Sentenza 8880/2011
Garanzia per i vizi della cosa venduta – Compravendita – Consegna della merce in un momento successivo a quello della conclusione del contratto . Esclusione della garanzia
Nel contratto di compravendita, la norma dell’art. 1491 cod. civ. – secondo cui il venditore non è tenuto alla garanzia per i vizi della cosa venduta ove questi siano facilmente riconoscibili al momento della conclusione del contratto – non opera quando la consegna della merce sia successiva a tale conclusione.
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 18-4-2011, n. 8880 (CED Cassazione 2011)
Art. 1491 cc (Vizi della cosa venduta) – Giurisprudenza
Art. 1490 cc (Garanzia per vizi della cosa venduta) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1) Con decreto emesso il 17-7-1996 il Pretore di Bassano del Grappa ingiungeva alla V.A. s.r.l. di pagare alla D.B. s.n.c. la somma di L. 10.559.041 oltre interessi, a saldo di una fornitura di materiale ceramico.
La società ingiunta proponeva opposizione, deducendo che la fornitura era stata effettuata in ritardo rispetto ai tempi pattuiti e, soprattutto, presentava evidenti vizi e difetti. Essa chiedeva, pertanto, che venisse pronunciata la risoluzione del contratto per inadempimento dell’opposta, con conseguente revoca del decreto ingiuntivo e condanna della società D.B. alla restituzione della somma di L. 7.420.000 ricevuta a titolo di acconto, oltre al risarcimento danni.
Abolita nelle more la Pretura, il Tribunale di Bassano del Grappa, con sentenza depositata il 25-10-1999, rigettava l’opposizione.
2) A seguito di impugnazione proposta dalla V.A. s.r.l., con sentenza depositata il 24-8-2004 la Corte di Appello di Venezia, in riforma della decisione di primo grado, revocava il decreto ingiuntivo opposto; dichiarava risolto il contratto di vendita intercorso tra le parti per grave inadempimento della venditrice; condannava la D.B. s.n.c. alla restituzione della somma di Euro 3.832,11 ottenuta per effetto della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo; condannava l’appellata al pagamento delle spese di entrambi i gradi di giudizio.
La Corte territoriale, pur rilevando che, secondo quanto accertato dal C.T.U., la differenza cromatica, la differenza di spessore e la non rispondenza della fornitura ai campioni, che avevano reso la fornitura inidonea all’uso, erano riconoscibili ictu oculi, dissentiva dal giudizio espresso dal Tribunale, secondo cui il ritiro senza riserve della fornitura avrebbe impedito il sorgere della garanzia invocata dall’opponente. Essa osservava che, poiché la consegna della merce era stata successiva alla conclusione del contratto, nella specie non trovava applicazione l’art. 1491 c.c., il quale opera nel caso di vizi riconoscibili al momento della conclusione del contratto. Aggiungeva che l’apparenza dei vizi all’atto del ricevimento della merce valeva solo a far decorrere da tale momento il termine di decadenza di otto giorni per la denuncia dei difetti riscontrati, e che la società venditrice non aveva mai eccepito la tardività della denuncia effettuata dall’acquirente.
3) Per la cassazione di tale sentenza ricorre la D.B. s.r.l. (già D.B. s.n.c.), sulla base di due motivi. La V.A. s.r.l. resiste con controricorso, col quale propone altresì ricorso incidentale, affidato a tre motivi.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1) In primo luogo deve disporsi la riunione dei due ricorsi, ai sensi dell’art. 335 c.p.c.. Col primo motivo del ricorso principale la D.B. s.r.l. deduce violazione o falsa applicazione dell’art. 1491 c.c. e omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Fa presente che la Corte di Appello, nel dare atto della riconoscibilità ictu oculi dei vizi della merce, emergente dalla consulenza tecnica d’ufficio ed ammessa dalla stessa società acquirente nell’atto di opposizione, ha evidenziato che la bolla di consegna non riporta alcuna “riserva”, che i testi escussi hanno confermato che il Masiero non ha sollevato riserve al momento del ritiro, e che lo stesso Masiero, il quale ha dichiarato di aver seguito tutta la compravendita sin dalla fase di ricerca del fornitore, ha ammesso di aver visionato e ritirato la fornitura, sottoscrivendo la bolla. Sostiene che la decisione adottata si pone in contraddizione con tali premesse, in quanto il Masiero, col suo comportamento, ha manifestato in modo chiaro ed inequivoco la volontà di accettare la fornitura nello stato in cui si trovava; e che, pertanto, nella specie vi è stato un atto di acquiescenza che ha comportato la decadenza, oltre che dal termine di otto giorni per la denuncia del vizio, dalla garanzia stessa.
Il motivo è infondato.
Secondo un principio più volte affermato da questa Corte, la facile riconoscibilità dei vizi che esclude la garanzia ex art. 1491 c.c., presuppone che essi siano tali al momento della conclusione del contratto, per cui la citata norma non opera quando la consegna della merce è successiva alla stipula del contratto (Cass. 19-12-2006 n. 27125; Cass. 26-1-2000 n. 851; Cass. 19-12-1996 n. 27125; Cass. 30-5- 1995 n. 6073; Cass. 23-7-1983 n. 5075).
Nel caso in esame, pertanto, la Corte di Appello, avendo accertato che le piastrelle sono state ritirate in data successiva a quella in cui si è perfezionato il consenso tra le parti, ha correttamente escluso l’operatività della norma citata e ritenuto dovuta dalla società venditrice la garanzia di cui all’art. 1490 c.c..
Risulta esatto anche l’ulteriore rilievo della Corte di merito, secondo cui nella specie l’apparenza dei vizi è valsa solo a far decorrere dai giorno del ricevimento della merce il dies a quo del termine di otto giorni stabilito a pena di decadenza dall’art. 1495 c.c. per la denuncia, avendo avuto l’acquirente sin da quel momento la possibilità di accertarsi delle condizioni della merce ricevuta.
Come è stato puntualizzato dalla giurisprudenza, infatti, in caso di vizi apparenti della cosa venduta, il termine di otto giorni per la denuncia decorre dal giorno di ricevimento del bene, mentre per gli altri vizi, ovvero per quelli non rilevabili attraverso un rapido e sommario esame della cosa, tale termine decorre dal momento della scoperta, che ricorre allorché il compratore abbia acquisito la certezza oggettiva dell’esistenza del vizio (Cass. 30-8-2000 n. 11452).
La Corte territoriale, pertanto, ha correttamente inquadrato la questione sul piano giuridico, dando poi atto, con apprezzamento in fatto non censurabile in questa sede, che la società venditrice non ha mai eccepito la tardività della denuncia dei vizi per decorso dell’indicato termine di otto giorni.
2) Col secondo motivo la ricorrente lamenta vizi di motivazione.
Rileva che la Corte di Appello, pur partendo da premesse corrette sullo svolgersi dei fatti e sulla effettiva sussistenza di un comportamento “pregnante” tenuto dalla V.A., nella persona del suo amministratore delegato Masiero, ha emesso una decisione contraddittoria e del tutto priva di motivazione, che non da conto p delle ragioni della ritenuta inapplicabilità alla fattispecie dell’art. 1491 c.c.. Sostiene, inoltre, che non è vero che la società venditrice ha riconosciuto l’esistenza di vizi della fornitura, e che nella specie non può porsi questione riguardo alla tempestività o meno della contestazione dei pretesi vizi, in quanto le difese svolte dalla ricorrente sono incompatibili con l’esistenza o meno di un termine, stante l’intervenuta accettazione della merce da parte dell’acquirente, avvenuta in coincidenza col ritiro, dopo accurata verifica.
Anche tali censure si rivelano prive di pregio, avendo il giudice del gravame esposto gli elementi posti a fondamento della decisione e le ragioni del suo convincimento, con motivazione adeguata ed immune da vizi logici.
3) Col primo motivo di ricorso incidentale la V.A. s.r.l. deduce vizi di motivazione.
Rileva che la Corte di Appello ha condannato la società D.B. alla restituzione della somma di Euro 3.832,11 pagata per effetto della provvisoria esecutorietà del decreto ingiuntivo. Fa presente, peraltro, che il predetto importo costituisce l’acconto versato dalla V.A. s.r.l., di cui quest’ultima ha chiesto il rimborso fin dall’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, e non ha nulla a che vedere con l’ulteriore somma pagata p dall’acquirente a seguito della concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto. Chiede, pertanto, la correzione dell’errore in cui è incorsa la Corte di merito, nel senso che, oltre alla restituzione di quanto pagato a seguito di concessione della provvisoria esecuzione del decreto opposto, venga disposta la restituzione all’acquirente anche dell’importo di Euro 3.832,11 corrisposto a titolo di acconto.
Il motivo è infondato.
Secondo quanto esposto dalla stessa resistente nella parte narrativa del controricorso, sia con la citazione in opposizione che con l’atto di appello la V.A. ha chiesto solo la restituzione della somma di L. 7.420.000 (corrispondente ad Euro 3.832,11) versata a titolo di acconto prima dell’emissione del decreto ingiuntivo, e non anche degli ulteriori importi corrisposti a seguito della concessione della provvisoria esecuzione di tale provvedimento. È evidente, pertanto, che la Corte di Appello, nel condannare la società opposta alla restituzione della somma di Euro 3.832,11, per mero errore, inidoneo a comportare la cassazione della sentenza impugnata, ha dato atto che trattavasi d’importo pagato in forza della provvisoria esecutività del decreto ingiuntivo. Tale errore non comporta di certo la possibilità per la ricorrente di ottenere la condanna della venditrice anche alla restituzione delle somme corrisposte in aggiunta all’acconto iniziale, trattandosi di domanda non proposta nel giudizio di merito.
4) Col secondo motivo la V.A. s.r.l. lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 2697 c.c. e art. 116 c.p.c., nonché l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia.
Sostiene che la Corte di Appello ha errato nel ritenere non dimostrati i danni subiti dalla società acquirente in conseguenza dell’inadempimento della venditrice. Deduce che tali danni risultano “per tabulas” dalla differenza tra i prezzi indicati nella commissione a firma s.r.l. A.P. alle voci SG.AN.RO.
Dorica Verde 10×10, SG.AN. Dorica Verde 10×10, SG.RO. Dorica Verde 10×10, B.C. di ciascuna pagina e le medesime voci riportate nella fattura di cui al decreto ingiuntivo opposto. Rileva, inoltre, che in ogni caso andava rifuso il danno conseguente al discredito commerciale della mancata fornitura, ai sensi dell’art. 1226 c.c.. 11 motivo è infondato, avendo la Corte di Appello dato atto, con motivazione priva di vizi logici e facendo corretta applicazione dei principi dettati in tema di ripartizione dell’onere probatorio, che la società acquirente non ha provato ne’ chiesto di provare di aver subito danni per i vizi delle piastrelle vendutele.
5) Col terzo motivo la ricorrente incidentale denuncia la violazione o falsa applicazione dell’art. 91 c.p.c. e del 2000 n. 127, art. 14 avendo il giudice di appello liquidato le spese generali su diritti ed onorari in misura inferiore a quella prevista dal menzionato decreto ministeriale, già in vigore alla data di pubblicazione della sentenza impugnata (24-8-2004).
La censura è meritevole di accoglimento.
Il rimborso ed. forfetario delle spese generali costituisce una componente delle spese giudiziali, che spetta automaticamente al professionista nella misura determinata per legge, anche in assenza di allegazione specifica e di domanda, dovendosi quest’ultima ritenere implicita in quella di condanna al pagamento degli onorari giudiziali (Cass. 22-2-2010 n. 4209; Cass. 31-3-2007 n. 8059; Cass.10-1-2006 n. 146).
Nella specie, le spese generali relative al giudizio di appello vanno riconosciute nella percentuale del 12,50% degli importi liquidati a titolo di onorari e diritti di procuratore, essendo applicabile, ratione temporis, il D.M. 8 aprile 2004, n. 127. Ha errato, pertanto, il giudice di appello nel quantificare tali spese nella misura del 10%.
Non essendo, peraltro, necessari ulteriori accertamenti di fatto, questa Corte, nel cassare sul punto la sentenza impugnata, può decidere nel merito, determinando le spese generali del giudizio di appello nella percentuale prevista per legge.
6) Dato l’esito del presente giudizio, ricorrono giusti motivi per disporre la compensazione delle relative spese.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso principale; rigetta il primo e il secondo motivo del ricorso incidentale, accoglie il terzo motivo del ricorso incidentale, cassa sul punto la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, determina le spese generali limitatamente al giudizio di appello nella percentuale del 12,50%.
Compensa le spese del giudizio di cassazione.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2011. Depositato in Cancelleria il 18 aprile 2011