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Cassazione Civile 9745/2017 – Contenzioso tributario – Procedimento – Obbligo di esposizione dei fatti rilevanti e delle ragioni giuridiche della decisione

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Ordinanza 9745/2017

 

Contenzioso tributario – Procedimento – Obbligo di esposizione dei fatti rilevanti e delle ragioni giuridiche della decisione

In forza del generale rinvio materiale alle norme del c.p.c. compatibili contenuto nell’art. 1, comma 2, del d.lgs. n. 546 del 1992, è applicabile al rito tributario, così come disciplinato dal citato decreto, il principio desumibile dalle norme di cui agli artt.132, comma 2, n. 4, c.p.c. e 118 disp. att. c.p.c. (come novellati entrambi dalla l. n. 69 del 2009), secondo il quale la mancata esposizione dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione delle ragioni giuridiche della decisione, determinano la nullità della sentenza soltanto ove rendano impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo.

Cassazione Civile, Sezione 6 Tributaria, Ordinanza 18-4-2017, n. 9745  (CED Cassazione 2017)

 

 

RILEVATO CHE:

Con sentenza in data 8 ottobre 2015 la Commissione tributaria regionale della Campania respingeva l’appello proposto dall’Agenzia delle entrate, ufficio locale, avverso la sentenza n. 5153/7/14 della Commissione tributaria provinciale di Caserta che aveva accolto il ricorso della (OMISSIS) srl contro l’avviso di accertamento IRAP, IRES, IVA ed altro 2007. La CTR osservava in particolare che doveva affermarsi, come il primo giudice, l’invalidità dell’atto impositivo perchè emesso oltre il termine decadenziale ordinario, non potendosi applicare quello “raddoppiato”, non essendosi prodotta la denuncia penale a ciò necessaria.

avverso la decisione ha proposto ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate deducendo due motivi.

L’intimata, nelle more processuali fallita, non si è difesa.

CONSIDERATO CHE:

Con il primo motivo – ex x art. 360, primo comma, n. 4, cod. proc. civ.- l’Agenzia fiscale ricorrente denunzia la violazione dell’art. 36, comma 2, nn. 2-3, d.lgs. 546/1992 articolo 36, comma 2, nn. 2-3, poichè la CTR non ha esposto in motivazione lo “svolgimento del processo” nè le “richieste delle parti”.

La censura è infondata.

Vi è infatti da ribadire che “In forza del generale rinvio materiale alle norme del codice di rito compatibili (e, dunque, anche alle sue disposizioni di attuazione) contenuto nel Decreto Legislativo n. 546 del 1992, articolo 1, comma 2, è applicabile al nuovo rito tributario così come disciplinato dal citato decreto il principio desumibile dalle norme di cui all’articolo132 c.p.c., comma 2, n. 4 e articolo 118 disp. att. stesso codice secondo il quale la mancata esposizione dello svolgimento del processo e dei fatti rilevanti della causa, ovvero la mancanza o l’estrema concisione della motivazione in diritto determinano la nullità della sentenza allorquando rendano impossibile l’individuazione del “thema decidendum” e delle ragioni poste a fondamento del dispositivo” (Sez. 5, Sentenza n. 13990 del 22/09/2003, Rv. 567045 – 01).

La motivazione della sentenza impugnata, pur non contenendo le indicazioni de quibus, ha comunque un thema/una ratio decidendi chiaramente intellegibili, sicchè non se ne può affermare la nullità, come statuito dal richiamato principio di diritto.

Con il secondo motivo – ex art. 360, primo comma, n. 3, cod. proc. civ.- l’Agenzia fiscale ricorrente si duole di violazione dell’ art. 37, comma 24, d.l. 223/2006 e dell’art. 43, d.P.R. 600/1973, articolo 43, poichè la CFR ha affermato la necessità della effettiva proposizione della denuncia penale al fine dell’allungamento del termine decadenziale previsto da dette disposizioni legislative, nelle versioni applicabili ratione temporis.

La censura è fondata.

Va infatti ribadito che “In tema di accertamento tributario, il raddoppio dei termini previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43, comma 3, e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57, comma 3, nei testi applicabili “ratione temporis”, presuppone unicamente l’obbligo di denuncia penale, ai sensi dell’articolo 331 c.p.p., per uno dei reati previsti dal Decreto Legislativo n. 74 del 2000, e non anche la sua effettiva presentazione, come chiarito) dalla Corte costituzionale nella sentenza n. 247 del 2011″ (Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 11171 del 30/05/2016, Rv. 639877 – 01) e più in dettaglio che “In tema di accertamento tributario, i termini previsti dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 43 per l’IRPEF e Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 57 per l’IVA, nella versione applicabile “ratione temporis”, sono raddoppiati in presenza di seri indizi di reato che facciano insorgere l’obbligo di presentazione di denuncia penale, anche se questa sia archiviata o presentata oltre i termini di decadenza, senza che, con riguardo agli avvisi di accertamento per i periodi d’imposta precedenti a quello in corso alla data del 31 dicembre 2016, incidano le modifiche introdotte dalla L. n. 208 del 2015, il cui articolo 1, comma 132, ha introdotto, peraltro, un regime transitorio che si occupa delle sole fattispecie non ricomprese nell’ambito applicativo del precedente regime transitorio – non oggetto di abrogazione – di cui al Decreto Legislativo n. 128 del 2015, articolo 2, comma 3, in virtù del quale la nuova disciplina non si applica nè agli avvisi notificati entro il 2 settembre 2015 nè agli inviti a comparire o ai processi verbali di constatazione conosciuti dal contribuente entro il 2 settembre 2015 e seguiti dalla notifica dell’atto recante la pretesa impositiva o sanzionatoria entro il 31 dicembre 2015″ (Sez. 5 -, Sentenza n. 26037 del 16/12/2016, Rv. 641949 – 01).

La sentenza impugnata chiaramente contrasta con tali principi di diritto, avendo affermato -in tema di termini di accertamento raddoppiati in caso di illeciti tributari che astrattamente sono sussumibili in norme incriminatrici penali – una regola di diritto inesistente e perciò va cassata con rinvio al giudice a quo per nuovo esame.

P.Q.M.

La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, rigetta il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, 16 febbraio 2017