Ordinanza 8849/2021
Responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico per il danno cagionato dall’alunno a sé stesso – Onere della prova
In caso di responsabilità contrattuale dell’istituto scolastico per il danno cagionato dall’alunno a sé stesso, il regime di distribuzione dell’onere probatorio di cui all’art. 1218 c.c. fa gravare sulla parte che si assume inadempiente (o non esattamente adempiente) l’onere di fornire la prova positiva dell’avvenuto adempimento (o dell’esattezza dello stesso), mentre il principio generale espresso dall’art. 2697 c.c. fa gravare sull’attore la prova del nesso causale fra la condotta dell’obbligato inadempiente e il pregiudizio di cui si chiede il risarcimento. (Nella specie, la S.C. ha confermato la decisione dei giudici di merito che avevano respinto la domanda risarcitoria, avanzata dal genitore di un’allieva caduta durante l’orario scolastico, in difetto di deduzioni relative al nesso di derivazione causale tra la violazione dei doveri di vigilanza assunti dalla scuola e il danno lamentato).
Cassazione Civile, Sezione 6-3, Ordinanza 31-3-2021, n. 8849 (CED Cassazione 2021)
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
Ritenuto che:
(OMISSIS), in proprio e quale titolare della responsabilità genitoriale nei confronti di (OMISSIS), ricorre per la cassazione della sentenza del Tribunale di Locri n. 1554/2018, pubblicata il 14 dicembre 218, avvalendosi di tre motivi, illustrati con memoria che, essendo pervenuta tardivamente, non può essere presa in esame.
Nessuna attività difensiva è svolta dagli intimati in questa sede.
La ricorrente espone in fatto di avere convenuto in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Locri, il Ministero dell’Università e della ricerca nonchè la Scuola (OMISSIS), al fine di ottenere il risarcimento dei danni alla persona subiti da (OMISSIS) durante l’orario scolastico.
I convenuti eccepivano l’infondatezza della domanda e comunque chiedevano di chiamare in giudizio (OMISSIS) s.a.
Il Giudice di Pace, con sentenza n. 781/2016 rigettava la domanda.
Il Tribunale di Locri, investito dell’appello, con la sentenza oggetto del presente ricorso, confermava quella di prime cure e regolava le spese di lite e di CTU.
Avendo ritenuto sussistenti le condizioni per la trattazione ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., il relatore designato ha redatto proposta, che è stata ritualmente notificata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza della Corte.
Considerato che:
- Con il primo motivo la ricorrente deduce la “Violazione e/o falsa applicazione di norme di diritto ex art. 360 1, n. 3, 4, 5 c.p.c. in combinato disposto con l’art. 1218 e 2048 c.c.”, per avere il Tribunale del tutto disatteso le regole sulla distribuzione dell’onere della prova, gravandola di una probatio diabolica. In particolare, sarebbe errata la statuizione con cui il Tribunale affermava che non era stata fornita in giudizio la dimostrazione che la caduta di (OMISSIS) fosse conseguenza di un fatto illecito del terzo, ritenendo che la fattispecie in esame fosse quella del danno autoprovocato e che il genitore dell’alunno per ottenere il risarcimento del danno non bastava che deducesse che la caduta si era verificata durante l’orario scolastico, occorrendo la specifica deduzione della violazione dei doveri assunti dalla scuola (per mancanza di personale addetto di vigilanza, per lo svolgimento di attività pericolose senza protezioni o istruzioni, per avere consentito agli allievi di uscire dall’aula senza controllare la presenza di personale ausiliario in grado di controllare i corridoi).
La ricorrente invoca l’applicazione degli articoli 1218 e 2048 c.c., allo scopo di dimostrare che, nonostante la diversa operatività, essi convergono dal punto di vista dell’onere probatorio, imponendo entrambi alla parte convenuta di provare di aver fatto quanto in suo potere per evitare il danno.
Il motivo è inammissibile ed in parte infondato.
L’inammissibilità investe la deduzione del vizio di cui all’art. 360 comma 1, n. 5, c.p.c., stante il divieto di cui all’art. 348 ter c.p.c. (c.d. principio della doppia conforme) e la mancata dimostrazione da parte della ricorrente che la sentenza di appello e quella di primo grado abbiano assunto a base di riferimento oggettivo del proprio decidere fatti diversi; parimenti inammissibile è la deduzione del vizio di cui all’art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., non essendovi alcuna argomentazione giuridica a sostegno dello stesso.
L’infondatezza riguarda la asserita ricorrenza di un error in iudicando.
Va premesso che la Corte d’Appello ha ritenuto che la fattispecie in oggetto dovesse essere regolata applicando la disciplina della responsabilità per inadempimento di un’obbligazione, in linea con la giurisprudenza di questa Corte che, sin dalla pronuncia n. 2485/58, ritiene che l’art. 2048 c.c., comma 2, riferendosi espressamente al danno cagionato dal fatto illecito dell’allievo, presuppone un fatto obbiettivamente antigiuridico, lesivo di un terzo. “Ed allora, poichè non può ritenersi fatto illecito, obbiettivamente antigiuridico, la condotta dell’allievo che procuri danno, non già ad un terzo, ma a se stesso, questa ipotesi deve restare fuori dall’area dell’art. 2048, comma 2”, pena una radicale alterazione della struttura della norma, che delinea una ipotesi di responsabilità per fatto altrui, in quanto il precettore risponde verso il terzo danneggiato per il fatto illecito compiuto dall’allievo in danno del terzo, per non averlo impedito in ragione di una presunzione di culpa in vigilando, laddove nel caso di autolesione il precettore sarebbe ritenuto direttamente responsabile verso l’alunno per un fatto illecito proprio, consistente nel non aver impedito, violando l’obbligo di vigilanza, che venisse compiuta la condotta autolesiva (Cass., Sez. Un., 27/06/2002, n. 9346).
Nel caso di danno arrecato dall’allievo a se stesso, appare più corretto ricondurre la responsabilità dell’istituto scolastico e dell’insegnante non già nell’ambito della responsabilità extracontrattuale, con conseguente onere per il danneggiato di fornire la prova di tutti gli elementi costitutivi del fatto illecito di cui all’art. 2043 c.c., bensì nell’ambito della responsabilità contrattuale, con conseguente applicazione del regime probatorio desumibile dall’art. 1218 c.c. (Cass. 15/09/2020, n. 19110).
Quanto all’istituto scolastico, l’accoglimento della domanda di iscrizione e la conseguente ammissione dell’allievo determinano, infatti, l’instaurazione di un vincolo negoziale, in virtù del quale, nell’ambito delle obbligazioni assunte dall’istituto, deve ritenersi sicuramente inclusa quella di vigilare anche sulla sicurezza e l’incolumità dell’allievo nel tempo in cui fruisce della prestazione scolastica in tutte le sue espressioni, anche al fine di evitare che l’allievo procuri danno a se stesso (Cass. 12/05/2020, n. 8811).
Non può giustificare una conclusione diversa la pronuncia n. 3081 del 2015, la quale si limita, invero, a evidenziare che presupposto comune alle differenti ipotesi di responsabilità dell’insegnante per i danni che l’alunno subisce – contrattuale, ex art. 1218 c.c., ed extracontrattuale, ex art. 2048 c.c. – è che l’evento dannoso si sia verificato nel periodo di tempo in cui l’alunno è sottoposto alla vigilanza dell’insegnante (nel caso allora esaminato tale rilievo risultò dirimente per confermare la decisione di rigetto della pretesa risarcitoria in quanto riferita ad evento verificatosi al di fuori dell’orario scolastico), ma non afferma anche che, nella fattispecie di responsabilità ex art. 2048 c.c., questo sia l’unico presupposto (Cass. 15/09/2020, n. 19110, cit.).
Quanto alla distribuzione dell’onere della prova è convincimento di questa Corte che non sia sufficiente, al fine di veder accolta la propria domanda risarcitoria, allegare l’inadempimento, occorrendo altresì la prova che il danno occorso sia legato da nesso di derivazione causale al comportamento inadempiente. Colui che si assume danneggiato ha l’onere, infatti, di dimostrare l’esistenza del nesso causale tra la condotta del soggetto asseritamente inadempiente e il danno di cui chiede il risarcimento.
La previsione dell’art. 1218 c.c., esonera il creditore dell’obbligazione asseritamente non adempiuta – in questo caso l’obbligazione di garanzia nei confronti degli allievi – dall’onere di provare la colpa del debitore, ma non da quello di dimostrare il nesso di causa tra la condotta del debitore e il danno di cui si chiede il risarcimento. Il principio di vicinanza dell’onere della prova, su cui si fonda la decisione delle sezioni unite n. 13533 del 31/10/2001, implicitamente evocata dalla ricorrente, non coinvolge il nesso causale tra la condotta dell’obbligato e il danno lamentato del creditore, rispetto al quale si applica la distribuzione dell’onus probandi di cui all’art. 2697 c.c.. Tale disposizione, mentre fa carico all’attore della prova degli elementi costitutivi della propria pretesa, non permette di ritenere che l’asserito danneggiante debba farsi carico della prova liberatoria rispetto al nesso di causa (Cass. 19/07/2018, n. 19204; Cass. 13/07/2018, n. 18557; Cass. 09/05/2018, n. 11165); la previsione dell’art. 1218 c.c., trova giustificazione nell’opportunità di far gravare sulla parte che si assume inadempiente, o non esattamente adempiente, l’onere di fornire la “prova positiva” dell’avvenuto adempimento o dell’esattezza dell’adempimento, sulla base del criterio della maggiore vicinanza della prova, secondo cui essa va posta a carico della parte che più agevolmente può fornirla (Cass., Sez. Un., n. 13533/2001, cit.); tale criterio non appare predicabile con riguardo al nesso causale fra la condotta dell’obbligato e il danno lamentato dal creditore, rispetto al quale non ha dunque ragione d’essere l’inversione dell’onere della prova, prevista dall’art. 1218 c.c., e non può che valere il principio generale espresso dall’art. 2697 c.c., che onera l’attore della prova dei fatti costitutivi della propria pretesa. Trattandosi di elementi egualmente “distanti” da entrambe le parti (e anzi, quanto al secondo, maggiormente “vicini” al danneggiato), non c’è spazio per ipotizzare a carico dell’asserito danneggiante una “prova liberatoria” rispetto al nesso di causa, a differenza di quanto accade per la prova dell’avvenuto adempimento o della correttezza della condotta; nè può valere, in senso contrario, il riferimento, contenuto nell’art. 1218 c.c., alla “causa”, là dove richiede al debitore di provare che “l’inadempimento o il ritardo è stato determinato da impossibilità della prestazione derivante da causa a lui non imputabile”: come affermato da questa Corte (Cass. 26/07/2017, n. 18392), la causa in questione attiene alla “non imputabilità dell’impossibilità di adempiere, che si colloca nell’ambito delle cause estintive dell’obbligazione, costituenti tema di prova della parte debitrice, e concerne un “ciclo causale” che è del tutto distinto da quello relativo all’evento dannoso conseguente all’adempimento mancato o inesatto.
Due giudici di merito hanno ritenuto non soddisfatto detto onere probatorio da parte della ricorrente (“parte appellante nulla ha precisato in ordine agli addebiti ascrivibili agli odierni convenuti alla omessa predisposizione delle opportune misure di protezione ed alla sostanziale inevitabilità dell’evento lesivo”), perciò nessuna censura può essere mossa alla sentenza impugnata che ha correttamente applicato, dopo aver altrettanto correttamente qualificato la fattispecie in esame, la distribuzione dell’onere della prova derivante dall’applicazione dell’art. 1218 c.c..
Tantomeno può rimproverarsi il Tribunale per aver ritenuto, anche sulla scorta delle deposizioni testimoniali delle due insegnanti presenti in aula, che non era stato provato alcun inadempimento dell’obbligo di vigilanza da parte del precettore; ammettere tale motivo di censura significherebbe trasformare il giudizio di legittimità in un terzo grado di merito.
- Con il secondo motivo la ricorrente denuncia la “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 360 c.p.c. comma 1 n. 3 e 5 c.p.c. in combinato disposto con gli artt. 115 e 116 c.p.c., 1218, 2048 e 2697 c.c. per errata valutazione delle risultanze istruttorie, nonché per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”, per avere affermato, disattendendo le risultanze istruttorie, la mancata precisazione, da parte dell’attrice, degli addebiti ascrivibili ai convenuti quanto alla omessa predisposizione delle opportune misure di protezione ed alla sostanziale inevitabilità dell’evento lesivo.
Il Tribunale aveva ritenuto la caduta di (OMISSIS) un fatto imprevedibile, non prevenibile e quindi non imputabile a titolo di inadempimento nè all’insegnante, tenuto alla sorveglianza, nè alla scuola. Secondo la ricorrente il Tribunale non avrebbe tenuto conto delle contraddittorie dichiarazioni dell’insegnante di sostegno (OMISSIS) e del fatto che (OMISSIS), presente in aula, su cui si era basato per ritenere ricorrente il caso fortuito, non aveva assistito alla caduta. Di qui la censura mossa al Tribunale di travisamento della prova.
Il motivo è inammissibile.
Per quanto riguarda la censura ricondotta all’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c., vale quanto già rilevato a proposito della preclusione processuale di cui 348 ter ultimo comma nell’ipotesi di “doppia conforme”.
In merito ai plurimi errores in iudicando denunciati, per la verità nient’affatto coltivati con argomentazioni puntuali atte ad individuare in che modo le norme epigrafate sarebbero state violate o non correttamente applicate, si osserva che essi si sostanziano in una sollecitazione ad un diverso esito della valutazione delle prove testimoniali da parte del Giudice. Tale sollecitazione, per di più, risulta incentrata sull’asserita ricorrenza di un travisamento della prova, che implica una constatazione o un accertamento che l’informazione probatoria utilizzata in sentenza è contraddetta da uno specifico atto processuale “valutabile in sede di legittimità qualora dia luogo ad un vizio logico di insufficienza della motivazione, non è più deducibile a seguito della novella apportata all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, dal Decreto Legge n. 83 del 2012, art. 54, conv. dalla L. n. 134 del 2012, che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, sicchè “a fortiori” se ne deve escludere la denunciabilità in caso di cd. “doppia conforme”, stante la preclusione di cui all’art. 348-ter c.p.c., u.c.” (Cass. 3/11/2020, n. 24395).
- Con il terzo motivo la ricorrente lamenta la nullità della sentenza ex art. 360 c.p.c., comma 1 n. 4, per non avere il Tribunale compensato le spese di lite exart. 92 c.p.c.- in virtù non solo delle difese meramente ripetitive di quanto dalle convenute già dedotto in primo grado, ma anche della mancata comparizione all’udienza fissata per la discussione e in considerazione dell’omesso deposito di note conclusive – e per averla ingiustamente condannata al pagamento dell’ulteriore somma a titolo di contributo unificato ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n.. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.
Il motivo è infondato.
In tema di spese processuali, la facoltà di disporne la compensazione tra le parti rientra nel potere discrezionale del giudice di merito, il quale non è tenuto a dare ragione con una espressa motivazione del mancato uso di tale sua facoltà, con la conseguenza che la pronuncia di condanna alle spese, anche se adottata senza prendere in esame l’eventualità di una compensazione, non può essere censurata in cassazione, neppure sotto il profilo della mancanza di motivazione (Cass., Sez. Un., 15/07/2005, n. 14989; Cass. 22/12/2005, n. 28492; Cass. 31/03/2006, n. 7607; Cass. 26/04/2019, n. 11329).
Va, peraltro, preso atto che le circostanze addotte dalla ricorrente – ripetitività delle difese, mancata comparizione, ecc. – sono quelle di cui la Corte d’Appello ha tenuto conto al fine di giustificare la liquidazione delle spese al di sotto dei limiti tariffari.
Quanto alla condanna al pagamento del contributo unificato, a parte l’assertività dell’argomentazione utilizzata dalla ricorrente per formulare la censura cassatoria -assolutamente ingiusta è la condanna la versamento (…) – essa risulta correttamente giustificata dalla sussistenza del presupposto processuale costituito dalla pronuncia di rigetto, una di quelle previste dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, competendo poi esclusivamente all’Amministrazione valutare se, nonostante l’attestato tenore della pronuncia, che evidenzia il presupposto giurisdizionale dell’esito del processo di impugnazione legittimante in astratto la debenza del doppio contributo, in concreto la doppia contribuzione spetti (Cass. 06/11/2020, n. 24948).
- In definitiva, il ricorso va rigettato.
- Nulla deve essere liquidato per le spese del presente giudizio, data l’inattività difensiva degli intimati.
- Si dà atto della ricorrenza dei presupposti processuali per porre a carico della ricorrente l’obbligo del pagamento del doppio contributo unificato, se dovuto.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1 quater del d.p.r. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello da corrispondere per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13, se dovuto.
Così deciso nella camera di Consiglio della Sesta Sezione civile, sottosezione Terza, della Corte Suprema di Cassazione in data 17 dicembre 2020.