Ordinanza 9433/2023
Esecuzione forzata – Dichiarazione del terzo di sussistenza di precedenti pignoramenti – Indicazione dei relativi estremi da parte del terzo pignorato
Nel procedimento di espropriazione dei crediti di cui agli artt. 543 e ss. c.p.c., il terzo pignorato che dichiari la sussistenza della propria obbligazione nei confronti del debitore esecutato – precisando, però, che il relativo credito risulta già vincolato da precedenti pignoramenti – ha l’obbligo, ai sensi dell’art. 550 c.p.c., di indicare gli estremi di questi ultimi (precisando, quindi, l’identità dei creditori pignoranti, la data della notifica dei pignoramenti, gli importi pignorati, nonché il contenuto delle dichiarazioni di quantità già rese e gli eventuali pagamenti già effettuati in base ai provvedimenti di assegnazione emessi), onde consentire al giudice dell’esecuzione di eventualmente disporre, nella presenza dei necessari presupposti, la riunione delle procedure, ai sensi dell’art. 524 c.p.c.; nel caso in cui tali indicazioni non siano fornite, la dichiarazione dovrà ritenersi incompleta e il giudice dell’esecuzione dovrà sollecitarne al terzo l’integrazione, fissando all’uopo una nuova udienza ex art. 548 c.p.c. e concedendogli, nell’ipotesi in cui i pignoramenti in questione siano in numero tale da rendere necessaria una complessa attività di recupero dei dati necessari, un adeguato termine, il cui vano decorso impedisce di intendere la dichiarazione come regolarmente resa, ai sensi dello stesso art. 548 c.p.c., con la conseguenza che, se le allegazioni del creditore o anche la stessa dichiarazione comunque resa dal terzo consentano l’individuazione del credito pignorato, potrà procedersi alla relativa assegnazione in favore del creditore procedente.
Cassazione Civile, Sezione 3, Ordinanza 5-4-2023, n. 9433 (CED Cassazione 2023)
Fatti di causa
(OMISSIS), creditore della ASL Napoli 3 Sud, ha pignorato le disponibilità della stessa presso l’istituto tesoriere Banco
di Napoli S.p.A. (oggi Intesa Sanpaolo S.p.A.). Quest’ultimo ha
dichiarato la sussistenza di un saldo attivo sul conto di tesoreria, precisando però che tale saldo risultava già interamente
vincolato in virtù di precedenti pignoramenti notificati contro la
medesima ASL, senza che si fossero determinate disponibilità
successive al pignoramento.
Sorta contestazione su tale dichiarazione, il giudice dell’esecuzione ha richiesto all’istituto tesoriere terzo pignorato l’integrazione della stessa, con l’indicazione degli estremi delle precedenti procedure esecutive incidenti sul credito dichiarato e, comunque, l’esibizione delle scritture contabili attestanti le operazioni successive al pignoramento; non avendo la banca integrato la dichiarazione, ha disposto l’assegnazione delle somme pignorate.
L’istituto tesoriere ha impugnato l’ordinanza di assegnazione
con l’opposizione agli atti esecutivi, ai sensi dell’art. 617 c.p.c..
L’opposizione è stata accolta dal Tribunale di Torre Annunziata.
Ricorre il (OMISSIS), sulla base di tre motivi.
Resiste con controricorso Intesa Sanpaolo S.p.A..
Non ha svolto attività difensiva in questa sede la ASL intimata.
È stata disposta la trattazione in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 375 e 380 bis.1 c.p.c..
Prima della data fissata per l’adunanza, si sono costituiti (OMISSIS), nonché (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), quali eredi di (OMISSIS), deceduto dopo la proposizione del ricorso.
Parte controricorrente ha depositato memoria ai sensi dell’art.
380 bis.1 c.p.c..
Il Collegio si è riservato il deposito dell’ordinanza nei sessanta
giorni dalla data della decisione.
Ragioni della decisione
1. Con il primo motivo del ricorso si denunzia «nullità della sentenza per violazione e falsa applicazione degli artt. 543, 547,
550, 552 c.p.c., nonché 2697 c.c. (art. 360, nn. 3 e 4 c.p.c.)».
Con il secondo motivo si denunzia «nullità della sentenza per la
violazione e falsa applicazione degli artt. 547, 548, 549 e 550
c.p.c. (art. 360, n. 3 c.p.c.)».
Con il terzo motivo si denunzia «nullità della sentenza per violazione dell’art. 132, n. 4 c.p.c. – motivazione manifestamente
ed irriducibilmente contraddittoria (art. 360, n. 3 c.p.c.)».
I tre motivi del ricorso, in quanto logicamente e giuridicamente
connessi, possono essere esaminati congiuntamente.
Essi sono fondati.
2. Il ricorrente deduce, in primo luogo, che il tribunale avrebbe
errato nel qualificare la dichiarazione di quantità resa dal terzo
tesoriere come negativa.
Intesa Sanpaolo S.p.A. aveva dichiarato che sussisteva un
saldo attivo sul conto di tesoreria, per oltre 17 milioni di euro,
limitandosi a specificare che la predetta somma era già integralmente vincolata in virtù di precedenti pignoramenti e che
dal momento del pignoramento non si erano verificate ulteriori
disponibilità.
Si tratta di una dichiarazione oggettivamente e innegabilmente
di carattere positivo, in quanto il terzo ha dichiarato l’esistenza
di un credito dell’azienda debitrice esecutata nei suoi confronti,
in virtù del saldo positivo del conto di tesoreria, precisando
esclusivamente che vi erano precedenti pignoramenti che avevano già colpito il medesimo credito.
È principio consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, cui
va data piena continuità, quello per cui la dichiarazione di quantità con la quale il terzo riconosce l’esistenza di una sua obbligazione nei confronti del debitore esecutato, anche se contiene
la precisazione che il credito aggredito in via esecutiva è
soggetto a vincoli di qualunque genere (impignorabilità, vincoli
di destinazione rilevanti per legge ecc.), non perde affatto il suo
carattere positivo: i vincoli incidono del resto solo sulla possibilità di procedere all’assegnazione del credito, questione rispetto
alla quale il terzo è di regola estraneo (salvo che gliene derivi
un pregiudizio diretto), non sul carattere della dichiarazione.
2. In realtà, la questione effettivamente rilevante ai fini della
presente controversia, non è tanto il carattere positivo o meno
della dichiarazione resa dal terzo, visto che il contenuto di detta
dichiarazione, con riguardo all’esistenza del credito pignorato,
è chiaro ed evidente (il terzo ha infatti espressamente dichiarato che il conto di tesoreria presentava un saldo di oltre 17
milioni di euro, benché interamente vincolato in virtù di pignoramenti notificati in precedenza), ma la circostanza che detta
dichiarazione, pur positiva, risulta palesemente incompleta.
In proposito, emerge dagli atti che il giudice dell’esecuzione,
essendo sorta contestazione sulla completezza della dichiarazione di quantità resa dal terzo tesoriere senza l’indicazione degli estremi dei precedenti pignoramenti di cui era stata dedotta
l’esistenza, lo aveva espressamente invitato ad integrarla fornendo tali indicazioni e lo aveva anche avvertito che, in mancanza, avrebbe considerato verificati gli effetti di cui all’art. 548, comma 2, c.p.c..
L’istituto terzo aveva omesso di rendere l’integrazione richiesta
e, di conseguenza, il giudice dell’esecuzione aveva assegnato
le somme pignorate espressamente enunciando che, in virtù di
tale omissione, la dichiarazione resa doveva considerarsi “tacitamente positiva”.
Il tribunale ha ritenuto, però, che il giudice dell’esecuzione
avesse effettuato una «ingiustificata commistione tra il procedimento di cui all’art. 548 c.p.c.) … … e quello di cui all’art 549
c.p.c.» e (anche) da tale affermazione ha fatto discendere l’illegittimità del provvedimento di assegnazione.
Tale conclusione non è conforme a diritto.
3. Ai sensi dell’art. 550, comma 1, c.p.c., il terzo, nel rendere
la dichiarazione di quantità, ha anche l’obbligo di “indicare” i
pignoramenti che sono stati eseguiti presso di lui.
Il verbo “indicare” implica evidentemente che di tali pignoramenti devono essere precisati gli estremi necessari alla loro individuazione, cioè quanto meno il creditore, la data di notifica del pignoramento e l’entità della somma pignorata; il terzo dovrebbe poi altresì precisare, laddove possibile, il contenuto delle
dichiarazioni di quantità già rese e gli eventuali pagamenti effettuati in base ai provvedimenti di assegnazione già emessi.
In base a tali indicazioni, infatti, il giudice dell’esecuzione deve
individuare le procedure ancora pendenti in ordine al medesimo
credito, verificarne lo stato o l’esito ed eventualmente disporne
la riunione, come impone l’art. 550 c.p.c. nel richiamare l’art.
524 c.p.c..
Del resto, lo stesso tribunale, nella parte finale della sentenza
impugnata, afferma che, anche ad intenderla come positiva, la
dichiarazione di quantità resa dal terzo tesoriere non avrebbe
consentito l’assegnazione, in quanto avrebbe dovuto disporsi la
riunione della procedura esecutiva per cui è causa con quelle
originate dai precedenti pignoramenti.
Da tale ultima affermazione emerge chiaramente l’erroneità e
la contraddizione logica insita nella decisione impugnata.
Non vi è dubbio che, in presenza di una pluralità di pignoramenti aventi ad oggetto il medesimo credito, il giudice dell’esecuzione debba verificare lo stato delle varie procedure (in particolare, individuando quelle che hanno dato già luogo ad assegnazione e quelle che eventualmente non hanno dato luogo ad
assegnazione, per chiusura anticipata o perché sono tuttora
pendenti) ed eventualmente disporne la riunione, anche di ufficio.
È infatti proprio per tale ragione, come già chiarito, che l’art.
550 c.p.c. impone al terzo di indicare i pignoramenti precedenti
sul medesimo credito: il giudice dell’esecuzione deve essere
messo in condizione di effettuare quella verifica.
C’è allora da domandarsi come avrebbe potuto il giudice
dell’esecuzione, prima di procedere all’assegnazione, disporre
la riunione delle procedure aventi ad oggetto il medesimo credito (secondo quanto pare affermare il tribunale nella sentenza
impugnata), se il terzo pignorato non aveva integrato la sua
dichiarazione, come gli impone la legge e nonostante l’espressa
richiesta in tal senso formulatagli dallo stesso giudice, mediante
la precisa indicazione degli estremi dei precedenti pignoramenti.
In realtà, in caso di dichiarazione di quantità incompleta, perché
a fronte della dichiarazione dell’esistenza del credito pignorato
il terzo lo dichiara già integralmente vincolato in virtù di precedenti pignoramenti ma senza indicare, in violazione dell’art.
550 c.p.c., gli estremi dei precedenti pignoramenti, il giudice
dell’esecuzione non può ritenere che la dichiarazione di quantità
sia stata resa in modo adeguato, secondo le previsioni di legge,
il che gli impone di chiederne l’integrazione al terzo. A tale fine,
naturalmente, il terzo potrà anche chiedere ed ottenere un adeguato termine, nell’ipotesi in cui i pignoramenti in questione
siano in numero tale da rendere necessaria una complessa attività di recupero dei dati necessari.
Laddove peraltro, come nella specie, siffatta integrazione venga
espressamente richiesta dal giudice e il terzo non vi provveda
nel termine eventualmente concessogli, è inevitabile ritenere
che la dichiarazione non possa intendersi come resa regolarmente, con tutte le conseguenze previste dall’art. 548 c.p.c.,
anche in tema di “non contestazione”.
Il giudice dell’esecuzione, quindi, in siffatta situazione, correttamente può procedere all’assegnazione del credito dichiarato
esistente dal terzo, senza tener conto del generico richiamo ai
precedenti vincoli gravanti sullo stesso, in quanto non oggetto
di una precisa indicazione, come prescritto dalla legge, ovvero,
come sostanzialmente avvenuto nella specie, ritenere la dichiarazione di quantità “implicitamente positiva”.
4. In conclusione, la dichiarazione resa dall’istituto terzo tesoriere certamente non avrebbe potuto definirsi sic et simpliciter
“negativa”, come ha affermato il tribunale.
Essa era, al contrario, di carattere oggettivamente positivo, anche se ciò che ha effettivo rilievo ai fini dello svolgimento della
procedura esecutiva di cui si controverte è che si trattava di
una dichiarazione incompleta e che quindi, come tale, non poteva ritenersi resa in modo conforme a legge, con riguardo
all’indicazione dei vincoli gravanti sul credito dichiarato in virtù
di precedenti pignoramenti, il che giustificava l’assegnazione
delle somme dichiarate, anche ai sensi dell’art. 548 c.p.c.,
come correttamente ritenuto dal giudice dell’esecuzione.
5. Per quanto poi riguarda la pretesa «ingiustificata commistione tra il procedimento di cui all’art. 548 c.p.c.) … … e quello
di cui all’art 549 c.p.c.», dalla quale il tribunale ha fatto discendere l’illegittimità del provvedimento di assegnazione, si osserva quanto segue.
Secondo quanto emerge dagli atti, la contestazione della originaria dichiarazione di quantità era sorta proprio in ordine alla
completezza ed alla dedotta “elusività” della stessa, di modo
che il giudice aveva (del tutto correttamente, come già visto)
chiesto al terzo di integrarla ai sensi dell’art. 550 c.p.c., mediante l’indicazione degli estremi dei precedenti pignoramenti
di cui aveva fatto menzione, espressamente avvisandolo che,
in mancanza, ne avrebbe tratto le conseguenze previste dal
comma 2 dell’art. 548 c.p.c..
Tale richiesta, rivolta dal giudice al terzo, non si può certamente
considerare un atto di istruzione del giudizio sommario di
accertamento del credito di cui all’art. 549 c.p.c., accertamento
che si rende necessario a seguito delle contestazioni sull’esistenza di detto credito, ma costituisce una corretta modalità di
applicazione di quanto previsto dalla legge nell’ambito della
fase del procedimento di cui all’art. 548 c.p.c., cioè della fase
in cui il giudice dell’esecuzione valuta se sia stata resa la dichiarazione di quantità in modo completo, in conformità a
quanto previsto dalla legge, ed eventualmente sollecita il terzo
a completarla.
E siffatta valutazione, ovviamente, può ben preludere all’assegnazione, oltre che in base alla semplice considerazione del carattere positivo della dichiarazione resa in concreto, anche eventualmente in base al meccanismo della cd. “non contestazione” di cui all’art. 548 c.p.c., per la parte della dichiarazione
che non sia stata resa.
Il fatto poi che, nella specie, contestualmente alla richiesta di
integrazione della dichiarazione, il giudice dell’esecuzione
avesse anche chiesto al terzo di esibire le scritture contabili
successive al pignoramento, va inteso come una richiesta complementare alla prima, cioè come una richiesta di integrazione
della dichiarazione resa, comunque volta ad acquisire gli elementi necessari per verificare i presupposti dell’eventuale necessità di riunione delle procedure esecutive aventi ad oggetto il medesimo credito.
In ogni caso, anche a volere ammettere per un momento che,
con il suo modo di procedere, il giudice dell’esecuzione abbia
effettuato una sorta di “commistione” tra le attività di cui all’art.
548 e quelle di cui all’art. 549 c.p.c., indebitamente anticipando
le seconde ad un momento in cui non erano ancora esaurite le
prime, si tratterebbe di una (eventuale) commistione che di
certo nella specie non potrebbe avere alcuna incidenza sulla
legittimità del provvedimento finale di assegnazione delle
somme pignorate, dal momento che l’assegnazione risulta
disposta sulla base della sola circostanza (peraltro sufficiente a
tal fine, per quanto esposto in precedenza) della mancata integrazione della dichiarazione mediante l’indicazione degli
estremi dei precedenti pignoramenti richiamati dal terzo, senza
che al mancato deposito delle scritture contabili sia stato attribuito alcun rilievo a tal fine.
6. La decisione impugnata va, quindi, cassata affinché in sede
di rinvio la fattispecie sia rivalutata sulla base dell’applicazione
dei seguenti principi diritto:
«nel procedimento di espropriazione di crediti di cui agli artt.
543 e ss. c.p.c., laddove il terzo pignorato dichiari la sussistenza della propria obbligazione nei confronti del debitore esecutato, precisando però che il relativo credito risulta già vincolato in virtù di precedenti pignoramenti, egli ha l’obbligo, ai
sensi dell’art. 550 c.p.c., di indicare gli estremi di detti pignoramenti (precisando, quindi, quanto meno i creditori pignoranti,
la data della notifica dei pignoramenti, gli importi pignorati,
nonché il contenuto delle dichiarazioni di quantità già rese e gli
eventuali pagamenti già effettuati in base ai provvedimenti di
assegnazione emessi), onde consentire al giudice dell’esecuzione di disporre eventualmente, nella presenza dei necessari
presupposti, la riunione delle procedure, ai sensi dell’art. 524
c.p.c.; nel caso in cui tali indicazioni non siano fornite dal terzo,
la dichiarazione dovrà ritenersi incompleta e il giudice dell’esecuzione dovrà chiedere la sua integrazione allo stesso terzo,
fissando una nuova udienza ai sensi dell’art. 548 c.p.c. e concedendogli, nell’ipotesi in cui i pignoramenti in questione siano
in numero tale da rendere necessaria una complessa attività di
recupero dei dati necessari, un adeguato termine; nel caso in
cui, peraltro, nonostante il termine all’uopo concesso, l’integrazione non sia resa dal terzo, la dichiarazione non potrà intendersi regolarmente resa, ai sensi dello stesso art. 548 c.p.c., con la conseguenza che, se le allegazioni del creditore o anche
la stessa dichiarazione comunque resa dal terzo consentano
l’individuazione del credito pignorato, potrà procedersi all’assegnazione di esso in favore del creditore procedente».
7. Il ricorso è accolto e la sentenza impugnata è cassata in relazione, con rinvio al Tribunale di Torre Annunziata, in persona
di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Per questi motivi
La Corte:
– accoglie il ricorso e cassa in relazione la sentenza impugnata, con rinvio al Tribunale di Torre Annunziata, in persona di diverso magistrato, anche per le spese del giudizio di legittimità.
Così deciso nella camera di consiglio della Terza Sezione Civile, in data 22 marzo 2023.