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Cassazione Civile 8911/2016 – Durata dell’usufrutto

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Sentenza 8911/2016

Durata dell’usufrutto

A norma degli artt. 979 e 980 c.c. la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario o, qualora sia concesso “pro quota” ad una pluralità di soggetti (e in assenza di usufrutto congiuntivo, che comporta l’accrescimento a favore dei superstiti), quella di ciascuno di essi per la quota attribuita; l’usufruttuario, peraltro, con atto “inter vivos”, può cedere il suo diritto (o la quota a lui spettante) per un certo tempo o per tutta la sua durata, sicché, in tale evenienza, il diritto limitato di godimento è suscettibile di successione “mortis causa” ove il cessionario deceda prima del cedente, perdurando fino a quando rimanga in vita quest’ultimo.

Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 4 maggio 2016, n. 8911   (CED Cassazione 2016)

Art. 979 cc (Durata dell’usufrutto)

Art. 980 cc (Cessione dell’usufrutto)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso depositato in data 16 ottobre 2006 (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS) agivano nei confronti di (OMISSIS) deducendo che in data 4 agosto 1999 essi ricorrenti avevano acquistato dalla resistente e da (OMISSIS) (rispettivamente loro padre e suocero) la nuda proprietà di un immobile sito in (OMISSIS), e che lo stesso (OMISSIS) e la resistente, che era la sua seconda moglie, si erano riservati l’usufrutto del cespite; rilevavano che in data 28 dicembre 1999 la convenuta aveva donato il 50% dell’usufrutto vitalizio del bene al marito, il quale decedeva, poi, il (OMISSIS). I ricorrenti domandavano quindi il rilascio dell’immobile e il risarcimento del danno derivante dall’illegittima occupazione dello stesso da parte di (OMISSIS).

Questa si costituiva spiegando domanda riconvenzionale per vedere riconosciuti i propri diritti successori e per far valere la simulazione della compravendita con cui in data 4 agosto 1999 era stato acquistato l’immobile in via (OMISSIS).

Il tribunale accoglieva le domande attrici di rilascio e di risarcimento del danno.

(OMISSIS) impugnava la sentenza e, nel contraddittorio con le parti vittoriose in primo grado, che si costituivano anche in fase di gravame, la Corte di appello di Roma, con sentenza depositata il 28 giugno 2011, rigettava l’appello.

Spiegava il giudice del gravame – per quanto qui ancora interessa – che con la morte dell’usufruttuario si era consolidato il diritto di proprietà in capo ai nudi proprietari, onde, con riferimento al bene, non sopravviveva alcun diritto trasmissibile; negava poi il fondamento della domanda di accertamento della simulazione, che non risultava provata; osservava che essendo l’immobile estraneo all’asse ereditario, le domande di riduzione concernente l’eredità di (OMISSIS) e di petitio hereditatis, relativamente ai beni mobili oggetto della domanda riconvenzionale, erano prive di collegamento con quella proposta dagli attori in primo grado, onde erano state dichiarate giustamente inammissibili.

La pronuncia della corte romana è stata impugnata per cassazione dall’appellante soccombente con ricorso affidato a quattro motivi. Resistono con controricorso i (OMISSIS) e (OMISSIS).

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il primo motivo denuncia violazione dell’art. 111 Cost.. Si duole la ricorrente che la corte di appello avesse omesso di esaminare la questione relativa alla titolarità dei mobili e degli arredi presenti nell’unità immobiliare. In particolare – è esposto – non vi era dimostrazione che i detti beni mobili fossero nel pieno ed esclusivo dominio del defunto (OMISSIS) o di terzi, onde avrebbe dovuto riconoscersi, in forza di una presunzione di legge, che la ricorrente ne era proprietaria in ragione di una quota del 50%.

Col secondo motivo è prospettata violazione e falsa applicazione di norme di diritto. La sentenza avrebbe violato le disposizioni di cui agli artt. 536, 540 e 542 c.c., non riconoscendo i diritti di erede legittimaria alla ricorrente sul 50% dei mobili presenti nella casa di abitazione di via (OMISSIS), mancando di applicare il principio generale secondo cui ove esistano beni mobili in comune, in assenza di prove che ne attribuiscano la proprietà totale o parziale a un solo soggetto, essi debbano ritenersi oggetto di una comunione per quote uguali tra i singoli partecipanti.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi.

Essi – al di là della loro atecnica rubricazione vanno disattesi in quanto non colgono la ratio decidendi della resa pronuncia.

La corte territoriale ha dichiarato inammissibile la domanda relativa agli arredi in quanto la stessa non presentava, a suo avviso, alcun collegamento qualificante, a norma dell’art. 36 c.p.c., con la domanda di rilascio proposta in primo grado dagli odierni controricorrenti. L’istante, quindi, avrebbe anzitutto dovuto censurare la decisione impugnata articolando un motivo di impugnazione che la attaccasse sul versante processuale, a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4. Così non è stato.

Il terzo motivo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 978, 979 e 980 c.c.. La ricorrente aveva donato la quota del 50% del diritto di usufrutto sull’immobile a (OMISSIS): deduce che ella, quale originaria usufruttuaria, titolare del diritto vita naturale durante, sarebbe ritornata nella titolarità di quella situazione giuridica una volta che il cessionario era deceduto.

Col quarto motivo è denunciata violazione e falsa applicazione delle stesse norme di cui agli 978, 979 e 980 c.c. secondo una diversa angolazione. L’impugnata sentenza non avrebbe tenuto conto che, essendo la durata dell’usufrutto ancorata alla vita dell’originario usufruttuario anche nel caso in cui il diritto sia da quest’ultimo ceduto a terzi, tale diritto, nel caso di premorienza del cessionario, viene a trasmettersi agli eredi legittimi del medesimo. In conseguenza, (OMISSIS) concorreva, in ragione di un terzo, nella successione legittima del diritto di usufrutto.

Anche questi motivi si prestano a una trattazione unitaria.

È infondato il terzo, mentre merita accoglimento il quarto.

A norma degli artt. 979 e 980 c.c. la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario, il quale, peraltro, può cedere il suo diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata. La temporaneità del diritto certo esclude che esso possa formare oggetto di disposizione testamentaria o ricadere nell’ambito di una successione mortis causa; tuttavia, una volta che l’usufrutto sia stato ceduto per atto inter vivos, esso, fino alla morte dell’originario e primo usufruttuario, diviene suscettibile di successione mortis causa ove l’originario cessionario deceda prima del cedente, e, se il cessionario in questione non ne abbia disposto per atto di ultima volontà, esso si trasmette per legge agli eredi dello stesso (essendo suscettibile di successive trasmissioni mortis causa), non venendo ad estinguersi e continuando a far parte del patrimonio relitto fino alla sua cessazione per morte del primo usufruttuario (Cass. 27 marzo 2002, n. 4376).

La regola trova applicazione anche nell’ipotesi di cessione pro quota del diritto di usufrutto vitalizio, sicchè una tale vicenda traslativa non rende inoperante il termine finale di durata che, con riferimento a ciascuna quota, coincide con il giorno della morte di ognuno degli iniziali usufruttuari. In assenza di usufrutto congiuntivo (il quale opera nel senso del reciproco diritto di accrescimento in favore dell’uno degli usufruttuari alla morte dell’altro), il diritto di usufrutto concesso a più soggetti si estingue, per ciascuna quota, alla morte del titolare di questa (arg. ex art. 678 c.c., comma 2). In presenza di una cessione di quota dell’usufrutto, dunque, il diritto limitato di godimento sulla quota del cessionario, o dei suoi eredi, perdura fino a quando rimanga in vita l’usufruttuario cedente.

A tale principio non risulta essersi conformata la sentenza impugnata, la quale ha invece affermato che con la morte dell’usufruttuario cessionario della quota si era consolidato il diritto di proprietà in capo ai nudi proprietari.

La sentenza va quindi cassata sul punto, con rinvio alla Corte di appello di Roma, la quale dovrà statuire anche sulle spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

LA CORTE

rigetta i primi tre motivi di ricorso, accoglie il quarto, cassa con riferimento al motivo accolto e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di appello di Roma anche per le spese del giudizio di legittimità.