Sentenza 9674/2023
Ricorso per cassazione – Motivo di ricorso ex art. 360, n. 4, c.p.c. – Mancata ammissione istanze istruttorie – Ammissibilità del motivo – Presupposti
In tema di ricorso per cassazione, la censura concernente la violazione delle regole processuali ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., qualora investa la mancata ammissione in appello di istanze istruttorie ex art. 345, comma 2, c.p.c., è ammissibile solo in quanto spieghi come e perché le istanze in parola, se accolte, sarebbero state suscettibili di rovesciare l’esito del giudizio di primo grado.
Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 12-4-2023, n. 9674 (CED Cassazione 2023)
Art. 360 cpc (Ricorso per cassazione)
FATTI DI CAUSA
La signora (OMISSIS) convenne in giudizio, con atto di citazione del 27/3/2014, il notaio (OMISSIS) davanti al Tribunale di Taranto per sentirne pronunciare la condanna al risarcimento dei danni per responsabilità professionale in ordine alla compravendita, rogata dal professionista, con la quale il venditore (OMISSIS), essendo divenuto proprietario esclusivo di due porzioni immobiliari siti in Cesenatico, a seguito di scioglimento della comunione legale con la moglie, ne aveva trasferito la proprietà alla (OMISSIS). L’attrice rappresentò che i beni erano risultati gravati da ipoteca senza che il notaio avesse acclarato la presenza dei vincoli a mezzo delle ordinarie visure catastali, e che il giudice dell’esecuzione immobiliare, rilevata l’anteriorità della trascrizione del pignoramento rispetto alla compravendita, aveva rigettato la domanda di sospensione dell’esecuzione formulata dalla (OMISSIS). Avendo, pertanto, la stessa subito la sostanziale inefficacia del proprio atto di acquisto, la (OMISSIS) agì nei confronti del notaio per essere risarcita, ritenendolo responsabile di non aver eseguito le necessarie visure catastali.
Il notaio (OMISSIS) si costituì in giudizio respingendo ogni addebito, dichiarò di aver eseguito le ispezioni ipotecarie sia sul nominativo di (OMISSIS) sia su quello della moglie e affermò che, in ogni caso, il prezzo di acquisto, estremamente modesto rispetto al valore degli immobili compravenduti, era stato pagato dalla (OMISSIS) con ampio anticipo rispetto alla stipula del rogito, sicchè il pregiudizio economico doveva intendersi derivato dalla inavvedutezza dell’attrice acquirente e non dalla sua colpa professionale.
Il Tribunale adito, con sentenza n. 342 del 29/1/2016, rigettò la domanda ritenendo che, anche qualora il notaio avesse evidenziato la presenza di vincoli, non per questo l’atto di acquisto della (OMISSIS) avrebbe potuto essere legittimamente opposto ai creditori e prevalere sulle precedenti iscrizioni, sicché l’attrice avrebbe potuto soltanto optare per la non convenienza dell’acquisto; tuttavia il Tribunale rilevò la presenza in atti di molteplici elementi atti a far supporre che la (OMISSIS), al momento del rogito, fosse pienamente consapevole dei pregiudizi gravanti sugli immobili, quali la presenza di ipoteche e pignoramenti ben anteriori all’atto di compravendita, il prezzo vile pagato e l’avvenuto versamento del medesimo in data ben anteriore alla stipula del rogito, quando i beni erano ancora in comunione indivisa; inoltre il Tribunale rilevò che i beni risultavano locati a terzi e che, nei confronti dei locatori, il (OMISSIS) e la (OMISSIS) si erano qualificati come comproprietari ed avevano pattuito che i canoni sarebbero stati versati su un conto corrente intestato all’attrice sicché la (OMISSIS) neppure aveva ricevuto un vero e proprio danno dalla stipulazione della compravendita.
A seguito di appello della (OMISSIS), la Corte d’Appello di Lecce, con sentenza n. 160 del 15/3/2019, ha rigettato il gravame, sulla base di due rationes decidendi: in primo luogo ha confermato la presenza in atti di numerosi indizi atti a far ritenere la piena consapevolezza della (OMISSIS) in ordine alla esistenza della pregiudizievole procedura esecutiva; in secondo luogo la sentenza ha affermato che tutte le critiche formulate dalla (OMISSIS) con il proprio atto di appello sarebbero state in ogni caso ininfluenti a demolire la sentenza di primo grado in nome della ragione più liquida, secondo la quale, ove anche si fosse dato atto nel rogito della pendenza di pignoramenti e della iscrizione di ipoteche, ugualmente l’atto sarebbe risultato inefficace perché posteriore ad esse.
Avverso la sentenza (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione sulla base di tre motivi.
Ha resistito il notaio (OMISSIS) con controricorso.
Il ricorso è stato fissato per la trattazione in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1 c.p.c., in vista della quale entrambe le parti hanno depositato memoria.
Il Collegio ha ritenuto non sussistere elementi atti a consentire la definizione del giudizio in sede camerale ed ha, per l’effetto, disposto il rinvio della causa alla Pubblica Udienza.
Il P.G. ha depositato conclusioni scritte nel senso della inammissibilità o, in subordine, del rigetto del ricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Occorre preliminarmente rigettare l’eccezione di improcedibilità del ricorso, sollevata da parte resistente, per mancata produzione in atti del provvedimento di ammissione al gratuito patrocinio a spese dello Stato: l’eccezione va rigettata in quanto la giurisprudenza di questa Corte ritiene che il ricorso non sia inammissibile purché vi sia una valida procura alle liti (Cass, 3, n. 8723 del 31/5/2012: ” Il ricorso per cassazione proposto dalla parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato è ammissibile anche se non sia stato prodotto il relativo decreto di ammissione al beneficio, purché vi sia una valida procura alle liti”).
Sui motivi di ricorso.
Con il primo motivo – nullità della sentenza in relazione all’art. 112 c.p.c. e all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c.; in subordine nullità della sentenza per difetto di motivazione in violazione dell’art. 111 Cost., 132 c.p.c., 118 disp. att. c.p.c. il tutto in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c.- la ricorrente censura la sentenza nella parte in cui avrebbe omesso di pronunciarsi o lo avrebbe fatto con una motivazione apparente, sul motivo di appello con il quale la (OMISSIS) aveva fatto valere la violazione del principio del contraddittorio e del diritto di difesa non avendole il giudice dato modo di replicare a documenti acquisiti al giudizio sui quali non si sarebbe svolto un corretto contraddittorio tra le parti, con violazione dell’art. 101 c.p.c. Si evidenzia che, oltre alla omessa pronuncia, la ricorrente fa valere la violazione dell’art. 101, secondo co. c.p.c. anche in relazione alla pretesa introduzione di nova.
Ai fini dello scrutinio del motivo, si ricorda che l’appellante aveva chiesto di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado e di accogliere la domanda sulla base dei fatti allegati e provati fino all’udienza di precisazione delle conclusioni, in subordine di ordinare la rimessione in termini per garantire il diritto dell’appellante di contraddire sui fatti e sulle circostanze che il primo giudice aveva ritenuto di ricavare dalle “carte” acquisite al processo.
Tanto premesso, si osserva che la prima censura, quella dell’omissione di pronuncia sui capi I e II delle conclusioni dell’atto di appello è priva di fondamento, giacché omette di considerare quanto la motivazione della sentenza ha esposto a partire dalla frase che inizia con il verbo parola “sostiene” a pag. 5 e fino al sesto rigo della pag. 7.
La motivazione enunciata dalla corte territoriale viene ignorata ed essa, che si impernia sul valore della norma dell’art. 116 c.p.c. e sulla sua rilevanza in ordine al materiale probatorio acquisito al processo, nonché sul principio di c.d. acquisizione processuale, è stata enunciata con espresso riferimento, come emerge dalia proposizione che a pag. 5 inizia con la parola “sostieni’ con riferimento alla dedotta violazione dei “vari principi del sistema giuridico, come sopra individuati”, espressione che richiama quanto a pag. 4 riferisce la sentenza circa il contenuto dell’appello della qui ricorrente, nel quale si fa riferimento alla doglianza circa il fatto che il tribunale «non aveva aperto il contraddittorio sui fatti nuovi desunti dalle carte del processo>>.
Analogamente, la motivazione enunciata alle pagg. 5-7 ed ignorata dall’illustrazione del motivo, evidenzia l’infondatezza della seconda censura, la quale, peraltro, attinge un rilievo della motivazione della sentenza impugnata quello sulle nuove prospettazioni e sui nuovi mezzi istruttori, che non concerne la doglianza su cui infondatamente è dedotta l’omessa pronuncia, quella di violazione dell’art. 101, secondo comma, c.p.c., bensì un problema diverso, quello dei nova che la ricorrente in appello avrebbe voluto introdurre con la giustificazione della violazione di quella norma da parte del primo giudice.
Il Collegio, peraltro, rileva che l’illustrazione del motivo, pur evocando il contenuto dell’atto di appello, omette di indicare dove in esso erano state svolte le argomentazioni che si dicono esserlo state così presentando anche, lo si rileva ad abundantiam, un profilo di violazione dell’art. 366 n. 6 c.p.c., che, peraltro, sussiste anche sotto il profilo della localizzazione in questo giudizio dell’atto di appello, che non si dice prodotto (vedi anche elenco produzioni i calce al ricorso) e riguardo al quale nemmeno si dice – come ammette Cass., Sez. Un., n. 22726 del 2011 al fine di esentare dalla produzione ai sensi del n. 4 dell’art. 369 c.p.c., ma esigendo l’indicazione- di voler fare riferimento alla sua presenza nel fascicolo d’ufficio del giudizio di appello.
Peraltro, gli elementi che la corte territoriale ha ritenuto correttamente apprezzati dal tribunale – cioè quelli che essa elenca nella prima parte della pagina 6 – sono fatti emergenti dal tenore dello stesso atto notarile prodotto in giudizio e, dunque, trattasi di elementi acquisiti al processo, dovendosi escludere la validità della tesi dottrinale richiamata nel motivo, che vorrebbe soggiaccia all’obbligo di cui all’art. 101, secondo comma, c.p.c. il potere del Giudice di rilevare i fatti rappresentati in un documento prodotto. Siffatto potere del Giudice non può soggiacere alla norma, in quanto l’art. 115, dicendo che il giudice deve porre a fondamento della decisione le prove dedotte dalle parti, implica che, in caso di produzione di un documento ad istanza di parte, poiché la sua efficacia rappresentativa concerne tutto ciò che da esso risulta, il giudice non solo possa ma debba considerarlo al di là di una evidenziazione fatta dalla parte.
Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente deduce la violazione e falsa applicazione del principio della ragione più liquida di cui agli artt. 24 e 111 Cost. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.; nullità della sentenza (per il sacrificio del diritto di difesa e della effettività della tutela giurisdizionale in omaggio al principio della ragione più liquida attinente al merito) per violazione degli artt. 6 e 13 della Cedu e degli artt. 24 e 111 Cost in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c.; nullità della sentenza per violazione dell’art. 111 Cost, 132 c.p.c. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, 1 n. 4 c.p.c. (non essendo state indicate le ragioni per le quali il diritto di difesa e l’effettività della tutela giurisdizionale dovessero cedere il passo alla ragione più liquida attinente al merito).
La ricorrente, in sostanza, censura la sentenza per aver, a suo avviso, violato il principio dell’effettività della tutela giurisdizionale in nome della “ragione più liquida”, con ciò dando illegittimamente la prevalenza alla celerità del processo rispetto alla garanzia del diritto di difesa.
Il motivo è inammissibile, perché non coglie la ratio decidendi della impugnata sentenza, la quale, lungi dal fare applicazione, come si pretende, del principio della ragione più liquida, con ciò sacrificando la garanzia di pieno rispetto del contraddittorio, ha indicato come ragione “liquida” una ragione scelta dal Tribunale, relativa all’incidenza causale della denunciata negligenza del notaio, tale che, anche nel caso in cui il notaio avesse dato conto nel rogito della pendenza di pignoramenti e dell’iscrizione di ipoteche, ugualmente l’atto sarebbe risultato inefficace perché posteriore, nei confronti dei creditori procedenti.
Tale ratio decidendi, riferita dal giudice del gravarne alla sentenza di primo grado, è anche detta non attinta da una specifica censura senza che la ricorrente dimostri di avere, al contrario, criticato con l’appello quella ratio decidendi, ormai non più contestabile.
Con il terzo motivo di ricorso la ricorrente deduce violazione e falsa applicazione dell’art. 153, co. 2 c.p.c., 345, co. 3 c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 3 c.p.c.; in subordine nullità della sentenza impugnata (in ordine alla declaratoria di inammissibilità dei documenti prodotti e delle richieste formulate in grado di appello), per violazione dell’art. 345 c.p.c. e dell’art. 153, secondo comma c.p.c in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c.; ed ancora nullità della sentenza per motivazione meramente apparente, violazione degli artt. 111 Cost., 132 c.p.c. 118 disp. att. c.p.c. in relazione all’art. 360, co. 1 n. 4 c.p.c.
La ricorrente lamenta che la Corte d’Appello abbia precluso l’ammissione di nuovi documenti ai sensi dell’art. 345 c.p.c mentre avrebbe dovuto ammetterli perché nella disponibilità della parte solo dopo la conclusione del giudizio di primo grado.
Il motivo -sia quanto alla violazione dell’art. 345 e 153 c.p.c. sia quanto alla parte finale in cui deduce la violazione dell’art. 132, secondo comma, n. 4 c.p.c., in quanto la motivazione sarebbe meramente apparente, va dichiarato inammissibile ai sensi dell’art. 360-bis n. 2 c.p.c., secondo (‘esegesi di cui a Cass. n. 22341 del 2017 e successive conformi, perché non spiega come e perché le istanze probatorie avrebbero potuto rovesciare l’esito del giudizio di primo grado e comunque – al di là di tale rilievo – perché, giusta quanto si è detto a proposito del primo motivo circa l’insussistenza della violazione dell’art. 101, secondo comma, c.p.c., una rimessione in termini o meglio l’ammissione dei documenti e delle prove alla stregua della previsione del 345 c.p.c. circa l’ammissibilità di prove che non si erano potute dedurre prima, non sarebbe stata giustificata, avendo il primo giudice solo rilevato ciò che emergeva dagli atti introdotti nel giudizio e ben potendo, secondo il principio di eventualità, l’attuale ricorrente dedurre ciò che riferisce di avere introdotto con l’appello, fin dal primo grado.
In ogni caso, l’esito del secondo motivo ed il consolidarsi della motivazione della sentenza impugnata circa l’assenza di impugnazione della ragione liquida ritenuta dal tribunale, rende la stessa notazione della sentenza impugnata qui censurata del tutto ultronea.
Conclusivamente il ricorso va rigettato e la ricorrente va condannata a pagare, in favore della parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo.
Si dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, di una somma a titolo di contributo unificato pari a quella versata per il ricorso, se dovuta.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente a pagare, in favore di parte resistente, le spese del giudizio di cassazione, liquidate in € 7.200 (oltre € per esborsi), più accessori e spese generali al 15%.
Ai sensi dell’art. 13, co. 1-quater del d.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello versato per il ricorso, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione Civile della Corte di cassazi•in data 12 dicembre 2022.