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Cassazione Civile 91/2017 – Cambiale – Assegno bancario – Proptesto

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Sentenza 91/2017

 

Cambiale – Protesto sequestro penale del titolo – Obbligo della banca domiciliataria di avvisare l’emittente del sequestro del titolo

In assenza di specifiche disposizioni normative, la banca domiciliataria di una cambiale non è tenuta ad avvisare l’emittente del sequestro penale e del successivo protesto del titolo, elevato su richiesta della stessa dietro presentazione di una sua copia autenticata. Invero, la conoscenza del provvedimento giudiziario da parte della banca non implica necessariamente anche quella della falsificazione della cambiale, quando quest’ultima non sia riconoscibile mediante l’uso della normale diligenza richiesta ad un banchiere professionale e quando l’emittente non abbia informato la banca di avere presentato denuncia penale in ragione della presumibile contraffazione del titolo; con l’ulteriore conseguenza che la banca non è responsabile per i danni subiti dall’emittente alla sua reputazione commerciale e derivanti dal protesto.

 

Assegno bancario – Obblighi della banca girataria – Protesto

La banca girataria per l’incasso di un assegno bancario è tenuta non soltanto a far levare il protesto (art. 45 del r.d. n. 1736 del 1933), al fine di conservare integre le ragioni del proprio girante nei confronti degli obbligati di regresso, ma ha anche l’obbligo, discendente dal disposto dell’art. 1829 c.c., di restituire il titolo al correntista girante per l’incasso: tale ultimo obbligo, nel caso (ricorrente nella specie) in cui un vincolo posto dal giudice penale abbia impedito la restituzione dell’originale del titolo, può ben essere adempiuto con la consegna di una copia autentica dello stesso.

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 4 gennaio 2017, n. 91   (CED Cassazione 2017)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza depositata il 27/11/2010, la Corte d’appello di Ancona ha rigettato l’appello proposto da (OMISSIS) avverso la sentenza con la quale il Tribunale di Fermo aveva respinto la domanda, proposta dal (OMISSIS) nei confronti della (OMISSIS) e del Notaio (OMISSIS) (che aveva chiamato in giudizio la (OMISSIS) per essere manlevato in ipotesi di riconoscimento di una sua responsabilità), per il risarcimento dei danni derivati dal protesto di una cambiale di lire 1.875.000, emessa (insieme ad altre tre) nel 1994 dall’appellante in favore di tale (OMISSIS) e domiciliata presso la Banca convenuta. Protesto che il predetto assumeva illegittimo -e produttivo, a seguito della pubblicazione nel relativo Bollettino, di gravi danni per la sua attività imprenditoriale- avendo egli, una volta ricevuta comunicazione dalla Banca della messa all’incasso del titolo, sporto querela per la falsificazione della data di scadenza (corretta dal 30.9.1994 al 30.9.1995), a seguito della quale la Procura della Repubblica di Fermo aveva disposto il sequestro del titolo, e ciò nonostante il protesto era stato elevato, su richiesta della Banca, dal Notaio (OMISSIS) dietro presentazione di copia autentica del titolo stesso.

La Corte distrettuale, premesso che -come già rilevato dal primo giudice e non censurato nell’appello- è incontroverso che il (OMISSIS), ricevuta la comunicazione della messa all’incasso del titolo, non ha informato la Banca, tantomeno il Notaio, della denuncia penale presentata in ragione della presumibile contraffazione della data di scadenza, ha in primo luogo rilevato che l’esame visivo del documento conferma quanto affermato dal primo giudice, come cioè la contraffazione non sia visibile ad occhio nudo, sia pure a seguito di un esame attento. Ha poi osservato che – ferma l’insussistenza di disposizioni normative che imponessero la comunicazione da parte della Banca all’appellante dell’intervenuto sequestro del titolo e quindi del successivo protesto- il protesto era comunque, nella specie, atto dovuto onde evitare ai giratari del titolo la perdita del diritto di regresso, non essendo d’altra parte il sequestro probatorio eseguito dalla Procura -atto certamente non equivalente all’accertamento della contraffazione- una causa di forza maggiore idonea, ai sensi dell’articolo 61 della legge cambiaria, a rinviare il protesto, la cui levata su copia autentica del titolo rilasciata a tal fine dalla Procura della Repubblica procedente non può peraltro – per quanto detto- configurare il reato di uso di atto falso di cui all’articolo 489 cod. pen..

Avverso tale sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso a questa Corte affidato a tre motivi, cui resistono con distinti controricorsi la (OMISSIS), il Notaio (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a., successore per incorporazione della (OMISSIS). Tutte le parti, ad eccezione della (OMISSIS), hanno depositato memorie illustrative.

MOTIVI DELLA DECISIONE

  1. Il primo motivo di ricorso denuncia la omessa o insufficiente motivazione circa la “non evidenza” della falsificazione e la conoscenza della falsificazione stessa in capo alla (OMISSIS). Lamenta il ricorrente che la corte distrettuale, limitandosi a rilevare che il giudice di primo grado aveva correttamente affermato che la dedotta falsificazione della data di scadenza della cambiale -accertata dal perito nominato in sede penale- non si evidenzia alla stregua dell’esame consentito ad un operatore bancario, avrebbe ingiustamente “obliterato” risultanze documentali in atti -cioè il decreto di sequestro penale per i reati di falso e truffa, notificato al Direttore della filiale di (OMISSIS), ed il verbale di sequestro ivi eseguito mediante consegna agli agenti operanti del titolo costituente corpo di reato- che proverebbero inequivocabilmente il fatto che la banca, al momento della elevazione del protesto, era a conoscenza della falsificazione. 1.1. Il secondo motivo censura, sotto il profilo della violazione delle norme regolanti l’esecuzione del mandato insito nella domiciliazione della cambiale presso la banca nonchè sotto quello del vizio di motivazione, l’affermazione della corte distrettuale circa la insussistenza di disposizione normative che avrebbero potuto imporre la comunicazione da parte della banca al ricorrente dell’intervenuto sequestro del titolo e del suo successivo protesto. Sostiene il ricorrente che dalla norma generale dell’articolo 1375c.c. e da quella speciale dell’articolo 1710c.c., comma 2 deriverebbe l’obbligo della (OMISSIS), operando un doveroso bilanciamento tra gli interessi dei giratari del titolo e quelli del suo correntista, di comunicargli che, nonostante l’avvenuto sequestro, essa riteneva di procedere ugualmente alla levata del protesto del titolo cambiario sulla base della copia autentica rilasciatale dalla Procura della Repubblica a tal fine: ciò, assume il ricorrente, gli avrebbe consentito di evitare i successivi eventi pregiudizievoli conseguenti alla pubblicazione del protesto nel relativo bollettino. 1.2. Il terzo motivo denuncia la violazione dell’articolo 61 della legge cambiaria (oltre che degli articoli 489 e 491 c.p.), e vizio di motivazione, in relazione alla necessità, affermata dalla corte distrettuale, di levare il protesto a tutela dei diritti della banca e dei giratari del titolo cambiario.
  2. Tali doglianze, esaminabili congiuntamente stante la stretta connessione, sono prive di fondamento.

2.1. Il perno intorno al quale ruota la sentenza impugnata è costituito dal principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, secondo cui la banca presso la quale il titolo di credito sia domiciliato per il pagamento ha, nel caso in cui l’obbligato principale non fornisca la provvista per il pagamento richiesto dal giratario del titolo, l’obbligo di far constare il mancato pagamento mediante l’elevazione del protesto, a tutela delle ragioni di regresso del portatore. Obbligo che -contrariamente a quanto sostiene il ricorrente-questa Corte ha più volte ritenuto sussistente anche in caso di sequestro del titolo, disposto nel corso di un procedimento civile o penale (cfr. Cass. n. 1966/1976; n. 11852/04; n. 19587/08), negando la configurabilità in tal caso di un ostacolo insormontabile alla elevazione del protesto per causa di forza maggiore, idoneo ai sensi dell’articolo 61 Regio Decreto della legge cambiaria a rinviare l’atto, invece legittimamente procedibile con la presentazione di copia autentica del titolo, da restituirsi all’esito al portatore.

A tale orientamento giurisprudenziale il Collegio intende dare continuità, non offrendo il terzo motivo di ricorso elementi idonei a giustificare un mutamento: in tal senso invero deve valutarsi sia il riferimento incongruo ad una pronuncia di questa Corte (n. 11103/1998) che si è limitata a trattare il diverso tema della liquidazione del danno per l’illegittimità del protesto, in quel caso già accertata dal giudice di merito -per la evidenza della contraffazione della data-senza ricevere censure; sia la generica prospettazione del reato di uso di atto falso (articolo 489 c.p.) che non si fa carico di confutare l’argomento decisivo concernente la non configurabilità nel provvedimento di sequestro di un atto di accertamento della falsità.

2.2. Argomento, quest’ultimo, che va considerato anche ai fini dell’esame del primo motivo di ricorso, in quanto consente di porre in evidenza le basi malferme sulle quali si fonda la censura del vizio di motivazione ivi espressa. La corte d’appello non ha infatti omesso di tenere presente la conoscenza pacificamente acquisita dalla banca del provvedimento di sequestro del titolo; ha bensì ritenuto che tale provvedimento non fosse idoneo ad accertare la falsificazione della data (per gli effetti sopra considerati), della quale ha peraltro constatato, in base ad esame diretto, la non evidenza agli occhi di un normale operatore bancario, senza ricevere specifiche censure al riguardo in ricorso. La corte distrettuale ha quindi motivatamente escluso che la banca conoscesse la falsificazione al momento della levata del protesto e non vi è alcuna risultanza probatoria decisiva che non abbia considerato nel pervenire a tale convincimento, che resta insindacabile nel merito in questa sede di legittimità.

2.3. Nè, infine, può ritenersi che la banca debba rispondere delle conseguenze dannose del protesto per non avere adempiuto ad un obbligo, non previsto dalla legge, di avvertire il ricorrente che andava a richiedere l’elevazione del protesto stesso. Un obbligo siffatto non deriva dal mandato di pagamento insito nella domiciliazione della cambiale presso la banca: non, in particolare, dal disposto dell’articolo 1710 c.c., comma 2, dal momento che la richiesta di elevazione del protesto per mancanza di fondi sul conto corrente non può includersi – a differenza della comunicazione della messa all’incasso del titolo da parte del portatore, che nella specie il giudice di merito ha accertato essere stata effettuata dalla banca – tra le circostanze sopravvenute che possono determinare la revoca o la modificazione del mandato di pagamento, da comunicare al mandante ai sensi della norma anzidetta. Il punto è, anche qui, che quella richiesta costituisce atto dovuto da parte della banca secondo il disposto di legge, che il ricorrente non poteva ignorare. In tal senso, anche il richiamo alla norma generale (articolo 1375 c.c.) che impone l’esecuzione del contratto secondo buona fede si mostra inidoneo a supportare la tesi di un diritto del ricorrente ad essere avvertito che la banca avrebbe adempiuto ad un obbligo di legge.

  1. Il rigetto del ricorso si impone dunque, con il conseguente onere a carico del ricorrente delle spese di questo giudizio, che si liquidano come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al rimborso delle spese di questo giudizio di cassazione in favore delle controparti, spese che liquida per ciascuna parte in Euro 5.200,00 (di cui Euro 200,00 per esborsi) oltre spese generali forfetarie e accessori di legge.