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Cassazione Civile 9379/2018 – Decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria

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Ordinanza 9379/2018

Decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria

Rinuncia preventiva da parte del fideiussore – La decadenza del creditore dall’obbligazione fideiussoria ai sensi dell’articolo 1957 del codice civile per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale può formare oggetto di rinuncia preventiva da parte del fideiussore, trattandosi di pattuizione affidata alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, da parte del fideiussore, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore.

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Ordinanza 16 aprile 2018, n. 9379

Articolo 1957 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Catania, con sentenza n. 535/2013 – in giudizio promosso da (OMISSIS), nei confronti della (OMISSIS) spa (attrice in riconvenzionale, cui poi è subentrata la (OMISSIS) s.c. a r.l.), al fine di sentire dichiarare la fideiussione, dal medesimo (OMISSIS) rilasciata in favore della (OMISSIS) srl (società successivamente fallita, amministrata dal (OMISSIS) sino all’inizio del 1997), in via principale, estinta, ai sensi dell’articolo 1956 c.c.(per avere la Banca “dilatato la linea di credito inizialmente concessa” alla correntista) e dell’articolo 1957 c.c. (per decadenza del creditore in mancanza di tempestiva proposizione delle azioni contro la debitrice principale), ovvero nulla, per indeterminatezza dell’oggetto, ovvero, in via subordinata, per sentire dichiarare nulle ed inefficaci le clausole, convenute con la società nel rapporto di conto corrente, contemplanti pattuizione di interessi ultralegali ed usurari e della capitalizzazione trimestrale, con rideterminazione del saldo debitore effettivo e legittimo -, ha confermato, respingendo, nella contumacia dell’appellata (OMISSIS), il gravame del (OMISSIS), la decisione di primo grado.

Il Tribunale di Catania aveva solo parzialmente accolto le domande attrici, in punto di invalidità delle clausole pattizie, relative alla capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, condannando, in accoglimento della riconvenzionale della convenuta, il (OMISSIS), quale fideiussore, al pagamento in favore della banca garantita della somma di Euro 139.674,13, oltre interessi.

Avverso la suddetta sentenza, il (OMISSIS) propone ricorso per cassazione, affidato a quattro motivi, nei confronti della (OMISSIS) s.c. a r.l. (ora (OMISSIS), (OMISSIS) avente causa della srl (OMISSIS), poi spa (OMISSIS), che resiste con controricorso).

RAGIONI DELLA DECISIONE

  1. Il ricorrente lamenta: 1) con il primo motivo, sia l’erronea e carente motivazione sia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla questione dell’estinzione e nullità della fideiussione, ai sensi dell’articolo1956 c.c., per comportamento tenuto dalla banca in violazione del principio di correttezza e buona fede, avendo la stessa dilatato il credito nei confronti della società garantita; 2) con il secondo motivo, l’erronea e carente motivazione in ordine al mancato accertamento della sussistenza del beneficio di escussione e della invalidità della relativa rinuncia pattizia, ai sensi dell’articolo1957 c.c.; 3) con il terzo motivo, sia l’erronea e carente motivazione sia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla questione della nullità della c.d. fideiussione omnibus per indeterminatezza dell’oggetto; 4) con il quarto motivo, sia l’erronea e carente motivazione sia l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine alla questione della mancata rimessione della causa sul ruolo e rinnovazione della consulenza tecnica per l’accertamento dell’applicazione, al rapporto di conto corrente bancario con la società poi fallita, di tassi di interesse in misura superiore alla L. n. 108 del 1996 nonchè in contrasto con la L. n. 385 del 1993, essendo gli estratti conto, prodotti in primo grado dalla banca, su ordine di esibizione ex articolo 210 c.p.c., parte integrante della consulenza tecnica espletata.
  2. Tutte le censure sollevate sono inammissibili, con riguardo ai vizi motivazionali che non rispettano il nuovo dettato dell’articolo 360 c.p.c., n. 5. In seguito alla riformulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, disposta dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, conv., con modif., dallaL. n. 134 del 2012, applicabile nella specie, non sono più ammissibili nel ricorso per cassazione le censure di contraddittorietà e insufficienza della motivazione della sentenza di merito impugnata, in quanto il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del “minimo costituzionale” richiesto dall’articolo111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi – che si convertono in violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e danno luogo a nullità della sentenza – di “mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale”, di “motivazione apparente”, di “manifesta ed irriducibile contraddittorietà” e di “motivazione perplessa od incomprensibile”, al di fuori delle quali il vizio di motivazione può essere dedotto solo per omesso esame di un “fatto storico”, che abbia formato oggetto di discussione e che appaia “decisivo” ai fini di una diversa soluzione della controversia (Cass. n. 23940/2017).

Ora, volendo ricondurre tali censure al vizio relativo all’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, decisivo per il giudizio e che sia stato oggetto di discussione tra le parti, il ricorrente non specifica (S.U. n. 8053/2014) quali siano i fatti storici, distinti dalle questioni di diritto, il cui esame sarebbe stato omesso dalla Corte d’appello, e denuncia invece una insufficiente e contraddittoria motivazione.

  1. Sono poi infondate le sottese violazioni di legge, presenti nel corpo dei singoli motivi.

3.1. Quanto alla violazione dell’articolo 1956 c.c., la Corte ha rilevato che in primo grado fosse stato accertato, in difetto di contestazioni sul punto, che la banca non ha mai “dilatato la linea di credito inizialmente concessa”, quando il (OMISSIS) (amministratore della (OMISSIS) sino al gennaio 1997) si era costituito fideiussore, avendola, anzi, ridotta nel tempo, sino a revocarla, due mesi dopo la cessazione della carica di amministratore da parte del ricorrente. Non risultava pertanto raggiunta la prova della sussistenza dei presupposti per la liberazione del fideiussore. Il fideiussore, che chiede la liberazione della prestata garanzia, invocando l’applicazione dell’articolo 1956 c.c., ha infatti l’onere di provare, ai sensi dell’articolo 2697 c.c., l’esistenza degli elementi richiesti a tal fine, e cioè che “successivamente alla prestazione della fideiussione per obbligazioni future, il creditore, senza la sua autorizzazione, abbia fatto credito al terzo pur essendo consapevole dell’intervenuto peggioramento delle sue condizioni economiche” (Cass. n. 2524 del 2006), onere della prova, nella specie, non assolto.

3.2. Quanto alla invalidità della rinuncia preventiva, da parte del fideiussore, al beneficio della tempestiva escussione della debitrice principale, ai sensi dell’articolo 1957 c.c., la Corte d’appello ha applicato il principio di diritto, costantemente ribadito da questa Corte, secondo il quale “la decadenza del creditore dal diritto di pretendere l’adempimento dell’obbligazione fideiussoria, sancita dall’articolo 1957 c.c., per effetto della mancata tempestiva proposizione delle azioni contro il debitore principale, può essere preventivamente rinunciata dal fideiussore, trattandosi di pattuizione rimessa alla disponibilità delle parti che non urta contro alcun principio di ordine pubblico, comportando soltanto l’assunzione, per il garante, del maggior rischio inerente al mutamento delle condizioni patrimoniali del debitore” (Cass. -9245/2007; Cass. 21867/2013).

3.3. Quanto alla nullità della fideiussione c.d. omnibus per indeterminatezza dell’oggetto, la Corte d’appello ha rilevato che, come accertato in primo grado, era stato convenuto un importo massimo di finanziamento, in conformità dell’articolo 1938 c.c., come novellato dalla L. n. 154 del 1992.

3.4. Quanto alla questione della invalidità della pattuizione, nei contratti bancari conclusi dalla società garantita, di interessi superiori al c.d. tasso soglia di cui alla L. n. 108 del 1996, il ricorrente si limita a censurare la statuizione in ordine alla reiezione della richiesta formulata in appello di rinnovazione della CTU già espletata in primo grado. La doglianza, espressa, nel quarto motivo, in termini di “omessa ammissione” e di “omessa motivazione” sull’istanza istruttoria, è inammissibile perchè l’esplicito rigetto, anche se per ragioni di rito (mancata riproduzione in appello degli estratto-conto, prodotti in primo grado dalla banca, contumace in appello), esclude per sua stessa definizione qualsivoglia difetto di pronuncia.

  1. Per tutto quanto sopra esposto, va respinto il ricorso. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente, al rimborso delle spese processuali del presente giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 6.000,00, a titolo di compensi, oltre Euro 200,00 per esborsi, nonchè rimborso forfetario spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, dà atto della ricorrenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente dell’importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

 

 

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