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Cassazione Civile 9239/2013 – Responsabilità civile – Proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 2045 cod. civ.

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Sentenza 9239/2013

 Responsabilità civile – Proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 2045 cod. civ.

Non costituisce domanda nuova, ai fini di cui all’art. 345 cod. proc. civ., la proposizione per la prima volta in appello della domanda di corresponsione dell’indennizzo ex art. 2045 cod. civ., quando l’appellante abbia proposto in primo grado domanda di risarcimento del danno, dovendo la prima ritenersi implicita nella seconda, tanto che il giudice può provvedere su di essa persino “ex officio”.

 

Revocazione sentenza d’appello – Sospensione del termine per il ricorso per cassazione – Decorrenza

Proposta revocazione di sentenza d’appello con contestuale istanza di sospensione e disposta dal giudice, che reputi non manifestamente infondata l’impugnazione, la sospensione del termine per esperire ricorso per cassazione, gli effetti della sospensione si producono dal momento della proposizione dell’istanza di parte, non potendo il ritardo nella deliberazione del giudice risolversi in danno dell’istante, e perdurano fino alla comunicazione della sentenza che pronunci sulla revocazione, secondo l’espressa previsione dell’ultimo comma dell’art. 398 cod. proc. civ., con la conseguenza che dalla data dell’avvenuta comunicazione riprende a decorrere, per la parte residua, il termine per la proposizione del ricorso per cassazione.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 17 aprile 2013, n. 9239   (CED Cassazione 2013)

Articolo 2045 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con citazione ritualmente notificata (OMISSIS) conveniva in giudizio (OMISSIS) e la (OMISSIS) Spa per ottenere il risarcimento dei danni subiti a seguito del sinistro stradale, verificatosi l'(OMISSIS) tra la propria vettura e l’auto Mercedes condotta dal (OMISSIS). In esito al giudizio, in cui si costituivano i convenuti chiedendo il rigetto della domanda, il Giudice di pace di Ravenna dichiarava che l’incidente era stato provocato da una tentata manovra di inversione di marcia posta in essere da un automobilista sconosciuto, rigettava la domanda attrice, condannava l’attore alla rifusione delle spese di lite. Avverso tale decisione il (OMISSIS) proponeva appello ed, in esito al giudizio, il Tribunale di Ravenna accoglieva parzialmente l’impugnazione compensando integralmente le spese di lite di primo grado ma respingendo la domanda di indennità ex articolo 2045 c.c.. Tale decisione era impugnata dal (OMISSIS) per revocazione ex articolo 395 c.p.c., n. 4, ed in esito a tale giudizio il Tribunale di Ravenna con sentenza depositata in data 28.11.2006 dichiarava non ammissibile – non fondata l’azione in revocazione per inesistenza di errore di fatto. Avverso la detta sentenza il (OMISSIS) ha quindi proposto ricorso per cassazione articolato in 5 motivi. Resisteva con controricorso la (OMISSIS) S.p.a.. Nell’udienza del 13 giugno 2012 la Corte ordinava l’acquisizione del fascicolo d’ufficio del procedimento revocatorio n. 3792/04 del Tribunale di Ravenna al fine di verificare se il giudice, davanti al quale era stata proposta la revocazione, effettivamente sospese i termini per la proposizione del ricorso per cassazione, su istanza dell’impugnante.

MOTIVI DELLA DECISIONE

Mette conto di sottolineare preliminarmente che, come risulta dall’esame del fascicolo d’ufficio del procedimento revocatorio n. 3792/04 del Tribunale di Ravenna, successivamente pervenuto nella cancelleria di questa Corte, il giudice della revocazione nell’udienza del 20 gennaio 2005 ha ritualmente provveduto a sospendere i termini per la proposizione del ricorso per cassazione ex articolo 398 c.p.c., u.c..

Ciò posto, al fine di inquadrare più agevolmente il complesso delle doglianze formulate dalla ricorrente, torna utile rilevare che con i primi due motivi di impugnazione il ricorrente ha lamentato l’erroneità della sentenza di appello del Tribunale di Ravenna, rispettivamente, per violazione dell’articolo 2045 c.c. e articolo 345 c.p.c. (con il primo motivo) e per insufficiente motivazione (con il secondo motivo) mentre, con gli ultimi tre motivi, ha censurato invece la sentenza emessa nel giudizio di revocazione, dolendosi rispettivamente per omessa motivazione, illogica motivazione e per violazione dell’articolo 395, comma 1, n. 4.

In particolare, procedendo all’esame di queste ultime censure, in considerazione del loro carattere logicamente e giuridicamente pregiudiziale, va evidenziato che con la prima delle tre doglianze, fondata sulla asserita omessa motivazione della sentenza impugnata, il ricorrente lamenta che il giudice ha ritenuto l’inammissibilità della domanda di revocazione impostando il suo ragionamento su un fatto diverso da quello su cui si basava la doglianza oggetto del giudizio di revocazione. Quest’ultima infatti investiva l’erroneità della supposizione del giudice circa l’urto tra i due veicoli, che avrebbe dato causa al sinistro, mentre il giudice della revocazione ha invece soffermato la sua attenzione sull’intervento del terzo automobilista.

Inoltre – il rilievo concreta la doglianza successiva – il giudice sarebbe incorso in una contraddizione nel suo ragionamento logico-giuridico sia tra la premessa (inammissibilità dell’azione di revocazione) e la conclusione (esclusione dell’errore revocatorio) sia tra la motivazione ed il dispositivo quando dichiara “non ammissibile – non fondata l’azione in revocazione per inesistenza di errore di fatto, con possibilità di analisi della tecnica motivazionale a sostegno dell’ipotesi formulata dal giudice solo in sede di legittimità”.

Infine il giudice – il rilievo sostanzia l’ultima doglianza – sarebbe incorso nella violazione dell’articolo 395, comma 1, n. 4. Ed invero, “contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, la doglianza di parte attrice introdotta dinanzi allo stesso, costituisce motivo revocatorio ai sensi del citato articolo 395 c.p.c., n. 4, e non vizio di legittimità” avendo il giudice di secondo grado fondato la sua decisione sull’urto tra i veicoli del (OMISSIS) e del terzo, fatto escluso dalle risultanze probatorie. I motivi in questione, che vanno esaminati congiuntamente in quanto sia pure sotto diversi ed articolati profili, prospettano ragioni di censura intimamente connesse tra loro, sono infondati e non meritano accoglimento.

A riguardo, torna opportuno evidenziare che la ratio decidendi della sentenza impugnata si fonda sulla premessa che la ricostruzione dell’incidente, effettuata dal giudice dell’appello, fondata sull’urto tra le due auto, quella del (OMISSIS) e quella del terzo, anche se oggettivamente rimasta “inverificata”, non era comunque escludibile a priori, essendo possibile e verosimile, e soprattutto non era rimasta esclusa con certezza. Conseguentemente, non ricorreva l’errore di fatto di cui all’articolo 395 c.p.c., n. 4, in quanto la decisione – questa, nella sostanza delle cose, la conclusione del percorso argomentativo – non era fondata sulla supposizione di un fatto la cui verità fosse stata incontrastabilmente esclusa dalle risultanze processuali.

Le considerazioni svolte nella decisione impugnata sono corrette e meritano di essere condivise. Ed invero, l’ipotesi normativa in esame postula indispensabilmente una falsa percezione della realtà, una svista obiettivamente e immediatamente rilevabile, la quale abbia portato ad affermare o supporre l’esistenza di un fatto decisivo incontestabilmente escluso dagli atti e documenti, ovvero l’inesistenza di un fatto decisivo che dagli atti o documenti stessi risulti positivamente accertato, e pertanto consiste in un errore meramente percettivo che in nessun modo coinvolga l’attività valutativa del giudice di situazioni processuali esattamente percepite nella loro oggettività (cfr. Cass. 8180/09).

Tutto ciò premesso e considerato, volendo anche trascurare la circostanza che nel caso di specie si versa comunque nell’ambito dell’attività valutativa del giudice, si deve altresì sottolineare che non risulta minimamente accertato – ma in realtà il ricorrente non lo ha neppure dedotto – che nella fattispecie sussista il necessario nesso causale tra l’errore di fatto che si denuncia e la decisione adottata. E ciò, malgrado che l’errore revocatorio, ai fini dell’accoglimento dell’impugnazione, debba essere essenziale ai fini della decisione, nel senso che, in mancanza dell’errore, la decisione sarebbe stata con certezza, in tutto o in parte, di segno opposto. Ora, tale ipotesi deve essere invece esclusa, nella specie, giacchè l’adozione della manovra di emergenza attuata dal (OMISSIS), virando bruscamente sulla destra, non fu necessariamente riconducibile all’urto con la vettura proveniente dal senso opposto, ove mai avvenuto, potendo essere stata provocata, anche e soltanto, dall’improvvisa immissione della medesima auto nel varco lasciato nella barriera divisoria centrale della strada.

Giova aggiungere che, abbastanza recentemente, le Sezioni Unite hanno ribadito che il fatto che si assume erroneo deve costituire il fondamento della decisione revocanda ovvero deve rappresentare l’imprescindibile, oltre che esclusiva, premessa logica di tale decisione, sicchè tra il fatto erroneamente percepito, o non percepito, e la statuizione adottata intercorra un nesso di necessità logica e giuridica tale da determinare, in ipotesi di percezione corretta, una decisione diversa (cfr. S.U. ord. 1666/09).

Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, devono essere pertanto rigettate le doglianze avanzate dal ricorrente avverso la sentenza del Tribunale di Ravenna, depositata in data 8.11.2006.

Passando all’esame delle prime due doglianze proposte avverso la sentenza emessa dal Tribunale di Ravenna, in sede di appello, depositata in data 17.2.04, va osservato che con il primo motivo di impugnazione, deducendo la violazione dell’articolo 2045 c.c. e articolo 345 c.p.c., il ricorrente ha censurato la sentenza impugnata nella parte in cui il Tribunale ha rigettato la domanda di corresponsione dell’indennizzo ex articolo 2045 c.c., proposta in appello, trascurando che la detta domanda rientra implicitamente in quella risarcitoria. Inoltre – ed il rilievo sostanzia la seconda censura per motivazione insufficiente – il giudice del merito non avrebbe motivato in maniera sufficiente in punto di valutazione degli elementi, sulla base dei quali ha sollevato il (OMISSIS) da qualsiasi responsabilità.

In ordine alle dette doglianze, deve preliminarmente soffermarsi l’attenzione sulla dedotta inammissibilità del ricorso per cassazione, che le contiene, per tardività dell’impugnazione proposta avverso la sentenza di appello, questione sollevata dal P.G. nel corso della discussione.

A riguardo, merita di essere condivisa la premessa argomentativa del P.G. in quanto, secondo il consolidato orientamento di questa Corte, il deposito del ricorso (o la notifica della citazione) per la revocazione di una sentenza in grado di appello integra, sia nei confronti della parte istante che di quella destinataria, conoscenza legale della sentenza agli effetti della decorrenza del termine breve per proporre ricorso per cassazione, la cui tempestività deve essere pertanto verificata sia con riguardo al termine di un anno (ai sensi dell’articolo 327 cod. proc. civ., nel testo “ratione temporis” applicabile nella specie, vigente anteriormente alla modifica apportata dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69) che a quello di sessanta giorni dalla domanda di revocazione, salvo che il giudice chiamato a pronunziarsi in sede rescindente, abbia sospeso il termine per proporre ricorso per cassazione ai sensi dell’articolo398 cod. proc. civ., comma 4 (cfr. tra le altre Cass. n. 20812/09, n. 14267/07, n. 1196/06, n. 4537/92).

Pertanto, qualora una parte proponga revocazione, avanzando contestualmente istanza di sospensione, ed il giudice, davanti al quale è proposta la revocazione, ritenendo non manifestamente infondata l’impugnazione sulla quale è chiamato a pronunciarsi, provveda a sospendere il termine per la proposizione del ricorso per cassazione, la sospensione, una volta disposta, produce i suoi effetti dal momento della proposizione dell’istanza di parte, non potendo il ritardo del giudice nella deliberazione sull’istanza risolversi in danno dell’istante, e dura fino alla comunicazione della sentenza che ha pronunciato sulla revocazione secondo l’espressa previsione dell’articolo 398 cod. proc. civ., u.c.. Con la conseguenza che dalla data dell’avvenuta comunicazione riprende a decorrere, per la parte residua, il termine per la proposizione del ricorso per cassazione.

Ciò premesso, torna opportuno sottolineare, riguardo alla vicenda processuale che ci occupa, le seguenti circostanze: 1) la sentenza di appello è stata depositata il 17 febbraio 2004. 2) il ricorso per revocazione, contenente altresì l’istanza di sospensione, è stato proposto il 15 ottobre 2004. 3) la sospensione è stata accordata il 20 gennaio 2005. 4) la sentenza sulla revocazione è stata depositata in data 8.11.2006 ed il dispositivo di tale sentenza è stato comunicato al ricorrente il 15 novembre 2006. 5) il ricorso per cassazione è stato infine proposto il 12 gennaio 2007. Ne deriva con tutta evidenza che il ricorso de quo è stato invero proposto tempestivamente, sia con riguardo al termine di un anno e quarantasei giorni (ai sensi dell’articolo 327 cod. proc. civ., nel testo “ratione temporis” applicabile nella specie, vigente anteriormente alla modifica apportata dalla Legge 18 giugno 2009, n. 69) che a quello di sessanta giorni dalla data di comunicazione della sentenza sulla revocazione, onde la sua ammissibilità e l’infondatezza della questione sollevata dal P.G..

Passando all’esame delle doglianze, sopra riportate nella loro essenzialità, deve rilevarsi che il giudice di appello ha rigettato la domanda di indennità ex articolo 2045 c.c. (così, nel dispositivo) in quanto “sicuramente diversa da quella risarcitoria, tale per cui non può essere proposta per la prima volta in appello” (così, nella motivazione, cfr pag. 6). Ora, a parte la considerazione che, secondo il dettato dell’articolo 345, comma 1, prima parte, nel testo applicabile ratione temporis, ove proposte in appello, le domande nuove debbono essere dichiarate inammissibili d’ufficio, e non rigettate, mette conto di sottolineare che costituisce domanda nuova quella in cui venga mutato uno dei soggetti o il petitum o la causa petendi, la quale viene in tal modo ad integrare una pretesa diversa rispetto a quella fatta valere in primo grado.

In particolare, con riferimento alla causa petendi, si verifica mutamento della domanda solo quando attraverso la prospettazione di nuove circostanze di fatto o di nuove situazioni giuridiche, si determina un’alterazione del complesso dei fatti storici tale da modificare i termini della controversia e da introdurre un nuovo tema di indagini su cui non si era svolto il contraddittorio. Non ricorre invece una pretesa diversa in caso di sua diversa quantificazione, fermi i fatti costitutivi di essa.

La premessa torna utile in quanto, in tema di sinistri derivanti dalla circolazione stradale, l’apprezzamento del giudice di merito, relativo alla ricostruzione della dinamica dell’incidente, dovendo essere rivolto all’accertamento della condotta dei conducenti dei veicoli, alla sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti e alla loro eventuale graduazione, al pari dell’accertamento dell’esistenza o dell’esclusione del rapporto di causalità tra i comportamenti dei singoli soggetti e l’evento dannoso, non può non estendersi altresì alla verifica della ricorrenza dell’esimente dello stato di necessità di cui all’articolo 2045 c.c., che sia comunque emersa dalle risultanze processuali.

Ciò, in quanto il giudice del merito deve proporsi d’ufficio l’indagine in ordine al sussistenza o meno della colpa dei soggetti coinvolti nel sinistro e alla loro eventuale graduazione. Con la conseguenza ulteriore che il giudice del merito deve applicare d’ufficio la norma citata quando risulti accertato che una delle parti abbia agito in stato di necessità.

Ne deriva che, in caso di proposizione, per la prima volta in appello, della domanda di corresponsione di indennizzo ex articolo 2045 c.c., non può trovare ingresso l’ipotesi della inammissibilità della domanda a norma dell’articolo 345 c.p.c., trattandosi di una domanda che di per sè non comporta indagini ed accertamenti di fatto nuovi e, comunque, estranei al tema decisionale, come risultava già delineato in primo grado.

Giova sottolineare che, qualora l’attore abbia chiesto il risarcimento dei danni e sia stato accertato che il convenuto aveva agito in stato di necessità, il giudice deve applicare d’ufficio l’articolo 2045 cod. civ., essendo implicita nella domanda di risarcimento quella di corresponsione di un equo indennizzo, anche in assenza di un esplicito richiamo, da parte del danneggiato, alla ricordata norma ex articolo 2045 cod. civ. (Cass. n. 12100/2003, n. 2913/66, n. 2575/64 nonchè in motivazione Cass. n. 4029/95 e Cass. n. 10571/2002).

Alla stregua di tutte le pregresse considerazioni, vanno pertanto accolti il primo ed il secondo motivo di ricorso, vanno invece rigettati gli altri motivi e la sentenza deve essere cassata in relazione. Con l’ulteriore conseguenza che, occorrendo un rinnovato esame da condursi nell’osservanza del principio stabilito, la causa va rinviata al Tribunale di Ravenna, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo ed il secondo motivo di ricorso, rigetta gli altri, cassa la sentenza in relazione, con rinvio della causa al Tribunale di Ravenna, in diversa composizione, che provvederà anche in ordine al regolamento delle spese della presente fase di legittimità.

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