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Cassazione Civile 96/2022 – Risoluzione del rapporto di mutuo – Clausola risolutiva espressa – Obblighi del mutuatario – Pagamento rate non ancora scadute – Computo degli interessi

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Sentenza 96/2022

Risoluzione del rapporto di mutuo – Clausola risolutiva espressa – Obblighi del mutuatario – Pagamento rate non ancora scadute – Computo degli interessi

In tema di mutuo fondiario, l’esercizio, da parte dell’istituto di credito mutuante, della condizione risolutiva prevista dall’art. 15 del d.P.R. n. 7 del 1976 (applicabile “ratione temporis” alla fattispecie) nell’ipotesi di inadempimento del mutuatario, determina la risoluzione del rapporto di mutuo, con la conseguenza che il mutuatario deve provvedere, oltre che al pagamento integrale delle rate già scadute (non travolte dalla risoluzione, che non opera retroattivamente nei contratti di durata), alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nelle rate a scadere, dovendosi calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale, secondo quanto previsto dall’art. 1224, comma 1, c.c..

Convenzione tasso variabile – Determinazione per relationem del tasso convenzionale

In tema di contratti di mutuo, la convenzione relativa agli interessi deve avere – ai fini della sua validità ai sensi della norma imperativa dell’art. 1284, comma 3, c.c. – un contenuto assolutamente univoco in ordine alla puntuale specificazione del tasso di interesse; qualora il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti riferimenti generici dai quali non emerga con chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione. (In applicazione dell’enunciato principio, la S.C. ha ritenuto la validità della clausola che prevedeva la corresponsione di interessi al tasso “prime rate Abi come rilevato da IlSole24ore”, in quanto determinabile attraverso la rilevazione operata dagli informatori economici).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 4-1-2022, n. 96   (CED Cassazione 2022)

Art. 1456 cc (Clausola risolutiva espressa) – Giurisprudenza

 

 

FATTI DI CAUSA

1 – Vi. Ma. Be. e Gi. Ma. Be. hanno proposto opposizione al precetto notificato dalla Banca (OMISSIS), ora (OMISSIS) spa, attraverso la mandataria Società (OMISSIS) consortile p.a.

Il precetto conteneva la richiesta di pagamento di un saldo di conto corrente negativo, intestato al padre dei ricorrenti, che produceva un credito a garanzia del quale la banca aveva anche iscritto ipoteca.

I figli del correntista hanno dunque proposto opposizione, facendo valere la nullità del titolo esecutivo, per essere il credito indeterminato, in quanto il riferimento agli interessi non era chiaro, meglio, il calcolo di questi ultimi era affidato in modo, incerto, al tasso “prime rate abi”.

Avevano poi eccepito che il tasso superava quello usuraio; che si chiedeva pagamento di interessi anatocistici sulle rate da scadere, dopo la risoluzione del rapporto: infine eccepivano in compensazione un loro credito, sempre basato sul rapporto d i conto corrente tra la banca ed il lo go genitore.

3. – Ricorrono i fratelli Be. con sei motivi, ed ulteriori memorie. La creditrice non si è costituita. Il Pm ha chiesto il rigetto del ricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

5. – I primi due motivi mirano a censurare la decisione impugnata quanto alla affermazione che il riferimento al tasso degli interessi “prime rate abi” era idoneo a rendere determinato o determinabile quel tasso. Entrambi i motivi denunciano violazione degli articoli 1325, 1428 , 1421 e 1284 c.c.

La tesi dei ricorrenti è che il riferimento al tasso “prime rate abi” come rilevato da “Il Sole24ore” rende il tasso di interessi indeterminabile ed incerto, e dunque la clausola che lo contiene è da ritenersi nulla. A tal fine i ricorrenti richiamano la stessa CTU effettuata in primo grado, da cui peraltro risulterebbe oltre che la complessità del conteggio, altresì che il tasso effettivamente risultante dal calcolo è di un punto circa superiore a quello “prime rate Abi”, fatto oggetto di riferimento in contratto.

I motivi sono infondati.

E’ giusto il richiamo che si fa al principio di diritto, affermato da questa Corte secondo cui “in tema di contratti di mutuo, perché una convenzione relativa agli interessi sia validamente stipulata ai sensi dell’art. 1284, terzo comma, cod.civ. ,che è norma imperativa, la stessa deve avere un contenuto assolutamente univoco e contenere la puntuale specificazione del tasso di interesse; ove il tasso convenuto sia variabile, è idoneo ai fini della sua precisa individuazione il riferimento a parametri fissati su scala nazionale alla stregua di accordi interbancari, mentre non sono sufficienti generici riferimenti, dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione. ” (Cass. 2317/ 2017; Cass. 12276/ 2010).

E tuttavia, da questo principio di diritto, da cui sicuramente si ricava la nullità di tassi rimessi alla discrezionalità della banca, non si ricava tuttavia che sempre il riferimento al tasso “prime rate Abi” debba ritenersi nullo, perché quel tasso è, di per sé, interminabile.

Ossia: in astratto una clausola che faccia riferimento al suddetto criterio di determinazione del tasso di interessi non può, in quanto tale, considerarsi nulla, perché quel criterio, essendo rilevato e reso noto anche da informatori economici (nella fattispecie, “ilSole24ore”), è di sicuro determinabile attraverso, per l’appunto, quelle rilevazioni.

Come risulta dal testo della clausola, riportata peraltro in ricorso a pagina 10, era convenuto che il tasso di interesse consistesse in un punto in più del tasso “prime rate Abi” come rilevato semestralmente da Il Sole24Ore, o , in assenza di una rilevazione da parte di quest’ultimo, dal quotidiano “MF Milano Finanza”: ossia un criterio che rendeva assolutamente determinabile la rilevazione.

Né può incidere, ai fini della censura, l’erroneità del calcolo fatto dal CTU, o una sua qualche interpretazione: si tratta di un accertamento in fatto qui non discutibile.

6.-Allo stesso modo deve concludersi per il terzo motivo, che denuncia violazione dell’articolo 644 c.p..

La Corte di merito ha escluso il superamento del tasso soglia, in base ad una CTU, da cui risulterebbe un tasso inferiore.

I ricorrenti contestano questa valutazione osservando che il calcolo andava effettuato in altro modo (“rilevando il TEAG, cioè il tasso effettivo globale del mutuo, e rapportando il detto tasso al tasso soglia anti-usura di cui alla legge n. 108/1996, vigente nel tempo”, p. 20).

Secondo i ricorrenti, peraltro, l’errore della Corte di merito starebbe nell’avere dato credito ad un calcolo effettuato sul piano di ammortamento, senza tenere conto che il divieto di usura colpisce anche la mera promessa di interessi sopra soglia, e non solo l’effettiva corresponsione.

Anche questo motivo è in parte inammissibile in parte infondato.

E’, si, ammesso in sede di legittimità, il sindacato sull’apprezzamento che il giudice di merito ha compiuto della CTU, ma solo ove quell’apprezzamento contenga un errore percettivo o sia del tutto immotivato (Cass. 19293/ 2018). Qua si contesta invece proprio il calcolo effettuato dal consulente per accertare la misura del tasso di interesse, e si propone un calcolo diverso, con evidente inammissibilità di una valutazione in fatto.

Né può darsi rilievo alla obiezione per cui risponde di usura anche chi semplicemente si fa promettere un tasso usuraio. Infatti, stimare il tasso in base al piano di ammortamento equivale a tener conto anche degli interessi semplicemente promessi: quelli a venire.

7.-Il quarto motivo denuncia violazione dell’articolo 183 c.c.

In entrambi i gradi di merito i ricorrenti avevano posto la questione del regime degli interessi nel caso, come questo, di risoluzione del contratto di mutuo e dunque di conseguente obbligo di restituire le rate scadute.

Secondo i ricorrenti, sulle rate scadute dovevano pagarsi gli interessi di mora, ma sulla sola quota capitale, non già sulla somma tra capitale ed interessi.

Invece, la Corte di Appello ha ritenuto doversi applicare l’anatocismo, e dunque il calcolo degli interessi sugli interessi.

Il motivo è fondato.

Per quanto la Corte di Appello abbia richiamato, per rigettare il relativo motivo di impugnazione, il corretto principio di diritto, non ne ha tratto la conclusione corretta.

Risulta infatti che la Corte ha preso atto della regola secondo cui “in tema di mutuo fondiario, l’esercizio, da parte dell’Istituto di credito mutuante, della condizione risolutiva prevista dall’art. 15 del D.P.R. n. 7 del 1976 (applicabile nella fattispecie “ratione temporis”) nell’ipotesi di inadempimento del mutuatario, determina la risoluzione del rapporto di mutuo, con la conseguenza che il mutuatario deve provvedere, oltre al pagamento integrale delle rate già scadute (non travolte dalla risoluzione, che non opera retroattivamente nei contratti di durata, quali il mutuo) alla immediata restituzione della quota di capitale ancora dovuta, ma non al pagamento degli interessi conglobati nelle semestralità a scadere, dovendosi invece calcolare, sul credito così determinato, gli interessi di mora ad un tasso corrispondente a quello contrattualmente pattuito, se superiore al tasso legale, secondo quanto previsto dall’art. 1224, primo comma, cod. civ..” (Sez. Un 12639/2008; Cass. 25412/ 2013).

Ma la conclusione che ne ha tratto è la legittimità dell’anatocismo: “il quarto motivo d’appello, che assume l’erroneità della decisione di primo grado non essendo stata accolta la eccezione di non debenza di interessi anatocistici ex art.1283 c.c. è, ancora, infondato” (p. 10).

Invece, la conseguenza che si trae dal principio di diritto sopra riportato è che non sono dovuti gli interessi conglobati nella semestralità a scadere, con la conseguenza che quelli moratori vanno calcolati sulla sola sorta capitale delle rate scadute e non già su sorte più interessi.

7.1.- Il quinto motivo denuncia violazione degli articoli 1418, 1325, 1241, 1853 c.c. e 36 c.p.c.

I ricorrenti avevano, formalmente con domanda riconvenzionale, portato in compensazione un loro credito, sempre avente titolo nel rapporto di conto con la Banca.

I giudici di appello hanno ritenuto inammissibile l’eccezione in quanto proposta all’interno di una domanda riconvenzionale che l’opponente all’esecuzione, essendo attore, non può formulare, ma anche ritenuto infondata l’eccezione per difetto di certezza, liquidità ed esigibilità del credito opposto in compensazione.

I ricorrenti si dolgono di tale decisione ed osservano che la loro non era in realtà una domanda riconvenzionale ma semplicemente una eccezione di compensazione che, al contrario di quella, l’opponente può proporre; inoltre aggiungono che il credito fatto valere dalla banca non era a sua volta certo, liquido ed esigibile, in quanto le somme non sono mai state poste nella disponibilità del correntista- il loro dante causa- bensì utilizzate per estinguere un’altra passività, e dunque non potevano produrre interessi.

Il motivo è inammissibile.

Vero è che è fondato quanto alla prima delle due rationes decidendi: i ricorrenti hanno eccepito in compensazione un loro credito, non già proposto riconvenzionale per il pagamento, e la stessa Corte di Appello ritiene contraddittoriamente che si tratta, si, di una eccezione di compensazione, ma fatta valere all’interno di una domanda riconvenzionale.

Tuttavia, v’è una seconda ratio decidendi, che invece qui non è contestata e cioè che il credito opposto in compensazione non è certo, liquido ed esigibile.

Questa ratio non è censurata in modo ammissibile: si fa questione del conteggio degli interessi, nuovamente, proponendone uno proprio (p 33) e chiedendo dunque una rivalutazione di quei conti.

Si pone una questione di fatto: quella della liquidità e certezza del credito, qui preclusa.

Tra l’altro, non risulta che la questione della mancata erogazione effettiva del mutuo sia stata posta in questi esatti termini con il motivo di appello.

8.-Il sesto motivo denuncia motivazione apparente.

Contesta alla sentenza di non avere adeguatamente espresso le ragioni su cui ha basato la decisione.

Il vizio di motivazione, nella nuova formulazione, è però rilevante solo ove difettino del tutto le ragioni del decidere, ossia ove non risultino affatto quelle ragioni, vale a dire ove non si possa comprendere quali argomenti giustificano la decisione, e non è il caso che ci occupa, anche semplicemente osservando che i ricorrenti hanno diffusamente censurato quelle ragioni.

P.Q.M.

La Corte accoglie il quarto motivo. Rigetta tutti gli altri. Cassa la decisione impugnata e rinvia aIla Corte di Appello di Bologna, in diversa composizione anche per le spese.

Roma 14.10.2021