della Sagna, e poi per ottenere
la nomina ad amministratrice di sostegno del Persichetti. Gli incarichi
vennero revocati nel dicembre del 2011. L’avvocato Santoro richiese
all’ex cliente il pagamento dei propri compensi quantificati in €
61.389,00, come da parere del competente ordine degli avvocati.

Nel giudizio di primo grado il convenuto Santoro si costituì senza
rispettare il termine di cui all’art. 166 c.p.c., deducendo di essere
stato investito da Beatrice Sagna di quattro distinti mandati, il cui
contenuto si legge anche nella sentenza della Corte d’appello. Un
primo incarico era volto a ricostruire le proprietà intestate alla madre
ed ai nonni materni di Beatrice Sagna, in vista dell’eredità a lei
spettante; un secondo mandato era finalizzato a richiedere copia di
tutti gli atti pubblici di disposizione del patrimonio del nonno e della
madre della Sagna compiuti negli ultimi anni; un terzo mandato,
sempre volto a ricostruire la consistenza del patrimonio familiare,
aveva lo scopo di recuperare quanto fosse stato oggetto di condotte
fraudolente da parte di terzi che avessero approfittato delle condizioni
di salute del nonno e della madre della Sagna; il quarto mandato,
infine, era diretto ad accertare quali fossero le condizioni di vita
Giuseppe Persichetti ed a perseguire in sede civile e penale chi si
fosse approfittato del suo stato psichico.

Il Tribunale di Latina, con sentenza del 12 marzo 2015, condannò
Beatrice Sagna al pagamento di favore dell’avvocato Santoro della
somma di € 38.363,94. La Corte d’appello di Roma, pronunciando sui
contrapposti gravami, ha determinato in € 14.191,00 il compenso
residuo spettante all’avvocato Santoro (detratto l’acconto di €
3.500,00 già corrisposto). In premessa, la Corte d’appello ha ritenuto
affetta da ultrapetizione la pronuncia di condanna resa dal primo
giudice (essendo tardiva la domanda riconvenzionale spiegata dal
convenuto) e non invece la statuizione in punto di determinazione
del corrispettivo. Quanto al merito, rivenuta prova in atti
dell’attività professionale svolta, ed esclusa la vincolatività del
parere reso dal Consiglio dell’ordine sulla liquidazione degli onorari,
la Corte d’appello di Roma ha sostenuto che tra le parti fosse
intercorso sostanzialmente “un unico mandato, volto a definire il
patrimonio dei nonni e della madre della Sagna, verificarne la
corretta gestione e, eventualmente la necessità di azioni a tutela”,
di talché “l’attività stragiudiziale, una volta proposta l’azione civile
per la nomina di un amministratore di sostegno per il nonno,
Giuseppe Persichetti e la denuncia per circonvenzione di incapaci,
con l’avvio del procedimento penale” si poneva “in un rapporto di
necessaria strumentalità e dipendenza, così perdendo ogni
autonomia riguardo la liquidazione dei compensi spettanti al
professionista”. La sentenza impugnata ha perciò ricordato che la
“possibilità del cumulo delle due tariffe è prevista soltanto qualora
la prestazione stragiudiziale accessoria non trovi adeguato
compenso nella tariffa giudiziale”.

La Corte d’appello ha quindi sostenuto che dovessero trovare
applicazione gli onorari per i procedimenti davanti al giudice
tutelare (non cambiando natura il giudizio alla luce della istanza di
revoca dell’amministrazione di sostegno avanzata da Giovanna
Persichetti) e che la causa fosse di valore indeterminato,
dovendosi tuttavia tener conto della particolare consistenza del
patrimonio immobiliare. È stato così liquidato l’importo massimo
della tariffa (€ 6.910,00), raddoppiato ai sensi dell’art. 5, oltre €
1.000,00 per diritti di avvocato.

Per le difese svolte in sede penale, la Corte d’appello ha liquidato
€ 9.781,00, sottraendo alcune voci dall’importo richiesto in
parcella.

I giudici di secondo grado hanno, infine, negato che dovesse
riconoscersi all’avvocato Santoro la liquidazione della “tassa di
opinamento”.

Il ricorso è stato deciso in camera di consiglio procedendo nelle forme
di cui all’art. 23, comma 8-bis, d.l. 28 ottobre 2020, n. 137,
convertito con modificazioni dalla legge 18 dicembre 2020, n. 176
(applicabile a norma dell’art. 8, comma 8, del d.l. 29 dicembre 2022,
n. 198), con istanza di discussione orale.

Il ricorrente principale ha presentato memoria.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.Il primo motivo del ricorso dell’avvocato Alessandro Santoro deduce
la violazione e falsa applicazione degli artt. 345 e 112 c.p.c. Il
ricorrente principale sostiene che Beatrice Sagna, dopo aver richiesto
in primo grado di “determinare nella misura conforme alle tariffe
applicabili il compenso dovuto all’avvocato Santoro per l’attività
professionale effettivamente svolta in favore dell’attrice”, avrebbe
proposto in appello una “nuova domanda”, chiedendo di
determinare il compenso per la medesima attività prestata per la
Sagna “limitatamente a quella dalla stessa riconosciuta”.

Il secondo motivo del ricorso dell’avvocato Alessandro Santoro
denuncia l’omesso esame circa il “fatto” dell’inammissibilità
dell’appello per la novità della domanda di cui al primo motivo.

1.1.I primi due motivi del ricorso principale, da trattare
congiuntamente, sono del tutto infondati.

A norma dell’art. 345 c.p.c., si ha domanda nuova, inammissibile in
appello, quando la modifica della domanda originale si risolva in una
pretesa sostanzialmente e formalmente diversa da quella fatta valere
in primo grado, mentre si è in presenza di una mera e consentita
emendatio allorché la modifica della domanda venga ad incidere sul
petitum solo nel senso di adeguarlo in una direzione più idonea a
legittimare la concreta attribuzione del bene materiale oggetto
dell’originaria domanda. La pretesa svolta tanto in primo che in
secondo grado da Beatrice Sagna era finalizzata ad ottenere
accertamento del diritto del convenuto avvocato al compenso per
l’attività professionale che risultasse provata nei suoi fatti costitutivi,
o comunque non bisognosa di prova perché incontroversa tra le parti.
2. Il terzo motivo del ricorso di Alessandro Santoro deduce la
violazione e falsa applicazione dell’art. 115 c.p.c., richiamando la
motivazione della sentenza di primo grado secondo cui Beatrice
Sagna, attrice in senso sostanziale, non aveva contestato la
documentazione prodotta dall’avvocato convenuto per dimostrare le
attività espletate, peraltro munita del conforto del parere del consiglio
dell’ordine.

L’undicesimo motivo del ricorso di Alessandro Santoro, il cui esame
deve essere logicamente anticipato, deduce il “difetto di giurisdizione”
quanto al parere di congruità reso dal Consiglio dell’Ordine.

2.1 Anche il terzo e l’undicesimo motivo del ricorso principale, da
trattare congiuntamente, vanno respinti.

2.1.1. Il parere di congruità sulla liquidazione degli onorari degli
avvocati rimesso al Consiglio dell’Ordine (art. 13, comma 9, L. 31
dicembre 2012, n. 247; art. 14, comma 1, lett. d del R.D.L. 27
novembre 1933, n. 1578) costituisce un atto soggettivamente ed
oggettivamente amministrativo, emesso nell’esercizio di poteri
autoritativi, che non si esaurisce in una mera certificazione della
rispondenza del credito alla tariffa professionale, ma implica la
valutazione di congruità del “quantum”, attraverso un motivato
giudizio critico, sicché è devoluta alla giurisdizione del giudice
amministrativo la controversia instaurata da un privato nei confronti
del Consiglio dell’ordine degli avvocati in relazione al parere dal
medesimo (cfr. Cass. Sez. Unite 12 marzo 2008, n. 6534; Cass. Sez.
Unite. 27 gennaio 2009, n. 1874; Cass. Sez. Unite 24 giugno 2009, n.
14812). Tuttavia, nella controversia, quale quella in esame,
intercorrente tra l’avvocato ed il proprio cliente e volta alla
determinazione dei compensi per prestazioni professionali, le
questioni che insorgono in ordine all’efficacia probatoria del parere del
consiglio dell’ordine attengono al merito, e non alla giurisdizione (cfr.
Cass. Sez. 2, 16 dicembre 2016, n. 26065).

2.1.2. Avendo qui l’attrice proposto domanda di accertamento del
proprio debito a titolo di compenso dell’attività professionale svolta,
senza peraltro che il convenuto avvocato Santoro avesse ritualmente
formulato domanda riconvenzionale per conseguire il maggior credito
negato da controparte, gravava comunque sul legale l’onere di
provare i fatti costitutivi dell’eccepito diritto ad un più congruo
corrispettivo. E’ noto al riguardo che, nel giudizio di cognizione avente
ad oggetto il pagamento di prestazioni professionali di un avvocato,
ogni contestazione, anche soltanto generica, in ordine
all’espletamento ed alla consistenza dell’attività che si assuma svolta,
è idonea e sufficiente ad investire il giudice del potere-dovere di
verificare il quantum debeatur, costituendo la parcella una semplice
dichiarazione unilaterale del professionista, sul quale perciò
rimangono i relativi oneri probatori del credito azionato ex art. 2697
c.c. (Cass. Sez. 2, 11 gennaio 2016, n. 230; Cass. Sez. 2, 30 luglio
2004, n. 14556; Cass. Sez. 2, 25 giugno 2003, n. 10150; anche
Cass. Sez. Unite, 8 luglio 2021, n. 19427).

Se, del resto, spetta all’avvocato, il quale assuma di essere creditore
per attività professionale prestata a favore del cliente, l’onere di
dimostrare non solo che l’opera è stata posta in essere, ma anche
l’entità delle prestazioni, al fine di consentire la determinazione
quantitativa del suo compenso, compete poi al giudice di merito
valutare se, nel caso concreto, questa prova possa o meno ritenersi
fornita, sottraendosi il risultato del relativo accertamento al sindacato
di legittimità, se non nei limiti di cui all’art. 360 n. 5, c.p.c., il quale
contempla il solo omesso esame di un fatto storico, la cui esistenza
risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia
costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere
decisivo (vale a dire che, se esaminato, avrebbe certamente
determinato un esito diverso della controversia) (Cass. Sez. Unite, 7
aprile 2014, n. 8053).

D’altro canto, agli effetti dell’art. 115, comma 1, c.p.c. (secondo il
quale i fatti non specificamente contestati dalla parte costituita
devono essere posti dal giudice a fondamento della sua decisione),
perché un fatto possa dirsi non contestato, e perciò non richiedente
una specifica dimostrazione, occorre o che lo stesso fatto sia da
quello esplicitamente ammesso, o che la controparte abbia
improntato la sua difesa su circostanze o argomentazioni
incompatibili col disconoscimento di quel fatto. La non contestazione
scaturisce, pertanto, dalla non negazione del fatto costitutivo della
domanda, di talché essa non può comunque ravvisarsi ove, a fronte
di una pretesa creditoria fondata sullo svolgimento di una complessa
prestazione giudiziale di avvocato, il cliente abbia comunque dedotto
l’incongruità del compenso richiesto rispetto all’attività svolta (cfr.
Cass. Sez. 3, 24 novembre 2010, n. 23816; Cass. Sez. 3, 19 agosto
2009, n. 18399; Cass. Sez. 3, 25 maggio 2007, n. 12231; Cass. Sez.
L, 3 maggio 2007, n. 10182; Cass. Sez. 3, 14 marzo 2006, n. 5488).
È comunque errata la dedotta applicazione del principio di “non
contestazione” con riguardo alla ”cospicua mole documentale
dell’attività svolta” prodotta dal convenuto: il principio di non
contestazione di cui all’art. 115 c.p.c. ha per oggetto fatti storici
sottesi a domande ed eccezioni e non può riguardare le conclusioni
ricostruttive desumibili dalla valutazione di documenti (Cass. Sez. 3,
5 marzo 2020, n. 6172).

3. Il quarto motivo del ricorso di Alessandro Santoro deduce la
“violazione delle disposizioni del D.M. n. 127/2004 relativo alle tariffe
da applicare”. La censura contesta lo “stralcio” della “intera opera
stragiudiziale”, definita dallo stesso ricorrente “prodromica alle azioni
giudiziali (penale e civili) con le quali si è provveduto a salvare e
congelare il patrimonio dell’Architetto Persichetti”; assume che tale
patrimonio, di cui è beneficiaria la Sagna, ammonta a non meno di 10
milioni di euro; sottolinea l’estrema urgenza e l’eccezionale difficoltà
dell’attività professionale espletata; invoca l’applicabilità dello
scaglione superiore a tre milioni di euro.

Il quinto motivo del ricorso principale allega la violazione e/o falsa
applicazione dell’art. 2 del cap. III del D.M. n. 127/2004, per
l’“erroneo stralcio dell’attività stragiudiziale”, che lo stesso ricorrente
definisce “necessaria e ed indefettibile in quanto propedeutica” al
provvedimento di nomina dell’amministratore di sostegno, nonché
alle denunce penali inoltrate. Si sostiene in questo motivo anche che i
quattro mandati non erano fra loro sovrapponibili. Le tariffe giudiziali
e stragiudiziali andavano, perciò, cumulate.

Il sesto motivo del ricorso di Alessandro Santoro deduce la violazione
e falsa applicazione dell’art. 11 del D.M. n. 127/2004. La particolare
difficoltà dell’attività svolta avrebbe giustificato la liquidazione del
quadruplo dei massimi.

Il settimo motivo del ricorso di Alessandro Santoro deduce la
violazione e falsa applicazione del D.M. n. 127/2004 relativamente ai
compensi per l’attività giudiziale in sede penale.

3.1. Il quarto, il quinto, il sesto ed il settimo motivo del ricorso di
Alessandro Santoro vanno esaminati congiuntamente, in quanto
connessi, e si rivelano non fondati.

3.1.1. Per costante interpretazione giurisprudenziale, ai sensi dell’art.
2, comma 1, Capitolo III (Tariffa onorari spettanti agli avvocati in
materia stragiudiziale), del d.m. n. 127 del 2004 (applicabile “ratione
temporis”), i rimborsi ed i compensi previsti per le prestazioni
stragiudiziali sono dovuti dal cliente anche se il professionista abbia
prestato la sua opera in giudizio e sempre che tali prestazioni non
siano connesse e complementari con quelle giudiziali, sì da costituirne
il naturale completamento, nel qual caso compete al difensore
unicamente il compenso per l’assistenza giudiziale, con le eventuali
maggiorazioni previste per la complessità delle questioni giuridiche
trattate e per l’importanza della causa, tenuto conto dei risultati del
giudizio e dell’urgenza richiesta Cass. Sez. Unite, 24 luglio 2009, n.
17357; Cass. Sez. 2, 19 ottobre 2021, n. 28855; Cass. Sez. 2, 7
ottobre 2020, n. 21565; Cass. Sez. 1, 19 ottobre 2017, n. 24682).

Nel caso in esame, è lo stesso ricorrente principale che deduce che
l’attività stragiudiziale da lui espletata era “necessaria e ed
indefettibile in quanto propedeutica” al procedimento per la nomina
dell’amministratore di sostegno, nonché alle denunce penali inoltrate.
Spetta comunque al giudice del merito, involgendo un apprezzamento
di fatto, accertare la connessione o la complementarità delle
prestazioni stragiudiziali rispetto alle attività propriamente
processuali, verificandone in concreto la corrispondenza con le
tipologie contemplate dalla tariffa giudiziale anzidetta e restando
irrilevante la presunta inevitabilità della lite, l’unitarietà dell’interesse
del cliente e l’eventuale esito negativo delle trattative. Tale
apprezzamento è stato adempiuto dalla Corte d’appello di Roma, la
quale ha affermato che tra le parti era intercorso “un unico
mandato, volto a definire il patrimonio dei nonni e della madre
della Sagna, verificarne la corretta gestione e, eventualmente la
necessità di azioni a tutela”, e che “l’attività stragiudiziale, una
volta proposta l’azione civile per la nomina di un amministratore di
sostegno per il nonno, Giuseppe Persichetti. e la denuncia per
circonvenzione di incapaci, con l’avvio del procedimento penale” si
poneva “in un rapporto di necessaria strumentalità e dipendenza,
così perdendo ogni autonomia riguardo la liquidazione dei
compensi spettanti al professionista”. Non sussiste al riguardo,
pertanto, la denunciata violazione della fattispecie astratta di
norme di diritto, né la falsa applicazione delle stesse alla
fattispecie in concreto accertata, mentre il giudizio di fatto espresso
dai giudici di secondo grado non è stato censurato con i motivi in
esame ai sensi dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. Né, in relazione al
tema di lite, è dirimente accertare se fosse stata data esecuzione a
distinti incarichi professionali o ad un unico incarico, quanto verificare
se le dedotte prestazioni stragiudiziali rese dall’avvocato Alessandro
Santoro imponessero un distinto compenso, o se invece, giacché tutte
comunque connesse e complementari con quelle giudiziali, al
professionista spettassero gli onorari per la sola assistenza in
giudizio, da maggiorare semmai – come qui riconosciuto dai giudici
del merito – in relazione alla complessità delle questioni giuridiche
trattate e all’importanza della controversia.

3.1.2. Parimenti corretto in diritto è l’operato della Corte d’appello
che, per le difese svolte in sede penale, ha liquidato € 9.781,00,
mentre, per le prestazioni giudiziali civili, ha fatto applicazione
degli onorari per i procedimenti davanti al giudice tutelare,
stimando la causa come di valore indeterminato, e praticando la
maggiorazione fino al doppio dei massimi stabiliti, ai sensi dell’art. 5
della tariffa giudiziale.

Innanzitutto, deve ritenersi controversia di valore indeterminabile, ai
sensi e per gli effetti degli artt. 9 c.p.c. e 6 della tabella forense
approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127, il procedimento per
l’istituzione dell’amministrazione di sostegno, come ogni altra
controversia relativa allo stato ed alla capacità delle persone, in
quanto, per il loro contenuto intrinseco, esse non sono suscettibili di
valutazione economica (Cass. Sez. 3, 6 agosto 1965, n. 1877).

Inoltre, in tema di liquidazione del compenso dovuto dal cliente
all’avvocato, la valutazione della straordinaria importanza delle
questioni, o dei risultati del giudizio, dei vantaggi conseguiti, nonché
dell’urgenza richiesta per il compimento di singole attività, che
consente di “arrivare fino al quadruplo dei massimi stabiliti, previo
parere del Consiglio dell’Ordine” (art. 5, comma 3, Capitolo I della
tariffa giudiziale in materia civile), è rimessa al prudente
apprezzamento del giudice del merito, la cui discrezionalità si esplica
già nella determinazione del compenso, sulla base dei medesimi
parametri, tra i minimi e i massimi stabiliti nella tabella allegata alla
tariffa stessa; pertanto, l’aver attribuito particolare rilevanza all’opera
prestata a questo specifico fine non impone che detta rilevanza debba
comportare un livello così elevato da giustificare il riconoscimento del
quadruplo dei massimi, neppure essendo il giudice obbligato a
motivare il mancato uso della massima maggiorazione consentita
dalla legge (arg. da Cass. Sez. 2, 2 agosto 2005, n. 16132).

Parimenti quanto all’aumento fino al quadruplo dei massimi
consentito dall’art. 1, comma 2, Capitolo II, della Tariffa penale.

3. L’ottavo motivo del ricorso di Alessandro Santoro deduce la
“violazione di legge” in ordine al “mancato rimborso della tassa di
opinamento del parere di congruità emesso dall’Ordine” e falsa
applicazione del D.M. n. 127/2004 relativamente ai compensi per
l’attività giudiziale in sede penale.
3.1. Questo motivo è fondato proprio in applicazione del principio di
diritto richiamato nella sentenza impugnata.

Il già menzionato art. 5, comma 3, Capitolo I della tariffa giudiziale in
materia civile approvata con D.M. 8 aprile 2004, n. 127, applicabile in
tema di liquidazione del compenso dovuto dal cliente all’avvocato,
prevede la possibilità di superare i massimi stabiliti per gli onorari fino
al quadruplo degli stessi, “previo parere del Consiglio dell’Ordine”.

L’art. 4, comma 2, Capitolo I della tariffa giudiziale di cui al D.M. 8
aprile 2004, n. 127, stabilisce che qualora fra le prestazioni
dell’avvocato e l’onorario previsto dalle tabelle appaia, per particolari
circostanze del caso, una manifesta sproporzione, possono essere
superati i massimi indicati nelle tabelle, anche oltre il raddoppio
previsto dal successivo art. 5, “purché la parte che vi abbia interesse
esibisca il parere del competente Consiglio dell’ordine”. Avendo la
stessa Corte d’appello riconosciuto la maggiorazione – fino al doppio
– dei massimi stabiliti, “ai sensi dell’art. 5 delle citate tariffe
professionali”, la spesa inerente alla richiesta del parere in questione
deve essere rimborsata dal cliente a titolo di danno emergente,
essendo risultato l’esborso utile in relazione all’esito del giudizio
(Cass. Sez. 2, 10 febbraio 1986, n. 839; Cass. Sez. 2, 22 gennaio
1982, n. 433; arg. anche da Cass. Sez. Unite, 10 luglio 2017, n.
16990).

4.Il nono motivo del ricorso principale deduce la violazione e/o
falsa applicazione dell’art. 96, comma 3, c.p.c., per il mancato
riconoscimento della responsabilità processuale aggravata di
Beatrice Sagna.

4.1. Questo motivo rimane assorbito dall’accoglimento, seppur
parziale, del ricorso principale (nonché, come si vedrà, del ricorso
incidentale), attenendo esso alla configurabilità della responsabilità
aggravata ex art. 96 c.p.c. della controparte, e dunque a statuizione
che, per il suo carattere accessorio, viene comunque travolta dalla
disposta cassazione della sentenza impugnata.

5. Il decimo motivo del ricorso principale denuncia la violazione
dell’art. 88 c.p.c., per essere stata negata la cancellazione di due frasi
offensive.

5.1. Il motivo va respinto in quanto la cancellazione di frasi o parole
ingiuriose contenute negli scritti difensivi è rimessa al potere
discrezionale del giudice di merito, che può disporla anche d’ufficio a
norma dell’art. 89 c.p.c., costituendo l’istanza di cancellazione
costituisce una mera sollecitazione per l’esercizio dell’anzidetto potere
discrezionale, di guisa che non può formare oggetto di impugnazione
per cassazione l’omesso esercizio del suddetto potere (Cass. Sez. 3,
20/10/2009, n. 22186).

6. Il primo motivo del ricorso incidentale di Beatrice Sagna denuncia
la violazione dell’art. 1 del D.M. n. 127 del 2004 e l’omesso esame. Si
espone che la Corte di Appello, nel ritenere fondate le censure
mosse dall’appellante principale, con rinvio alle contestazioni
mosse nella memoria ex art. 183 c.p.c. depositata davanti al
Tribunale, ha rideterminato i compensi professionali decurtandoli
esclusivamente in relazione ad alcune voci (predisposizione della
querela, esame e collazione, vacazione), disattendendo la richiesta
in relazione anche alle censure mosse in ordine alle altre causali
(predisposizione memoria integrativa, predisposizione atto dì
integrazione di denuncia e richiesta di sequestro), omettendo
altresì di rideterminare gli importi per altre voci analoghe (esame
documenti). La censura prosegue evidenziando che la Corte
d’appello ha correttamente quantificato in € 45,00 la voce “esame
e collazione”, come l’esame dei tre documenti allegati alla
denuncia, senza però operare la medesima riduzione per altre voci
analoghe.

Il secondo motivo del ricorso incidentale di Beatrice Sagna denuncia
la violazione degli artt. 1, 3, 5, 6 e 11 del D.M. n. 127 del 2004. Qui
si evidenzia che l’avvocato Santoro non aveva portato a compimento
il procedimento di amministrazione di sostegno, essendo stato
revocato il 9 dicembre 2011, ed essendo poi morto l’amministrato il
20 giugno 2012.

Si contesta altresì la misura dei diritti liquidati in € 1.000,00, essendo
in tabella previsto l’importo massimo di € 161,00.
6.1. Il primo ed il secondo motivo del ricorso incidentale di Beatrice
Sagna sono fondati nei termini di seguito indicati.

La sentenza impugnata, affermando che “i compensi per l’attività
svolta nel giudizio penale vanno così determinati in 9781,00 euro,
sottraendo dall’importo richiesto di 13.046.00 euro, 1000,00 euro
alla voce riguardante la predisposizione della querela; 795,00
euro, alla voce ‘esame e collazione’, 1470 euro, alla voce
vacazione prevista per due volte in 780,00 euro, liquidandosi,
invece, 90 euro, 45 euro, cadauno, come previsto in parcella per
voci analoghe”, non ha dato motivata risposta alle specifiche
contestazioni avanzate dall’appellante principale, che la stessa
Corte d’appello ha ricondotto ad uno “stralcio delle memorie ex
art. 183 cpc”, e delle quali ha dichiarato di tener conto “in un
raffronto con la parcella e la decisione del tribunale”.

La circostanza che il procedimento di amministrazione di sostegno
fosse stato iniziato, ma non compiuto col patrocinio dell’avvocato
Santoro, sicché la Sagna avrebbe dovuto gli onorari e i diritti soltanto
per l’opera svolta fino alla cessazione del rapporto professionale,
effettivamente non risulta esaminata nella sentenza impugnata; la
ricorrente incidentale, però, non adempie all’onere, prescritto a pena
di inammissibilità dall’art. 366, comma 1, n. 6, c.p.c., di specificare
“come” e “quando” tale circostanza fosse stata oggetto di discussione
processuale tra le parti nei pregressi gradi di merito, al fine di
smentire la “novità” di tale profilo di fatto introdotto nel giudizio di
cassazione.

I diritti liquidati in € 1.000,00 risultano poi eccedenti rispetto
all’importo massimo di € 161,00 fissato nella Tabella B II
procedimenti speciali, 75, allegata al D.M. n. 127 del 2004, in
relazione alle materie di competenza del giudice tutelare.

7. Il terzo motivo del ricorso incidentale di Beatrice Sagna denuncia la
violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. per la disposta compensazione
parziale delle spese processuali.

7.1. Questo motivo rimane assorbito dall’accoglimento, seppur
parziale, del ricorso principale e del ricorso incidentale, attenendo
esso alla regolamentazione delle spese di lite, e dunque a statuizione
che, per il suo carattere accessorio, viene comunque travolta dalla
disposta cassazione della sentenza impugnata.

8. Conseguono: l’accoglimento dell’ottavo motivo del ricorso di
Alessandro Santoro, l’assorbimento del nono motivo ed il rigetto dei
restanti motivi del ricorso principale; l’accoglimento, nei limiti di cui in
motivazione, del primo e del secondo motivo del ricorso incidentale di
Beatrice Sagna e l’assorbimento del terzo motivo; la cassazione della
sentenza impugnata in relazione alla censure accolte, con rinvio alla
Corte d’appello di Roma in diversa composizione, la quale riesaminerà
la causa tenendo conto dei rilievi svolti ed uniformandosi ai richiamati
principi, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di
cassazione.

P.Q.M.

La Corte accoglie l’ottavo motivo del ricorso di Alessandro Santoro,
dichiara assorbito il nono motivo e rigetta i restanti motivi del ricorso
principale; accoglie, nei limiti di cui in motivazione, il primo ed il
secondo motivo del ricorso incidentale di Beatrice Sagna e dichiara
assorbito il terzo motivo; cassa la sentenza impugnata in relazione
alle censure accolte e rinvia la causa, anche per le spese del giudizio
di cassazione, alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda sezione
civile della Corte Suprema di cassazione, il 27 febbraio 2023.