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Cassazione Civile 9447/2010 – Attivazione da parte del funzionario di un impegno di spesa per l’ente locale senza l’osservanza dei controlli contabili – Responsabilità nei confronti del terzo contraente – Vantaggio o utilità della prestazione ricevuta

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Sentenza 9447/2010

Attivazione da parte del funzionario di un impegno di spesa per l’ente locale senza l’osservanza dei controlli contabili – Responsabilità nei confronti del terzo contraente – Vantaggio o utilità della prestazione ricevuta

Il funzionario o l’amministratore pubblici che abbiano attivato un impegno di spesa per l’ente locale senza l’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione degli enti medesimi, rispondono – in base alla disciplina recata dai commi 3 e 4 dell’art. 23 del d.l. 3 marzo 1989, n. 66 (convertito, con modificazioni, nella legge 29 aprile 1989, n. 144) – degli effetti di detta attività di spesa verso il terzo contraente, il quale è pertanto legittimato ad agire direttamente e personalmente nei loro confronti. Ne consegue che, ove, a loro volta, il funzionario o l’amministratori anzidetti abbiano proposto contro l’ente locale l’azione di indebito arricchimento (art.2041 cod. civ.), per l’accoglimento di tale domanda è necessario che la P.A. abbia espresso, tramite i suoi organi rappresentativi e deputati alla deliberazione della spesa, un giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità della prestazione ricevuta, non potendo detto giudizio provenire, però, dallo stesso funzionario o amministratore che si è reso inosservante della procedura prescritta, avendo costui, in ragione della sua consapevole condotta illegittima, interrotto il rapporto di immedesimazione organica con l’ente.

Corte di Cassazione, Sezione 3 civile, Sentenza 21 aprile 2010, n. 9447   (CED Cassazione 2010)

Articolo 2041 c.c. annotato con la giurisprudenza

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 10 marzo 2005 la Corte di appello di Messina ha respinto, compensando integralmente tra le parti le spese del grado, l’appello proposto da Sc. Mi. contro analoga decisione del Tribunale di quella città del 17 gennaio 2002, che aveva condannato lo Sc. al pagamento in favore della Ka. s.a. della somma di lire 17.218.885, oltre interessi legali dall’11 marzo 1991 all’effettivo saldo e a pagare in favore del Comune di Itala le spese processuali.

Avverso siffatta decisione insorge lo Sc. , affidandosi a due motivi.

Resiste con controricorso la Ka. .

Non ha svolto attività difensiva l’intimato Comune.

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. – In punto di fatto, va osservato che, a seguito di decreto ingiuntivo richiesto ed ottenuto dalla Ka. per complessive lire 17.218.885 per forniture di cancelleria richieste alla stessa dal Sindaco del Comune di Itala – lo Sc. – nel 1990, con spesa fuori bilancio, il Comune di Itala proponeva rituale opposizione l’11 novembre 1993 e chiamava in giudizio il Sindaco dell’epoca, eccependo la sua carenza di legittimazione passiva.

Lo Sc. si costituiva ed eccepiva, tra l’altro, che, comunque, si era verificato un indebito arricchimento del Comune, per cui chiedeva la condanna dell’ente ex articolo 2041 c.c..

2. – Con il primo motivo (violazione e falsa applicazione dell’articolo101 c.p.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 4 e 5 -contraddittoria ed illogica motivazione) il ricorrente lamenta che, sin dal primo grado, aveva sostenuto che l’azione di garanzia proposta contro di lui dal Comune era inammissibile, perchè, non potendo il Comune subire condanna diretta a favore della opposta, non aveva lo stesso Comune ragione e timore di essere sollevato da alcuna pregiudizievole conseguenza.

Avendo entrambi i giudici del merito dichiarato la inammissibilità della domanda proposta in via diretta dalla Ka. contro il Comune avrebbe dovuto essere dichiarata inammissibile anche la domanda di manleva proposta dal Comune contro di lui (p. 5 ricorso).

2. – Osserva il Collegio che il motivo va disatteso.

Risulta, infatti, dalla parte narrativa della impugnata sentenza che, nel costituirsi, il ricorrente ebbe ad affermare che non era derivato alcun danno al Comune dalla commissione di fornitura di materiale di cancelleria fatta da lui, sindaco pro tempore, alla Ka. con spesa fuori bilancio e, quindi, precisava che il Comune si era arricchito.

Peraltro “ove dovesse essere accolta la domanda del Comune opponente di suo difetto di legittimazione passiva in ogni caso doveva dichiararsi l’obbligo dello stesso a sollevare lo Sc. da ogni responsabilità, anche in applicazione dei principi in materia di indebito arricchimento, avendo il Comune accettato ed utilizzato la fornitura (p. 4-5 sentenza impugnata).

Così come formulata, la “domanda” dello Sc. è anche trascritta nel ricorso (p. 6 ricorso) e si configura come subordinata all’ipotesi di non accoglimento della eccezione di inammissibilità della domanda di garanzia proposta contro di lui dal Comune di Itala, premesso che egli condivideva la tesi del Comune della carenza da parte dell’ente di ogni legittimazione passiva in merito all’azione diretta dalla Ka. contro detto ente (p. 5 ricorso).

Nel caso in esame il giudice dell’appello ha dichiarato, e correttamente, la inammissibilità della domanda diretta della Ka. contro il Comune, ma ha, comunque, condannato lo Sc. perchè ha accettato il contraddittorio (p. 9 sentenza impugnata).

Dalla lettura delle richieste formulate dallo Sc. effettivamente non si ricava, malgrado la proposizione condizionante, alcun rifiuto di accettazione del contraddittorio, per cui come si evince ex adverso dalla stessa decisione da lui richiamata (Cass. n. 4738/86) il capo della sentenza impugnata va confermato.

2. – Con il secondo motivo (violazione e falsa applicazione della Legge 24 aprile 1989, n. 44, articolo 23, comma 3, ripetuto e sostituito dal Decreto Legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, articolo 35, n. 4 e articolo 37, comma 1, lettera e, in relazione all’articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5 – motivazione insufficiente e contraddittoria) il ricorrente lamenta che erroneamente il giudice dell’appello avrebbe rigettato la domanda, da lui rivolta contro il Comune, di indebito arricchimento, senza, peraltro, tener conto della sentenza n. 446/95 della Corte costituzionale.

La censura va disattesa per le seguenti considerazioni.

2.1. – Come si evince dalla sentenza impugnata, e non risulta contestato tra le parti, da parte dei competenti organi collegiali del Comune di Itala non vi è stata alcuna autorizzazione di fornitura, nè alcun impegno di spesa per essa nell’apposito capitolo di bilancio.

È, altresì, incontestato che fu lo Sc. a richiedere la fornitura e a “riconoscere” il debito in capo al Comune, il quale avrebbe ” valutato la utilitas della commissione richiesta alla Ka. e se ne è giovato” (p. 13 sentenza impugnata).

Ne consegue che, come correttamente ha valutato il giudice dell’appello, la fornitura in questione va inquadrata nell’ambito del Decreto Legge n. 66 del 1989, articolo 23, commi 3 e 4, convertito con modificazioni in Legge n. 144 del 1989 (Disposizioni in materia di autonomia impositiva degli enti locali e di finanza locale).

2.2. – L’articolo 23 nel comma 3 prevede che ai Comuni “l’effettuazione di qualsiasi spesa è consentita nelle forme previste dalla legge e divenuti- esecutiva, nonchè l’impegno contabile registrato dal ragioniere e dal segretario, ove non esista il ragioniere, sul competente capitolo di bilancio di previsione, da comunicare ai terzi interessati”.

Il successivo comma 4 dispone che “nel caso in cui vi sia stata l’acquisizione di beni o servizi in violazione dell’obbligo indicato nel comma 3 il rapporto obbligatorio intercorre, ai fini della controprestazione e per ogni altro effetto di legge, tra il privato fornitore e l’amministratore o il funzionario che abbiano consentita la fornitura”.

2.3. – Queste due disposizioni sono state oggetto di attenzione della Corte costituzionale, che è intervenuta nel 1995 con sentenza del 2 novembre 1995 n. 446 e nel 1997 con sentenza del 30 luglio 1997 n. 295, di cui la prima di “non fondatezza nei sensi di cui in motivazione”.

2.3.1. Nella sentenza n. 446/95 la Corte ha avuto modo di precisare che l’esclusiva sussistenza del rapporto contrattuale tra il terzo contraente e il funzionario (o l’amministratore), che ha autorizzato l’effettuazione dei lavori di somma urgenza, da un lato consente al funzionario (o all’amministratore) di poter esperire nei confronti dell’ente l’azione ex articolo 2041 c.c., nei limiti dell’arricchimento da questo conseguito, dall’altro il contraente privato è legittimato, utendo iuribus del funzionario ( o dell’amministratore) suo debitore, ad agire contro la P.A., anche contestualmente alla proposizione della domanda per il pagamento del prezzo nei confronti di costui e, in via surrogatoria, ex articolo2900 c.c., per assicurare che siano soddisfatte o conservate le sue ragioni, quando il patrimonio del funzionario (o dell’amministratore) non offra adeguata garanzia.

Afferma, inoltre, la Corte che, comunque, vi è la tutela del terzo contraente (anche sotto questo profilo la disposizione di cui all’articolo 23, comma 4 era stata denunciata come sospetta di incostituzionalità – n.d.r.), nel senso sopra indicato.

2.3.2. – Con la sentenza n. 295/97 il Giudice delle leggi è intervenuto sulla denunciata irragionevolezza del citato articolo 23, comma 4 e violazione dell’articolo 28 Cost., in quanto, ad avviso del giudice remittente, i terzi contraenti sarebbero rimasti privi di azione nei confronti della P.A. nel caso in cui questa si sia indebitamente arricchita (con correlativa diminuzione patrimoniale di chi ha eseguito le prestazioni) in conseguenza di un comportamento non illegittimo dei suoi dipendenti (par. 2, in motivazione).

Ha precisato la Corte, rispetto alla sentenza n. 446/95, che pure richiama, che la nozione di responsabilità della P.A., accanto a quella degli agenti pubblici e di cui all’articolo 28 Cost., presuppone, in via di principio, che si tratti di attività riferibili all’ente stesso.

Il che, quando il funzionario (o l’amministratore) opera al di fuori delle procedure prescritte, non è più rinvenibile, in quanto si rompe il rapporto di immedesimazione organica con l’ente.

3. – In virtù della lettura interpretativa operata dalla Corte costituzionale, si deve, dunque, ritenere, come poi ha ritenuto la giurisprudenza di legittimità, che:

a) in caso di fornitura richiesta al di fuori della procedura prescritta nell’articolo 23, comma 3 l’amministratore (o il funzionario), che abbia agito, non è più avvinto dal rapporto di immedesimazione organica con l’ente pubblico (v. Cass. n. 11854/07):

b) gli atti di acquisizione di beni e servizi effettuati in via illegittima non sono, quindi, riconducibili all’ente locale (Cass. n. 7085/97, richiamata anche da Cass. n. 7369/03; Cass. n. 25439/07);

c) il terzo contraente ha una azione diretta e personale contro il funzionario (o l’amministratore) che abbia autorizzato la spesa fuori bilancio (Cass. n. 7369/03; Cass. n. 7085/97);

d) il funzionario (o l’amministratore), se convenuto dal fornitore -terzo contraente- può agire nei confronti della P.A., ex articolo2041 c.c., purchè sussistano le condizioni che legittimino questo tipo di azione (Corte Cost. n. 44695; n. 295/97).

4.- Questa interpretazione, costituzionalmente orientata, dell’articolo 23, commi 3 e 4, consente al Collegio di osservare quanto segue.

Secondo la Corte costituzionale le due disposizioni sopra riportate – articolo 23, commi 3 e 4 – danno luogo ad una disciplina, successivamente riconfermata senza modifiche di fondo dal Decreto Legge n. 77 del 1995, articolo 35 che comporta l’imputazione alla sfera giuridica diretta e personale del funzionario (o dell’amministratore) degli effetti della attività di spesa che non si svolga nell’osservanza dei controlli contabili relativi alla gestione degli enti locali.

Si tratta di norme che hanno lo scopo, fra l’altro, di sollecitare un più rigoroso rispetto dei principi di legalità e correttezza da parte degli agenti pubblici (par. 3 sent. n. 295/97, in motivazione).

In sostanza, il Giudice delle leggi ha rinvenuto la ratio dell’articolo 23 Cost., comma 4 nell’articolo 97 Cost., comma 1, attribuendo al principio di legalità la natura di vincolo irrinunciabile all’azione amministrativa e a tale principio ha riconosciuto un valore sostanziale, posto a presidio della stessa attività amministrativa, in quanto le disposizioni, di cui ai due commi del citato articolo 23, oltre che prevedere il potere della P.A., ne disciplinano le modalità e il loro esercizio da parte di essa.

Questo “valore sostanziale” del principio di legalità, già evidenziato da autorevole dottrina amministrativista, fa sì che le due disposizioni, come riconosce la sentenza impugnata (p. 16), pongono un assoluto divieto di compiere atti senza l’osservanza delle prescritte procedure e di imputarne gli effetti, se illegittimamente compiuti, all’ente, in assenza della inequivoca volontà dei competenti organi, non essendo, a tal fine, sufficiente la mera utilizzazione della res illegittimamente acquisita al suo patrimonio.

5. – Orbene, ritiene questa Corte, meditato ulteriormente il problema e malgrado il suggerimento del giudice delle leggi, che, ove si ammettesse la esperibilità dell’azione di indebito arricchimento nei confronti della P.A. da parte del funzionario (o dell’amministratore), che non abbia osservato per l’impegno di spesa fuori bilancio le prescritte procedure, si svuoterebbe la ratio della normativa che, come sopra precisato, giustifica la responsabilità esclusiva degli stessi, evidenziandone il fondamento in relazione al valore sostanziale assunto dal principio di legalità.

Di fatto, la conseguenza di tale esperibilità sarebbe che la prevista e prescritta responsabilità patrimoniale del funzionario (o dell’amministratore), inosservante delle procedure di cui alla disposizione normativa in esame, verrebbe meno e sarebbe elusa qualora, anche se nei limiti dell’indennizzo, egli potesse esperire, comunque, l’azione di indebito arricchimento.

6. – Ciò posto in linea di diritto, osserva il Collegio che, in punto di fatto, e nell’esaminare il caso in esame, l’azione di cui all’articolo2041 c.c., proposta dallo Sc. contro il Comune va respinta per queste ulteriori considerazioni.

È jus reception che l’azione di arricchimento senza causa nei confronti della P.A., quale azione sussidiaria, che un soggetto può intraprendere per l’asserito suo arricchimento, in virtù della prestazione che essa ha indebitamente ottenuto, si distingue da quella ordinaria, in quanto presuppone non solo il fatto materiale dell’esecuzione dell’opera o della prestazione vantaggiosa per l’Amministrazione stessa, ma anche il riconoscimento da parte di quest’ultima dell’utilità dell’opera o della prestazione.

Tale riconoscimento, che sostituisce il requisito dell’arricchimento previsto dall’articolo 2041 c.c., nei rapporti privati, può avvenire in maniera esplicita, ovvero con atto formale, oppure risultare in modo implicito da atto o comportamento della P.A., dai quali si desuma inequivocabilmente che sia stato effettuato dagli organi rappresentativi dell’Amministrazione interessata un giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità della prestazione, mentre non può essere desunto dalla mera acquisizione e successiva utilizzazione della prestazione stessa (Cass. n. 25126/08; Cass. n. 2312/08; Cass. n. 19572/07).

Questa interpretazione sì pone in linea con quanto argomenta il Giudice delle leggi nella sentenza n. 295/97, sopra indicata.

Infatti, ad avviso della Corte costituzionale, solo se si rinvengono da un lato, il presupposto ineliminabile della spesa, costituito dalla delibera autorizzativa e dalla copertura finanziaria e, dall’altro, le conseguenze tipiche delle attività poste in essere senza l’osservanza delle prescritte procedure la spesa diventa imputabile all’amministrazione locale (par. 3, in motivazione).

Con tale passaggio argomentativo la Corte costituzionale mostra di condividere l’indirizzo di questa Corte, nella parte in cui ha ammesso la esperibilità nei confronti della P.A., dell’azione in esame.

In altri termini, anche secondo la Corte costituzionale, nel caso di riconoscimento implicito dell’utilità della prestazione o dell’opera, illegittimamente autorizzate e richieste dal funzionario (o amministratore), occorre che esso riconoscimento sia effettuato dagli organi rappresentativi, all’uopo deputati, dell’ente, sottolineandosi, al contempo, che il Decreto Legislativo 25 febbraio 1995, n. 77, articolo 35 (non applicabile nel caso ratione temporis) è una semplice “riconferma” senza modifiche di fondo dell’articolo 23, commi 3 e 4 (Corte Cost. n. 295/97, par. 3, secondo periodo, in motivazione).

Ne consegue che risulta contrario ad ogni logica giuridica ritenere che si possa parlare di riconoscimento da parte del Comune di Itala della utilità della fornitura, nei sensi sopra indicati, allorchè esso è stato contenuto nella lettera del 19 marzo 2003 a firma dello stesso amministratore, che è stato – ed è pacifico – inosservante della prescritta procedura.

In conclusione, si deve affermare che, in virtù della ratio legis sottesa all’intera disciplina diretta a risanare la finanza degli enti locali e finalizzata a rendere la gestione della spesa maggiormente vincolata al principio di legalità, come valore sostanziale dell’attività in tale direzione degli amministratori pubblici locali; in considerazione della lettura in senso costituzionale operata dal Giudice delle leggi dei commi 3 e 4 dell’articolo 23, e confermata dalla giurisprudenza di legittimità, queste due disposizioni si configurano come norme inderogabili e imperative dell’attività amministrativa contabile degli enti locali, diretta alla gestione delle spese e alle modalità del suo esercizio.

Ne consegue che nessuna azione di arricchimento senza causa, di natura ovviamente equitativa, perchè rispondente al principio fondamentale per cui chiunque si arricchisca in danno di un altro soggetto è tenuto a rispondere di tale profitto (Cass. S.U. n. 24772/08, p. 61, in motivazione), può essere esperita nei confronti dell’ente locale dall’amministratore (o funzionario) che abbia attivato un impegno di spesa senza l’osservanza delle prescritte procedure e che sia stato convenuto in via diretta e personale dal terzo contraente, data la circostanza che, in tal caso, l’ente locale è soggetto “estraneo” al rapporto instaurato e non si è “arricchito” in danno dello Sc. , che era ben consapevole di aver agito senza osservare le prescritte procedure e, quindi, di aver interrotto il rapporto di immedesimazione organica con l’ente.

Per tale esperibilità, occorre, infatti, – come già detto, ma pare opportuno ribadirlo – che l’ente, destinatario della prestazione del terzo, abbia espresso, tramite i suoi organi rappresentativi e deputati alla deliberazione della spesa, un giudizio positivo circa il vantaggio o l’utilità della prestazione ricevuta, a nulla rilevando da parte dell’ente la mera acquisizione e successiva utilizzazione (che, nel caso in esame, non si sa nemmeno se avvenuta) della prestazione stessa.

Il ricorso va respinto, ma sussistono giusti motivi, date la peculiarità e la novità della questione trattata, per compensare integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di cassazione.

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