Sentenza 20039/2004
Compensi professionali – Ingegneri ed architetti – Inderogabilità dei limiti tariffari
L’inderogabilità dei limiti tariffari di categoria stabiliti per gli ingegneri e gli architetti è circoscritta dall’art. 6 della legge 1 luglio 1977, n. 404 – di interpretazione autentica dell’articolo unico della legge 5 maggio 1976, n. 340 – ai soli incarichi professionali privati e non vale, pertanto, per gli incarichi conferiti da enti pubblici. Ne consegue che, stante la derogabilità dei minimi tariffari allorché il rapporto non coinvolga soltanto parti private, non vi è alcun ostacolo a che il soggetto pubblico conferente l’incarico contratti liberamente con i membri della commissione di collaudo (nella specie composta da liberi professionisti e da un proprio funzionario) un corrispettivo forfetario inferiore alle tariffe degli onorari, corrispettivo che il componente ha piena facoltà di accettare o rifiutare, salva, ovviamente, la facoltà per l’ente di non procedere alla nomina sottoponendola alla condizione della accettazione della specifica clausola. (Enunciando il principio di cui in massima, la S.C. ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, la quale, facendo applicazione dell’art. 62, ultimo comma, del regio decreto 23 ottobre 1925, n. 2537, aveva invece escluso la facoltà di riduzione del compenso stante la presenza nella commissione di collaudo di liberi professionisti accanto al funzionario dell’amministrazione conferente).
Cassazione Civile, Sezione 2, Sentenza 8-10-2004, n. 20039 (CED Cassazione 2004)
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
Con ricorso al Presidente del Tribunale di Roma l’ing. Vi. Tr. ottenne decreto ingiuntivo nei confronti di Telecom Italia S.p.A. per il pagamento della somma di £ 79.241.122 oltre interessi legali e rivalutazione, quale residuo insoluto di onorari professionali.
A fondamento dell’ingiunzione l’istante espose che con D.M. 30.12.1992 l’Azienda di stato per i servizi telefonici lo aveva nominato componente di una commissione per l’espletamento delle operazioni di collaudo della realizzazione di un impianto per il trattamento in tempo reale del traffico telefonico internazionale e che la nomina gli era stata comunicata con lettera dell’Iritel – ora Telecom Italia S.p.A. – succeduta all’ASST, nella quale era specificato che l’incarico sarebbe stato remunerato in base alla tariffa professionale degli ingegneri ed architetti.
Aggiunse il Vi. Tr. che: a) nel D.M. di nomina gli era stato attribuito solo un rimborso spese; b) che l’art. 7 della legge 143/1949 stabilisce che quando l’incarico è dato a più professionisti riuniti in collegio, a ciascuno spetta l’intero compenso risultante dalla tariffa; c) che l’art. 62 del R.D. 2537/1925 dispone che i compensi spettanti ai dipendenti pubblici che svolgono incarichi di collaudo unitamente a liberi professionisti, sono quelli fissati in base alla tariffa professionale;
- d) che la Telecom Italia S.p.A. aveva inteso corrispondere sull’intero dovuto di £ 135.176.030, la minor somma di £ 55.934.908 a titolo di rimborso spese.
Notificata l’ingiunzione emessa, la Telecom Italia S.p.A. proponeva opposizione deducendo che il Vi. Tr. aveva incondizionatamente accettato il compenso nella misura in concreto corrispostagli e che il principio della inderogabilità dei minimi tariffari- sancito dalla legge 340/1976, quanto alle prestazioni degli ingegneri ed architetti – operava, in forza dell’art. 6 della legge 404/77, solo nei rapporti tra privati, sicché il patto intercorso con l’intimante doveva ritenersi del tutto valido e, conseguentemente, nessun credito ricorreva in favore del medesimo.
All’esito del giudizio il tribunale respinse l’opposizione ritenendo l’inderogabilità della tariffa professionale in relazione al fatto che la commissione era composta anche di liberi professionisti.
La Corte d’Appello di Roma, adita dalla Telecom Italia S.p.A., con sentenza 7.2.2000, respinse l’impugnazione e compensò integralmente le spese del giudizio.
Osservò la Corte di merito che il Vi. Tr. venne remunerato – per previsione del D.M. di nomina – con una somma pari al 60% del compenso risultante dalla tariffa professionale, liquidato a titolo di rimborso spese; tuttavia l’ art. 62 del R.D. n. 2537 del 1925 – vigente all’epoca dell’insediamento della commissione riservava alle singole amministrazioni la facoltà di liquidare ai propri funzionari i corrispettivi, riducendo da un terzo alla metà quanto risultante sulla base delle tariffe professionali. La norma dell’art. 62 del citato R.D. escludeva però detta riduzione nell’ipotesi in cui la commissione fosse composta anche di liberi professionisti, in modo da assicurare la par condicio. Concluse la Corte territoriale che dal complesso delle previsioni del D.M. di nomina della commissione era possibile desumere che il quantum liquidato non era un rimborso spese forfetario, bensì un vero e proprio corrispettivo determinato ai sensi del citato art. 62 del citato R.D., sicché ai sensi della medesima norma, doveva escludersi la facoltà di riduzione del compenso stante la presenza nella commissione di liberi professionisti. Concluse la Corte romana che era inconferente il richiamo dell’appellante alla legge 404 del 1977 di interpretazione autentica della legge 340 del 1976, secondo cui l’inderogabilità dei minimi tariffari si riferisce solo ai rapporti tra privati, data la specificità della fattispecie e la specialità della normativa richiamata ad essa applicabile.
Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso la Telecom Italia S.p.A., sulla base di due motivi, illustrati da memoria, cui resiste il Vi. Tr. con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo di ricorso la Telecom Italia S.p.A. denuncia violazione degli artt. 1326,1339,1362 c. c. ed omessa motivazione, deducendo che la Corte territoriale non ha tenuto conto della espressa accettazione da parte del Vi. Tr. dei compensi liquidati, della emissione di note di credito a seguito del mancato nullaosta per alcune parcelle e della successiva emissione della fattura “a saldo” dopo l’invito da parte di essa ricorrente. L’accettazione del compenso, secondo la ricorrente, fa parte del contratto quale elemento per il perfezionamento e non può essere posto nel nulla da alcuna norma che ne impedisca la valida conclusione o che sostituisca ex lege la pattuizione. Con l’emissione della fattura a saldo, assume la ricorrente, il Vi. Tr. aveva evidentemente tenuto conto della esplicita avvertenza fatta da Telecom Italia S.p.A., secondo cui con l’invio si sarebbe ritenuta liberata da ogni obbligazione, e cioè che con l’accettazione dell’incarico e del compenso da parte del Vi. Tr., si sarebbero esauriti tutti gli effetti del rapporto, sicché il Giudice d’appello avrebbe dovuto spiegare perché riteneva possibile riaprire il discorso ritenendo irrilevante il comportamento della parte, e prevalenti le norme da essa citate.
Con il secondo motivo la ricorrente denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 62 R.D. 2537/1925 e dell’art. 6 legge 404/77, quale norma di interpretazione autentica della legge 340/76, nonché omessa motivazione su un punto decisivo.
Rileva la ricorrente che la Corte territoriale ha affermato che la legge 404 del 1927 esclude la riduzione del compenso se alla commissione prendano parte anche liberi professionisti e – richiamando la motivazione del tribunale – indirettamente ha ancorato tale affermazione al carattere inderogabile delle norme in questione. Tuttavia la Corte non ha risposto alle obiezioni mosse a tale assunto, con il richiamo della giurisprudenza che chiarisce quando le norme della tariffa professionale siano derogabili, e cioè quando il rapporto non intercorra tra privati. La Corte ha invece ignorato la consolidata giurisprudenza sulla interpretazione dell’art. 6 della legge 404/77 in relazione alla legge 340/76.
Il secondo motivo del ricorso – che ha priorità logica rispetto al primo – è fondato e va accolto.
La Corte d’Appello, non ha fornito una accettabile motivazione dell’assunto secondo cui il richiamo all’art. 6 della legge 404/1976 sarebbe “inconferente … attesa la specificità della fattispecie in trattazione e la specialità della normativa richiamata e qui applicata (art. 62 cit.) e da applicare”. AI contrario, non vi è alcun plausibile motivo per affermare che l’art. 6 della citata legge non possa trovare applicazione al caso di specie, perché si tratta di una norma di portata generale, che – fornendo l’interpretazione autentica della legge 340/76 – ha statuito che la inderogabilità dei minimi tariffari è limitata ai soli rapporti tra privati.
Orbene, è di tutta evidenza che la norma in questione non configge con la disposizione dell’art. 62 del R.D. n. 2537/25, che opera su un piano del tutto diverso.
La derogabilità dei minimi tariffari quando la parte che conferisce l’incarico è un soggetto pubblico, significa che detto vincolo di legge cessa per consentire alle parti di contrattare liberamente il corrispettivo anche in misura inferiore a quanto previsto dalla tariffa.
L’art. 62 del citato R.D. stabilisce che per gli incarichi conferiti da soggetti pubblici a propri dipendenti come componenti di commissioni l’ente stesso operare una riduzione rispetto alle tariffe professionali, in misura non inferiore ad un terzo e non superiore alla metà, aggiungendo che la riduzione non avrà luogo nel caso in cui la prestazione sia compiuta insieme con liberi professionisti.
La norma ora citata (nei commi non più vigenti) poneva, quindi, un vero e proprio vincolo di carattere contabile per le amministrazioni pubbliche nella determinazione del corrispettivo, nel senso che – salva l’ipotesi di commissioni cui partecipassero oltre ai dipendenti anche liberi professionisti – la riduzione doveva essere applicata.
Tanto premesso, appare evidente che nella situazione dedotta in giudizio non esisteva un vincolo per l’ente pubblico di liquidare il compenso in misura ridotta rispetto alla tariffa, perché – per la presenza nella commissione anche di liberi professionisti – era conferita facoltà all’ente di non determinare sconvenienti disparità di trattamento; conseguentemente l’ente non avrebbe potuto invocare detta norma per imporre al componente dipendente pubblico di accettare un compenso inferiore. Non vi era, tuttavia, alcun impedimento a che – stante la derogabilità dei minimi tariffari in ragione del fatto che il rapporto non coinvolgeva soltanto parti private – l’ente conferente l’incarico contrattasse liberamente con i componenti la commissione (in ipotesi anche i liberi professionisti) un corrispettivo forfetario inferiore, corrispettivo che il componente aveva piena facoltà di accettare o rifiutare, salva, ovviamente, la facoltà per l’ente di non procedere alla nomina sottoponendola alla condizione della accettazione della specifica clausola, il che ben può spiegare la supina accettazione della condizione da parte degli aspiranti alla nomina.
Tanto premesso appare fondato anche il primo motivo di ricorso perché la Corte territoriale, sulla base dell’erroneo presupposto della vincolatività dei minimi tariffari, non ha esaminato la questione prospettata dalla Telecom Italia S.p.A. secondo cui il Vi.Tr. avrebbe in varie e ripetute occasioni accettato di percepire per l’incarico ottenuto un compenso in misura ridotta.
Deve pertanto cassarsi la sentenza impugnata con rinvio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma, la quale -applicando il principio sopra esposto, secondo cui nella fattispecie in esame era derogabile pattiziamente il vincolo tariffario – dovrà accertare se in concreto detta accettazione da parte del Vi. Tr. vi sia stata, ovvero se questi avesse in qualche modo rinunciato ad ogni ulteriore pretesa con l’invio della fattura a saldo.
Il Giudice di rinvio provvederà anche per le spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa anche per le spese, ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.
Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 luglio 2004.