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Cassazione Civile 9744/2923 – Risarcimento del danno – Liquidazione in via equitativa del danno – Presupposti – Onere della prova

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Sentenza 9744/2923

Risarcimento del danno – Liquidazione in via equitativa del danno – Presupposti – Onere della prova

La liquidazione in via equitativa del danno postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell’ontologica esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando semplicemente che l’illecito ha soppresso una cosa determinata, se non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta del danno stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai quali desumerne l’entità. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata che aveva escluso la liquidazione in via equitativa del danno patito dal conduttore di un locale cantinato, ove erano allocati articoli da regalo deteriorati in conseguenza di un allagamento ascrivibile al condominio, in assenza di prova di tale pregiudizio).

Cassazione Civile, Sezione 3, Sentenza 12-4-2023, n. 9744   (CED Cassazione 2023)

Art. 1226 cc (Valutazione equitativa del danno)

 

 

FATTI DI CAUSA

(OMISSIS) S.r.L. conveniva, dinanzi al Tribunale di Palermo, il
Condominio di via (OMISSIS) n. 8 Palermo, al fine di ottenerne la
condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza
dell’allagamento del piano cantinato, collocato all’interno del
condominio convenuto, da essa condotto in locazione; danni
consistenti nell’anticipazione delle spese per le riparazioni urgenti,
nel danneggiamento di pregiati articoli da regalo e nei costi
sostenuti per lo smaltimento del materiale fangoso e della merce
andata distrutta.

Il condominio, costituitosi, eccepiva il difetto di prova circa il
verificarsi dell’allagamento, negava di avere alcuna responsabilità
in merito all’occorso, perché le tubazioni da cui si era verificata la
perdita appartenevano anche ai Condomini di via (OMISSIS) n. 10 e di
via (OMISSIS) n. 35 che chiedeva di chiamare in causa; in via
subordinata, contestava la rilevanza della documentazione prodotta
dalla società attrice per dimostrare l’an e il quantum del danno
subito.

Il Tribunale, con la sentenza n. 4198/2014, dichiarava il
condominio convenuto decaduto dalla facoltà di chiamare terzi in
giudizio, non avendo perfezionato correttamente il procedimento di
notificazione dell’istanza di chiamata di terzo, ne accertava la
responsabilità per i fatti verificatisi ai danni della società (OMISSIS) e lo
condannava a corrisponderle l’importo di euro 2.196,66, a titolo di
rimborso delle spese sostenute per la riparazione delle tubature,
per la rimozione e per lo smaltimento dei materiali danneggiati, e
quello di euro 32.000,00, liquidato equitativamente, per il
danneggiamento della merce, oltre agli interessi ed alla
rivalutazione.

Il Condominio di via (OMISSIS) n. 8 impugnava la suddetta decisione
dinanzi alla Corte d’Appello di Palermo che, con la sentenza n.
2175/2019, ha accolto parzialmente il gravame e ha ridotto ad
euro 2.196,66 l’importo dovuto alla società (OMISSIS).
In particolare, la Corte di merito ha ritenuto provate le spese di
riparazione della colonna di scarico del materiale fangoso
accumulatosi nei locali allagati, sulla base della documentazione in
atti ed alla luce delle dichiarazioni testimoniali, ma ha reputato che
il danno alla merce, costituita da articoli da regalo presenti nei
locali allagati, non fosse stato dimostrato: le fotografie prodotte
non davano contezza della qualità e quantità del materiale andato
distrutto, perché riproducevano solo contenitori in cartone ed
imballi di cui non era percepibile il contenuto; mancava un
inventario della merce di cui si lamentava la perdita di valore
commerciale; non era stato promosso alcun accertamento tecnico
preventivo dei danni lamentati; molti oggetti erano in metallo o
altro materiale non deteriorabile; le dichiarazioni dei testi escussi si
erano rivelate generiche. Ha concluso, quindi, che la società (OMISSIS)
S.r.L. non avesse soddisfatto l’onere di provare il danno ed ha
ritenuto errato il ricorso, da parte del Tribunale, alla valutazione
equitativa dello stesso, perché non si era raggiunta in giudizio la
prova che il danno si fosse verificato e che fosse impossibile o
notevolmente difficile quantificarlo.

Per la cassazione di detta decisione ricorre la società (OMISSIS) che
formula due motivi.

Resiste con controricorso il Condominio di (OMISSIS) n. 8
Palermo.

Il Pubblico Ministero, nella persona del Sostituto Procuratore,
CORRADO MISTRI, ha chiesto il rigetto del ricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1) Con il primo motivo la società ricorrente imputa alla Corte
d’Appello di essere incorsa nella “Violazione o falsa applicazione
degli artt. 1130 e 1131 cod.civ., nonché degli artt. 75 e 182
cod.proc.civ., in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3
cod.proc.civ”, perché non ha rilevato che l’amministratore del
condominio non era stato autorizzato dall’assemblea condominiale,
ai sensi dell’art. 1131, comma 3°, cod.civ., alla proposizione
dell’atto di appello.

L’eccezione di inammissibilità dell’impugnazione per carenza di
capacità processuale dell’amministratore del condominio – sostiene
la ricorrente – era stata sollevata nella comparsa di costituzione e
risposta in appello e ribadita nella comparsa conclusionale, ma la
Corte d’Appello non si sarebbe pronunciata sulla stessa;
trattandosi, tuttavia, di una eccezione processuale, la ricorrente,
consapevole di non poter lamentare l’omessa pronuncia, la quale
riguarda solo le questioni di merito, ripropone in questa sede
l’eccezione; e, al fine di argomentarne la fondatezza, invoca la
decisione a sezioni Unite n. 18331/2010 con cui questa Corte,
riguardo al se l’amministratore di condominio debba essere
autorizzato o meno dall’assemblea per resistere ad una domanda
proposta nei confronti del condominio, ha distinto le materie
(risultanti dal combinato disposto art. 1131, comma primo, e art.
1130 cod.civ.) con riferimento alle quali l’amministratore è
autonomamente legittimato per effetto della legge da quelle in cui,
non avendo una legittimazione ex lege, ha bisogno di essere
previamente autorizzato dall’assemblea.

La ricorrente rileva che: i) la gestione del contenzioso per cui è
causa non rientra tra le attribuzioni stabilite dall’art. 1130 cod.civ.
nel testo ratione temporis vigente; ii) questa Corte, nella pronuncia
n. 18331/2010, aveva escluso che l’azione risarcitoria derivante da
infiltrazioni d’acqua rientrasse tra quelle di cui al combinato
disposto degli artt. 1130 e 1131 cod.civ. ed aveva affermato che
l’amministratore di condominio avrebbe anche potuto costituirsi in
giudizio senza autorizzazione dell’assemblea, ma avrebbe dovuto
ottenere la ratifica del suo operato da parte dell’assemblea per
evitare la pronuncia di inammissibilità dell’atto di costituzione o di
impugnazione; iii) l’amministratore del condominio non solo non
aveva l’autorizzazione preventiva dell’assemblea, ma non aveva
ottenuto la ratifica dell’attività svolta neppure a seguito
dell’eccezione di cui all’art. 75 cod.proc.civ., dovendosi negare
rilievo al documento n. 5 della nota di deposito, indicizzato
verbale assemblea del 13 ottobre 2014, concernente la volontà del
condominio di proporre appello avverso la sentenza n. 4198/2014
del Tribunale di Palermo, perché esso non conterrebbe alcuna
delibera assembleare di autorizzazione e/o di ratifica relativa alla
costituzione nel giudizio di primo grado e all’impugnazione della
sentenza sfavorevole da parte dell’amministratore, tant’è che nel
verbale si dava comunicazione che le spese vive per l’appello
ammontavano ad euro 1.335,50 da suddividersi in 20 quote,
ciascuna di euro 66,78 da versare entro la data del 20 ottobre
2014 “a pena di non potere più fare ricorso in appello. Chi non
verserà la quota sarà responsabile di una eventuale non
presentazione dell’appello; iv) stante la mancanza di una delibera
assembleare di autorizzazione preventiva, secondo quanto stabilito
dalla pronuncia a sezioni unite richiamata, allo scopo di paralizzare
l’eccezione di inammissibilità della costituzione in giudizio o
dell’impugnazione, tenuto conto che la ratifica non era stata
prodotta, neppure a seguito dell’eccezione ex art. 75 cod.proc.civ.,
il giudice avrebbe potuto assegnare un termine ex art. 182
cod.proc.civ. all’amministratore del condominio per ottenere la
ratifica; tanto non era avvenuto, sicché, in applicazione della
decisione n. 12525/2018, il vizio di capacità processuale del
condominio dovrebbe dichiararsi non più sanabile, con conseguente
richiesta a questa Corte di rilevare l’inammissibilità dell’atto di
appello proposto dal condomino, per carenza di legittimazione
processuale attiva, con cassazione della sentenza d’appello, in
quanto il difetto di autorizzazione preventiva o di ratifica può
essere sanato ex art. 182 cod.proc.civ. in sede di legittimità, ma
solo nel caso in cui il difetto sia stato rilevato d’ufficio.

Il motivo non può accogliersi.

Giova, al riguardo, premettere:

a) che la pronuncia del giudice di appello la quale non esamini e
non decida l’eccezione di cui all’art. 75 cod.proc.civ. reca un difetto
di attività del giudice di secondo grado, il quale deve essere fatto
valere dal ricorrente in sede di legittimità non con la denuncia di un
vizio di violazione di legge, in quanto simile censura presuppone
che il giudice del merito abbia preso in esame la questione oggetto
di doglianza e l’abbia risolta in modo giuridicamente non corretto;
parte ricorrente è incorsa in errore deducendo la violazione dell’art.
360, comma 1°, n. 3 cod.proc.civ., anziché imputando alla Corte
territoriale un error in procedendo;

b) che, peraltro, il mancato esame da parte del giudice di appello
di una questione puramente processuale non può dar luogo al vizio
di omessa pronuncia, il quale è configurabile con riguardo alle sole
domande di merito, come opportunamente afferma anche la
società (OMISSIS), e non può, quindi, assurgere a causa autonoma di
nullità della sentenza, potendo profilarsi, al riguardo, una nullità
(propria o derivata) della decisione, per la violazione di norme
diverse dall’art. 112 cod.proc.civ., se, ed in quanto, risulti errata la
soluzione implicitamente data dal Giudice alla questione sollevata
dalla parte medesima (cfr., ex multis, Cass. 19/06/1997, n. 5482;
Cass. 21/11/2001, n. 14670; Cass. 25/06/ 2003, n. 10073; Cass.
6/12/ 2004, n. 22860; Cass. 24/06/ 2005, n. 13649).

Ora, il Collegio ritiene di poter superare l’errore di cui alla lett. a),
in considerazione dello specifico contenuto delle argomentazioni a
supporto della censura, e, riqualificando d’ufficio il vizio ascritto alla
sentenza impugnata come error in procedendo, che sia suo
compito, in questa sede, stabilire, anche attraverso l’esame diretto
degli atti, attesa la ricorrenza di un vizio processuale, se ricorra o
meno la carenza di legittimazione processuale del condominio,
implicitamente negata dal giudice a quo, e se ne consegua la nullità
derivata della sentenza.

Per ben cogliere la sostanza della censura è bene ripercorrere la
vicenda processuale.

La società (OMISSIS), appellata, costituendosi, aveva eccepito la
carenza di legittimazione processuale del Condominio – per quanto
ancora rileva in questa sede – per difetto di autorizzazione
preventiva dell’assemblea ad impugnare la sentenza di prime cure
sfavorevole.

All’udienza di prima comparizione e di trattazione, il 17 luglio
2005, il Condominio aveva prodotto in copia cortesia, tra gli altri, il
verbale dell’assemblea condominiale del 13 ottobre 2014 (già
inviato telematicamente) che, a suo avviso, conteneva
l’autorizzazione a proporre appello avverso la decisione del
Tribunale.

Detta produzione documentale veniva contestata dall’odierna
ricorrente sia il 17 luglio 2005 sia nel corso della successiva
udienza del 13 ottobre 2017 in quanto irrituale e non autorizzata.

All’udienza di precisazione delle conclusioni il Condominio
concludeva come in atto di appello e comparsa di risposta.

Con la comparsa conclusionale la società (OMISSIS) insisteva
sull’inammissibilità della produzione documentale del Condominio,
perché non autorizzata, rilevava che dai verbali di assemblea
prodotti non emergeva né un’autorizzazione assembleare
preventiva a proporre appello né una ratifica all’atto di appello già
proposto e insisteva affinché la Corte d’Appello dichiarasse
l’amministratore privo di legittimazione attiva.
Il condominio, nella sua comparsa conclusionale, deduceva che la
produzione documentale atta a dimostrare la legittimazione
processuale dell’amministratore era stata contestata –
tardivamente – non nel merito, ma solo in relazione alla sua
ammissibilità e chiedeva che il giudice, in forza del combinato
disposto degli artt. 182 comma 2° e 339 cod.proc.civ., ammettesse
la documentazione in discussione; con la memoria di replica
sosteneva che i documenti depositati erano idonei a dimostrare la
sussistenza dell’autorizzazione assembleare a proporre appello.

Alla luce di quanto riferito, deve osservarsi che il difetto di
capacità processuale delle parti risulta sanabile; e non solo per
intervento del giudice. “Si deve pertanto concludere nel senso che
le invalidità derivanti dal difetto di capacità processuale possono
essere sanate anche di propria iniziativa dalle parti; segnatamente
con la regolarizzazione della costituzione in giudizio della parte cui
l’invalidità si riferisce. Mentre l’intervento del giudice inteso a
promuovere la sanatoria è obbligatorio, va esercitato in qualsiasi
fase o grado del giudizio, e ha efficacia ex tunc, senza il limite delle
preclusioni derivanti da decadenze processuali”
(Cass. 26/06/2019, n. 17062); pertanto, il condominio, a fortiori a
fronte dell’eccezione di controparte, era legittimato a produrre la
documentazione atta a dimostrare la propria capacità processuale,
senza bisogno di autorizzazione del giudice.
Resta, dunque, da verificare se il verbale di assemblea, su cui,
non a caso, si appuntano le critiche della società (OMISSIS) contenesse
oppure no un’autorizzazione ad impugnare la decisione di primo
grado.

La verifica, secondo il Collegio, ha esito positivo:
a) il punto 1 all’ordine del giorno era così indicato: notifica
sentenza n. 4198/2014 R.G. Trib. Palermo relativa al procedimento
n. 3168/10 R.H. Trib. Palermo – provvedimenti urgenti e
conseguenziali;

b) si dava atto che un gruppo di condomini aveva avuto un
colloquio con l’avv. (OMISSIS), legale del condominio;

c) veniva allegata la nota dell’avv. (OMISSIS) che comunicava il
costo delle spese di appello;

d) si indicava l’ammontare della quota individuale ed il termine
entro cui avrebbe dovuto essere versata;

e) si specificava: “chi non verserà la quota sarà responsabile di
una eventuale non presentazione dell’appello”.

Tali elementi inducono a ritenere che i condomini avessero deciso
di procedere con l’atto di appello e che a tale conclusione induca
soprattutto l’avvertimento che il mancato versamento della quota
individuale avrebbe potuto provocare la “non presentazione
dell’appello”; segno che, contrariamente, a quanto ritenuto dalla
società (OMISSIS) l’assemblea aveva deciso, a fronte della soccombenza
in primo grado, di procedere con l’impugnazione della decisione
sfavorevole.

Il motivo, pertanto, va rigettato.

2) Con il secondo motivo la ricorrente lamenta “Violazione o falsa
applicazione degli artt. 1226 e 1227 cod.civ., nonché 115
cod.proc.civ., in riferimento all’art. 360, comma primo, n. 3
cod.proc.civ.”.

La società (OMISSIS) sostiene che, accertata la responsabilità del
condominio in entrambi i gradi di giudizio, la logica avrebbe
imposto di ritenere che i beni – articoli da regalo e lampadari –
depositati all’interno dei locali danneggiati dall’allagamento fossero
andati almeno in parte perduti e che la difficoltà di quantificare il
danno non potesse che emergere de plano dall’irriconoscibilità e dal
deterioramento dei beni provocati dalla miscela di acqua, fango e
reflui degli scarichi condominiali.

La censura non può accogliersi, perché la Corte territoriale ha
dato conto delle ragioni che l’hanno indotta ad escludere che vi
fossero i presupposti per liquidare equitativamente il danno:
documentazione fotografica, genericità delle prove testimoniali,
assenza di inventario della merce, mancanza di un accertamento
tecnico preventivo, non deteriorabilità di alcuni oggetti.

Anche senza considerare che l’accertamento di un comportamento
antigiuridico non provoca, diversamente da quanto adombra la
difesa del ricorrente, automaticamente il risarcimento del danno,
perché il nocumento patrimoniale non può essere mai identificato
in re ipsa ed il pregiudizio risarcibile è sempre danno –
conseguenza, da provare anche per presunzioni, l’accoglimento
delle censure del ricorrente implicherebbe un inammissibile nuovo
e diverso (l’asserita irriconoscibilità e il deterioramento della merce
si scontrano con le risultanze delle fotografie agli atti che
ritraevano, secondo il giudice a quo, solo contenitori in cartone e
imballi) accertamento dei fatti di causa sia quanto alla ricorrenza
dei danni sia quanto alla difficoltà di provarne l’ammontare.

Non sussistono ragioni, dunque, per discostarsi dal seguente
principio di diritto, pronunciato in una fattispecie che presenta
innegabili similitudini con quella per cui è causa, atteso che si
controverteva della richiesta risarcitoria derivante dall’allagamento
di un appartamento: “La liquidazione in via equitativa del danno
postula, in primo luogo, il concreto accertamento dell’ontologica
esistenza di un pregiudizio risarcibile, il cui onere probatorio ricade
sul danneggiato e non può essere assolto dimostrando
semplicemente che l’illecito ha soppresso una cosa determinata, se
non si provi, altresì, che essa fosse suscettibile di sfruttamento
economico, e, in secondo luogo, il preventivo accertamento che
l’impossibilità o l’estrema difficoltà di una stima esatta del danno
stesso dipenda da fattori oggettivi e non dalla negligenza della
parte danneggiata nell’allegarne e dimostrarne gli elementi dai
quali desumerne l’entità” (Cass. 22/02/2017, n. 4534).

3) Ne consegue il rigetto del ricorso.

4) Le spese seguono la soccombenza e sono liquidate come da
dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al
pagamento, in favore del Condominio controricorrente, delle spese
del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 5.000,00 per
compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento,
agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del d.P.R. n. 115 del 2002,
inserito dall’art. 1, comma 17 della l. n. 228 del 2012, dà atto della
sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della
società ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo
unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale/ricorso
incidentale, a norma del comma 1-bis, dello stesso articolo 13.

Così deciso in Roma, il 22/02/2023.