Sentenza 9449/2009
Actio negatoria servitutis – Onere della prova
Ove l’attore, sostenendo di essere proprietario di un immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, e quest’ultimo, a sua volta, pur riconoscendo il titolo di proprietà dell’attore, opponga di essere comproprietario del bene stesso, l’azione va qualificata “negatoria servitutis”, in quanto la proprietà dell’attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa del convenuto. In tal caso, pertanto, mentre l’attore adempie il suo onere probatorio esibendo il suo titolo d’acquisto, incombe alla controparte dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene.
Cassazione Civile, Sezione II, sentenza 9449 del 21-4-2009
Art. 2697 cc (Onere della prova) – Giurisprudenza
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Be. Vi. conveniva in giudizio Bi. Do. in Ve., Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi. deducendo di essere comproprietario in Ri. Ca. di un fabbricato e di un cortile sul quale i convenuti pretendevano di esercitare il passaggio pedonale e carraio a favore di terreni e fabbricati di proprietà dei medesimi pur se gli atti di provenienza non conferivano alcun diritto di servitù. L’attore chiedeva quindi dichiararsi che i convenuti non avevano alcun diritto di esercitare il passaggio pedonale e carraio sul fondo.
Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi., costituitisi, chiedevano in via principale dichiararsi che il cortile in questione apparteneva a tutti i proprietari degli immobili che avevano concorso alla sua formazione e, in via subordinata, dichiararsi che i proprietari dei fabbricati e dei terreni nel dettaglio indicati avevano diritto di servitù di passaggio sul mappale 113 del foglio 26 per intervenuta usucapione.
Bi. Do. in Ve., costituitasi, chiedeva: di essere assolta dalla domanda dell’attore; dichiararsi, in via riconvenzionale, che il Be. non aveva alcun diritto di passaggio attraverso il sedime della proprietà di essa convenuta; la costituzione di una servitù coattiva ex artt. 1051 e 1052 c.c. a favore del proprio fondo nei confronti del fondo dell’attore.
L’adito tribunale di Torino, preso atto che l’attore non era proprietario esclusivo degli immobili relativi alle domande riconvenzionali proposte dai convenuti, ordinava l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri comproprietari dei detti immobili.
Il contraddittorio veniva esteso a Ca. Mi. e Mo. Ma. e non a Be. Lu. e Le. Ma. indicati nella relazione del c.t.u. quali comproprietari del fondo in questione. Con sentenza 19/11/1996 il tribunale dichiarava l’estinzione del processo ex art. 307 c.p.c..
Avverso la detta sentenza Be. Vi. proponeva appello al quale resistevano i convenuti in primo grado che spiegavano appello incidentale riproponendo le domande riconvenzionali avanzate nel precedente grado del giudizio. Ca. Mi. e Mo. Ma. rimanevano contumaci anche nel giudizio di secondo grado.
Con sentenza 21/11/2003 la corte di appello di Torino, in parziale riforma della decisione impugnata, dichiarava che Bi. Do. in Ve. non aveva diritto ad esercitare il passaggio sul fondo di proprietà del Be., respingeva per il resto le domande di quest’ultimo e dichiarava non proseguibile il processo in ordine alle domande riconvenzionali degli appellati.
La corte di merito osservava: che il tribunale aveva disposto l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i proprietari dei beni oggetto delle domande riconvenzionali dei convenuti; che a tale adempimento non era stato dato corso per cui il procuratore dell’attore aveva chiesto dichiararsi l’inammissibilità delle domande riconvenzionali;
che nessuna delle parti aveva eccepito l’estinzione non potendo la richiesta di dichiarare inammissibili le domande riconvenzionali essere interpretata come richiesta di dichiarare estinto il processo;
che pertanto il tribunale non poteva dichiarare l’estinzione del processo non eccepita dalle parti; che la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti del litisconsorte pretermesso doveva essere rilevata di ufficio con la conseguenza che, pur non potendosi dichiarare di ufficio l’estinzione del processo, andava emessa una pronuncia di mero rito ricognitiva della impossibilità di prosecuzione del processo, in relazione alle domande riconvenzionali, per la mancanza di una parte necessaria; che andavano quindi esaminate le domande di merito dell’appellante tenendo conto delle domande riconvenzionali come mere eccezioni; che il Be. aveva proposto – nei confronti di Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi. – una domanda di “negatoria servitutis” affermandosi comproprietario del mappale 113; che, secondo gli appellati, il Be. non aveva provato il proprio titolo di proprietà su tale mappale in comproprietà tra tutti i proprietari degli immobili affacciantesi sul medesimo; che, ad avviso degli appellati, il fondo sul quale insisteva il mappale 113 era di proprietà comune in forza della presunzione di cui all’artt. 1117 c.c. e, comunque, per usucapione; che, a fronte di tali
contestazioni, l’appellante non aveva neppure prodotto il titolo dal quale discendeva il proprio diritto; che in difetto di tale prova la domanda del Be., sul quale incombeva l’onere di produrre il titolo di proprietà, doveva essere rigettata; che, con riferimento alla seconda domanda di negatoria servitutis nei confronti di Bi. Do. in Ve., quest’ultima non aveva contestato la proprietà del mappale 113 in capo all’attore ed aveva solo affermato di aver acquistato il diritto di servitù di passaggio sul fondo in forza di atto di divisione del 1904 ed aveva inoltre invocato l’interclusione del fondo; che la Bi.-Ve. aveva dato per pacifico il diritto di proprietà dell’appellante sul mappale 113; che l’atto di divisione invocato dalla appellata non aveva alcun valore probatorio non prevedendo uno specifico diritto di servitù a carico del mappale 113; che parimenti infondata era la tesi dell’interclusione del fondo come emergeva dalla c.t.u.; che infine, quanto all’usucapione, mancava qualsiasi opera indicante l’esercizio sul mappale 113 di un diritto di passaggio; che pertanto sul punto andava accolta la domanda dell’appellante Be..
La cassazione della sentenza della corte di appello di Torino è stata chiesta da Be. Vi. con ricorso affidato a due motivi illustrati da memoria. Hanno resistito con controricorso Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi. i quali hanno proposto ricorso incidentale sorretto da un unico motivo. Gli intimati Ca. Mi. e Mo. Ma. non hanno svolto attività difensiva.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Il ricorso principale e quello incidentale vanno riuniti a norma dell’art. 335 c.p.c.. Con l’unico motivo del ricorso incidentale – che, per il suo carattere eventualmente assorbente riguardando una questione pregiudiziale di rito, deve essere esaminato prima dei motivi del ricorso principale – Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi. denunciano violazione degli artt.307 e 102 c.p.c., nonché vizi di motivazione, deducendo che Be. Vittorio, al contrario di quanto affermato dalla Corte di appello, aveva in realtà eccepito l’avvenuta estinzione del giudizio rilevando che l’ordinanza di integrazione del contraddittorio non era stata adempiuta e chiedendo la conseguente declaratoria di inammissibilità delle domande dei convenuti. Con tali richieste l’attore ha manifestato la volontà di far valere gli effetti del mancato rispetto del termine perentorio fissato per l’integrazione del contraddittorio e, dunque, l’estinzione del giudizio derivante da tale mancato rispetto.
Pertanto andava dichiarata l’estinzione del processo e, comunque, il giudice del merito avrebbe dovuto dichiarare “non proseguibile il processo” anche in ordine alla domanda principale del Be. Vi. e ciò in virtù della interdipendenza tra domanda principale e domanda riconvenzionale. Il motivo è infondato: la sentenza impugnata è corretta ed è conforme al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui, qualora nessuna delle parti dia esecuzione all’ordine di integrazione necessaria del contraddittorio e l’estinzione del processo non venga eccepita, il giudice è tenuto a dichiarare l’improseguibilità del giudizio (sentenze 28/5/2004 n. 10322;
18/10/2001 n. 12740; 21/10/1998 n. 10441; 29/8/1995 n. 9107; 28/1/1994 n. 878).
Nella specie è pacifico che non è stata data esecuzione alla ordinanza del tribunale con la quale era stata disposta l’integrazione del contraddittorio nei confronti di tutti i proprietari dei beni in relazione ai quali erano state proposte domande riconvenzionali.
Dalla lettura degli atti processuali – attività consentita attesa la natura “in procedendo” del vizio denunciato – e, in particolare, del verbale di udienza del 29/6/1994, risulta poi che il difensore dell’attore Be. non formulò alcuna eccezione di estinzione del giudizio per la mancata integrazione del contraddittorio limitandosi a chiedere la dichiarazione di inammissibilità della domanda riconvenzionale.
Correttamente pertanto la corte di appello ha dichiarato non proseguibile il processo in ordine alle domande riconvenzionali proposte dai convenuti-appellati.
Va solo aggiunto che, atteso il carattere autonomo della domanda riconvenzionale in quanto controdomanda volta ad ottenere un provvedimento positivo favorevole nei confronti dell’attore, la domanda principale, al contrario di quanto sostenuto dai ricorrenti incidentali, deve essere esaminata e decisa anche se sia – come nella specie – dichiarata inammissibile quella riconvenzionale. Con il primo motivo del ricorso principale il Be. denuncia vizi di motivazione, in relazione alla dichiarata inammissibilità delle domande riconvenzionali, deducendo che la corte di appello ha errato nel far rientrare dalla finestra con la veste di eccezioni le domande riconvenzionali uscite dalla porta perché improseguibili. Le domande riconvenzionali proposte dai convenuti Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi. non possono essere considerate eccezioni dopo essere state dichiarate inammissibili. La richiesta di riconoscere ai convenuti un diritto di comproprietà o di servitù sul fondo dell’attore sono vere e proprie domande e non possono essere degradate a semplici eccezioni. Il motivo non è meritevole di accoglimento ed al riguardo è sufficiente ribadire che, come è pacifico nella giurisprudenza di legittimità, le eccezioni riconvenzionali formulate come domande impongono comunque al giudice del merito di esaminare le eccezioni in esse virtualmente comprese. Peraltro nei giudizi, come quello in esame, pendenti alla data del 30 aprile 1995 (cui si applica l’art.345 c.p.c. nel testo anteriore alla novella di cui alla L. n. 353 del 1990) l’eccezione riconvenzionale può essere formulata per la prima volta in grado di appello. L’eccezione riconvenzionale si distingue dalla domanda riconvenzionale perché non comporta una pronuncia con efficacia di giudicato, ma è diretta solo a paralizzare la domanda dell’attore. L’eccezione riconvenzionale, infatti, pur ampliando il “thema decidendum”, è diretta esclusivamente a dedurre un fatto impeditivo o estintivo della pretesa fatta valere con la domanda avversaria e come tale non urta contro il divieto di domande nuove in appello.
Nella specie la detta eccezione è stata virtualmente riproposta in secondo grado dagli appellati-resistenti con l’appello incidentale e sulla stessa la corte di appello avrebbe dovuto pronunciarsi in quanto chiaramente ravvisabile dal contesto generale delle difese e dalle istanze formulate da Bi. Gi., Bo. Fo. e Bi. Do. in Bo. in primo grado e ribadite nel giudizio di gravame. La corte territoriale, dopo aver dichiarato non proseguibile la domanda riconvenzionale degli appellati, era comunque logicamente e necessariamente tenuta a provvedere sull’eccezione implicitamente contenuta anche in detta domanda – con l’allegazione di un fatto impeditivo del diritto fatto valere dall’appellante – volta a paralizzare la contestata avversa pretesa.
Con il secondo motivo il ricorrente principale denuncia violazione di norma di diritto sull’onere della prova e dell’art. 2697 c.c. sostenendo che è errata la tesi della corte di appello in ordine all’obbligo di parte appellante di produrre il titolo di proprietà dell’immobile in questione. Esso Be. ha proposto la stessa domanda di “negatoria servitutis” nei confronti sia dei convenuti Bi. Do. in Bo., Bo. Fo. e Bi. Gi., sia della convenuta Bi. Do. in Ve.. La differenza tra le difese dei convenuti sta nella circostanza che la Bi.-Ve. ha proposto domanda riconvenzionale per il riconoscimento della servitù di passaggio, mentre gli altri convenuti hanno proposto anche domanda di comproprietà con esso Be. del mappale 113. Entrambe le richieste si presentano come domanda riconvenzionali ed hanno come presupposto il riconoscimento del diritto di proprietà di esso ricorrente sul mappale 113. Cadendo le domande riconvenzionali per la mancata integrazione del contraddittorio resta tuttavia il riconoscimento del diritto di proprietà di esso Be.. È quindi errata la tesi della corte di appello relativa alla necessità della produzione del titolo di proprietà solo per la prima domanda e non per la seconda solo perché nella prima era stata proposta una domanda di comproprietà. La dichiarazione di comproprietà rende pacifica la circostanza che il mappale 113 è di proprietà di esso ricorrente. In ogni caso la corte di appello avrebbe dovuto convocare il c.t.u. per chiarimento avendo il primo giudice espressamente domandato all’ausiliare l’accertamento dei “titoli” di proprietà. Il motivo è fondato nei sensi e nei limiti di seguito precisati. Occorre premettere che, come sopra esposto nella parte narrativa che precede e come riportato nella stessa sentenza impugnata, nel giudizio di secondo grado gli appellati (attuali resistenti) Bi. Gi., Bo. Fo. e Bi. Do. in Bo. chiesero il rigetto dell’appello proposto dal Be. e, in via subordinata, spiegarono appello incidentale chiedendo sia il rigetto della domanda avanzata dal Be. sia la dichiarazione:
a) che essi appellati erano comproprietari del cortile in questione;
b) che essi appellati, quali proprietari dei beni immobili nel dettaglio indicati, avevano acquisito il diritto di servitù di passaggio sul mappale n. 113 e n. 112 per intervenuta usucapione. La corte di appello, evidenziato che l’attore-appellante principale nell’atto introduttivo del giudizio aveva dedotto di essere proprietario dell’immobile oggetto della esercitata azione di negatoria servitutis e non aveva prodotto il titolo posto a base della detta azione, ha rigettato la domanda del Be. per non aver questi prodotto il titolo di proprietà e per non aver quindi assolto all’onere della prova sullo stesso incombente a seguito delle contestazioni degli appellati-appellanti incidentali. Ciò posto emerge con evidenza l’errore commesso dalla Corte di appello nel non tener conto del principio che questa Corte ha avuto modo di affermare – dal Collegio condiviso e in questa sede ribadito – secondo cui sul convenuto in negatoria servitutis incombe l’onere della prova del diritto reale di servitù da lui vantato per contestare la presunzione iuris tantum di libertà del fondo per il cui accertamento l’attore in negatoria agisce in giudizio con azione da qualificare come negatoria (sentenze 3/6/1991 n. 6258; 12/3/1980 n. 1666).
Pertanto se il convenuto, pur riconoscendo il diritto di proprietà dell’attore, opponga a sua volta di essere condomino del medesimo bene, l’appartenenza della cosa all’attore non costituisce oggetto della controversia che resta circoscritta all’accertamento dei soli diritti vantati dal convenuto.
Ne consegue che, in accoglimento del motivo di ricorso in esame, la sentenza impugnata deve essere cassata e la causa rinviata ad altra sezione della corte di appello di Torino che procederà ad nuovo esame della controversia tra il ricorrente ed i resistenti tenendo conto delle tesi difensive di questi ultimi – in particolare delle eccezioni riconvenzionali dagli stessi sollevate – ed uniformandosi al seguente principio di diritto: ove l’attore, sostenendo di essere proprietario di un immobile, neghi che il convenuto sia titolare di un diritto di passaggio sul medesimo, e quest’ultimo, a sua volta, pur riconoscendo il titolo di proprietà dell’attore, opponga di essere comproprietario del bene stesso, l’azione va qualificata “negatoria servitutis” in quanto la proprietà dell’attore non è oggetto di controversia, che è limitata ai soli diritti vantati sulla cosa del convenuto. In tal caso, pertanto, incombe al convenuto dimostrare i fatti costitutivi del suo preteso diritto di comproprietà sul bene.
Al designato giudice del rinvio va rimessa la pronuncia sulla spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi, rigetta il ricorso incidentale ed il primo motivo del ricorso principale, accoglie il secondo motivo del ricorso principale, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, ad altra sezione della corte di appello di Torino. Così deciso in Roma, il 5 marzo 2009.
Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2009