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Cassazione Civile 9616/2023 – Nullità parziale una clausola del contratto ex art. 1419, comma 2, cc – Sostituzione della clausola dichiarata nulla

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Sentenza 9616/2023

Nullità parziale una clausola del contratto ex art. 1419, comma 2, cc – Sostituzione della clausola dichiarata nulla

Il giudice che dichiara la nullità di una clausola del contratto ai sensi dell’art. 1419, comma 2, c.c. deve indicare la norma imperativa con la quale sostituire la predetta clausola dichiarata nulla. (Fattispecie in tema di clausola “claims made” apposta ad un contratto di assicurazione per la responsabilità civile).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 11-4-2023, n. 9616   (CED Cassazione 2023)

 

 

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione del 20 dicembre 2016 (OMISSIS), in proprio e
quale legale rappresentante di (OMISSIS) S.r.l., conveniva davanti al
Tribunale di Milano il commercialista (OMISSIS), esponendo di
averlo incaricato degli adempimenti contabili e fiscali personali e societari
relativi al periodo dal luglio 2009 al 31 dicembre 2014, e che la società attrice
il 17 dicembre 2013 aveva subito una verifica dall’Agenzia delle Entrate a
seguito della quale 1’11 giugno 2015 le era stato notificato un avviso di
accertamento sui redditi percepiti nell’esercizio del 2010. In sintesi, l’Agenzia
aveva addotto l’esistenza di un fine commerciale nell’attività della società, alla
quale invece, nel periodo in cui (OMISSIS) ne era il commercialista, era stato
applicato un regime di fiscalità agevolata per assenza di fini di lucro, onde
illegittima sarebbe stata l’applicazione, decisa dal commercialista, del regime
fiscale per gli enti privi di scopi di lucro di cui all’articolo 148 TUIR.

La società impugnava l’avviso di accertamento, ma il suo ricorso veniva
rigettato dalla CTP; dopo avere proposto l’appello davanti alla CTR, essa
perveniva a una transazione con l’Erario.

Sostenevano quindi gli attori che il (OMISSIS), applicando un regime fiscale più
favorevole in assenza dei presupposti di legge, aveva commesso un errore che
costituiva un grave inadempimento, causando loro un danno ingiusto da
quantificare in separato giudizio dovendosi attendere la ripresa a tassazione
anche dei redditi dichiarati per gli anni 2011-2014; oltre ai danni patrimoniali,
veniva chiesto il risarcimento ad (OMISSIS) in proprio di un danno non
patrimoniale per lesione della sua integrità psicofisica.

Il (OMISSIS) si costituiva, resistendo, e veniva autorizzato a chiamare in causa due
compagnie assicurative – (OMISSIS) S.p.A. e (OMISSIS) Ltd –
con cui aveva stipulato polizze per i rischi della sua attività professionale;
entrambe si costituivano, resistendo.

Il Tribunale, con sentenza del 6 maggio 2019, dichiarato il difetto di
legittimazione dell'(OMISSIS) in proprio, accoglieva la domanda di (OMISSIS) di
condanna generica al risarcimento del danno, rigettava la domanda del (OMISSIS)
avverso (OMISSIS) e accoglieva invece – applicando la franchigia
contrattuale – la domanda di quest’ultimo avverso (OMISSIS) in rapporto, tra le due
polizze claims made da lui invocate, a quella relativa al periodo dal 15 gennaio
2015 al 15 gennaio 2016, ritenendo affetto da nullità parziale il limite di
retrodatazione della garanzia in esso previsto con apposita clausola.

(OMISSIS) proponeva appello; separatamente lo proponeva anche il (OMISSIS). Le cause
insorte venivano riunite, e in esse si costituivano tutti gli appellati, l'(OMISSIS)
dichiarando di prestare acquiescenza alla sentenza, (OMISSIS) proponendo
appello incidentale relativamente alle spese processuali, e Italiana
Assicurazioni chiedendo la conferma della sentenza impugnata.

La Corte d’appello di Milano, con sentenza n. 3147/2020, rigettava gli appelli
principali e, accogliendo l’appello incidentale, rideterminava le spese di lite
dovute dal (OMISSIS) a (OMISSIS), confermando per il resto.

2. Ha presentato ricorso, composto di cinque motivi e illustrato anche con
memoria, (OMISSIS); il (OMISSIS) si è difeso con controricorso, in cui ha proposto un
ricorso incidentale di sette motivi, depositando pure memoria; (OMISSIS) ha
presentato controricorso al ricorso incidentale.

Con ordinanza interlocutoria la causa, che era stata chiamata in camera di
consiglio, è stata rimessa in pubblica udienza; è stata successivamente
presentata istanza di discussione orale.

Il Procuratore Generale ha depositato conclusioni scritte chiedendo
l’accoglimento dei primi due motivi del ricorso principale e il rigetto del ricorso
incidentale.

(OMISSIS) ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

3. In primo luogo deve esporsi il ricorso principale di (OMISSIS).

3.1. Il primo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.4 c.p.c., nullità della sentenza per “motivazione perplessa e obiettivamente
incomprensibile (omessa indicazione dei termini di operatività della Polizza)”.
Il motivo si impernia sul passo della motivazione che comincia dal primo
capoverso della pagina 17 della sentenza fino al quarto capoverso della stessa
pagina, adducendo che la sentenza sarebbe radicalmente nulla in parte qua, in
quanto laconica e attribuente nullità parziale alla clausola claims made senza
indicare “le norme imperative applicabili in funzione suppletiva che consentono
la sopravvivenza dell’accordo” ai sensi dell’articolo 1419, secondo comma, c.c.,
non valendo come sostegno neppure “il succinto riferimento alla sentenza del
Tribunale”, essendo di questa integralmente sostitutiva la pronuncia del giudice
d’appello. Essendo poi la sentenza qui impugnata, pur confermante quella di
primo grado, “integralmente sostitutiva di quest’ultima”, la ricorrente osserva,
in conclusione, che, “così come formulata, la pronuncia impugnata non
consente in alcun modo di identificare le norme inderogabili che i Giudici
parrebbero aver rintracciato nell’ordinamento positivo e su cui hanno fondato
l’esercizio del potere conformativo del regolamento contrattuale”.

3.2 D secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1175, 1322, primo
comma, e 1375 c.c. laddove non sarebbe stata valutata dal giudice “l’equità
dello scambio in una prospettiva sinallagrnatica”.

Prendendo come oggetto della censura la stessa parte della motivazione
focalizzata per il precedente motivo, la ricorrente qualifica la sentenza
“gravemente errata” laddove afferma che “una polizza che limiti a soli due anni
la retroattività della condotta causativa del danno da parte del professionista è
del tutto inadeguata allo scopo pratico che viene perseguito con la stipulazione
del contratto di assicurazione, ed impedisce al negozio di realizzare il suo
scopo tipico”.

Il giudice d’appello – rileva la ricorrente – segue l’insegnamento di S.U.
22437/2018 per cui “il modello di assicurazione della responsabilità civile con
clausole «on claims made basis» quale deroga convenzionale all’art. 1917,
comma 1, c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo
dell’assicurazione contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di
meritevolezza di cui all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi
dell’art. 1322, comma 1, c.c., della rispondenza della conformazione del tipo,
operata attraverso l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla
legge, da intendersi come l’ordinamento giuridico nella sua complessità,
comprensivo delle norme di rango costituzionale e sovranazionale”.

Osserva la ricorrente che il “riferimento precipuo” risiede nell’articolo 2 Cost., e
precisamente nel principio di solidarietà sociale, il quale, “declinato nei termini
della buona fede contrattuale, è trasposto nel codice civile agli artt. 1175 e
1375”; buona fede che tramite il suddetto intervento del giudice nomofilattico
“si emancipa dalla qualifica di mera regola di condotta che si rivolge
direttamente alle parti …, per assurgere – con il significato di «equità>> delle
prestazioni – anche a parametro di validità del contratto” che il giudice deve
seguire per determinare se il contratto presenti o meno uno squilibrio giuridico
tra rischio assicurato e premio, e quindi “per valutarne l’adeguatezza agli
interessi perseguiti dalle parti”.

Il giudice d’appello, ad avviso della ricorrente, “pur sposando la tesi suddetta,
… ha fatto errata applicazione del principio … e delle citate disposizioni di
legge”: avrebbe infatti vagliato solo la retroattività della clausola di claims
made “prescindendo dall’esame del complessivo assetto sinallagmatico”.
Pertanto avrebbe omesso di considerare alcuni specifici elementi della polizza
che il motivo richiama (si rimanda al riguardo alle dettagliate pagine 12-13 del
ricorso), sostenendo che si tratterebbe di previsioni a favore del contraente –
“comportando un’estensione dell’area del rischio garantito” -, che il giudice
d’appello non avrebbe tenuto in conto per valutare la “adeguatezza negoziale”.
3.3 n terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5
c.p.c., omesso esame di fatto decisivo, individuato nella “data di retroattività
fissata, su richiesta dell’assicurato, al 15 gennaio 2013 in entrambe le Polizze
emesse da (OMISSIS)”

Prendendo ad oggetto di censura lo stesso passo della pagina 17 della
sentenza impugnata considerato nei due precedenti motivi, la ricorrente
sostiene, in sintesi, che esso sia viziato laddove fonda la valutazione di
inadeguatezza allo scopo pratico dell’assetto negoziale della polizza emessa per
l’annualità assicurativa da 15 gennaio 2015 a 15 gennaio 2016 sull’erronea
assunzione che sia tale polizza – quella riconosciuta come applicabile al caso
concreto -, sia l’ulteriore polizza della medesima compagnia per l’annualità
assicurativa seguente (15 gennaio 2016-15 gennaio 2017) “prevedano un
periodo di retroattività biennale”, non considerando che entrambe le polizze,
“su richiesta espressa dell’assicurato”, forniscono copertura dal 15 gennaio
2013, e quindi “recano la medesima data di retroattività”. Ciò, si ripete,
sarebbe una “limitazione” che “è stata voluta dall’assicurato ed è del tutto
razionale e coerente” con la sua “storia assicurativa” come rappresentata nel
questionario assuntivo, dove avrebbe espressamente richiesto la retroattività
della garanzia per due anni; e proprio perché il (OMISSIS) “era assicurato da
(almeno) due anni con altro assicuratore (Italiana) e alla luce della esplicita
richiesta avanzata in sede assuntiva”, l’attuale ricorrente avrebbe emesso la
polizza “con retroattività di due anni, convenzionalmente fissata al 15 gennaio
2013” tenendo ferma tale limitazione di retroattività anche “per il periodo
assicurativo successivo”.

Dunque, “il fatto storico che la limitazione biennale della retroattività, fissata al
15 gennaio 2013, sia stata espressamente richiesta dallo stesso assicurando
assume carattere determinante ai fini di valutare, tra il resto, l’adeguatezza
dell’assetto negoziale della Polizza (OMISSIS) e dello scopo pratico perseguito dai
contraenti alla luce del principio di autonomia negoziale delle parti”, fondato
sull’articolo 41 Cost. “nella tutela dell’iniziativa economica privata”. Invero,
“secondo gli art. 41-47 della Costituzione, l’utilità sociale costituisce il
fondamento dell’iniziativa dei privati ed il limite nell’esercizio dell’autonomia
privata”, e “tale identificazione del fondamento costituzionale … offre
all’interprete i criteri per effettuare i controlli di meritevolezza di tutela degli
interessi (art. 1322, co.2, c.c.) e di liceità (art. 1343 c.c.)”; e qui l’assicurato
non avrebbe mai contestato alla compagnia l’inadempimento degli obblighi
informativi nella fase precontrattuale, onde deve ritenersi che sia stato
“specificamente edotto in ordine al significato ed agli effetti delle condizioni di
Polizza”, così da esercitare “scientemente la propria autonomia negoziale”
chiedendo la limitazione temporale della garanzia al 15 gennaio 2013 in
entrambe le polizze.

Pertanto il giudice d’appello avrebbe errato nel ritenere inadeguato il
regolamento contrattuale quanto alla “causa concreta”, perché avrebbe
“fondato la propria analisi esclusivamente sulla constatazione della natura
normalmente c.d. «lungolatente» dei danni derivanti dall’attività
professionale di un commercialista”, non considerando che la decisione di
(OMISSIS) di trasferire alla compagnia mediante le due polizze il rischio di sinistri
per fatti dannosi commessi dal 15 gennaio 2013 era stata “una precisa scelta
dell’Assicurato” e quindi era del tutto adeguata ai suoi interessi, oltreché
conforme a S.U. 22437/2018.

3.4 n quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 1419, secondo comma,
c.c. laddove il giudice d’appello “ha integrato la disciplina contrattuale con
norme non imperative” e ha ritenuto non essenziale la clausola claims made.

Oggetto della impugnazione è la stessa parte della pagina 17 della motivazione
considerata per il primo motivo. Il giudice d’appello avrebbe “gravemente
errato” dichiarando di doversi condividere la valutazione del tribunale “e
confermarsi la declaratoria di nullità parziale” della clausola claims made con
retroattività biennale, “con la conseguente operatività della polizza”,
richiamando la prima sentenza in cui si era disposta la sostituzione di tale
causa “con la previsione di estensione della copertura a sinistri verificatisi nei
dieci anni antecedenti alla richiesta risarcitoria”. L’errore della corte territoriale
consisterebbe nell’aver applicato l’articolo 1419, secondo comma, c.c., in
quanto avrebbe dovuto procedere alla declaratoria di nullità dell’intero
contratto; non avrebbe “neppure espressamente individuato le norme
imperative con cui pretenderebbe di sostituire la clausola”, seguendo le
“arbitrarie determinazioni” del primo giudice; la decennalità della copertura di
sinistri anteriori alla richiesta risarcitoria non sarebbe sorretta da alcuna norma
(tra l’altro, non dalle discipline speciali per l’assicurazione professionale degli
avvocati e per l’assicurazione obbligatoria delle strutture sanitarie), l’unica
disposizione generale in materia di assicurazioni professionali essendo l’articolo
3, quinto comma, d.l. 138/2011, convertito in I. 148/2011 e novellato dalla I.
124/2017 – qui non applicabile ratione temporis ma considerabile come
parametro di adeguatezza del regolamento negoziale -, prevedente l’obbligo
dell’esercente una libera professione di “stipulare idonea assicurazione”, ma
riguardante l’ultrattività e non la retroattività.

3.5 II quinto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.3
c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 1892 e 1893 c.c. sulle
dichiarazioni precontrattuali relative al rischio laddove il giudice d’appello “ha
erroneamente ritenuto che fosse necessario accertare la sussistenza di
richieste di risarcimento pregresse”.

Si censura l’avere la corte territoriale – a pagina 17 della sentenza – affermato
che deve escludersi, come già ritenuto dal primo giudice, che (OMISSIS) quando
stipulò la polizza “fosse a conoscenza o dovesse esserlo di probabili istanze
risarcitorie da parte della (OMISSIS) o di (OMISSIS) Matteo” e pure che quando
(OMISSIS) la stipulò “non risulta esservi stata alcuna contestazione mossa al
professionista dalla cliente”.

Si oppone che l’articolo 1892 c.c. stabilisce che “le dichiarazioni inesatte e le
reticenze del contraente, relative a circostanze tali che l’assicuratore non
avrebbe dato il suo consenso o non lo avrebbe dato alle medesime condizioni
se avesse conosciuto il vero stato delle cose, sono causa di annullamento del
contratto quando il contraente ha agito con dolo o con colpa grave”; precetto
di cui avrebbe “fatto erronea applicazione” il giudice d’appello “laddove ha
ricercato, non trovandola, una «contestazione» di responsabilità ovvero
«istanze risarcitorie» mosse al professionista in tempo antecedente la
stipula”, mentre avrebbe dovuto invece indagare “in merito alla sussistenza di
«circostanze» idonee a incidere sul rischio”. E come risulterebbe dagli
“scritti difensivi di cui ai precedenti gradi (cfr. pagg. 26-31 della comparsa
conclusionale in appello di (OMISSIS))” il contegno di (OMISSIS) avrebbe violato gli
articoli 1892 ss. c.c. per la sua “conoscenza pregressa” di “circostanze” tali
che, se l’assicuratore le avesse conosciute, non avrebbe stipulato.
La “circostanza rilevante” ex articolo 1892 c.c. sarebbe che “(OMISSIS) aveva
presenziato alla verifica eseguita dalla Agenzia delle Entrate sulla
documentazione fiscale di (OMISSIS) nel mese di giugno 2013, aveva financo
sottoscritto il Processo Verbale in data 17 dicembre 2013 e aveva
conseguentemente apportato le modifiche necessarie allo statuto di (OMISSIS)
nel mese di ottobre 2014 onde consentire l’applicazione del regime agevolato
per i bilanci al 31 dicembre 2013”; vale a dire, “era perfettamente consapevole
del rischio di aver commesso un errore professionale”.

Il ricorso incidentale, come si è anticipato, è composto di sette motivi.

4.1 II primo motivo, in relazione all’articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c.,
lamenta nullità della sentenza per carenza di motivazione nella parte in cui
accerta gli obblighi del professionista e per violazione dell’articolo 1176 c.c.
quanto ai canoni di diligenza nonchè per falsa applicazione dell’articolo 148,
terzo comma, TUIR e dell’articolo 4 del d.p.r. 633/1972 in relazione
all’applicazione del regime fiscale agevolato.

La Corte d’appello, a pagina 19 della pronuncia, ha ritenuto che fosse
“evidentemente obbligo del professionista … operare le scelte più corrette per
l’applicazione di quel regime fiscale del quale la (OMISSIS) fruiva”.
Si tratterebbe, dunque, di una motivazione mancante, nemmeno apparente,
che non avrebbe considerato le argomentazioni del ricorrente, che “svolgeva
solo l’attività di consulenza e assistenza”, l’assistenza poi venendo “orientata
dalle informazioni e dalla documentazione fornita” dalla cliente; l’oggetto
dell’incarico professionale non includeva la revisione dello statuto della società,
né la valutazione della sussistenza dei requisiti necessari per il regime fiscale
agevolato, né la valutazione delle decisioni assembleari o i suggerimenti sulla
“riqualificazione di quanto fatto in seno alla società”; inoltre “le opposizioni
formulate dal (OMISSIS) nelle sue memorie – condivise dagli attori – nella fase dI/1
verifica fiscale hanno determinato gli accertatori a modificare le contestazioni
nella fase contenziosa – ove (OMISSIS) non è stato ingaggiato – aggiungendo
l’eccezione del cd <<doppio compenso»”.

Sarebbero poi manifeste la violazione dell’articolo 1176 c.c. e la falsa
applicazione delle norme del TUIR, dato che la più recente giurisprudenza
afferma “la necessità della verifica in concreto del rispetto della disciplina
tributaria” (si richiamano alcuni arresti di questa Suprema Corte); e la censura
del tribunale, fatta propria dal giudice d’appello, nel senso che (OMISSIS) avrebbe
dovuto “esaminare gli elementi costitutivi della società” e decidere quale fosse
il regime fiscale applicabile, sarebbe errata dato che (OMISSIS) avrebbe verificato
“l’effettiva esistenza in concreto dei requisiti normativi per mantenere alla
contribuente la tassazione agevolata prevista per le società sportive
dilettantistiche senza scopo di lucro”.

4.2 n secondo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c., violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. per essere il
giudice d’appello andato “oltre i limiti della domanda in relazione alla
inverificata – ed inverificabile – aprioristica meritevolezza delle tesi dell’erario”.
Con un “acritico appiattimento” con il primo giudice, la corte territoriale
avrebbe “statuito la non superabilità delle contestazioni avanzate dall’erario”,
senza che fosse stata formulata la relativa domanda e in tal modo violando
l’articolo 112 c.p.c. per modifica della causa petendi. (OMISSIS) “ha chiesto
l’accertamento della responsabilità e la condanna generica del (OMISSIS) per
applicazione di un regime di fiscalità agevolata in assenza dei presupposti di
legge, mentre il giudice ha fondato la sua condanna sull’acritica condivisione
dei presupposti di un accertamento fiscale dell’Agenzia delle Entrate”, così che
il “fatto costitutivo (adesione alla censura erariale) è pertanto diverso da quello
dedotto in giudizio (omissioni ed errori professionali) ed estraneo alla materia
del contendere”.

4.3 Il terzo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.4
c.p.c., nullità della sentenza per omessa motivazione sulla “supposta veridicità
delle tesi argonnentative dell’Agenzia delle Entrate”.

La Corte d’appello avrebbe condiviso “le tesi dell’erario, senza spiegare
minimamente le ragioni”. I verificatori avrebbero contestato tre addebiti: la
non corretta valutazione dello stato giuridico della società, l’iscrizione tra i costi
del conto economico di un compenso per la carica dell’amministratore
contemporaneamente alla percezione di altri emolumenti per un contratto di
collaborazione coordinata e continuativa e l’iscrizione all’attivo patrimoniale
dell’avviamento; su nessuna di queste argomentazioni il giudice d’appello
avrebbe fornito motivazione.

4.4 n quarto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.4 c.p.c., omessa motivazione e violazione/falsa applicazione dell’articolo
1227 c.c. in riferimento al concorso del fatto colposo del creditore concernente
la raggiunta transazione con l’Agenzia delle Entrate.

Si osserva che il giudice d’appello ha affermato che “non può certamente
assumere rilevanza, al fine di esonerare l’appellante da responsabilità, la scelta
della (OMISSIS) di definire transattivamente il contenzioso con una riduzione
delle somme da pagare”. Lamenta la ricorrente che questa “statuizione” non
sarebbe stata “minimamente motivata”, argomentando poi sul diritto di (OMISSIS)
ad essere informato della gestione del contenzioso e che si sarebbe verificato
concorso colposo del creditore a cagionare il danno, senza che il giudice
d’appello non vi abbia dato rilevanza, “violando il disposto dell’art. 1227 c.c. e
omettendo di motivare”.

4.5 Il quinto motivo denuncia, ex articolo 360, primo comma, n.4 c.p.c., nullità
della sentenza “per solo apparente motivazione” sul comportamento di (OMISSIS).
Ancora dalla pagina 19 della sentenza viene estratta la seguente frase: “non
può ragionevolmente individuarsi a carico dell’a.u. di una società sportiva di
piccole dimensioni, che esercitava l’attività di insegnante di ginnastica, l’onere
di vigilare sulla correttezza dell’attività del commercialista”, per sostenere che
“l’affermazione resta priva di reale motivazione” e argomentando pure
sull’obbligo di vigilanza di ogni contribuente sul puntuale adempimento dei
propri oneri fiscali. E “fino a prova contraria, si presume autore della violazione
chi ha sottoscritto ovvero compiuto gli atti illegittimi”, recita l’articolo 11,
secondo comma, d.lgs. 472/1997).

4.6 Il sesto motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma, n.5
c.p.c., omesso esame su fatto decisivo, cioè l’errore processuale omissivo in
cui sarebbe incorsa (OMISSIS), e “conseguentemente”, violazione o falsa
applicazione dell’articolo 1227 c.c. in relazione all’articolo 360, primo comma,
n.3 c.p.c.

Si afferma che la – mai contestata – mancata produzione da parte di (OMISSIS)
nel giudizio davanti alla CTP del “contratto di consulenza dell'(OMISSIS)” avrebbe
“determinato la reiezione della domanda”, trascrivendo la parte di una frase
della motivazione della sentenza di tale CTP: “la difesa della ricorrente sul
punto appare inconsistente tant’è che non è stato prodotto neppure il citato
contratto di consulenza dal quale evincersi l’effettivo ruolo svolto dal sig.
(OMISSIS)”; la produzione di tale contratto sarebbe stata sufficiente “per
consentire agevolmente di verificare che non si è trattato di una illegittima
duplicazione dei costi né di una distribuzione indiretta degli utili e così
dimostrare l’erroneità della tesi degli accertatori”, ma il giudice d’appello non
avrebbe “minimamente considerato nel suo argomentare logico questa
circostanza”, che avrebbe consentito valutazioni diverse sulla sentenza
tributaria e, quindi, pure sul concorso del fatto colposo del creditore nel
cagionare il danno ex articolo 1227 c.c.

4.7 II settimo motivo denuncia, in riferimento all’articolo 360, primo comma,
n.4 c.p.c., violazione e falsa applicazione degli articoli 91 e 92 c.p.c. per
mancata espressa previsione dell’obbligo di (OMISSIS) di tenere indenne (OMISSIS) dalle
spese processuali di controparte nel rapporto processuale principale.
Osserva il ricorrente che (OMISSIS) è soccombente in entrambi i gradi di merito e
che “sulla base delle condizioni di polizza avrebbe dovuto «tenere indenne
l’assicurato di quanto tenuto a versare all’attrice per le spese di procedimento,
nonché delle spese di difesa”.

Riconosce il ricorrente che la sentenza d’appello al capo d) ha confermato “nel
resto” la sentenza del primo giudice, e che quindi ha confermato anche i capi
“che prevedevano a) la condanna a (OMISSIS) a «tenere indenne (OMISSIS) da quanto
eventualmente condannato a pagare a (OMISSIS) da quanto eventualmente
condannato a pagare nel separato giudizio di liquidazione del danno per
capitale e interessi e spese» … e, soprattutto, b) «a tenere indenne (OMISSIS)
di quanto dovuto all’attrice per le spese del presente giudizio». Sostiene però
che, “onde evitare strumentali interpretazioni, la manleva avrebbe dovuto
essere espressamente richiamata nella sentenza d’appello come estesa anche
a tutte le spese del giudizio d’appello”, e in particolare al capo f) di tale
sentenza, prevedente la condanna di (OMISSIS) a rifondere le spese processuali a
(OMISSIS).

Inoltre, “indipendentemente da ciò” il giudice d’appello sarebbe incorso in una
“falsa applicazione” che “riguarda anche i termini di polizza concernenti le
spese legali delle parti attrici al cui pagamento l’assicurato è stato condannato,
in quanto esse fanno parte delle garanzie assicurative nei limiti del previsto
massimale (doc. 6, D fasc. primo grado, punto 4.5., pag. 19), e devono
intendersi per questo rimborsabili”. Lo stesso varrebbe per le spese dovute a
terzi contro i quali la compagnia ha pure proposto appello, e dunque al capo g)
della sentenza ove si condanna (OMISSIS) a rifondere le spese a Italiana
Assicurazioni.

5. Occorre anzitutto esaminare il ricorso principale.

5.1. Il primo motivo è opportuno sia vagliato congiuntamente al quarto, in
quanto quest’ultimo, come emerge dalla sintesi sopra offerta, ripropone, in
sostanza, lo stesso contenuto di censura.
5.1.1. Il passo motivazionale oggetto della censura è il seguente:

“Una polizza che limiti a soli due anni la retroattività della condotta causativa
del danno da parte del professionista è del tutto inadeguata allo scopo pratico
che viene perseguito con la stipulazione del contratto di assicurazione, ed
impedisce al negozio di realizzare il suo scopo tipico.

La riprova di ciò si ricava dall’osservazione secondo cui la pattuizione di una
siffatta clausola non avrebbe permesso al professionista di fruire una copertura
assicurativa neppure nel caso in cui questi avesse stipulato anno dopo anno,
senza soluzione di continuità, polizze contenenti la detta clausola di
retroattività biennale.

Infatti una polizza stipulata nel 2010 avrebbe coperto i danni denunciati nella
vigenza del contratto ma non antecedenti al 2008, una stipulata nel 2011 quelli
non antecedenti al 2009, una stipulata nel 2012 quelli non antecedenti al 2010,
una stipulata nel 2013 quelli non antecedenti al 2011 e così via.

Nel caso in esame, deve pertanto condividersi la valutazione compiuta dal
primo giudice e confermarsi la declaratoria di nullità parziale della clausola in
esame, con la conseguente operatività della polizza”.

Per comprendere la conclusione cui perviene così il giudice d’appello occorre
riportare quel che alla fine dichiara di condividere della sentenza di primo
grado, così riassunto dalla stessa corte territoriale a pagina 14 della propria
pronuncia:

“Il primo giudice, richiamati principi espressi dalle SU della Suprema Corte con
la pronuncia n. 22437/2018, riteneva che il limite di retrodatazione della
garanzia fosse inconciliabile con il tipo di responsabilità professionale
assicurata e che la clausola non superasse il vaglio di adeguatezza dell’assetto
negoziale nella realizzazione della concreta causa del contratto assicurativo,
ragione per la quale doveva essere dichiarata la nullità parziale, laddove
limitava la garanzia ai sinistri avvenuti nel termine ordinario decennale di
prescrizione ma comunque nei due anni antecedenti, e la sua sostituzione con
la previsione di estensione della copertura a sinistri verificatisi nei dieci anni
antecedenti alla richiesta risarcitoria”.

5.1.2 n contenuto dell’intervento di S.U. 24 settembre 2018 n. 22437 è ormai
ben noto (“Il modello di assicurazione della responsabilità civile con clausole
“on claims made basis”, quale deroga convenzionale all’art. 1917, comma 1,
c.c., consentita dall’art. 1932 c.c., è riconducibile al tipo dell’assicurazione
contro i danni e, pertanto, non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui
all’art. 1322, comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1,
c.c., della rispondenza della conformazione del tipo, operata attraverso
l’adozione delle suddette clausole, ai limiti imposti dalla legge, da intendersi
come l’ordinamento giuridico nella sua complessità, comprensivo delle norme
di rango costituzionale e sovranazionale. Tale indagine riguarda, innanzitutto,
la causa concreta del contratto – sotto il profilo della liceità e dell’adeguatezza
dell’assetto sinallagmatico rispetto agli specifici interessi perseguiti dalle parti-,
ma non si arresta al momento della genesi del regolamento negoziale,
investendo anche la fase precontrattuale (in cui occorre verificare l’osservanza,
da parte dell’impresa assicurativa, degli obblighi di informazione sul contenuto
delle “claims made”) e quella dell’attuazione del rapporto (come nel caso in cui
nel regolamento contrattuale “on claims made basis” vengano inserite clausole
abusive), con la conseguenza che la tutela invoca bile dall’assicurato può
esplicarsi, in termini di effettività, su diversi piani, con attivazione dei rimedi
pertinenti ai profili di volta in volta implicati.”) e applicato dalle sezioni semplici
(tra gli arresti massimati, v. Cass. sez. 3, 26 aprile 2022 n. 12981).

La corte territoriale lo ha effettivamente applicato per quanto concerne la
verifica della clausola de qua ai sensi dell’articolo 1322, primo comma, c.c.,
giungendo a ritenerla nulla, in quanto ostativa alla effettività della tutela
invocabile dall’assicurato. Tuttavia, dalla sua sintetica motivazione emerge
soltanto questa prima parte dell’accertamento che il thema decidendum le
aveva affidato. Infatti, attingendo tra l’altro in modo implicito – opera infatti
con un globale asserto di condivisione – dalla sentenza di primo grado, la corte
territoriale si limita, come si è visto, a pervenire alla “declaratoria di nullità
parziale della clausola in esame, con la conseguente operatività della polizza”,
nel senso che tutto viene riversato nel limite prescrizionale ordinario,
9sostituendo la clausola claims made con la regola della prescrizione decennale
5.1.3 È evidente la discrasia che così emerge. La clausola viene dichiarata
nulla, ma il contratto “rimane in piedi”: si dovrebbe pertanto ritenere che la
corte territoriale abbia applicato l’articolo 1419, secondo comma, c.c., per cui il
contratto si salva qualora contenga clausole nulle ma queste siano “sostituite
di diritto da norme imperative”. Quali norme imperative siano state applicate
dalla corte territoriale non è evincibile dalla sua, a questo punto palesemente
incompleta, motivazione e/o valutazione con essa illustrata. L’articolo 1419,
secondo comma, c.c. si riferisce infatti, ictu ocu/i, a norme che regolino
imperativamente il contenuto negoziale, giacché esso presidia i limiti così
inferiti dall’ordinamento al loro opposto, id est all’autonomia negoziale:
l’imperio (democraticamente legittimo) del legislatore prevale quindi sul potere
dispositivo sostanziale cioè sulla libertà negoziale delle parti, per tutelare valori
superiori – il che sovente significa tutelare una parte debole, la cui potenziale
inferiorità condiziona appunto il sinallagma -. Radicalmente diversa è invece
una norma relativa alla prescrizione, non alla costituzione dei diritti; e non a
caso la corte territoriale si è astenuta dal menzionarla.

Il giudice d’appello, dunque, più che incorrere in un vizio motivazionale (a
prescindere dal fatto che si sta vagliando anche il quarto motivo, il primo
motivo proposto ben può essere riqualificato: sulla non vincolatività per il
giudicante della configurazione formale offerta dalla rubrica del motivo se
questo è tuttavia riconducibile nel paradigma dell’articolo 360 c.p.c. è noto
l’insegnamento di S.U. 24 luglio 2013 n. 17931, seguito, tra gli arresti
massimati, da Cass. sez. 3, 29 agosto 2013 n. 19882, Cass. sez. 1, 31 ottobre
2013 n. 24553, Cass. sez. 6-3, ord. 20 febbraio 2014 n. 4036, Cass. sez. L, 17
dicembre 2015 n. 25386, Cass. sez. 2, 29 novembre 2016 n. 24247, Cass. sez.
5, ord. 6 ottobre 2017 n. 23381, Cass. sez. 6-5, ord. 27 ottobre 2017 n.
25557, Cass. sez. 2, ord. 7 maggio 2018 n. 10862, Cass. sez. 5, ord. 23
maggio 2018 n. 12690 e Cass. sez. 6-5, ord. 19 giugno 2018 n. 16170), ha
violato – e il primo motivo in realtà denuncia, come appunto il quarto il cui
vaglio è stato perciò congiunto, tale violazione in forza dell’articolo 360, primo
comma, n.3 c.p.c. in tal senso dovendo essere riqualificato – la norma che 5
regola la nullità parziale, consentendo di sostituire ex lege l’illegittima volontà
delle parti, con effetto conservativo del resto.

La corte territoriale, invero, non ha rispettato l’articolo 1419, secondo comma,
c.c., in quanto ha omesso di identificare la norma imperativa con cui supplire la
clausola concreta di claims made presente nella polizza, come pretende
appunto tale norma.

Ciò conduce, ineludibilmente, ad accogliere il motivo in esame. La corte, in
sede di rinvio, dovrà procedere alla relativa individuazione e, nel caso in cui
non rinvenga la “norma protesi” che il capoverso dell’articolo 1419 c.c. esige,
trarne la nullità del contratto.

5.2 Passando all’esame del secondo motivo, appare alquanto evidente che
questo, dopo avere richiamato il noto insegnamento delle Sezioni Unite sulle
clausole claims made – che affida al giudice di valutare se nel caso concreto la
loro introduzione nel regolamento negoziale si mantenga nei limiti imposti
dall’ordinamento, ricondotti al canone, più che mai attivo ed “espansivo”, della
buona fede -, e altresì dopo avere riconosciuto che il giudice d’appello ciò ha
“sposato”, abbandona la sua natura di veicolo di questioni giuridiche in quanto
motivo di ricorso davanti al giudice di legittimità per passare alla critica
dell’accertamento effettuato dal giudice d’appello sul “complessivo assetto
sinallagmatico” concreto del contratto in esame. Il che significa che ha mosso
le censure avverso l’accertamento di merito sul contenuto del regolamento
negoziale che, in concreto si ripete, è stato concordato dalla compagnia
assicuratrice e dal (OMISSIS), perseguendo dunque dal giudice di legittimità una
revisione fattuale del contenuto – e quindi dell’equilibrio plasmato tra gli
interessi delle parti – della polizza.

Non si può non ricordare, infatti, che l’interpretazione che ha per oggetto il
contenuto negoziale è comunque rimessa al giudice di merito – il quale
naturalmente deve svolgerla applicando i canoni ermeneutici legali -: a
proposito proprio della polizza contenente clausola claims made si è espressa
in tal senso la basilare S.U. 24 settembre 2018 n. 22437 (si veda, in
motivazione, sub 19 e 19.1), sotto questo profilo ovviamente nulla variando
rispetto a quanto già affermato nella prodromica S.U. 6 maggio 2016 n. 9140.
Il motivo, dunque, presenta un’evidente inconsistenza.

5.3.1 In ordine al terzo motivo, va rilevato anzitutto che la rubrica del motivo
denuncia, in relazione all’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c., l’omesso
esame di un fatto decisivo: data di retroattività fissata, su richiesta
dell’assicurato, al 15 gennaio 2013 in entrambe le Polizze emesse da (OMISSIS)”.
Nella esposizione del motivo, coerentemente è su questo che la censura si
impernia: “i Giudici d’Appello hanno del tutto omesso di considerare il fatto
oggettivo e documentato che le polizze … forniscono entrambe – su richiesta
espressa dell’assicurato – copertura per le Richieste di risarcimento derivanti da
Atti Illeciti verificatisi a partire dal 15 gennaio 2013”, così ambedue recando “la
medesima data di retroattività” e il “dato di fatto è chiaramente indicato nel
frontespizio delle due polizze … ed è stato reiteratamente specificato da (OMISSIS)
nei propri scritti difensivi”.

5.3.2 In realtà, quel che era stato addotto in tema dall’attuale ricorrente nella
sua difesa di primo grado, seguendo quanto il ricorso (a pagina 6) indica per
adempiere il requisito di autosufficienza, è che il (OMISSIS) non aveva “mai chiesto
una diversa retroattività in sede di compilazione del <<Questionario per la
richiesta di copertura Responsabilità civile Dottori Commercialisti, Ragionieri
Commercialisti, Consulenti del Lavoro», sottoscritto in data 3 febbraio 2015,
laddove veniva espressamente richiesta una retroattività di anni 2”; nella
premessa del ricorso, peraltro, nulla è indicato del contenuto dei motivi
presentati nell’appello proposto da (OMISSIS), mentre poi nella illustrazione del
presente motivo (ricorso, pagina 16) si afferma che il “dato di fatto” è stato
“reiteratamente specificato” dall’attuale ricorrente “nei propri scritti difensivi e
segnatamente nelle conclusioni rassegnate innanzi al Tribunale che la Corte
d’Appello ha persino riportato … a pagina 13 dell’impugnato provvedimento”,
dove in effetti la corte territoriale, narrando lo svolgimento del processo,
inserisce la seguente frase, che il ricorso trascrive a pagina 16: ” (OMISSIS) … facev
rilevare che le due polizze stipulate con il (OMISSIS) operavano in regime di claims
made con retroattività decorrente, per entrambe, dal 15/1/2013″ – così la corte
completando subito dopo la frase: “e che la richiesta risarcitoria era
intervenuta in data 8/1/2016, quindi nel periodo di vigenza della prima polizza
(15/1/2015-15/1/2016), ma era riferibile a fatti accaduti in epoca anteriore
all’area garantita” -.

Più avanti, indicando il contenuto dei tre motivi d’appello presentati da (OMISSIS) (a
pagina 14 della sentenza), la corte territoriale non menziona tale fatto.
5.3.3 Nella parte della sentenza in cui si vagliano le censure del gravame, si
rinviene poi l’esame della sua seconda censura (pagine 16-17: si rileva che,
però, il ricorrente – a pagina 14 – ha affermato di avere impugnato la sentenza
“dal primo capoverso della pagina 17 della motivazione … fino al quarto
capoverso della stessa pagina 17 della motivazione”), descritta come segue:
“Con il secondo motivo si assume la erroneità della sentenza di primo grado
nella parte in cui ha ritenuto la nullità della clausola della polizza claims made
che limita la retroattività a due soli anni.
Secondo l’appellante, il tribunale avrebbe fatto erronea applicazione dei principi
affermati dalla Suprema Corte, posto che nel caso concreto il meccanismo di
operatività cronologica della clausola claims made era perfettamente lecito, ed
adeguato allo scopo pratico perseguito dai contraenti, avendo il rag. (OMISSIS),
soggetto certamente esperto ed avveduto attesa la sua qualifica professionale,
consapevolmente chiesto di assicurarsi contro il (solo) rischio derivante da
condotte successive al 15 gennaio 2013, ed il premio assicurativo era stato
concordato in funzione alla estensione della copertura”.

5.3.4 Dunque, “integrando” quel che emerge dal ricorso in ordine al fatto
discusso e decisivo che sarebbe stato tralasciato dal giudice d’appello con quel
che se ne può ricostruire alla luce della sentenza impugnata – per evitare
eccessivi formalismi, alla luce di un canone conservativo della tutela
giurisdizionale -, (OMISSIS) aveva presentato come fatto ora astrattamente
riconducibile al paradigma dell’articolo 360, primo comma, n.5 c.p.c. l’avere i
(OMISSIS) consapevolmente chiesto di coprire il rischio derivante da condotte
posteriori al 15 gennaio 2013. Nulla, invece, era stato addotto in appello in
relazione al fatto che anche l’altra polizza – “uscita” d’altronde dal devoluto
dopo essere stata ritenuta inapplicabile dal giudice di prime cure, non avendo il
(OMISSIS) proposto appello al riguardo – aveva la medesima data di retroattività
su richiesta dell’assicurato.

Secondo una interpretazione conservativa e altresì, a priori, ragionevole, deve
allora identificarsi il fatto “decisivo” cui si riferisce il motivo (reputando
implicitamente che fosse anche discusso, per quanto si è finora visto)
nell’avere il (OMISSIS) richiesto la data di retroattività al 15 gennaio 2013. Non è
allora fondato il motivo, in quanto il giudice d’appello ha considerato pure il
fatto suddetto, se si interpreta in un’ottica ragionevole quel che ha affermato a
proposito del secondo motivo d’appello, che non è motivato, come prospetta la
ricorrente, soltanto nella prima parte della pagina 17 della sentenza, la
motivazione sussistendo altresì – subito dopo averlo nella stessa pagina
riassunto come si è visto -, nella pagina 16 prendendo le mosse dall’asserto:
“Il motivo è infondato”.

Invero, affermando, una volta richiamata S.U. 22437/2018, che questo tipo di
contratto “non è soggetto al controllo di meritevolezza di cui all’art. 1322,
comma 2, c.c., ma alla verifica, ai sensi dell’art. 1322, comma 1, c.c., della
rispondenza della conformazione … ai limiti imposti dalla legge, da intendersi
come l’ordinamento giuridico nella sua complessità”, occorrendo seguire il
criterio di “valutare l’adeguatezza del negozio allo scopo pratico perseguito dai
contraenti” pure “nei modelli contrattuali … che postulano la copertura dei
rischi per danni caratterizzati da lungolatenza”, la corte territoriale opera poi la
sua valutazione di fatto – ed è questa che si rinviene nella pagina 17 della
pronuncia – nel senso che a tale “scopo pratico” la “polizza che limiti a soli due
anni la retroattività della condotta causativa del danno da parte del
professionista è del tutto inadeguata”.

È evidente che, in questo percorso ricostruttivo, il giudice d’appello ha ritenuto
che la richiesta che, secondo l’appellante, avrebbe avanzato il (OMISSIS) no
aveva l’effetto di disinnescare la necessità di valutare se il contratto era stato
stipulato nei suddetti limiti imposti dalla legge in relazione all’adeguatezza del
negozio allo “scopo pratico”: adeguatezza che, naturalmente, ha una
pregnanza oggettiva, non potendosi identificare nella mera stipulazione del
contratto con volontà delle parti del tutto concordanti, inclusa un’eventuale
volontà, per così dire, autolesionista per una di loro.

Il che si può anche presumere sia stato percepito dalla stessa ricorrente che,
nella seconda parte del motivo, sposta la tematica al di fuori del paradigma del
n.5 dell’articolo 360, primo comma, c.p.c., per affermare, in sostanza, che il
principio per regolare l’adeguatezza dell’assetto negoziale e lo scopo pratico è
costituito dall’autonomia negoziale delle parti, aggiungendo inoltre il fatto che
sarebbero stati adempiuti gli obblighi informativi da parte della compagnia. Ciò
non è riconducibile, evidentemente, ad una denuncia di omesso esame di un
fatto discusso e decisivo.
5.3.5 Meramente ad abundantiam, allora, si osserva che, come insegnano le
Sezioni Unite, la polizza assicurativa con clausola claims made non è da
vagliare in riferimento all’articolo 1322, secondo comma, c.c., bensì proprio in
riferimento al primo comma di detto articolo, che indica la sussistenza di “limiti
imposti dalla legge” all’autonomia contrattuale, per l’evidente necessità di
incastonare nel quadro ordinamentale e dunque fare spazio anche al pubblico
interesse di tutelare di quelle parti che, in contratti come quello in esame, sono
oggettivamente intese parti deboli, o comunque sono l’interposizione di parti
deboli, per così dire, definitive come i terzi danneggiati. E tutto ciò, ictu °culi,
non può essere superato dal mero adempimento degli obblighi informativi da
parte della compagnia.

Il motivo, in conclusione, risulta infondato, poiché non vi è stato omesso
esame da parte del giudice d’appello.

5.4 n quinto motivo, infine, Si tratta, evidentemente, di una censura
direttamente fattuale, in quanto indica (attraverso un riferimento peraltro
generico agli “scritti difensivi” della stessa ricorrente e a cinque pagine della
comparsa conclusionale d’appello sempre dell’attuale ricorrente) alcune
condotte che avrebbe tenuto (OMISSIS), per affermare che sulla base di questo si
sarebbe dovuto ritenere violato l’articolo 1892 c.c., tralasciando che non
compete al giudice di legittimità accertare la sussistenza dei presupposti
fattuali dell’applicazione di una norma, accertamento che è affidato al giudice
di merito.

Il motivo pertanto è inammissibile.

6. Il ricorso principale, in conclusione, deve essere accolto per quanto concerne
il primo e il quarto motivo, rigettando il secondo e il terzo e dichiarando
inammissibile il quinto. Pur concernendo formalmente un diverso rapporto il
ricorso incidentale, è evidente che il nucleo della causa risiede nell’oggetto del
ricorso principale, per cui l’incidentale viene assorbito. Cassando la sentenza
dunque per quanto di ragione, si rinvia, anche per le spese, alla stessa Corte
d’appello di Milano in diversa sezione e composizione.

P.Q.M.

Accoglie i motivi primo e quarto del ricorso principale, rigettati il secondo e il
terzo e dichiarato inammissibile il quarto, e assorbito il ricorso incidentale
cassa la sentenza impugnata rinviando, anche per le spese processuali, alla
Corte d’appello di Milano.

Così deciso in Roma il 9 febbraio 2023