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Cassazione Civile 8773/2022 – Responsabilità medica – Danni da emotrasfusioni – Risarcimento del danno parentale subito dai congiunti – Compensatio lucri cum damno

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Ordinanza 8773/2022

Responsabilità medica – Danni da emotrasfusioni – Risarcimento del danno parentale subito dai congiunti – Detrazione delle somme liquidate in loro favore a titolo di risarcimento del danno parentale – Compensatio lucri cum damno

Nel giudizio promosso nei confronti del Ministero della salute per il risarcimento dei danni conseguenti al contagio a seguito di emotrasfusioni con sangue infetto, l’indennizzo “una tantum”, previsto dall’art. 2, comma 3, della l. n. 210 del 1992 in favore dei congiunti del danneggiato che sia deceduto a causa del contagio, dev’essere scomputato – in applicazione del principio della “compensatio lucri cum damno” – dalle somme liquidabili in loro favore a titolo di risarcimento del danno parentale, spettandogli tale beneficio “iure proprio” e non “iure hereditario”, e dunque anche quando la persona contagiata, prima di morire, abbia ottenuto il riconoscimento dell’indennizzo di cui all’art. 1 della medesima legge.

Posizione processuale delle parti giudizio di rinvio – Posizione delle parti – Riproposizione delle impugnazioni

Nel procedimento di rinvio davanti al giudice di secondo grado le parti mantengono le stesse posizioni che avevano assunto nel giudizio di appello, e pertanto non sono obbligate a riproporre le impugnazioni principali o incidentali già proposte, essendo il giudice del rinvio comunque tenuto a riesaminarle tutte, anche ove l’originario appellante resti contumace nel detto procedimento di rinvio.

Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 17-3-2022, n. 8773   ()CED Cassazione 2022)

Art. 2043 cc (Risarcimento per fatto illecito) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1. Il 22 gennaio 1998 decedeva (OMISSIS), a causa delle complicazioni di una infezione da HCV contratta in seguito ad una trasfusione con sangue infetto.

Nel 2002 la vedova ( (OMISSIS)) e le due figlie della vittima ( (OMISSIS) e (OMISSIS)) convennero dinanzi al Tribunale di Roma il Ministero della salute, chiedendone la condanna risarcimento dei danni patiti iure proprio e iure successionis in conseguenza dei fatti sopra descritti.

Nell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado le attrici dedussero espressamente (pagina 2, punto 7), che “il ministero della salute liquidava agli eredi del signor (OMISSIS) l’indennizzo ex L. n. 210 del 1992”.

2. Con sentenza 8.2.2006 n. 2797 il Tribunale di Roma accolse la domanda.

La sentenza venne appellata in via principale dal Ministero della salute, il quale si dolse del rigetto dell’eccezione di prescrizione; ed in via incidentale dalle originarie attrici le quali lamentarono una insufficiente liquidazione del danno.

3. Con sentenza 23.5.2011 n. 2236 la Corte d’appello di Roma accolse il gravame del Ministero e dichiarò prescritto il credito risarcitorio. Con sentenza 23.6.2014 n. 14181 questa Corte rigettò il ricorso proposto dalle tre attrici originarie.

Con sentenza 8.4.2016 n. 6840 questa Corte, accogliendo il ricorso per revocazione proposto dalle originarie attrici, previa revoca della propria sentenza 14181/14, cassò con rinvio la sentenza d’appello.

4. Con sentenza 3240/19 la Corte d’appello di Roma, tornata a riesaminare il gravame del Ministero, lo accolse in parte e dichiarò prescritto il diritto al risarcimento del danno acquisito dalle attrici iure successionis. Confermò, invece, la statuizione con cui il Tribunale aveva accolto la domanda di risarcimento del danno patito dalle attrici iure proprio.

3. La sentenza pronunciata in sede di rinvio è stata impugnata per cassazione dal Ministero della salute con ricorso fondato su un solo motivo.

Hanno resistito con controricorso (OMISSIS) e (OMISSIS), nelle more del giudi7io divenute altresì eredi di (OMISSIS).

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con l’unico motivo di ricorso il Ministero lamenta la violazione dell’art. 1223 c.c., per avere il giudice di rinvio trascurato di considerare che il ministero aveva già corrisposto alle tre eredi il 20 giugno 2001 l’indennità una tantum, prevista dalla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, pari a Lire 150.000.000, vale a dire Euro 77.468,53.

1.1. Le controricorrenti hanno eccepito l’inammissibilità del ricorso sotto vari aspetti ed in particolare:

-) per omessa indicazione degli atti e dei fatti sui quali il ricorso si fonda, ex art. 366 c.p.c., n. 6;

-) per avvenuta formazione del giudicato interno. Tale eccezione viene basata sul presupposto che nel giudizio di rinvio il Ministero della salute si costituì “senta reiterare formalmente il proprio appello originario”, così implicitamente rinunciando all’impugnazione originariamente proposta, con la quale era stata invocata l’applicazione del principio della compensatio lucri cum damno.

1.2. La prima delle suddette eccezioni è infondata, dal momento che:

a) il ricorso espone con sufficiente chiarezza lo svolgimento del processo (pagine 1-5);

b) il ricorso prospetta una questione di puro diritto (e cioè stabilire se la persona danneggiata da una infezione causata da emotrasfusione possa pretendere di cumulare il risarcimento del danno aquiliano con l’indennizzo previsto dalla L. n. 210 del 1992); esso dunque non si fonda su atti processuali o documenti che si assumono male interpretati o trascurati dal giudice di merito, e che pertanto il ricorrente avrebbe avuto l’onere di allegare ed indicare ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

1.3. Anche la seconda delle eccezioni pregiudiziali di rito sollevate dalle controricorrenti è infondata.

Infatti nel giudizio di rinvio, riassunto dopo la cassazione d’una sentenza d’appello, le parti mantengono le stesse posizioni rivestite nel primo giudizio di appello.

Esse quindi non sono obbligate a riproporre le impugnazioni principali o incidentali già proposte (ex multis, Sez. L, Sentenza n. 14306 del 20/06/2007, Rv. 598076 – 01; Sez. L, Sentenza n. 9808 del 09/10/1997, Rv. 508666 – 01).

Il giudice di rinvio, infatti, è tenuto a riesaminare sempre e comunque tutte le impugnazioni già proposte, persino nel caso in cui l’originario appellante resti contumace nel giudizio di rinvio (Sez. 1, Sentenza n. 4276 del 05/07/1980, Rv. 408140 – 01).

Ovviamente è ben possibile che una delle parti appellanti, una volta introdotto il giudizio di rinvio ex art. 392 c.p.c., ritenga di rinunciare all’impugnazione originariamente proposta, e parimenti è consentito che la rinuncia avvenga anche implicitamente (Sez. 1, Sentenza n. 2550 del 03/05/1979, Rv. 398877 – 01).

Ma per potersi affermare la sussistenza d’una “rinuncia implicita” occorrono pur sempre comportamenti inequivoci, e cioè atti che nessun altro significato potrebbero rivestire, se non quello di rinunciare all’impugnazione.

Nel nostro caso, però, il Ministero della salute non ha affatto tenuto comportamenti dimostrativi in modo inequivoco della volontà di rinunciare all’impugnazione della sentenza di primo grado, nella parte in cui aveva rigettato l’eccezione di compensatio lucri cum damno.

Aggiungasi che, in ogni caso, la suddetta eccezione è rilevabile d’ufficio; che nel giudizio di primo grado le parti avevano ampiamente discusso in merito ad essa; che l’avvenuta percezione dell’indennizzo era stata ammessa dalle stesse attrici, le quali avevano dedicato ampia parte dell’atto di citazione a sostenere la cumulabilità del risarcimento con l’indennizzo.

Il tema della compensatio, pertanto, non solo non poteva dirsi “implicitamente rinunciato” da parte del Ministero, ma anzi poteva e doveva essere rilevato ex officio dalla Corte d’appello, in quanto acquisito al dibattito processuale e oggetto del thema decidendum.

1.4. Nel merito, il motivo è fondato.

Questa Corte, infatti, ha stabilito che quando, in conseguenza di un fatto illecito, la persona danneggiata ottenga anche un vantaggio patrimoniale, quest’ultimo va defalcato dal risarcimento allorchè ricorrano due ipotesi alternative:

a) o quando il medesimo soggetto sia tenuto sia al pagamento del risarcimento, sia al pagamento dell’ulteriore vantaggio economico a favore della vittima (Sez. U, Sentenza n. 584 del 11/01/2008, Rv. 600919 – 01);

b) oppure quando il vantaggio economico percepito dalla vittima abbia una funzione lato sensu risarcitoria, a concli7ione che la legge consenta a chi l’ha pagato di recuperarne l’importo dal responsabile (Sez. U, Sentenze n. 12564, 12565, 12566 e 12567 del 22/05/2018).

1.5. Nel caso di specie ricorre la prima delle suddette condi7ioni. Infatti il soggetto convenuto con l’azione di danno (il Ministero della salute) è il medesimo soggetto passivamente legittimato rispetto alla domanda di pagamento dell’indennizzo ex L. n. 210 del 92, “in quanto soggetto pubblico che decide in sede amministrativa pronunciandosi sul ricorso di chi chiede la prestazione assistenziale”, come già ripetutamente affermato da questa Corte (Sez. U, Sentenza n. 12538 del 09/06/2011, Rv. 617317 01, ove si aggiunge che la legittimazione delle Regioni sussiste solo quando l’attore lamenti il ritardato pagamento del beneficio già concesso).

Pertanto, sussistendo identità soggettiva tra il debitore del risarcimento e il debitore dell’indennizzo, è doveroso defalcare questo da quello (Sez. 3 -, Sentenza n. 8532 del 06/05/2020, Rv. 657813 – 02; Sez. 3, Sentenza n. 6573 del 14/03/2013, Rv. 625543 – 01).

1.5. Le osservazioni appena svolte non sono superate dalle controdeduzioni svolte dalle parti controricorrenti.

Esse hanno dedotto, in primo luogo, che il Ministero della salute non avrebbe mai “allegato nè provato” l’erogazione in loro favore del beneficio una tantum previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, sicchè – questo il succo della censura – la questione prospettata in questa sede sarebbe nuova.

Tale eccezione è infondata, per due ragioni.

La prima ragione è che l’eccezione di compensatio lucri cum damno venne sollevata dal Ministero sin dal primo grado del presente giudizio, e poi riproposta come motivo di gravame (5 4 dell’appello del Ministero, le cui pagine non sono numerate); e su essa le odierne controricorrenti ebbero modo di prendere posizione e difendersi sin dalla comparsa conclusionale depositata in primo grado (pp. 6-8).

La seconda ragione consiste nel fatto che l’avvenuta percezione dell’indennizzo ex L. n. 210 del 1992, come già rilevato, venne ammessa dalle odierne controricorrenti nell’atto introduttivo del giudizio di primo grado (pp. 2 e 7).

1.6. Con una seconda eccezione le controricorrenti hanno dedotto che “le attuali ricorrenti (sii; leggasi in realtà “controricorrenti”) non hanno mai richiesto alcun indennizzo o, se si vuole, proposta domanda di indennizzo, atteso che una tale domanda fu formulata da (OMISSIS), ovviamente ancora vivo” (così il controricorso, p. 9). Hanno perciò eccepito che “l’erogazione ragionevolmente attiene ai ratei delle mensilità maturate da (OMISSIS) prima del decesso, e versate dopo”.

Tale eccezione appare tuttavia in singolare contrasto con quanto dedotto dalle odierne controricorrenti a p. 1 dell’atto di citazione introduttivo del giudizio di primo grado, ove si legge che (OMISSIS) venne a mancare il 22.1.1997, e che “a seguito del decesso (di (OMISSIS)) la signora (OMISSIS), in qualità di erede del signor Giorgio (OMISSIS), esperiva nei confronti del Ministero della salute, ai sensi della L. n. 210 del 1992, domanda per la richiesta dell’indennizzo concesso a favore dei soggetti danneggiati da complicane di tipo irreversibile a causa di trasfusioni” e che “successivamente il Ministero liquidava agli eredi del signor (OMISSIS) l’indennizzo ex L. n. 120 del 1992”.

Tali ultime affermazioni costituiscono una confessione giudiziale, ex art. 2733 c.c., vincolante per chi l’ha resa ai sensi della norma appena ricordata, comma 2.

Nè il contrasto tra l’atto di citazione ed il controricorso, su questo punto, può interpretarsi come manifestazione della volontà di revocare la confessione. Quest’ultima, infatti, può essere revocata solo per errore di fatto o violenza (art. 2732 c.c.), ma nel nostro caso l’uno o l’altra non sono mai stati neanche prospettati.

1.7. Con una terza eccezione le controricorrenti deducono che nel caso di specie il principio della compensatio lucri cum damno non potrebbe trovare applicazione, a causa della diversità fra la natura del risarcimento loro accordato (inteso a ristorare il danno sofferto iure proprio in conseguenza della morte del rispettivo marito e padre), e la natura dell’indennizzo una tantum previsto dalla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, inteso invece ad indennizzare il diverso danno sofferto dalla vittima primaria, e che a causa della morte di quest’ultima non potrebbe che essere versato agli eredi.

1.8. Tale deduzione è infondata, in quanto l’indennizzo di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, spetta agli aventi diritto iure proprio, e non iure hereditario, come già stabilito da questa Corte (ex multi s, tra le più recenti, Sez. L -, Sentenza n. 26842 del 25/11/2020, Rv. 659632 – 01; Sez. L -, Sentenza n. 11407 del 11/05/2018, Rv. 648818 – 01).

Tanto si desume:

-) dal fatto che la legge parla di “aventi diritto”, e “non di eredi”;

-) dal fatto che tra gli aventi diritto la legge prevede un ordine successivo (la presenza del coniuge esclude il beneficio per i figli, quella dei figli esclude il beneficio per i fratelli, e così via), incompatibile con le previsioni degli artt. 571 e 581 c.c.;

-) dal fatto che il beneficio è accordato ai soli familiari viventi a carico, requisito non necessario per l’acquisto della qualità di erede;

-) dal fatto che l’assegno una tantum è accordato “anche nel caso in cui il reddito della persona deceduta non rappresenti l’unico sostentamento della famiglia”, precisazione inspiegabile se davvero l’indennizzo di cui si discorre fosse attribuito ai superstiti jure hereditario;

-) dal fatto, infine (ma è quel che più rileva), che l’indennizzo una tantum di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, spetta agli aventi diritto ivi elencati anche quando la persona contagiata, prima di morire, abbia ottenuto il riconoscimento dell’indennizzo di cui alla suddetta Legge, art. 1, come già affermato da questa Corte (ex multis, Sez. 6 L, Ordinanza n. 19502 del 23/07/2018; Sez. L -, Sentenza n. 26842 del 25/11/2020).

1.9. La rilevata erroneità della sentenza d’appello non ne impone, tuttavia, la cassazione con rinvio.

Infatti, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito da questa corte, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2.

A tal fine giova premettere che l’indennizzo una tantum di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, spetta non a tutti i prossimi congiunti della vittima, nè agli eredi, ma solo ai familiari indicati dalla legge che siano “viventi a carico” (Sez. L -, Sentenza n. 11407 del 11/05/2018, Rv. 648818 – 01).

Il beneficio, inoltre, spetta “nell’ordine” elencato dalla legge, vale a dire che l’attribuzione del beneficio al coniuge esclude l’attribuzione ai figli; l’attribuzione ai figli esclude il beneficio per i genitori, e così via.

1.9.1. Nel caso di specie nell’atto di citazione introduttivo del presente giudizio le attrici allegarono che (OMISSIS) era casalinga e conviveva col marito. Tale allegazione non è stata mai contestata dal Ministero, ed in ogni caso è stata accertata dalla sentenza impugnata, con statuizione non oggetto di censura.

Deve di conseguenza ritenersi sussistente, per (OMISSIS), il requisito della convivenza carico con la vittima primaria.

Inoltre, poichè il beneficio di cui si discorre, come già detto, spetta ai superstiti “nell’ordine” successivo indicato dalla legge, l’attribuzione di esso ad (OMISSIS) esclude dal beneficio le due figlie della vittima. Ne consegue che l’eccezione di compensatio lucri cum damno sollevata dal Ministero della salute va rigettata nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre va accolta nei confronti di (OMISSIS).

Il solo risarcimento spettante a quest’ultima, pertanto, va ridotto in misura pari all’indennizzo stabilito dalla legge, che la stessa (OMISSIS) dichiarò di avere chiesto dopo la morte del proprio coniuge, ed ottenuto (pp. 1-2 dell’atto di citazione in primo grado).

1.9.2. Per quanto attiene il quantum debeatur, la corte d’appello ha liquidato il danno patito da (OMISSIS) in Euro 165.960 nel 2019.

Tale importo, rivalutato ad oggi in base al coefficiente del costo della vita per le famiglie di operai e impiegati calcolato dall’Istat e relativo a maggio 2019 (1,049) ammonta ad Euro 174.092,04 (per la necessità che, in tema di obbligazioni di valore, il giudice il quale proceda ad una nuova liquidazione del danno debba provvedere ex officio alla rivalutazione del credito, si veda ex multis, da ultimo, Sez. 1 -, Ordinanza n. 6711 del 10/03/2021, Rv. 660829- 01).

1.9.3. Dal suddetto credito deve essere detratto l’importo di Euro 77.468,53, il cui pagamento (secondo quanto riferito dal Ministero, con allegazione non contrastata) è avvenuto il 20 giugno 2001.

Il diffalco del suddetto indennizzo dal credito risarcitorio deve avvenire con i criteri ripetutamente affermati da questa corte, e cioè:

a) rivalutando ad oggi il pagamento già ricevuto, e sottraendolo dal credito risarcitorio;

b) calcolando gli interessi compensativi al saggio legale (così determinato dalla Corte d’appello, con statuizione non impugnata) sull’intero credito risarcitorio, per il periodo che va dalla data dell’evento dannoso al versamento dell’acconto, con i criteri stabiliti da Cass. sez. un. 1712/95;

c) calcolando interessi compensativi, con i medesimi criteri, sulla somma residua dopo la detrazione dell’acconto rivalutato, per il periodo che va dalla corresponsione dell’acconto alla data della liquidazione (ex multis, Sez. 3, Sentenza n. 28039 del 14.10.2021; Sez. L, Ordinanza n. 9654 del 13.4.2021; Sez. 3 -, Sentenza n. 9950 del 20/04/2017, Rv. 643854 – 02).

1.9.4. Dall’applicazione dei suddetti principi al caso di specie discende che il credito in conto capitale già spettante ad (OMISSIS) va liquidato in Euro 67.650,28, pari ad Euro 174.092,04 (credito liquidato dalla Corte d’appello e rivalutato ad oggi) meno Euro 106.441,76 (importo dell’assegno una tantum di cui alla L. n. 210 del 1992, art. 2, comma 3, rivalutato ad oggi in base all’indice del costo della vita per le famiglie di operai ed impiegati calcolato dall’Istat e relativo a giugno 2001, pari ad 1,374).

1.9.5. Alla danneggiata, e per essa alle sue eredi, spetta altresì il risarcimento del danno da ritardato adempimento, ex art. 1219 c.c. (interessi compensativi di mora).

Il computo degli interessi compensativi dovuti al creditore di una obbligazione di valore deve avvenire in base a due variabili:

a) il saggio;

b) la base di calcolo.

Per quanto attiene il saggio, nel caso di specie esso è già stato determinato dal giudice d’appello in misura pari a quella legale, con statuizione non impugnata.

Per quanto attiene la base di calcolo, essa è pari al credito espresso in moneta dell’epoca del fatto illecito per il primo anno, e in moneta rivalutata de anno in annum per ciascuno degli anni successivi (Sez. U, Sentenza n. 1712 del 17/02/1995, Rv. 490480 – 01).

Sostanzialmente equivalente a tale criterio è l’altro, consistente nell’applicare il saggio degli interessi compensativi su una base di calcolo pari alla semisomma tra il credito espresso in moneta originaria, e il credito rivalutato (ex multis, Sez. 1 -, Ordinanza n. 7466 del 19/03/2020, Rv. 657490 – 01).

Ritiene il Collegio, per semplicità di calcolo, di adottare tale ultimo sistema.

La base di calcolo per il computo della mora sarà dunque pari:

a) per il periodo tra la morte di (OMISSIS) (22.1.1997) al pagamento dell’assegno una tantum (20.6.2001) alla media tra Euro 116.216,31 (credito in moneta del 1997) ed Euro 126.704,54 (credito in moneta del 2001), ovvero Euro 121.460,43;

b) per il periodo tra il pagamento dell’assegno una tantum (20.6.2001) e la data dell’odierna ordinanza (12.1.2022) la base di calcolo degli interessi compensativi sarà invece pari alla media tra Euro 49.236,01 (capitale residuo devalutato al 2001) e 67.650,28 (capitale residuo in moneta attuale), ovvero Euro 58.443,14.

Il credito complessivo già spettante ad (OMISSIS) si espone per maggior chiarezza nella tabella che segue:

(Ndr: testo originale non comprensibile) Per la tabella vedere pdf.

Tale credito andrà ripartito tra (OMISSIS) e (OMISSIS) in parti uguali, ex art. 566 c.c., e dunque in misura di Euro 53.787,26 ciascuna.

1.10. Per effetto della liquidazione compiuta con la presente ordinanza, il credito delle ricorrenti è divenuto una obbligazione di valuta. Sull’intero credito come sopra liquidato, pertanto, a partire dalla data di deliberazione della presente ordinanza (12.1.2022) decorreranno gli interessi nella misura legale ex art. 1282 c.c..

2. La decisione della causa nel merito impone in questa sede la liquidazione delle spese dei due giudizi di appello e del precorso giudizio di legittimità.

A tal riguardo ritiene tuttavia questa Corte che in considerazione dell’esito della lite, e della soccombenza finale del Ministero, vada confermata la statuizione di compensazione per metà delle spese dei precedenti gradi di merito, di cui al punto 3, lettere (a), (b), (c), (d) ed (e) della sentenza di rinvio.

Le spese del presente giudizio di legittimità vanno invece compensate per intero, in considerazione del fatto che il ricorso del Ministero è stato accolto solo con riferimento alla posizione di (OMISSIS), mentre si è rivelato infondato nei confronti di (OMISSIS) e (OMISSIS).

P.Q.M.

(-) accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata nella parte in cui ha liquidato il danno patito da (OMISSIS) e, decidendo nel merito, condanna il Ministero della Salute al pagamento in favore di (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), della somma di Euro 53.787,26 ciascuna, oltre interessi legali dalla data della presente ordinanza;

(-) conferma le statuizioni della sentenza impugnata in punto di regolazione delle spese di lite;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità.

In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi a norma del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, art. 52, in quanto imposto dalla legge.