Ordinanza 913/2018
Risarcimento del danno non patrimoniale – Mancata applicazione delle tabelle di Milano
Non comporta violazione dei parametri di valutazione equitativa ex art. 1226 c.c. la liquidazione del danno non patrimoniale (nella specie da perdita parentale) operata con riferimento a tabelle diverse da quelle elaborate dal Tribunale di Milano, qualora al danneggiato sia riconosciuto un importo corrispondente a quello risultante da queste ultime, restando irrilevante la mancanza di una loro diretta e formale applicazione.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 17-1-2018, n. 913 (CED Cassazione 2018)
Articolo 1226 c.c. annotato con la giurisprudenza
RILEVATO CHE
con sentenza resa in data 15/5/2015, la Corte d’Appello di Roma ha confermato la decisione con la quale il giudice di primo grado, in accoglimento della domanda proposta da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), tra le restanti statuizioni, ha condannato (OMISSIS) e la (OMISSIS) s.p.a. al risarcimento, in favore degli attori, dei danni dagli stessi subiti in conseguenza del decesso del proprio congiunto, (OMISSIS) (marito e padre degli attori), avvenuto a causa del sinistro stradale dedotto in giudizio;
che, a fondamento della decisione assunta, la corte territoriale ha evidenziato, per quel che ancora rileva in questa sede, la sostanziale correttezza della liquidazione operata dal primo giudice in relazione al danno rivendicato dagli attori, non essendosi il tribunale sostanzialmente discostato dal tenore delle c.d. tabelle di Milano per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, ed avendo provveduto in modo adeguato alla personalizzazione dei relativi importi;
che, avverso la sentenza d’appello, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) ed (OMISSIS), ricorrono per cassazione sulla base di due motivi d’impugnazione;
che (OMISSIS), la (OMISSIS) s.p.a. (già (OMISSIS) s.p.a.) e il Comune di Fiumicino (originariamente chiamato in giudizio al fine di rispondere del fatto), resistono con controricorso;
che il Comune di Fiumicino ha altresì depositato memoria;
che nessun altro intimato ha svolto difese in questa sede.
CONSIDERATO CHE
con il primo motivo, i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione o falsa applicazione degli articoli 2 e 3 Cost., articoli 1223, 1226 e 2056 c.c. (in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3), per avere la corte territoriale erroneamente proceduto alla liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale dagli stessi rivendicato, sottraendosi al rispetto delle previsioni della c.d. tabella di Milano per la liquidazione di tale danno, la cui uniforme applicazione sul territorio nazionale costituisce l’espressione dei principi di proporzionalità e di parità di trattamento da ritenere quali momenti essenziali nella liquidazione equitativa del danno, secondo le indicazioni della giurisprudenza di legittimità;
che il motivo è infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come la corte territoriale abbia confermato le statuizioni liquidatorie fatte proprie dal primo giudice sul presupposto della sostanziale corrispondenza tra il risultato cui era pervenuto il tribunale attraverso l’applicazione della c.d. tabella del Tribunale di Roma per la liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, e i valori medi previsti, ai fini della liquidazione risarcitoria del medesimo danno, dalla tabella di Milano;
che, in particolare, secondo la corte d’appello, tale risultato, proprio in virtù della ridetta corrispondenza, doveva ritenersi espressione della più corretta liquidazione equitativa del risarcimento rivendicato dagli odierni ricorrenti;
che, pertanto, il giudice a quo non risulta essersi in alcun modo sottratto alla sostanziale applicazione della c.d. tabella di Milano, avendo in ogni caso indicato in modo sufficientemente congruo, sul piano logico-formale, le ragioni rinvenute a fondamento della mancata applicazione diretta e formale delle stesse;
che, infatti, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte, l’esigenza dell’uniformità di trattamento, nella liquidazione del danno non patrimoniale, mentre può ritenersi certamente garantita dal diretto riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano, essendo esso già ampiamente diffuso sul territorio nazionale (e al quale la Suprema Corte, in applicazione dell’articolo 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli articoli 1226 e 2056 c.c.), non può ritenersi comunque pregiudicata dalla circostanza che il giudice reputi sussistente, in concreto, il ricorso di elementi di valutazione idonei a giustificarne l’abbandono (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 12408 del 07/06/2011, Rv. 618048-01);
che, nella specie, pur quando si volesse ritenere non formalmente rispettato l’impegno alla conformazione della liquidazione ai contenuti della tabella di Milano (in ragione della mancata diretta e formale applicazione della stessa da parte del giudice di primo grado), la corte territoriale, nel ritenere congrua la somma concretamente liquidata in favore degli odierni ricorrenti, deve ritenersi aver giudicato in conformità al dettato dell’articolo 1226 c.c., avendo in ogni caso reputato congruo il riconoscimento di un importo risarcitorio comunque coerente ai parametri equitativi espressi dalle tabelle milanesi in relazione al medesimo danno considerato, escludendo il ricorso di alcuna discriminazione;
che, con il secondo motivo i ricorrenti censurano la sentenza impugnata per violazione degli articoli 1223, 1226, 2056 e 2059 c.c., con riferimento agli articoli 2, 3, 30 e 32 Cost. e all’articolo 1 della Carta di Nizza (in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5), per avere la corte territoriale omesso di procedere alla liquidazione del danno morale sofferto dagli attori, omettendo altresì l’esame delle specifiche circostanze di fatto individuate dagli attori a fondamento della richiesta personalizzazione del danno non patrimoniale rivendicato;
che il motivo è infondato;
che, al riguardo, osserva il Collegio come, secondo l’insegnamento della giurisprudenza di questa Corte (che il Collegio condivide e fa proprio, ritenendo di doverne assicurare continuità), ai fini della liquidazione del danno non patrimoniale da perdita di persona cara, costituisce indebita duplicazione di risarcimento la congiunta attribuzione del danno morale – non altrimenti specificato – e del danno da perdita del rapporto parentale, poichè la sofferenza patita nel momento in cui la perdita è percepita, e quella che accompagna l’esistenza del soggetto che l’ha subita, altro non sono che componenti del complesso pregiudizio, che va integralmente ma unitariamente ristorato (Sez. 3, Sentenza n. 25351 del 17/12/2015, Rv. 638116-01);
che, infatti, la perdita di una persona cara implica necessariamente una sofferenza morale, la quale non costituisce un danno autonomo, ma rappresenta un aspetto – del quale tenere conto, unitamente a tutte le altre conseguenze, nella liquidazione unitaria ed omnicomprensiva – del danno non patrimoniale;
che da tale premessa consegue che è inammissibile, costituendo una duplicazione risarcitoria, la congiunta attribuzione, al prossimo congiunto di persona deceduta in conseguenza di un fatto illecito, del risarcimento a titolo di danno da perdita del rapporto parentale e del danno morale (inteso quale sofferenza soggettiva, ma che in realtà non costituisce che un aspetto del più generale danno non patrimoniale), (Sez. U, Sentenza n. 26972 del 11/11/2008, Rv. 605496-01);
che, sotto altro profilo, varrà considerare come, nel caso di morte di un prossimo congiunto, un danno non patrimoniale diverso e ulteriore da quello legato alla perdita del rapporto parentale, non può ritenersi sussistente per il solo fatto che il superstite lamenti il dolore morale per la perdita subita e per quella relativa alle abitudini quotidiane connesse al rapporto con il congiunto scomparso, ma esige unicamente la dimostrazione (al fine della necessaria personalizzazione del risarcimento) di fatti espressivi di una sofferenza soggettiva straordinariamente differente e irriducibile a quella ordinariamente connessa a un evento simile, nonchè la prova di fondamentali e radicali cambiamenti dello stile di vita, che è onere dell’attore allegare e provare in modo specifico e circostanziato, non potendo risolversi in mere enunciazioni generiche, astratte o ipotetiche (cfr. Sez. 3, Sentenza n. 21060 del 19/10/2016, Rv. 642934-02);
che, nel caso di specie, a fronte dell’affermazione del giudice a quo, secondo cui gli odierni ricorrenti non avevano fornito alcuna prova idonea a giustificare un’ulteriore adeguamento degli importi già liquidati a titolo di danno da perdita del rapporto parentale, l’odierna censura deve ritenersi priva di decisiva rilevanza, non essendo il giudice a quo incorso in alcuna violazione o falsa applicazione delle norme di legge che regolano le modalità di liquidazione del danno da perdita del rapporto parentale, nè in omissione nell’esame di fatti decisivi (neppure adeguatamente individuati in questa loro specifica dimensione dirimente) rilevanti ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., n. 5;
che, pertanto, sulla base delle considerazioni sin qui illustrate, rilevata l’infondatezza delle censure sollevate dai ricorrenti, dev’essere pronunciato il rigetto del ricorso, con la conseguente condanna dei ricorrenti al rimborso, in favore di ciascuna delle parti controricorrenti, delle spese del presente giudizio di legittimità, secondo la liquidazione di cui al dispositivo, oltre alla condanna al pagamento del doppio contributo ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso, in favore delle parti controricorrenti, delle spese del giudizio di legittimità, liquidate per ciascuna parte in Euro 8.200,00, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, e agli accessori come per legge.
Ai sensi dell’art. 13 comma 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dell’art. 1-bis, dello stesso articolo 13.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Terza Sezione