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Corte di Cassazione 20764/2018 – Annullamento e sospensione delle deliberazioni delle associazioni – Art. 23 cc – Fondo Pensioni per il Personale della Banca di Roma

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Sentenza 20764/2018

 

Annullamento e sospensione delle deliberazioni delle associazioni – Art. 23 cc – Fondo Pensioni per il Personale della Banca di Roma

Il Fondo Pensioni per il Personale della Banca di Roma ha natura di fondazione e, in quanto tale, è assoggettato alle relative disposizioni codicistiche, sicché l’azione per far valere eventuali violazioni di norme imperative, da parte di una delibera assembleare modificativa dello statuto, è assoggettata a prescrizione quinquennale, trattandosi, ai sensi dell’art. 23, comma 1, c.c., di una speciale forma di annullabilità che deroga al principio generale dell’art. 1418 c.c., il quale detta, per i negozi contrari a norme imperative, il diverso regime della nullità.

Corte di Cassazione, Sezione Lavoro, Sentenza 17 agosto 2018, n. 20764   (CED Cassazione 2018)

 

 

Fatti di causa

Il Tribunale di Milano respinse la domanda di Se. An. e degli altri litisconsorti di cui in epigrafe – tutti ex dipendenti della Banca di Roma che avevano maturato il diritto alla pensione integrativa a carico del Fondo pensioni per il personale della predetta Banca – con la quale i medesimi avevano chiesto, nei confronti dello stesso Fondo, che venisse accertata l’illegittimità degli accordi aziendali e degli atti adottati dall’assemblea generale del Fondo aventi ad oggetto il congelamento per la durata di cinque anni (dal 1999 al 2003) della perequazione automatica della pensione da loro goduta.

La Corte d’appello di Milano (sentenza del 10.8.2012), nel confermare la sentenza di primo grado impugnata dai predetti pensionati, ha osservato che rientrava nei poteri dell’assemblea straordinaria del Fondo deliberare in ordine alle modifiche dello statuto, quale quella del 3.5.2000 che aveva avuto ad oggetto la sospensione dell’adeguamento annuale delle pensioni in base alla variazione dell’indice del costo della vita per il quinquennio 1999-2003, delibera, questa, che era vincolante, non solo per gli iscritti, ma anche per coloro che erano già titolari di pensione diretta.

Per la cassazione della sentenza ricorrono i suddetti pensionati con quattro motivi, cui resiste il Fondo di pensione per il personale della Banca di Roma. I ricorrenti depositano, altresì, memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Ragioni della decisione

  1. Col primo motivo i ricorrenti deducono la nullità della sentenza ex art. 360, comma 1, n. 4 c.p.c., in relazione all’art. 112 c.p.c., per violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, per omessa pronuncia sulla doglianza relativa alla mancata approvazione da parte della COVIP della retroattività della delibera del 3 maggio 2000 e, comunque, l’omessa motivazione ex art. 360, comma 1, n. 5 c.p.c. per non aver motivato su un punto decisivo della causa e controverso fra le parti, ovvero sulla mancata approvazione da parte della COVIP della retroattività della delibera del 3.5.2000. Spiegano i ricorrenti che la suddetta delibera, adottata in forza dell’accordo sindacale del 12.2.99, aveva disposto il blocco della perequazione per il quinquennio 1999-2003 retroattivamente anche per gli aumenti già maturati nel gennaio del 1999 e del 2000, entrati ormai a far parte del patrimonio individuale dei pensionati, per cui ne era stata denunziata l’illegittimità per violazione dell’art. 18, comma 7, del d.lvo n. 124/93, atteso che in base a tale decreto legislativo (art. 17, comma 2, lett. B) gli Statuti devono essere approvati dalla COVIP, pena la mancata acquisizione di valore giuridico della modificazione statutaria. Ebbene, in quest’ultimo caso la delibera che aveva adottato la modificazione statutaria non approvata non poteva ritenersi vincolante per i pensionati. Solo in data 20/12/2000 la COVIP approvò in via d’urgenza lo Statuto, ma con la precisazione che il contenimento della misura delle prestazioni, elemento essenziale del risanamento, non operava nei confronti di quanti conseguivano il trattamento anteriormente alla data di entrata in vigore delle nuove disposizioni. Invece, la Corte d’appello non aveva esaminato tale doglianza avente natura decisiva per la soluzione della controversia.
  2. Il motivo è infondato in quanto le doglianze mosse dai ricorrenti non scalfiscono la validità della decisione in merito alla rilevata prescrizione dell’azione di annullamento della delibera in esame a suo tempo proposta dagli odierni ricorrenti.

Si è, infatti, affermato (Cass. Sez. lav. n. 13855 del 18.6.2014) che « Il Fondo Pensioni per il Personale della Banca di Roma ha natura di fondazione e, in quanto tale, è assoggettato alle relative disposizioni codicistiche, sicché l’azione per far valere eventuali violazioni di norme imperative, da parte di una delibera assembleare modificativa dello statuto, è assoggettata a prescrizione quinquennale, trattandosi, ai sensi dell’art. 23, primo comma, cod. civ., di una speciale forma di annullabilità che deroga al principio generale dell’art. 1418 cod. civ., il quale detta, per i negozi contrari a norme imperative, il diverso regime della nullità».

In tale precedente si è chiarito che si tratta di una forma di annullabilità (ribadita anche dal tenore testuale dell’art. 9 cpv. disp. att. c.c.) che trova conforto nel comma 1 del cit. art. 23 (relativo alla ristretta cerchia dei soggetti legittimati all’azione), nonché nel comma 2 (là dove si prevede che l’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi in buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima), annullabilità che deroga al principio generale dell’art. 1418 c.c. che vorrebbe, per i negozi contrari a norme imperative, il diverso regime della nullità.

  1. Col secondo motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 23 e 1442 cod. civ. per avere la Corte di merito ritenuto applicabile la prescrizione quinquennale anche nell’ipotesi in cui l’annullamento viene chiesto come eccezione e non come azione (ex art. 360 n. 3 c.p.c.)
  2. Anche tale motivo è infondato per la semplice ragione che, come evidenziato nello stesso ricorso, fu il Fondo Pensioni ad eccepire la prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento della delibera del 3 maggio 2000 proposta dai ricorrenti, i quali, di conseguenza, non potevano sottrarsi al regime di prescrizione operante per la domanda di annullamento dell’atto ritenuto pregiudizievole del diritto da essi vantato in giudizio.
  3. Col terzo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione dell’art. 17, lett. B) del d.lgs n. 124/93 per avere la Corte ritenuto che la delibera di approvazione della COVIP non sia un elemento costitutivo della fattispecie della modifica dello Statuto di un Fondo Pensioni, nonché la violazione e falsa applicazione della delibera COVIP del 4 dicembre 2003, pubblicata su Gazz. Uff. 16/12/03 (ex art. 360 n. 3 c.p.c.).
  4. Il motivo è infondato, posto che al riguardo si è già statuito (Cass. Sez. lav. n. 22149 del 29.10.2015) che «In tema di Fondi pensionistici integrativi aventi natura di persona giuridica privata, il provvedimento di approvazione della COVIP non rientra tra gli elementi costitutivi degli atti di adozione o modifica dello statuto da parte del Fondo, ma è solo integrativo della loro efficacia con effetto “ex tunc”, in quanto finalizzato al controllo circa la correttezza e la trasparenza delle condizioni contrattuali di tutte le forme pensionistiche complementari».
  5. Col quarto motivo i ricorrenti segnalano la violazione e falsa applicazione dell’art. 18, comma 7, del d.lgs n. 124/93 per avere la Corte di merito ritenuto che la delibera dell’assemblea possa modificare in pejus la prestazione previdenziale per i pensionati collocati a riposo da data anteriore al 28 aprile 1993 e, segnatamente, il diritto alla perequazione automatica in un Fondo di previdenza complementare (ex art. 360 n. 3 c.p.c.).
  6. Anche quest’ultimo motivo è infondato. Invero, la norma appena richiamata prevedeva che in presenza di squilibri finanziari delle relative gestioni le fonti istitutive di cui all’art. 3 potessero rideterminare la disciplina delle prestazioni e del finanziamento per gli iscritti che alla data prevista non avessero maturato i requisiti stabiliti dalle stesse fonti istitutive per i trattamenti di natura pensionistica. Tuttavia, come correttamente evidenziato nell’impugnata sentenza, la norma in esame si riferiva ai poteri delle fonti istitutive, cioè gli accordi ed i contratti collettivi, mentre nulla stabiliva in ordine agli atti di autonomia statutaria destinati a disciplinare dall’interno i fondi pensionistici, con la conseguenza che l’autonomia privata statutaria, ben diversa da quella collettiva, veniva esercitata tramite le delibere assembleari e queste ben potevano regolamentare diritti disponibili, quale quello della perequazione della prestazione pensionistica, nelle forme e nei termini previsti dallo Statuto del Fondo, il tutto nell’ottica della garanzia di sopravvivenza di quest’ultimo.
  7. In definitiva, il ricorso va rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza dei ricorrenti e vanno liquidate come da dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna i ricorrenti al pagamento delle spese nella misura di € 5200,00, di cui € 5000,00 per compensi professionali, oltre spese generali al 15 % ed accessori di legge.

Così deciso in Roma il 28 febbraio 2018

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