Roma, Via Valadier 44 (00193)
o6.6878241
avv.fabiocirulli@libero.it

LIBRO PRIMO – Delle persone e della famiglia – Art. 1 – 455

Richiedi un preventivo

CODICE CIVILE

Libro Primo – Delle persone e della famiglia (Artt. 1-455)

Libro Secondo – Delle successioni (Artt. 456-809)  

Libro Terzo – Della proprietà (Artt. 810-1172)

Libro Quarto – Delle obbligazioni (Artt.1173-2059)

Libro Quinto – Del lavoro (Artt. 2060-2642)

Libro Sesto – Della tutela dei diritti (Artt. 2643-2969)

Disposizioni sulla legge in generale (Artt. 1-31)

Disposizioni di attuazione e transitorie (Artt. 1-256)

 

 

LIBRO PRIMO

Delle persone e della famiglia

Art. 1. Capacità giuridica.  Giurisprudenza

La capacità giuridica si acquista dal momento della nascita. I diritti che la legge riconosce a favore del concepito sono subordinati all’evento della nascita.

Art. 2. Maggiore età. Capacità di agire.  Giurisprudenza

La maggiore età è fissata al compimento del diciottesimo anno. Con la maggiore età si acquista la capacità di compiere tutti gli atti per i quali non sia stabilita una età diversa. Sono salve le leggi speciali che stabiliscono un’età inferiore in materia di capacità a prestare il proprio lavoro. In tal caso il minore è abilitato all’esercizio dei diritti e delle azioni che dipendono dal contratto di lavoro.

Art. 3. (Abrogato)

Art. 4. Commorienza.  Giurisprudenza

Quando un effetto giuridico dipende dalla sopravvivenza di una persona a un’altra e non consta quale di esse sia morta prima, tutte si considerano morte nello stesso momento.

Art. 5. Atti di disposizione del proprio corpo.  Giurisprudenza

Gli atti di disposizione del proprio corpo sono vietati quando cagionino una diminuzione permanente della integrità fisica, o quando siano altrimenti contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume.

Art. 6. Diritto al nome.  Giurisprudenza

Ogni persona ha diritto al nome che le è per legge attribuito. Nel nome si comprendono il prenome e il cognome. Non sono ammessi cambiamenti, aggiunte o rettifiche al nome, se non nei casi e con le formalità dalla legge indicati.

Art. 7. Tutela del diritto al nome.  Giurisprudenza

La persona, alla quale si contesti il diritto all’uso del proprio nome o che possa risentire pregiudizio dall’uso che altri indebitamente ne faccia, può chiedere giudizialmente la cessazione del fatto lesivo, salvo il risarcimento dei danni. L’autorità giudiziaria può ordinare che la sentenza sia pubblicata in uno o più giornali.

Art. 8. Tutela del nome per ragioni familiari.  Giurisprudenza

Nel caso previsto dall’articolo precedente, l’azione può essere promossa anche da chi, pur non portando il nome contestato o indebitamente usato, abbia alla tutela del nome un interesse fondato su ragioni familiari degne d’essere protette.

Art. 9. Tutela dello pseudonimo.  Giurisprudenza

Lo pseudonimo, usato da una persona in modo che abbia acquistato l’importanza del nome, può essere tutelato ai sensi dell’articolo 7.

Art. 10. Abuso dell’immagine altrui.  Giurisprudenza

Qualora l’immagine di una persona o dei genitori, del coniuge o dei figli sia stata esposta o pubblicata fuori dei casi in cui l’esposizione o la pubblicazione è dalla legge consentita, ovvero con pregiudizio al decoro o alla reputazione della persona stessa o dei detti congiunti, l’autorità giudiziaria , su richiesta dell’interessato, può disporre che cessi l’abuso, salvo il risarcimento dei danni.

Art. 11. Persone giuridiche pubbliche.  Giurisprudenza

Le province e i comuni, nonché gli enti pubblici riconosciuti come persone giuridiche, godono dei diritti secondo le leggi e gli usi osservati come diritto pubblico.

Art. 12. (Abrogato)

Art. 13. Società.  Giurisprudenza

Le società sono regolate dalle disposizioni contenute nel libro V.

Capo II – Delle associazioni e delle fondazioni 

Art. 14. Atto costitutivo.  Giurisprudenza

Le associazioni e le fondazioni devono essere costituite con atto pubblico. La fondazione può essere disposta anche con testamento.

Art. 15. Revoca dell’atto costitutivo della fondazione.  Giurisprudenza

L’atto di fondazione può essere revocato dal fondatore fino a quando non sia intervenuto il riconoscimento ovvero il fondatore non abbia fatto iniziare l’attività dell’opera da lui disposta.
La facoltà di revoca non si trasmette agli eredi.

Art. 16. Atto costitutivo e statuto. Modificazioni.  Giurisprudenza
L’atto costitutivo e lo statuto devono contenere la denominazione dell’ente, l’indicazione dello scopo, del patrimonio e della sede, nonché le norme sull’ordinamento e sull’amministrazione. Devono anche determinare, quando trattasi di associazioni, i diritti e gli obblighi degli associati e le condizioni della loro ammissione; e, quando trattasi di fondazioni, i criteri e le modalità di erogazione delle rendite.
L’atto costitutivo e lo statuto possono inoltre contenere le norme relative alla estinzione dell’ente e alla devoluzione del patrimonio, e, per le fondazioni, anche quelle relative alla loro trasformazione.

Art. 17. (Abrogato)

Art. 18. Responsabilità degli amministratori.  Giurisprudenza
Gli amministratori sono responsabili verso l’ente secondo le norme del mandato. È però esente da responsabilità quello degli amministratori il quale non abbia partecipato all’atto che ha causato il danno, salvo il caso in cui, essendo a cognizione che l’atto si stava per compiere, egli non abbia fatto constare del proprio dissenso.

Art. 19. Limitazioni del potere di rappresentanza.  Giurisprudenza
Le limitazioni del potere di rappresentanza, che non risultano dal registro indicato nell’articolo 33, non possono essere opposte ai terzi, salvo che si provi che essi ne erano a conoscenza.

Art. 20. Convocazione dell’assemblea delle associazioni.  Giurisprudenza
L’assemblea delle associazioni deve essere convocata dagli amministratori una volta l’anno per l’approvazione del bilancio.
L’assemblea deve essere inoltre convocata quando se ne ravvisa la necessità o quando ne è fatta richiesta motivata da almeno un decimo degli associati. In quest’ultimo caso, se gli amministratori non vi provvedono, la convocazione può essere ordinata dal presidente del tribunale.

Art. 21. Deliberazioni dell’assemblea.  Giurisprudenza
Le deliberazioni dell’assemblea sono prese a maggioranza di voti e con la presenza di almeno la metà degli associati. In seconda convocazione la deliberazione è valida qualunque sia il numero degli intervenuti. Nelle deliberazioni di approvazione del bilancio e in quelle che riguardano la loro responsabilità gli amministratori non hanno voto.
Per modificare l’atto costitutivo e lo statuto, se in essi non è altrimenti disposto, occorrono la presenza di almeno tre quarti degli associati e il voto favorevole della maggioranza dei presenti.
Per deliberare lo scioglimento dell’associazione e la devoluzione del patrimonio occorre il voto favorevole di almeno tre quarti degli associati.

Art. 22. Azioni di responsabilità contro gli amministratori.  Giurisprudenza
Le azioni di responsabilità contro gli amministratori delle associazioni per fatti da loro compiuti sono deliberate dall’assemblea e sono esercitate dai nuovi amministratori o dai liquidatori.

Art. 23. Annullamento e sospensione delle deliberazioni.  Giurisprudenza
Le deliberazioni dell’assemblea contrarie alla legge, all’atto costitutivo o allo statuto possono essere annullate su istanza degli organi dell’ente, di qualunque associato o del pubblico ministero.
L’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.
Il presidente del tribunale o il giudice istruttore, sentiti gli amministratori dell’associazione, può sospendere, su istanza di colui che ha proposto l’impugnazione, l’esecuzione della delibera impugnata, quando sussistono gravi motivi. Il decreto di sospensione deve essere motivato ed è notificato agli amministratori.
L’esecuzione delle deliberazioni contrarie all’ordine pubblico o al buon costume può essere sospesa anche dall’autorità governativa.

Art. 24. Recesso ed esclusione degli associati.  Giurisprudenza
La qualità di associato non è trasmissibile, salvo che la trasmissione sia consentita dall’atto costitutivo o dallo statuto.
L’associato può sempre recedere dall’associazione se non ha assunto l’obbligo di farne parte per un tempo determinato. La dichiarazione di recesso deve essere comunicata per iscritto agli amministratori e ha effetto con lo scadere dell’anno in corso, purché sia fatta almeno tre mesi prima.
L’esclusione d’un associato non può essere deliberata dall’assemblea che per gravi motivi; l’associato può ricorrere all’autorità giudiziaria entro sei mesi dal giorno in cui gli è stata notificata la deliberazione.
Gli associati, che abbiano receduto o siano stati esclusi o che comunque abbiano cessato di appartenere all’associazione, non possono ripetere i contributi versati, né hanno alcun diritto sul patrimonio dell’associazione.

Art. 25. Controllo sull’amministrazione delle fondazioni.  Giurisprudenza
L’autorità governativa esercita il controllo e la vigilanza sull’amministrazione delle fondazioni; provvede alla nomina e alla sostituzione degli amministratori o dei rappresentanti, quando le disposizioni contenute nell’atto di fondazione non possono attuarsi; annulla, sentiti gli amministratori, con provvedimento definitivo, le deliberazioni contrarie a norme imperative, all’atto di fondazione, all’ordine pubblico o al buon costume; può sciogliere l’amministrazione e nominare un commissario straordinario, qualora gli amministratori non agiscano in conformità dello statuto o dello scopo della fondazione o della legge.
L’annullamento della deliberazione non pregiudica i diritti acquistati dai terzi di buona fede in base ad atti compiuti in esecuzione della deliberazione medesima.
Le azioni contro gli amministratori per fatti riguardanti la loro responsabilità devono essere autorizzate dall’autorità governativa e sono esercitate dal commissario straordinario, dai liquidatori o dai nuovi amministratori.

Art. 26. Coordinamento di attività e unificazione di amministrazione.
L’autorità governativa può disporre il coordinamento dell’attività di più fondazioni ovvero l’unificazione della loro amministrazione, rispettando, per quanto è possibile, la volontà del fondatore.

Art. 27. Estinzione della persona giuridica.  Giurisprudenza
Oltre che per le cause previste nell’atto costitutivo e nello statuto, la persona giuridica si estingue quando lo scopo è stato raggiunto o è divenuto impossibile.
Le associazioni si estinguono, inoltre, quando tutti gli associati sono venuti a mancare.

Art. 28. Trasformazione delle fondazioni.  Giurisprudenza
Quando lo scopo è esaurito o divenuto impossibile o di scarsa utilità, o il patrimonio è divenuto insufficiente, l’autorità governativa, anziché dichiarare estinta la fondazione, può provvedere alla sua trasformazione, allontanandosi il meno possibile dalla volontà del fondatore.
La trasformazione non è ammessa quando i fatti che vi darebbero luogo sono considerati nell’atto di fondazione come causa di estinzione della persona giuridica e di devoluzione dei beni a terze persone.
Le disposizioni del primo comma di questo articolo e dell’articolo 26 non si applicano alle fondazioni destinate a vantaggio soltanto di una o più famiglie determinate.

Art. 29. Divieto di nuove operazioni.  Giurisprudenza
Gli amministratori non possono compiere nuove operazioni, appena è stato loro comunicato il provvedimento che dichiara l’estinzione della persona giuridica o il provvedimento con cui l’autorità, a norma di legge, ha ordinato lo scioglimento dell’associazione, o appena è stata adottata dall’assemblea la deliberazione di scioglimento dell’associazione medesima. Qualora trasgrediscano a questo divieto, assumono responsabilità personale e solidale.

Art. 30. Liquidazione.  Giurisprudenza
Dichiarata l’estinzione della persona giuridica o disposto lo scioglimento dell’associazione, si procede alla liquidazione del patrimonio secondo le norme di attuazione del codice.

Art. 31. Devoluzione dei beni.  Giurisprudenza
I beni della persona giuridica, che restano dopo esaurita la liquidazione, sono devoluti in conformità dell’atto costitutivo o dello statuto.
Qualora questi non dispongano, se trattasi di fondazione, provvede l’autorità governativa, attribuendo i beni ad altri enti che hanno fini analoghi; se trattasi di associazione, si osservano le deliberazioni dell’assemblea che ha stabilito lo scioglimento e, quando anche queste mancano, provvede nello stesso modo l’autorità governativa.
I creditori che durante la liquidazione non hanno fatto valere il loro credito possono chiedere il pagamento a coloro ai quali i beni sono stati devoluti, entro l’anno dalla chiusura della liquidazione, in proporzione e nei limiti di ciò che hanno ricevuto.

Art. 32. Devoluzione dei beni con destinazione particolare.
Nel caso di trasformazione o di scioglimento di un ente, al quale sono stati donati o lasciati beni con destinazione a scopo diverso da quello proprio dell’ente, l’autorità governativa devolve tali beni, con lo stesso onere, ad altre persone giuridiche che hanno fini analoghi.

Art. 33. (Abrogato)

Art. 34. (Abrogato)

Art. 35. Disposizione penale.
Gli amministratori e i liquidatori che non richiedono le iscrizioni prescritte sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 10 a €. 516.

Capo III – Delle associazioni non riconosciute e dei comitati


Art. 36. Ordinamento e amministrazione delle associazioni non riconosciute.  Giurisprudenza
L’ordinamento interno e l’amministrazione delle associazioni non riconosciute come persone giuridiche sono regolati dagli accordi degli associati.
Le dette associazioni possono stare in giudizio nella persona di coloro ai quali, secondo questi accordi, è conferita la presidenza o la direzione.

Art. 37. Fondo comune.  Giurisprudenza
I contributi degli associati e i beni acquistati con questi contributi costituiscono il fondo comune dell’associazione.
Finché questa dura, i singoli associati non possono chiedere la divisione del fondo comune, né pretenderne la quota in caso di recesso.

Art. 38. Obbligazioni. 
Giurisprudenza
Per le obbligazioni assunte dalle persone che rappresentano l’associazione, i terzi possono far valere i loro diritti sul fondo comune. Delle obbligazioni stesse rispondono anche personalmente e solidalmente le persone che hanno agito in nome e per conto dell’associazione.

Art. 39. Comitati.  Giurisprudenza
I comitati di soccorso o di beneficenza e i comitati promotori di opere pubbliche, monumenti, esposizioni, mostre, festeggiamenti e simili sono regolati dalle disposizioni seguenti, salvo quanto è stabilito nelle leggi speciali.

Art. 40. Responsabilità degli organizzatori.  Giurisprudenza
Gli organizzatori e coloro che assumono la gestione dei fondi raccolti sono responsabili personalmente e solidalmente della conservazione dei fondi e della loro destinazione allo scopo annunziato.

Art. 41. Responsabilità dei componenti. Rappresentanza in giudizio.  Giurisprudenza
Qualora il comitato non abbia ottenuto la personalità giuridica, i suoi componenti rispondono personalmente e solidalmente delle obbligazioni assunte. I sottoscrittori sono tenuti soltanto a effettuare le oblazioni promesse.
Il comitato può stare in giudizio nella persona del presidente.

Art. 42. Diversa destinazione dei fondi.  Giurisprudenza
Qualora i fondi raccolti siano insufficienti allo scopo, o questo non sia più attuabile, o, raggiunto lo scopo, si abbia un residuo di fondi, l’autorità governativa stabilisce la devoluzione dei beni, se questa non è stata disciplinata al momento della costituzione.

 

Art. 42bis. Trasformazione, fusione e scissione.

Se non è espressamente escluso dall’atto costitutivo o dallo statuto, le associazioni riconosciute e non riconosciute e le fondazioni di cui al presente titolo possono operare reciproche trasformazioni, fusioni o scissioni. La trasformazione produce gli effetti di cui all’articolo 2498. L’organo di amministrazione deve predisporre una relazione relativa alla situazione patrimoniale dell’ente in via di trasformazione contenente l’elenco dei creditori, aggiornata a non più di centoventi giorni precedenti la delibera di trasformazione, nonché la relazione di cui all’articolo 2500-sexies, secondo comma. Si applicano inoltre gli articoli 2499, 2500, 2500-bis, 2500-ter, secondo comma, 2500-quinquies e 2500-nonies, in quanto compatibili.

Alle fusioni e alle scissioni si applicano, rispettivamente, le disposizioni di cui alle sezioni II e III del capo X, titolo V, libro V, in quanto compatibili.

Gli atti relativi alle trasformazioni, alle fusioni e alle scissioni per i quali il libro V prevede l’iscrizione nel Registro delle imprese sono iscritti nel Registro delle Persone Giuridiche ovvero, nel caso di enti del Terzo settore, nel Registro unico nazionale del Terzo settore.

(1) Il presente articolo è stato inserito dall’art. 98, D.Lgs. 03.07.2017, n. 117 con decorrenza dal 03.08.2017.

 

Libro Primo – Delle persone e della famiglia
Titolo III – Del domicilio e della residenza



Art. 43. Domicilio e residenza.  Giurisprudenza
Il domicilio di una persona è nel luogo in cui essa ha stabilito la sede principale dei suoi affari e interessi.
La residenza è nel luogo in cui la persona ha la dimora abituale.

Art. 44. Trasferimento della residenza e del domicilio.  Giurisprudenza
Il trasferimento della residenza non può essere opposto ai terzi di buona fede, se non è stato denunciato nei modi prescritti dalla legge.
Quando una persona ha nel medesimo luogo il domicilio e la residenza e trasferisce questa altrove, di fronte ai terzi di buona fede si considera trasferito pure il domicilio, se non si è fatta una diversa dichiarazione nell’atto in cui è stato denunciato il trasferimento della residenza.

Art. 45. Domicilio dei coniugi, del minore e dell’interdetto.  Giurisprudenza
Ciascuno dei coniugi ha il proprio domicilio nel luogo in cui ha stabilito la sede principale dei propri affari o interessi.
Il minore ha il domicilio nel luogo di residenza della famiglia o quello del tutore. Se i genitori sono separati o il loro matrimonio è stato annullato o sciolto o ne sono cessati gli effetti civili o comunque non hanno la stessa residenza, il minore ha il domicilio del genitore con il quale convive.
L’interdetto ha il domicilio del tutore.

NB: Il primo comma di questo articolo è stato dichiarato costituzionalmente illegittimo (sentenza 171/1976) nella parte in cui nel caso di separazione di fatto dei coniugi e ai fini della competenza per territorio nel giudizio di separazione prevede che la moglie, la quale abbia fissato altrove la propria residenza, conservi legalmente il domicilio del marito.

Art. 46. Sede delle persone giuridiche.   Giurisprudenza
Quando la legge fa dipendere determinati effetti dalla residenza o dal domicilio, per le persone giuridiche si ha riguardo al luogo in cui è stabilita la loro sede.
Nei casi in cui la sede stabilita ai sensi dell’articolo 16 o la sede risultante dal registro è diversa da quella effettiva, i terzi possono considerare come sede della persona giuridica anche quest’ultima.

Art. 47. Elezione di domicilio.   Giurisprudenza
Si può eleggere domicilio speciale per determinati atti o affari.
Questa elezione deve farsi espressamente per iscritto.

 

Titolo IV – Dell’assenza e della dichiarazione di morte presunta

Capo I – Dell’assenza


Art. 48. Curatore dello scomparso.   Giurisprudenza
Quando una persona non è più comparsa nel luogo del suo ultimo domicilio o dell’ultima sua residenza e non se ne hanno più notizie, il tribunale dell’ultimo domicilio o dell’ultima residenza, su istanza degli interessati o dei presunti successori legittimi o del pubblico ministero, può nominare un curatore che rappresenti, la persona in giudizio o nella formazione degli inventari e dei conti e nelle liquidazioni o divisioni in cui sia interessata, e può dare gli altri provvedimenti necessari alla conservazione del patrimonio dello scomparso.
Se vi è un legale rappresentante, non si fa luogo alla nomina del curatore. Se vi è un procuratore, il tribunale provvede soltanto per gli atti che il medesimo non può fare.

Art. 49. Dichiarazione di assenza.   Giurisprudenza
Trascorsi due anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia, i presunti successori legittimi e chiunque ragionevolmente creda di avere sui beni dello scomparso diritti dipendenti dalla morte di lui possono domandare al tribunale competente, secondo l’articolo precedente, che ne sia dichiarata l’assenza.

Art. 50. Immissione nel possesso temporaneo dei beni.   Giurisprudenza
Divenuta eseguibile la sentenza che dichiara l’assenza, il tribunale, su istanza di chiunque vi abbia interesse o del pubblico ministero, ordina l’apertura degli atti di ultima volontà dell’assente, se vi sono.
Coloro che sarebbero eredi testamentari o legittimi, se l’assente fosse morto nel giorno a cui risale l’ultima notizia di lui, o i loro rispettivi eredi possono domandare l’immissione nel possesso temporaneo dei beni.
I legatari, i donatari e tutti quelli ai quali spetterebbero diritti dipendenti dalla morte dell’assente possono domandare di essere ammessi all’esercizio temporaneo di questi diritti.
Coloro che per effetto della morte dell’assente sarebbero liberati da obbligazioni possono essere temporaneamente esonerati dall’adempimento di esse, salvo che si tratti delle obbligazioni alimentari previste dall’articolo 434.
Per ottenere l’immissione nel possesso, l’esercizio temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea dalle obbligazioni si deve dare cauzione nella somma determinata dal tribunale; se taluno non sia in grado di darla, il tribunale può stabilire altre cautele, avuto riguardo alla qualità delle persone e alla loro parentela con l’assente.

Art. 51. Assegno alimentare a favore del coniuge dell’assente.   Giurisprudenza
Il coniuge dell’assente, oltre ciò che gli spetta per effetto del regime patrimoniale dei coniugi e per titolo di successione, può ottenere dal tribunale, in caso di bisogno, un assegno alimentare da determinarsi secondo le condizioni della famiglia e l’entità del patrimonio dell’assente.

Art. 52. Effetti della immissione nel possesso temporaneo.   Giurisprudenza
L’immissione nel possesso temporaneo dei beni deve essere preceduta dalla formazione dell’inventario dei beni.
Essa attribuisce a coloro che l’ottengono e ai loro successori l’amministrazione dei beni dell’assente, la rappresentanza di lui in giudizio e il godimento delle rendite dei beni nei limiti stabiliti nell’articolo seguente.

Art. 53. Godimento dei beni.   Giurisprudenza
Gli ascendenti, i discendenti e il coniuge immessi nel possesso temporaneo dei beni ritengono a loro profitto la totalità delle rendite. Gli altri devono riservare all’assente il terzo delle rendite.

Art. 54. Limiti alla disponibilità dei beni.   Giurisprudenza
Coloro che hanno ottenuto l’immissione nel possesso temporaneo dei beni non possono alienarli, ipotecarli o sottoporli a pegno, se non per necessità o utilità evidente riconosciuta dal tribunale.
Il tribunale nell’autorizzare questi atti dispone circa l’uso e l’impiego delle somme ricavate.

Art. 55. Immissione di altri nel possesso temporaneo.   Giurisprudenza
Se durante il possesso temporaneo taluno prova di avere avuto, al giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente, un diritto prevalente o uguale a quello del possessore, può escludere questo dal possesso o farvisi associare; ma non ha diritto ai frutti se non dal giorno della domanda giudiziale.

Art. 56. Ritorno dell’assente o prova della sua esistenza.   Giurisprudenza
Se durante il possesso temporaneo l’assente ritorna o è provata l’esistenza di lui, cessano gli effetti della dichiarazione di assenza, salva, se occorre, l’adozione di provvedimenti per la conservazione del patrimonio a norma dell’articolo 48.
I possessori temporanei dei beni devono restituirli; ma fino al giorno della loro costituzione in mora continuano a godere i vantaggi attribuiti dagli articoli 52 e 53, e gli atti compiuti ai sensi dell’articolo 54 restano irrevocabili.
Se l’assenza è stata volontaria e non è giustificata, l’assente perde il diritto di farsi restituire le rendite riservategli dalla norma dell’articolo 53.

Art. 57. Prova della morte dell’assente.   Giurisprudenza
Se durante il possesso temporaneo è provata la morte dell’assente, la successione si apre a vantaggio di coloro che al momento della morte erano suoi eredi o legatari.
Si applica anche in questo caso la disposizione del secondo comma dell’articolo precedente.

Capo II – Della dichiarazione di morte presunta

Art. 58. Dichiarazione di morte presunta dell’assente.   Giurisprudenza
Quando sono trascorsi dieci anni dal giorno a cui risale l’ultima notizia dell’assente il tribunale competente secondo l’art. 48, su istanza del pubblico ministero o di taluna delle persone indicate nei capoversi dell’articolo 50, può con sentenza dichiarare presunta la morte dell’assente nel giorno a cui risale l’ultima notizia.
In nessun caso la sentenza può essere pronunziata se non sono trascorsi nove anni dal raggiungimento della maggiore età dell’assente.
Può essere dichiarata la morte presunta anche se sia mancata la dichiarazione di assenza.

Art. 59. Termine per la rinnovazione della istanza.   Giurisprudenza
L’istanza, quando è stata rigettata, non può essere riproposta prima che siano decorsi almeno due anni.

Art. 60. Altri casi di dichiarazione di morte presunta.   Giurisprudenza
Oltre che nel caso indicato nell’articolo 58, può essere dichiarata la morte presunta nei casi seguenti:
1) quando alcuno è scomparso in operazioni belliche alle quali ha preso parte, sia nei corpi armati, sia al seguito di essi, o alle quali si è comunque trovato presente, senza che si abbiano più notizie di lui, e sono trascorsi due anni dall’entrata in vigore del trattato di pace o, in mancanza di questo, tre anni dalla fine dell’anno in cui sono cessate le ostilità;
2) quando alcuno è stato fatto prigioniero dal nemico, o da questo internato o comunque trasportato in paese straniero, e sono trascorsi due anni dall’entrata in vigore del trattato di pace, o, in mancanza di questo, tre anni dalla fine dell’anno in cui sono cessate le ostilità, senza che si siano avute notizie di lui dopo l’entrata in vigore del trattato di pace ovvero dopo la cessazione delle ostilità;
3) quando alcuno è scomparso per un infortunio e non si hanno più notizie di lui, dopo due anni dal giorno dell’infortunio o, se il giorno non è conosciuto, dopo due anni dalla fine del mese o, se neppure il mese è conosciuto, dalla fine dell’anno in cui l’infortunio è avvenuto.

Art. 61. Data della morte presunta.   Giurisprudenza
Nei casi previsti dai numeri 1 e 3 dell’articolo precedente, la sentenza determina il giorno e possibilmente l’ora a cui risale la scomparsa nell’operazione bellica o nell’infortunio, e nel caso indicato dal numero 2 il giorno a cui risale l’ultima notizia.
Qualora non possa determinarsi l’ora, la morte presunta si ha per avvenuta alla fine del giorno indicato.

Art. 62. Condizioni e forme della dichiarazione di morte presunta.   Giurisprudenza
La dichiarazione di morte presunta nei casi indicati dall’articolo 60 può essere domandata quando non si è potuto procedere agli accertamenti richiesti dalla legge per la compilazione dell’atto di morte.
Questa dichiarazione è pronunziata con sentenza del tribunale su istanza del pubblico ministero o di alcuna delle persone indicate nei capoversi dell’articolo 50.
Il tribunale, qualora non ritenga di accogliere l’istanza di dichiarazione di morte presunta, può dichiarare l’assenza dello scomparso.

Art. 63. Effetti della dichiarazione di morte presunta dell’assente.   Giurisprudenza
Divenuta eseguibile la sentenza indicata nell’articolo 58, coloro che ottennero l’immissione nel possesso temporaneo dei beni dell’assente o i loro successori possono disporre liberamente dei beni.
Coloro ai quali fu concesso l’esercizio temporaneo dei diritti o la liberazione temporanea dalle obbligazioni di cui all’articolo 50 conseguono l’esercizio definitivo dei diritti o la liberazione definitiva dalle obbligazioni.
Si estinguono inoltre le obbligazioni alimentari indicate nel quarto comma dell’articolo 50.
In ogni caso cessano le cauzioni e le altre cautele che sono state imposte.

Art. 64. Immissione nel possesso e inventario.    Giurisprudenza
Se non v’è stata immissione nel possesso temporaneo dei beni, gli aventi diritto indicati nei capoversi dell’articolo 50 o i loro successori conseguono il pieno esercizio dei diritti loro spettanti, quando è diventata eseguibile la sentenza menzionata nell’articolo 58.
Coloro che prendono possesso dei beni devono fare precedere l’inventario dei beni.
Parimenti devono far precedere l’inventario dei beni coloro che succedono per effetto della dichiarazione di morte presunta nei casi indicati dall’articolo 60.

Art. 65. Nuovo matrimonio del coniuge.    Giurisprudenza
Divenuta eseguibile la sentenza che dichiara la morte presunta, il coniuge può contrarre nuovo matrimonio.

Art. 66. Prova dell’esistenza della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta.    Giurisprudenza
La persona di cui è stata dichiarata la morte presunta, se ritorna o ne è provata l’esistenza, ricupera i beni nello stato in cui si trovano e ha diritto di conseguire il prezzo di quelli alienati, quando esso sia tuttora dovuto, o i beni nei quali sia stato investito.
Essa ha altresì diritto di pretendere l’adempimento delle obbligazioni considerate estinte ai sensi del secondo comma dell’articolo 63.
Se è provata la data della sua morte, il diritto previsto nel primo comma di questo articolo compete a coloro che a quella data sarebbero stati suoi eredi o legatari. Questi possono inoltre pretendere l’adempimento delle obbligazioni considerate estinte ai sensi del secondo comma dell’articolo 63 per il tempo anteriore alla data della morte.
Sono salvi in ogni caso gli effetti delle prescrizioni e delle usucapioni.

Art. 67. Dichiarazione di esistenza o accertamento della morte.    Giurisprudenza
La dichiarazione di esistenza della persona di cui è stata dichiarata la morte presunta e l’accertamento della morte possono essere sempre fatti, su richiesta del pubblico ministero o di qualunque interessato, in contraddittorio di tutti coloro che furono parti nel giudizio in cui fu dichiarata la morte presunta.

Art. 68. Nullità del nuovo matrimonio.    Giurisprudenza
Il matrimonio contratto a norma dell’articolo 65 è nullo, qualora la persona della quale fu dichiarata la morte presunta ritorni o ne sia accertata l’esistenza.
Sono salvi gli effetti civili del matrimonio dichiarato nullo.
La nullità non può essere pronunziata nel caso in cui è accertata la morte, anche se avvenuta in una data posteriore a quella del matrimonio.

Capo III – Delle ragioni eventuali che competono alla persona di cui si ignora l’esistenza o di cui è stata dichiarata la morte presunta

Art. 69. Diritti spettanti alla persona di cui si ignora l’esistenza.    Giurisprudenza
Nessuno è ammesso a reclamare un diritto in nome della persona di cui si ignora l’esistenza, se non prova che la persona esisteva quando il diritto è nato.

Art. 70. Successione alla quale sarebbe chiamata la persona di cui si ignora l’esistenza.    Giurisprudenza
Quando s’apre una successione alla quale sarebbe chiamata in tutto o in parte una persona di cui s’ignora l’esistenza, la successione è devoluta a coloro ai quali sarebbe spettata in mancanza della detta persona salvo il diritto di rappresentazione.
Coloro ai quali è devoluta la successione devono innanzi tutto procedere all’inventario dei beni, e devono dare cauzione.

Art. 71. Estinzione dei diritti spettanti alla persona di cui si ignora l’esistenza.    Giurisprudenza
Le disposizioni degli articoli precedenti non pregiudicano la petizione di eredità né gli altri diritti spettanti alla persona di cui s’ignora l’esistenza o ai suoi eredi o aventi causa, salvi gli effetti della prescrizione o dell’usucapione.
La restituzione dei frutti non è dovuta se non dal giorno della costituzione in mora.

Art. 72. Successione a cui sarebbe chiamata la persona della quale è stata dichiarata la morte presunta.    Giurisprudenza
Quando s’apre una successione alla quale sarebbe chiamata in tutto o in parte una persona di cui è stata dichiarata la morte
presunta, coloro ai quali, in sua mancanza, è devoluta la successione devono innanzi tutto procedere all’inventario dei beni.

Art. 73. Estinzione dei diritti spettanti alla persona di cui è stata dichiarata la morte presunta.    Giurisprudenza
Se la persona di cui è stata dichiarata la morte presunta ritorna o ne è provata l’esistenza al momento dell’apertura della successione, essa o i suoi eredi o aventi causa possono esercitare la petizione di eredità e far valere ogni altro diritto, ma non possono recuperare i beni se non nello stato in cui si trovano, e non possono ripetere che il prezzo di quelli alienati, quando è ancora dovuto, o i beni nei quali esso è stato investito, salvi gli effetti della prescrizione o dell’usucapione.
Si applica la disposizione del secondo comma dell’articolo 71.

 

Titolo V – Della parentela e dell’affinità

Art. 74. Parentela.    Giurisprudenza

La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite, sia nel caso in cui la filiazione è avvenuta all’interno del matrimonio, sia nel caso in cui è avvenuta al di fuori di esso, sia nel caso in cui il figlio è adottivo. Il vincolo di parentela non sorge nei casi di adozione di persone maggiori di età, di cui agli articoli 291 e seguenti

Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 1, comma 1, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013. Il testo previgente disponeva quanto segue: “La parentela è il vincolo tra le persone che discendono da uno stesso stipite”.


Art. 75. Linee della parentela.    Giurisprudenza
Sono parenti in linea retta le persone di cui l’una discende dall’altra; in linea collaterale quelle che, pur avendo uno stipite comune, non discendono l’una dall’altra.

Art. 76. Computo dei gradi.    Giurisprudenza
Nella linea retta si computano altrettanti gradi quante sono le generazioni, escluso lo stipite.
Nella linea collaterale i gradi si computano dalle generazioni, salendo da uno dei parenti fino allo stipite comune e da questo discendendo all’altro parente, sempre restando escluso lo stipite.

Art. 77. Limite della parentela.    Giurisprudenza
La legge non riconosce il vincolo di parentela oltre il sesto grado, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati.

Art. 78. Affinità.    Giurisprudenza
L’affinità è il vincolo tra un coniuge e i parenti dell’altro coniuge.
Nella linea e nel grado in cui taluno è parente d’uno dei due coniugi, egli è affine dell’altro coniuge.
L’affinità non cessa per la morte, anche senza prole, del coniuge da cui deriva, salvo che per alcuni effetti specialmente determinati. Cessa se il matrimonio è dichiarato nullo, salvi gli effetti di cui all’articolo 87, n. 4.

 

Titolo VI – Del matrimonio
Capo I – Della promessa di matrimonio

Art. 79. Effetti.   Giurisprudenza
La promessa di matrimonio non obbliga a contrarlo né ad eseguire ciò che si fosse convenuto per il caso di non adempimento.  


Art. 80. Restituzione dei doni.   Giurisprudenza
Il promittente può domandare la restituzione dei doni fatti a causa della promessa di matrimonio, se questo non è stato contratto.
La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno in cui s’è avuto il rifiuto di celebrare il matrimonio o dal giorno della morte di uno dei promittenti.

Art. 81. Risarcimento dei danni.   Giurisprudenza
La promessa di matrimonio fatta vicendevolmente per atto pubblico o per scrittura privata da una persona maggiore di età o dal minore ammesso a contrarre matrimonio a norma dell’articolo 84, oppure risultante dalla richiesta della pubblicazione, obbliga il promittente che senza giusto motivo ricusi di eseguirla a risarcire il danno cagionato all’altra parte per le spese fatte e per le obbligazioni contratte a causa di quella promessa. Il danno è risarcito entro il limite in cui le spese e le obbligazioni corrispondono alla condizione delle parti (1).

Lo stesso risarcimento è dovuto dal promittente che con la propria colpa ha dato giusto motivo al rifiuto dell’altro.

La domanda non è proponibile dopo un anno dal giorno del rifiuto di celebrare il matrimonio.

(1) Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 3 L. 19.05.1975, n. 151.



Capo II – Del matrimonio celebrato davanti a ministri del culto cattolico e del matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato

Art. 82. Matrimonio celebrato davanti a ministri di culto cattolico.   Giurisprudenza
Il matrimonio celebrato davanti a un ministro del culto cattolico è regolato in conformità del Concordato con la Santa Sede e delle leggi speciali sulla materia.

Art. 83. Matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato.  Giurisprudenza
Il matrimonio celebrato davanti a ministri dei culti ammessi nello Stato è regolato dalle disposizioni del capo seguente, salvo quanto è stabilito nella legge speciale concernente tale matrimonio.

Capo III – Del matrimonio celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile

Sezione I – Delle condizioni necessarie per contrarre matrimonio

Art. 84. Età.   Giurisprudenza
I minori di età non possono contrarre matrimonio.

Il tribunale, su istanza dell’interessato, accertata la sua maturità psico-fisica e la fondatezza delle ragioni addotte, sentito il pubblico ministero, i genitori o il tutore, può con decreto emesso in camera di consiglio ammettere per gravi motivi al matrimonio chi abbia compiuto i sedici anni.

Il decreto è comunicato al pubblico ministero, agli sposi, ai genitori o al tutore.

Contro il decreto può essere proposto reclamo, con ricorso alla corte d’appello, nel termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione.

La corte d’appello decide con ordinanza non impugnabile, emessa in camera di consiglio.

Il decreto acquista efficacia quando è decorso il termine previsto nel quarto comma, senza che sia stato proposto reclamo (1).

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 4 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 85. – Interdizione per infermità di mente.   Giurisprudenza
Non può contrarre matrimonio l’interdetto per infermità di mente.

Se l’istanza di interdizione è soltanto promossa, il pubblico ministero può chiedere che si sospenda la celebrazione del matrimonio; in tal caso la celebrazione non può aver luogo finché la sentenza che ha pronunziato sull’istanza non sia passata in giudicato.

Art. 86. Libertà di stato.
Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio o da un’unione civile tra persone dello stesso sesso precedente.

Il presente articolo è stato così modificato dall’art. 1, comma 32, L. 20.05.2016, n. 76 con decorrenza ed efficacia dal 05.06.2016. Il testo previgente disponeva quanto segue:

“Non può contrarre matrimonio chi è vincolato da un matrimonio precedente”.

 


Art. 87. Parentela, affinità, adozione e affiliazione.
Non possono contrarre matrimonio fra loro:

1) gli ascendenti e i discendenti in linea retta [legittimi o naturali]; (5)

2) i fratelli e le sorelle germani, consanguinei o uterini;

3) lo zio e la nipote, la zia e il nipote;

4) gli affini in linea retta; il divieto sussiste anche nel caso in cui l’affinità deriva dal matrimonio dichiarato nullo o sciolto o per il quale è stata pronunciata la cessazione degli effetti civili;

5) gli affini in linea collaterale in secondo grado;

6) l’adottante, l’adottato e i suoi discendenti;

7) i figli adottivi della stessa persona;

8) l’adottato e i figli dell’adottante;

9) l’adottato e il coniuge dell’adottante, l’adottante e il coniuge dell’adottato.

[I divieti contenuti nei nn. 6, 7, 8 e 9 sono applicabili all’affiliazione.] (6)

[I divieti contenuti nei nn. 2 e 3 si applicano anche se il rapporto dipende da filiazione naturale .] (6)

Il tribunale, su ricorso degli interessati, con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio nei casi indicati dai numeri 3 e 5, anche se si tratti di affiliazione [o di filiazione naturale]. L’autorizzazione può essere accordata anche nel caso indicato dal numero 4, quando l’affinità deriva da matrimonio dichiarato nullo. (1) (5)

Il decreto è notificato agli interessi e al pubblico ministero.

Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell’art. 84. (2) (3) (4)

 

(1) Comma così sostituito dall’art. 78, L. 04.05. 1983 n. 184.

(2) Articolo così sostituito dall’art.  5 L. 19.05.1975, n. 151.

(3) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(4) La rubrica del presente articolo è stata così modificata dall’art. 1 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva quanto segue: “Parentela, affinità, adozione e affiliazione”.

(5) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 1 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(6) Comma è stato abrogato dall’art. 1 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 


Art. 88. Delitto.
Non possono contrarre matrimonio tra loro persone delle quali l’una è stata condannata per omicidio consumato o tentato sul coniuge dell’altra.
Se ebbe luogo soltanto rinvio a giudizio ovvero fu ordinata la cattura, si sospende la celebrazione del matrimonio fino a quando non è pronunziata sentenza di proscioglimento.

Art. 89. Divieto temporaneo di nuove nozze.
Non può contrarre matrimonio la donna, se non dopo trecento giorni dallo scioglimento, dall’annullamento o dalla cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio. Sono esclusi dal divieto i casi in cui lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del precedente matrimonio siano stati pronunciati in base all’articolo 3, numero 2, lettere b) ed f), della legge 1 dicembre 1970, n. 898, e nei casi in cui il matrimonio sia stato dichiarato nullo per impotenza, anche soltanto a generare, di uno dei coniugi. (1)

Il tribunale con decreto emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può autorizzare il matrimonio quando è inequivocabilmente escluso lo stato di gravidanza o se risulta da sentenza passata in giudicato che il marito non ha convissuto con la moglie nei trecento giorni precedenti lo scioglimento, l’annullamento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio. Si applicano le disposizioni dei commi quarto, quinto e sesto dell’articolo 84 e del comma quinto dell’articolo 87.

Il divieto cessa dal giorno in cui la gravidanza è terminata. (2)

 

(1) Comma così sostituito dall’art. 22, L. 06.03.1987 n. 74.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 6 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 90. Assistenza del minore.
Con il decreto di cui all’articolo 84 il tribunale o la corte d’appello nominano, se le circostanze lo esigono, un curatore speciale che assista il minore nella stipulazione delle convenzioni matrimoniali.

 Articolo così sostituito dall’art. 7 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 91. (Abrogato) 

Articolo abrogato dall’art. 1 RDL 20.01.1944 n. 25 e dall’art. 3 D.lgs.lgt. 14.09.1944 n. 287.


Art. 92. (Abrogato)

Articolo abrogato a seguito del cambiamento della forma istituzionale espressa dalla Costituzione.

Sezione II – Delle formalità preliminari del matrimonio

Art. 93. Pubblicazione.
La celebrazione del matrimonio dev’essere preceduta dalla pubblicazione fatta a cura dell’ufficiale dello stato civile.

[La pubblicazione consiste nell’affissione alla porta della casa comunale di un atto dove si indica il nome, il cognome, la professione, il luogo di nascita e la residenza degli sposi, se essi siano maggiori o minori di età, nonché il luogo dove intendono celebrare il matrimonio. L’atto deve anche indicare il nome del padre e il nome e il cognome della madre degli sposi, salvi i casi in cui la legge vieta questa menzione]. (1)

(1) Comma abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.

Art. 94. Luogo della pubblicazione.

La pubblicazione deve essere richiesta all’ufficiale dello stato civile del comune dove uno degli sposi ha la residenza ed è fatta nei comuni di residenza degli sposi.

[Se la residenza non dura da un anno, la pubblicazione deve farsi anche nel comune della precedente residenza]. (1)

[ L’ufficiale dello stato civile cui si domanda la pubblicazione provvede a chiederla agli ufficiali degli altri comuni nei quali la pubblicazione deve farsi. Essi devono trasmettere all’ufficiale dello stato civile richiedente il certificato dell’eseguita pubblicazione]. (1)

(1) Comma abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.



Art. 95. (Abrogato)

[L’atto di pubblicazione resta affisso alla porta della casa comunale almeno per otto giorni, comprendenti due domeniche successive]. (1)

(1) Articolo abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.



Art. 96. Richiesta della pubblicazione.
La richiesta della pubblicazione deve farsi da ambedue gli sposi o da persona che ne ha da essi ricevuto speciale incarico.

Art. 97. (Abrogato)

[Chi richiede la pubblicazione deve presentare all’ufficiale dello stato civile un estratto per riassunto dell’atto di nascita di entrambi gli sposi, nonché ogni altro documento necessario a provare la libertà degli sposi.

Coloro che esercitano o hanno esercitato la potestà debbono dichiarare all’ufficiale di stato civile al quale viene rivolta la richiesta di pubblicazione, sotto la propria personale responsabilità, che gli sposi non si trovano in alcuna delle condizioni che impediscono il matrimonio a norma dell’art. 87, di cui debbono prendere conoscenza attraverso la lettura chiara e completa fatta dall’ufficiale di stato civile, con ammonizione delle conseguenze penali delle dichiarazioni mendaci .

La dichiarazione prevista al comma precedente è resa e sottoscritta dinanzi all’ufficiale di stato civile ed autenticata dallo stesso. Si applicano le disposizioni degli artt. 20, 24 e 26 della L. 4 gennaio 1968, n. 15.

In difetto della dichiarazione prevista nel secondo comma, l’ufficiale di stato civile accerta d’ufficio, esclusivamente mediante esame dell’atto integrale di nascita, l’assenza di impedimento di parentela o di affinità a termini e per gli effetti di cui all’art. 87.

Qualora i richiedenti non presentino i documenti necessari, l’ufficiale di stato civile provvede su loro domanda a richiederli.]

Articolo prima sostituito dalla L. 19.05.1971 n. 423, poi, abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.



Art. 98. Rifiuto della pubblicazione.
L’ufficiale dello stato civile che non crede di poter procedere alla pubblicazione rilascia un certificato coi motivi del rifiuto.
Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

Art. 99. Termine per la celebrazione del matrimonio.
Il matrimonio non può essere celebrato prima del quarto giorno dopo compiuta la pubblicazione.
Se il matrimonio non è celebrato nei centottanta giorni successivi, la pubblicazione si considera come non avvenuta.

Art. 100. Riduzione del termine e omissione della pubblicazione.
Il tribunale, su istanza degli interessati, con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero, può ridurre, per gravi motivi, il termine della pubblicazione. In quel caso la riduzione del termine è dichiarata nella pubblicazione.


Può anche autorizzare, con le stesse modalità, per cause gravissime, l’omissione della pubblicazione, quando gli sposi davanti al cancelliere dichiarano sotto la propria responsabilità che nessuno degli impedimenti stabiliti dagli articoli 85, 86, 87, 88 e 89 si oppone al matrimonio. (2)


Il cancelliere deve far precedere alla dichiarazione la lettura di detti articoli e ammonire i dichiaranti sull’importanza della loro attestazione e sulla gravità delle possibili conseguenze. (3)

 

[Quando è stata autorizzata la omissione della pubblicazione, gli sposi, per essere ammessi alla celebrazione del matrimonio, devono presentare all’ufficiale dello stato civile, insieme col decreto di autorizzazione, gli atti previsti dall’art. 97]. (1) (4)

(1) Articolo così sostituito dall’ art. 9, L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Comma così sostituito dal D.Lgs 19.02.98 n. 51

(3) Comma così modificato dal D.Lgs. 19.02.98 n. 51.

(4) Comma abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.


Art. 101. Matrimonio in imminente pericolo di vita.
Nel caso di imminente pericolo di vita di uno degli sposi, l’ufficiale dello stato civile del luogo può procedere alla celebrazione del matrimonio senza pubblicazione [e senza l’assenso al matrimonio, se questo è richiesto] (1) e senza l’assenso al matrimonio, se questo è richiesto, purché gli sposi prima giurino che non esistono tra loro impedimenti non suscettibili di dispensa.
L’ufficiale dello stato civile dichiara nell’atto di matrimonio il modo con cui ha accertato l’imminente pericolo di vita.

(1) Il riferimento all’assenso non è più richiesto dopo la riformulazione dell’art. 90 c.c., ai sensi dell’art. 7 della L. 19.05.1975, n. 151

Sezione III – Delle opposizioni al matrimonio

Art. 102. Persone che possono fare opposizione.
I genitori e, in mancanza loro, gli altri ascendenti e i collaterali entro il terzo grado possono fare opposizione al matrimonio dei loro parenti per qualunque causa che osti alla sua celebrazione.
Se uno degli sposi è soggetto a tutela o a cura, il diritto di fare opposizione compete anche al tutore o al curatore.
Il diritto di opposizione compete anche al coniuge della persona che vuole contrarre un altro matrimonio.
Quando si tratta di matrimonio in contravvenzione all’articolo 89, il diritto di opposizione spetta anche, se il precedente matrimonio fu sciolto, ai parenti del precedente marito e, se il matrimonio fu dichiarato nullo, a colui col quale il matrimonio era stato contratto e ai parenti di lui.
Il pubblico ministero deve sempre fare opposizione al matrimonio, se sa che vi osta un impedimento o se gli consta l’infermità di mente di uno degli sposi, nei confronti del quale, a causa dell’età, non possa essere promossa l’interdizione.

Art. 103. Atto di opposizione.
L’atto di opposizione deve dichiarare la qualità che attribuisce all’opponente il diritto di farla, le cause dell’opposizione, e contenere la elezione di domicilio nel comune dove siede il tribunale nel cui territorio si deve celebrare il matrimonio.

[L’atto deve essere notificato nella forma della citazione agli sposi e all’ufficiale dello stato civile del comune nel quale il matrimonio deve essere celebrato]. (1)

(1) Comma abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.



Art. 104. Effetti dell’opposizione.
[L’opposizione fatta da chi ne ha facoltà , per causa ammessa dalla legge, sospende la celebrazione del matrimonio sino a che con sentenza passata in giudicato sia rimossa l’opposizione]. (1)

Se l’opposizione è respinta, l’opponente, che non sia un ascendente o il pubblico ministero, può essere condannato al risarcimento dei danni.

(1) Comma abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.

Art. 105. Matrimonio del Re Imperatore e dei Principi Reali (Abrogato)

Articolo abrogato a seguito del cambiamento della forma istituzionale espressa dalla Costituzione.

Sezione IV – Della Celebrazione del matrimonio

Art. 106. Luogo della celebrazione.
Il matrimonio deve essere celebrato pubblicamente nella casa comunale davanti all’ufficiale dello stato civile al quale fu fatta la richiesta di pubblicazione.

Art. 107. Forma della celebrazione.   Giurisprudenza
Nel giorno indicato dalle parti l’ufficiale dello stato civile, alla presenza di due testimoni, anche se parenti, dà lettura agli sposi degli articoli 143, 144 e 147; riceve da ciascuna delle parti personalmente, l’una dopo l’altra, la dichiarazione che esse si vogliono prendere rispettivamente in marito e in moglie, e di seguito dichiara che esse sono unite in matrimonio.

L’atto di matrimonio deve essere compilato immediatamente dopo la celebrazione. (1)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 10 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 108. Inapponibilità di termini e condizioni.   Giurisprudenza
La dichiarazione degli sposi di prendersi rispettivamente in marito e in moglie non può essere sottoposta né a termine né a condizione.
Se le parti aggiungono un termine o una condizione, l’ufficiale dello stato civile non può procedere alla celebrazione del matrimonio. Se ciò nonostante il matrimonio è celebrato, il termine e la condizione si hanno per non apposti.

Art. 109. Celebrazione in un comune diverso.  
Quando vi è necessità o convenienza di celebrare il matrimonio in un comune diverso da quello indicato nell’articolo 106, l’ufficiale dello stato civile, trascorso il termine stabilito nel primo comma dell’articolo 99, richiede per iscritto l’ufficiale del luogo dove il matrimonio si deve celebrare.
La richiesta è menzionata nell’atto di celebrazione e in esso inserita. Nel giorno successivo alla celebrazione del matrimonio, l’ufficiale davanti al quale esso fu celebrato, invia, per la trascrizione, copia autentica dell’atto all’ufficiale da cui fu fatta la richiesta.

Art. 110. Celebrazione fuori della casa comunale.   Giurisprudenza
Se uno degli sposi, per infermità o per altro impedimento giustificato all’ufficio dello stato civile, è nell’impossibilità di recarsi alla casa comunale, l’ufficiale si trasferisce col segretario nel luogo in cui si trova lo sposo impedito, e ivi, alla presenza di quattro testimoni, procede alla celebrazione del matrimonio secondo l’articolo 107.

Art. 111. Celebrazione per procura.   Giurisprudenza
I militari e le persone che per ragioni di servizio si trovano al seguito delle forze armate possono, in tempo di guerra, celebrare il matrimonio per procura.

La celebrazione del matrimonio per procura può anche farsi se uno degli sposi risiede all’estero e concorrono gravi motivi da valutarsi dal tribunale nella cui circoscrizione risiede l’altro sposo. L’autorizzazione è concessa con decreto non impugnabile emesso in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

La procura deve contenere l’indicazione della persona con la quale il matrimonio si deve contrarre.

La procura deve essere fatta per atto pubblico; i militari e le persone al seguito delle forze armate, in tempo di guerra, possono farla nelle forme speciali ad essi consentite.

Il matrimonio non può essere celebrato quando sono trascorsi centottanta giorni da quello in cui la procura è stata rilasciata.

La coabitazione, anche temporanea, dopo la celebrazione del matrimonio, elimina gli effetti della revoca della procura ignorata dall’altro coniuge al momento della celebrazione. (1)

(1)   Articolo così sostituito dall’art. 11 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 112. Rifiuto della celebrazione.   Giurisprudenza
L’ufficiale dello stato civile non può rifiutare la celebrazione del matrimonio se non per una causa ammessa dalla legge.
Se la rifiuta, deve rilasciare un certificato con l’indicazione dei motivi.
Contro il rifiuto è dato ricorso al tribunale, che provvede in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

Art. 113. Matrimonio celebrato davanti a un apparente ufficiale dello stato civile.
Si considera celebrato davanti all’ufficiale dello stato civile il matrimonio che sia stato celebrato dinanzi a persona la quale, senza avere la qualità di ufficiale dello stato civile, ne esercitava pubblicamente le funzioni, a meno che entrambi gli sposi, al momento della celebrazione, abbiano saputo che la detta persona non aveva tale qualità.

Art. 114. Matrimonio del Re Imperatore e dei Principi Reali (Abrogato)

Articolo abrogato a seguito del cambiamento della forma istituzionale espressa dalla Costituzione.

Sezione V – Del matrimonio dei cittadini in paese straniero e degli stranieri nella Repubblica

Art. 115. Matrimonio del cittadino all’estero.
Il cittadino è soggetto alle disposizioni contenute nella sezione prima di questo capo, anche quando contrae matrimonio in paese straniero secondo le forme ivi stabilite.

[La pubblicazione deve anche farsi nello Stato a norma degli artt. 93, 94 e 95. Se il cittadino non risiede nello Stato, la pubblicazione si fa nel comune dell’ultimo domicilio ]. (1)

(1) Comma abrogato dall’ art. 110, D.P.R. 03.11.2000, n. 396 con decorrenza dal 30.03.2001.



Art. 116. Matrimonio dello straniero nella Repubblica
Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nella Repubblica deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio. (1) (2)
Anche lo straniero è tuttavia soggetto alle disposizioni contenute negli articoli 85, 86, 87, numeri 1, 2 e 4, 88 e 89.
Lo straniero che ha domicilio o residenza nella Repubblica deve inoltre far fare la pubblicazione secondo le disposizioni di questo codice.

(1) Comma così modificato dall’art. 1, c. 15, L. 15.07.2009, n. 94 con decorrenza dal 08.08.2009. Il testo previgente cos’ disponeva: “Lo straniero che vuole contrarre matrimonio nello Stato deve presentare all’ufficiale dello stato civile una dichiarazione dell’autorità competente del proprio paese, dalla quale risulti che giusta le leggi a cui è sottoposto nulla osta al matrimonio. “.

(2) E’ costituzionalmente illegittimo l’articolo 116, primo comma, del codice civile, come modificato dall’art. 1, comma 15, della legge 15 luglio 2009, n. 94, limitatamente alle parole “nonché un documento attestante la regolarità del soggiorno nel territorio italiano” (C.Cost. 25.07.2011, n. 245).



Sezione VI – Della nullità del matrimonio

Art. 117. Matrimonio contratto con violazione degli articoli 84, 86, 87 e 88.   Giurisprudenza
Il matrimonio contratto con violazione degli articoli 86, 87 e 88 può essere impugnato dai coniugi, dagli ascendenti prossimi, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano per impugnarlo un interesse legittimo e attuale.
Il matrimonio contratto con violazione dell’articolo 84 può essere impugnato dai coniugi, da ciascuno dei genitori e dal pubblico ministero. La relativa azione di annullamento può essere proposta personalmente dal minore non oltre un anno dal raggiungimento della maggiore età. La domanda, proposta dal genitore o dal pubblico ministero, deve essere respinta ove, anche in pendenza del giudizio, il minore abbia raggiunto la maggiore età ovvero vi sia stato concepimento o procreazione e in ogni caso sia accertata la volontà del minore di mantenere in vita il vincolo matrimoniale.
Il matrimonio contratto dal coniuge dell’assente non può essere impugnato finché dura l’assenza.
Nei casi in cui si sarebbe potuta accordare l’autorizzazione ai sensi del quarto comma dell’articolo 87, il matrimonio non può essere impugnato dopo un anno dalla celebrazione.
La disposizione del primo comma del presente articolo si applica anche nel caso di nullità del matrimonio previsto dall’articolo 68.

Articolo così sostituito dall’art. 12 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 118. Difetto di età (Abrogato)

Articolo abrogato dall’art. 13 L. 19.05.1975 n. 151.



Art. 119. Interdizione.   Giurisprudenza
Il matrimonio di chi è stato interdetto per infermità di mente può essere impugnato dal tutore, dal pubblico ministero e da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo se, al tempo del matrimonio, vi era già sentenza di interdizione passata in giudicato, ovvero se la interdizione è stata pronunziata posteriormente ma l’infermità esisteva al tempo del matrimonio. Può essere impugnato, dopo revocata l’interdizione, anche dalla persona che era interdetta.
L’azione non può essere proposta se, dopo revocata l’interdizione, vi è stata coabitazione per un anno.

(1) Articolo così sostituito dall’art. 14 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 120. Incapacità di intendere o di volere.   Giurisprudenza
Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi che, quantunque non interdetto, provi di essere stato incapace di intendere o di volere, per qualunque causa, anche transitoria, al momento della celebrazione del matrimonio.
L’azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che il coniuge incapace ha recuperato la pienezza delle facoltà mentali.

Articolo così sostituito dall’art. 15 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 121. Mancanza di assenso  (Abrogato) 

Articolo abrogato dall’art. 16 L. 19.05.1975 n. 151.



Art. 122. Violenza ed errore.   Giurisprudenza
Il matrimonio può essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne allo sposo.
Il matrimonio può altresì essere impugnato da quello dei coniugi il cui consenso è stato dato per effetto di errore sull’identità della persona o di errore essenziale su qualità personali dell’altro coniuge.
L’errore sulle qualità personali è essenziale qualora, tenute presenti le condizioni dell’altro coniuge, si accerti che lo stesso non avrebbe prestato il suo consenso se le avesse esattamente conosciute e purché l’errore riguardi:
1) l’esistenza di una malattia fisica o psichica o di una anomalia o deviazione sessuale, tali da impedire lo svolgimento della vita coniugale;
2) l’esistenza di una sentenza di condanna per delitto non colposo alla reclusione non inferiore a cinque anni, salvo il caso di intervenuta riabilitazione prima della celebrazione del matrimonio. L’azione di annullamento non può essere proposta prima che la sentenza sia divenuta irrevocabile;
3) la dichiarazione di delinquenza abituale o professionale;
4) la circostanza che l’altro coniuge sia stato condannato per delitti concernenti la prostituzione a pena non inferiore a due anni. L’azione di annullamento non può essere proposta prima che la condanna sia divenuta irrevocabile;
5) lo stato di gravidanza causato da persona diversa dal soggetto caduto in errore, purché vi sia stato disconoscimento ai sensi dell’articolo 233, se la gravidanza è stata portata a termine.
L’azione non può essere proposta se vi è stata coabitazione per un anno dopo che siano cessate la violenza o le cause che hanno determinato il timore ovvero sia stato scoperto l’errore.

Articolo così sostituito dall’art. 17 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 123. Simulazione.   Giurisprudenza
Il matrimonio può essere impugnato da ciascuno dei coniugi quando gli sposi abbiano convenuto di non adempiere agli obblighi e di non esercitare i diritti da esso discendenti.
L’azione non può essere proposta decorso un anno dalla celebrazione del matrimonio ovvero nel caso in cui i contraenti abbiano convissuto come coniugi successivamente alla celebrazione medesima.

Articolo così sostituito dall’art. 17 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 124. Vincolo di precedente matrimonio.   Giurisprudenza
Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio o l’unione civile tra persone dello stesso sesso dell’altro coniuge; se si oppone la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere preventivamente giudicata.

Articolo così modificato dall’art. 1, comma 33, L. 20.05.2016, n. 76 con decorrenza  dal 05.06.2016. Il testo previgente così disponeva: “Il coniuge può in qualunque tempo impugnare il matrimonio dell’altro coniuge; se si oppone la nullità del primo matrimonio, tale questione deve essere preventivamente giudicata”.


Art. 125. Azione del pubblico ministero.
L’azione di nullità non può essere promossa dal pubblico ministero dopo la morte di uno dei coniugi.

Art. 126. Separazione dei coniugi in pendenza del giudizio.   Giurisprudenza
Quando è proposta domanda di nullità del matrimonio, il tribunale può, su istanza di uno dei coniugi, ordinare la loro separazione temporanea durante il giudizio; può ordinarla anche d’ufficio, se ambedue i coniugi o uno di essi sono minori o interdetti.

Art. 127. Intrasmissibilità dell’azione.   Giurisprudenza
L’azione per impugnare il matrimonio non si trasmette agli eredi se non quando il giudizio è già pendente alla morte dell’attore.

Art. 128. Matrimonio putativo.   Giurisprudenza
Se il matrimonio è dichiarato nullo, gli effetti del matrimonio valido si producono, in favore dei coniugi, fino alla sentenza che pronunzia la nullità, quando i coniugi stessi lo hanno contratto in buona fede, oppure quando il loro consenso è stato estorto con violenza o determinato da timore di eccezionale gravità derivante da cause esterne agli sposi.

Il matrimonio dichiarato nullo ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli. (3)

Se le condizioni indicate nel primo comma si verificano per uno solo dei coniugi, gli effetti valgono soltanto in favore di lui e dei figli.

Il matrimonio dichiarato nullo, contratto in malafede da entrambi i coniugi, ha gli effetti del matrimonio valido rispetto ai figli nati o concepiti durante lo stesso, salvo che la nullità dipenda da [bigamia o]  incesto . (4)

Nell’ipotesi di cui al quarto comma, rispetto ai figli si applica l’articolo 251. (5) (1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 19 L. 19. 05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Comma così sostituito dall’art. 2 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente così disponeva: “Gli effetti del matrimonio valido si producono anche rispetto ai figli nati o concepiti durante il matrimonio dichiarato nullo, nonché rispetto ai figli nati prima del matrimonio e riconosciuti anteriormente alla sentenza che dichiara la nullità”.

(4) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 2 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(5) Comma così sostituito dall’art. 2 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente così disponeva: “Nell’ipotesi di cui al comma precedente, i figli nei cui confronti non si verifichino gli effetti del matrimonio valido, hanno lo stato di figli naturali riconosciuti, nei casi in cui il riconoscimento è consentito”.


Art. 129. Diritti dei coniugi in buona fede.   Giurisprudenza
Quando le condizioni del matrimonio putativo si verificano rispetto ad ambedue i coniugi, il giudice può disporre a carico di uno di essi e per un periodo non superiore a tre anni l’obbligo di corrispondere somme periodiche di denaro, in proporzione alle sue sostanze, a favore dell’altro, ove questi non abbia adeguati redditi propri e non sia passato a nuove nozze.
Per i provvedimenti che il giudice adotta riguardo ai figli, si applica l’articolo 155. (1) (2)

1) Articolo così sostituito dall’art. 20,  L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Art. 129-bis. Responsabilità del coniuge in mala fede e del terzo.   Giurisprudenza
Il coniuge al quale sia imputabile la nullità del matrimonio, è tenuto a corrispondere all’altro coniuge in buona fede, qualora il matrimonio sia annullato, una congrua indennità, anche in mancanza di prova del danno sofferto. L’indennità deve comunque comprendere una somma corrispondente al mantenimento per tre anni. E’ tenuto altresì a prestare gli alimenti al coniuge in buona fede, sempre che non vi siano altri obbligati.
Il terzo al quale sia imputabile la nullità del matrimonio è tenuto a corrispondere al coniuge in buona fede, se il matrimonio è annullato, l’indennità prevista nel comma precedente.
In ogni caso il terzo che abbia concorso con uno dei coniugi nel determinare la nullità del matrimonio è solidalmente responsabile con lo stesso per il pagamento dell’indennità.

Articolo aggiunto dall’ art. 21 L. 19.05.1975, n. 151.



Sezione VII – Delle prove della celebrazione del matrimonio

Art. 130. Atto di celebrazione del matrimonio.   Giurisprudenza
Nessuno può reclamare il titolo di coniuge e gli effetti del matrimonio, se non presenta l’atto di celebrazione estratto dai registri dello stato civile.
Il possesso di stato, quantunque allegato da ambedue i coniugi, non dispensa dal presentare l’atto di celebrazione.

Art. 131. Possesso di stato.   Giurisprudenza
Il possesso di stato, conforme all’atto di celebrazione del matrimonio, sana ogni difetto di forma.

Art. 132. Mancanza dell’atto di celebrazione.
Nel caso di distruzione o di smarrimento dei registri dello stato civile l’esistenza del matrimonio può essere provata a norma dell’articolo 452.
Quando vi sono indizi che per dolo o per colpa del pubblico ufficiale o per un caso di forza maggiore l’atto di matrimonio non è stato inserito nei registri a ciò destinati, la prova della esistenza del matrimonio è ammessa, sempre che risulti in modo non dubbio un conforme possesso di stato.

Art. 133. Prova della celebrazione risultante da sentenza penale.
Se la prova della celebrazione del matrimonio risulta da sentenza penale, l’iscrizione della sentenza nel registro dello stato civile assicura al matrimonio, dal giorno della sua celebrazione, tutti gli effetti riguardo tanto ai coniugi quanto ai figli.

Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

Sezione VIII – Disposizioni penali

Art. 134. Omissione di pubblicazione.
Sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 41 a €. 206 gli sposi e l’ufficiale dello stato civile che hanno celebrato il matrimonio senza che la celebrazione sia stata preceduta dalla prescritta pubblicazione.

Art. 135. Pubblicazione senza richiesta o senza documenti.
È punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 20 a €. 103, l’ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla pubblicazione di un matrimonio senza la richiesta di cui all’articolo 96 o quando manca alcuno dei documenti prescritti dal primo comma dell’articolo 97.

Art. 136. Impedimenti conosciuti dall’ufficiale dello stato civile.
L’ufficiale dello stato civile che procede alla celebrazione del matrimonio, quando vi osta qualche impedimento o divieto di cui egli ha notizia, è punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 51 a €. 306.

Art. 137. Incompetenza dell’ufficiale dello stato civile. Mancanza dei testimoni.
È punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 30 a €. 206 l’ufficiale dello stato civile che ha celebrato un matrimonio per cui non era competente.
La stessa pena si applica all’ufficiale dello stato civile che ha proceduto alla celebrazione di un matrimonio senza la presenza dei testimoni.

Art. 138. Altre infrazioni.
È punito con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma stabilita nell’articolo 135 l’ufficiale dello stato civile che in qualunque modo contravviene alle disposizioni degli articoli 93, 95, 98, 99, 106, 107, 108, 109, 110 e 112 o commette qualsiasi altra infrazione per cui non sia stabilita una pena speciale in questa sezione.

Art. 139. Cause di nullità note a uno dei coniugi.
Il coniuge il quale, conoscendo prima della celebrazione una causa di nullità del matrimonio l’abbia lasciata ignorare all’altro, è punito, se il matrimonio è annullato, con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 51 a €. 306.

Articolo così sostituito dall’art. 22 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 140. Inosservanza del divieto temporaneo di nuove nozze.
La donna che contrae matrimonio contro il divieto dell’articolo 89, l’ufficiale che lo celebra e l’altro coniuge sono puniti con la sanzione amministrativa del pagamento di una somma da €. 20 a €. 82.

Articolo così sostituito dall’art. 23 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 141. Competenza.
I reati previsti nei precedenti articoli sono di competenza del tribunale.

Art. 142. Limiti d’applicazione delle precedenti disposizioni.
Le disposizioni della presente sezione si applicano quando i fatti ivi contemplati non costituiscono reato più grave.

Capo IV – Dei diritti e dei doveri che nascono dal matrimonio

Art. 143. Diritti e doveri reciproci dei coniugi.   Giurisprudenza
Con il matrimonio il marito e la moglie acquistano gli stessi diritti e assumono i medesimi doveri.
Dal matrimonio deriva l’obbligo reciproco alla fedeltà, all’assistenza morale e materiale, alla collaborazione nell’interesse della famiglia e alla coabitazione.
Entrambi i coniugi sono tenuti, ciascuno in relazione alle proprie sostanze e alla propria capacità di lavoro professionale o casalingo, a contribuire ai bisogni della famiglia.

Articolo così sostituito dall’art. 24 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 143-bis. Cognome della moglie.   Giurisprudenza
La moglie aggiunge al proprio cognome quello del marito e lo conserva durante lo stato vedovile, fino a che passi a nuove nozze.

Articolo così aggiunto dall’art. 25 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 143-ter. Cittadinanza della moglie (abrogato)

Articolo aggiunto dall’art. 25 L. 19.05.1975, n. 151 con decorrenza dal 20.09.1975 è poi abrogato dall’art. 26 L. 05.02.1992 n. 91 con effetto dal 15.08.1992.

Art. 144. Indirizzo della vita familiare e residenza della famiglia.   Giurisprudenza
I coniugi concordano tra loro l’indirizzo della vita familiare e fissano la residenza della famiglia secondo le esigenze di entrambi e quelle preminenti della famiglia stessa.
A ciascuno dei coniugi spetta il potere di attuare l’indirizzo concordato.

Articolo così sostituito dall’art. 26 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 145. Intervento del giudice.   Giurisprudenza

In caso di disaccordo ciascuno dei coniugi può chiedere, senza formalità, l’intervento del giudice il quale, sentite le opinioni espresse dai coniugi, dai figli conviventi che abbiano compiuto gli anni dodici o anche di età inferiore ove capaci di discernimento, tenta di raggiungere una soluzione concordata.

Ove questa non sia possibile e il disaccordo concerna la fissazione della residenza o altri affari essenziali, il giudice, qualora ne sia richiesto espressamente da uno o entrambi i coniugi, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all’interesse dei figli e alle esigenze dell’unità e della vita della famiglia.

In caso di inadempimento all’obbligo di contribuire ai bisogni della famiglia previsto dall’articolo 143, il giudice, su istanza di chiunque vi ha interesse, provvede ai sensi dell’articolo 316-bis.

Art. 146. Allontanamento dalla residenza familiare.   Giurisprudenza
Il diritto all’assistenza morale e materiale previsto dall’articolo 143 è sospeso nei confronti del coniuge che, allontanatosi senza giusta causa dalla residenza familiare rifiuta di tornarvi.
La proposizione della domanda di separazione, o di annullamento, o di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio costituisce giusta causa di allontanamento dalla residenza familiare.
Il giudice può, secondo le circostanze, ordinare il sequestro dei beni del coniuge allontanatosi, nella misura atta a garantire l’adempimento degli obblighi previsti dagli articoli 143, terzo comma, e 147.

Articolo così sostituito dall’art. 28 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 147. Doveri verso i figli.   Giurisprudenza
Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. (1) (2)

(1) Articolo così sostituito prima dall’art. 29 L. 19.05.1975, n. 151 e poi dall’art. 3 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente così disponeva: “Il matrimonio impone ad ambedue i coniugi l’obbligo di mantenere, istruire ed educare la prole tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli”.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Art. 148. Concorso negli oneri.   Giurisprudenza
I coniugi devono adempiere l’obbligo di cui all’articolo 147, secondo quanto previsto dall’articolo 316-bis. (1) (2)

(1) Articolo così sostituito prima dall’art. 30 L. 19.05.1975, n. 151 e poi dall’art. 4 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente così disponeva:

“I coniugi devono adempiere l’obbligazione prevista nell’articolo precedente in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti legittimi o naturali, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

In caso di inadempimento il presidente del tribunale, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro coniuge o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.

Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore, possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.

L’opposizione è regolata dalle norme relative all’opposizione al decreto di ingiunzione, in quanto applicabili.

Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le forme del processo ordinario, la modificazione e la revoca del provvedimento. “.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Capo V – Dello scioglimento del matrimonio e della separazione dei coniugi

Art. 149. Scioglimento del matrimonio.   Giurisprudenza
Il matrimonio si scioglie con la morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge. Gli effetti civili del matrimonio celebrato con rito religioso, ai sensi dell’articolo 82, o dell’ articolo 83, e regolarmente trascritto, cessano alla morte di uno dei coniugi e negli altri casi previsti dalla legge.

Articolo così sostituito dall’art. 31 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 150. Separazione personale.   Giurisprudenza
E’ ammessa la separazione personale dei coniugi.
La separazione può essere giudiziale o consensuale.
Il diritto di chiedere la separazione giudiziale o l’omologazione di quella consensuale spetta esclusivamente ai coniugi.

Articolo così sostituito dall’art. 32 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 151. Separazione giudiziale.   Giurisprudenza
La separazione può essere chiesta quando si verificano, anche indipendentemente dalla volontà di uno o di entrambi i coniugi, fatti tali da rendere intollerabile la prosecuzione della convivenza o da recare grave pregiudizio alla educazione della prole.
Il giudice, pronunziando la separazione, dichiara, ove ne ricorrano le circostanze e ne sia richiesto, a quale dei coniugi sia addebitabile la separazione, in considerazione del suo comportamento contrario ai doveri che derivano dal matrimonio.

Articolo così sostituito dall’art. 33 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 152. Separazione per condanna penale (Abrogato)

Articolo abrogato dall’art. 34 L. 19.05.1975 n. 151.



Art. 153. Separazione per non fissata residenza (Abrogato)

Articolo omesso abrogato dall’art. 34 L. 19.05.1975 n. 151.

Art. 154. Riconciliazione.
La riconciliazione tra i coniugi comporta l’abbandono della domanda di separazione personale già proposta.

Articolo così sostituito dall’art. 35, L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 155. Provvedimenti riguardo ai figli.

In caso di separazione, riguardo ai figli, si applicano le disposizioni contenute nel Capo II del titolo IX. (1) (2)

 

Articolo così sostituito prima dall’art. 36 L. 19.05.1975, n. 151 poi dall’art. 1 L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006 e da ultimo dall’art. 5 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente così disponeva:

” Anche in caso di separazione personale dei genitori il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno di essi, di ricevere cura, educazione e istruzione da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, il giudice che pronuncia la separazione personale dei coniugi adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole.

La potestà genitoriale é esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione e alla salute sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione é rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la potestà separatamente.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio;

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori;

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore;

4) le risorse economiche di entrambi i genitori;

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’assegno é automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.  “.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Art. 155-bis. Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso. (Abrogato)

[Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.

Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 155. Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile]. (1) (2) (3)

 

(1) Articolo inserito dall’art. 1, L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.



Art. 155-ter. Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli. (Abrogato)

[I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della potestà su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo]. (1) (2) (3)

(1) Articolo inserito dall’art. 1, L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Art. 155-quater. Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza. (Abrogato)

[Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli.

Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedimento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643.

Nel caso in cui uno dei coniugi cambi la residenza o il domicilio, l’altro coniuge può chiedere, se il mutamento interferisce con le modalità dell’affidamento, la ridefinizione degli accordi o dei provvedimenti adottati, ivi compresi quelli economici]. (1) (2) (3)

(1) Articolo inserito dall’art. 1 L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 155-quinquies. Disposizioni in favore dei figli maggiorenni. (Abrogato)
[Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave ai sensi dell’articolo 3, comma 3, della legge 5 febbraio 1992, n. 104, si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori]. (1) (2) (3)

(1) Articolo inserito dall’art. 1 L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.



Art. 155-sexies. Poteri del giudice e ascolto del minore. (Abrogato)

Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 155, il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’audizione del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.
Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 155 per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli. (1) (2) (3)

(1) Articolo inserito dall’art. 1 L. 08.02.2006, n. 54, con decorrenza dal 16.03.2006.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.



Art. 156. Effetti della separazione sui rapporti patrimoniali tra i coniugi.

Il giudice, pronunziando la separazione, stabilisce a vantaggio del coniuge cui non sia addebitabile la separazione il diritto di ricevere dall’altro coniuge quanto è necessario al suo mantenimento, qualora egli non abbia adeguati redditi propri.

L’entità di tale somministrazione è determinata in relazione alle circostanze e ai redditi dell’obbligato.

Resta fermo l’obbligo di prestare gli alimenti di cui agli artt. 433 e seguenti.

[Il giudice che pronunzia la separazione può imporre al coniuge di prestare idonea garanzia reale o personale se esiste il pericolo che egli possa sottrarsi all’adempimento degli obblighi previsti dai precedenti commi e dall’art. 155.] (1)

[La sentenza costituisce titolo per l’iscrizione dell’ipoteca giudiziale ai sensi dell’art. 2818.] (1)

[In caso di inadempienza, su richiesta dell’avente diritto, il giudice può disporre il sequestro di parte dei beni del coniuge obbligato e ordinare ai terzi, tenuti a corrispondere anche periodicamente somme di danaro all’obbligato, che una parte di esse venga versata direttamente agli aventi diritto.] (1)

Qualora sopravvengano giustificati motivi il giudice, su istanza di parte, può disporre la revoca o la modifica dei provvedimenti di cui ai commi precedenti.

(1) Comma abrogato dall’art. 1, comma 2, lett. a), D.Lgs. 10.10.2022, n. 149 con decorrenza dal 18.10.2022, efficacia a decorrere dal 28 febbraio 2023 ed applicazione ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.


Art. 156-bis. Cognome della moglie.
Il giudice può vietare alla moglie l’uso del cognome del marito quando tale uso sia a lui gravemente pregiudizievole, e può parimenti autorizzare la moglie a non usare il cognome stesso, qualora dall’uso possa derivarle grave pregiudizio.

 

Articolo aggiunto dall’art. 38 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 157. Cessazione degli effetti della separazione.
I coniugi possono di comune accordo far cessare gli effetti della sentenza di separazione, senza che sia necessario l’intervento del giudice, con una espressa dichiarazione o con un comportamento non equivoco che sia incompatibile con lo stato di separazione.
La separazione può essere pronunziata nuovamente soltanto in relazione a fatti e comportamenti intervenuti dopo la riconciliazione.

 

Articolo aggiunto dall’art. 39 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 158. Separazione consensuale.

La separazione per il solo consenso dei coniugi non ha effetto senza l’omologazione del giudice.

[Quando l’accordo dei coniugi relativamente all’affidamento e al mantenimento dei figli è in contrasto con l’interesse di questi il giudice riconvoca i coniugi indicando ad essi le modificazioni da adottare nell’interesse dei figli e, in caso di inidonea soluzione, può rifiutare allo stato l’omologazione.] (1) 

(1) Comma abrogato dall’art. 1, comma 2, lett. b), D.Lgs. 10.10.2022, n. 149 con decorrenza dal 18.10.2022, efficacia a decorrere dal 28 febbraio 2023 ed applicazione ai procedimenti instaurati successivamente a tale data. Ai procedimenti pendenti alla data del 28 febbraio 2023 si applicano le disposizioni anteriormente vigenti.

Capo VI – Del regime patrimoniale della famiglia

Sezione I – Disposizioni generali

Art. 159. Del regime patrimoniale legale tra i coniugi.
Il regime patrimoniale legale della famiglia, in mancanza di diversa convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, è costituito dalla comunione dei beni regolata dalla sezione III del presente capo.

 

Articolo così sostituito dall’art 41 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 160. Diritti inderogabili.
Gli sposi non possono derogare né ai diritti né ai doveri previsti dalla legge per effetto del matrimonio.

Articolo così sostituito dall’art 42 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 161. Riferimento generico a leggi o agli usi.
Gli sposi non possono pattuire in modo generico che i loro rapporti patrimoniali siano in tutto o in parte regolati da leggi alle quali non sono sottoposti o dagli usi, ma devono enunciare in modo concreto il contenuto dei patti con i quali intendono regolare questi loro rapporti.

Art. 162. Forma delle convenzioni matrimoniali.
Le convenzioni matrimoniali debbono essere stipulate per atto pubblico sotto pena di nullità.
La scelta del regime di separazione può anche essere dichiarata nell’atto di celebrazione del matrimonio.
Le convenzioni possono essere stipulate in ogni tempo, ferme restando le disposizioni dell’articolo 194. (2)
Le convenzioni matrimoniali non possono essere opposte ai terzi quando a margine dell’atto di matrimonio non risultano annotati la data del contratto, il notaio rogante e le generalità dei contraenti, ovvero la scelta di cui al secondo comma. (1)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art 43 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 1, L. 10.04. 1981 n. 142.



Art. 163. Modifica delle convenzioni.
Le modifiche delle convenzioni matrimoniali, anteriori o successive al matrimonio, non hanno effetto se l’atto pubblico non è stipulato col consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni medesime, o dei loro eredi.
Se uno dei coniugi muore dopo aver consentito con atto pubblico alla modifica delle convenzioni, questa produce i suoi effetti se le altre parti esprimono anche successivamente il loro consenso, salva l’omologazione del giudice. L’omologazione può essere chiesta da tutte le persone che hanno partecipato alla modificazione delle convenzioni o dai loro eredi.
Le modifiche convenute e la sentenza di omologazione hanno effetto rispetto ai terzi solo se ne è fatta annotazione in margine all’atto del matrimonio.
L’annotazione deve inoltre essere fatta a margine della trascrizione delle convenzioni matrimoniali ove questa sia richiesta a norma degli articoli 2643 e seguenti.

Articolo così sostituito dall’art 44 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 164. Simulazione delle convenzioni matrimoniali.
È consentita ai terzi la prova della simulazione delle convenzioni matrimoniali.
Le controdichiarazioni scritte possono aver effetto nei confronti di coloro tra i quali sono intervenute, solo se fatte con la presenza ed il simultaneo consenso di tutte le persone che sono state parti nelle convenzioni matrimoniali.

Articolo così sostituito dall’art 45 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 165. Capacità del minore.
Il minore ammesso a contrarre matrimonio è pure capace di prestare il consenso per tutte le relative convenzioni matrimoniali , le quali sono valide se egli è assistito dai genitori esercenti la responsabilità genitoriale su di lui o dal tutore o dal curatore speciale nominato a norma dell’art. 90. (1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 46 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti “responsabilità genitoriale” dall’art. 6 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Art, 166 Bis. Divieto di costituzione di dote

E’ nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione di beni in dote.

(1) Articolo aggiunto dall’art 47 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 166. Capacità dell’inabilitato.
Per la validità delle stipulazioni e delle donazioni, fatte nel contratto di matrimonio dall’inabilitato o da colui contro il quale è stato promosso giudizio di inabilitazione, è necessaria l’assistenza del curatore già nominato. Se questi non è stato ancora nominato, si provvede alla nomina di un curatore speciale.

Art. 166-bis. Divieto di costituzione di dote.
È nulla ogni convenzione che comunque tenda alla costituzione di beni in dote.

Sezione II – Del fondo patrimoniale

Art. 167. Costituzione del fondo patrimoniale.
Ciascuno o ambedue i coniugi, per atto pubblico, o un terzo, anche per testamento, possono costituire un fondo patrimoniale, destinando determinati beni, immobili o mobili iscritti in pubblici registri, o titoli di credito, a far fronte ai bisogni della famiglia.
La costituzione del fondo patrimoniale per atto tra vivi, effettuata dal terzo, si perfeziona con l’accettazione dei coniugi.
L’accettazione può essere fatta con atto pubblico posteriore.
La costituzione può essere fatta anche durante il matrimonio.
I titoli di credito devono essere vincolati rendendoli nominativi con annotazione del vincolo o in altro modo idoneo.

Articolo così sostituito dall’art 49 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 168. Impiego ed amministrazione del fondo.
La proprietà dei beni costituenti il fondo patrimoniale spetta ad entrambi i coniugi, salvo che sia diversamente stabilito nell’atto di costituzione.
I frutti dei beni costituenti il fondo patrimoniale sono impiegati per i bisogni della famiglia.
L’amministrazione dei beni costituenti il fondo patrimoniale è regolata dalle norme relative all’amministrazione della comunione legale.

Articolo così sostituito dall’art 50 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 169. Alienazione dei beni del fondo.
Se non è stato espressamente consentito nell’atto di costituzione, non si possono alienare, ipotecare, dare in pegno o comunque vincolare beni del fondo patrimoniale se non con il consenso di entrambi i coniugi e, se vi sono figli minori, con l’autorizzazione concessa dal giudice, con provvedimento emesso in camera di consiglio, nei soli casi di necessità od utilità evidente.

(1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 51 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Art. 170. Esecuzione sui beni e sui frutti.
La esecuzione sui beni del fondo e sui frutti di essi non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Articolo così sostituito dall’art 52 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 171. Cessazione del fondo.
La destinazione del fondo termina a seguito dell’annullamento o dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio.
Se vi sono figli minori il fondo dura fino al compimento della maggiore età dell’ultimo figlio. In tale caso il giudice può dettare, su istanza di chi vi abbia interesse, norme per l’amministrazione del fondo.
Considerate le condizioni economiche dei genitori e dei figli ed ogni altra circostanza, il giudice può altresì attribuire ai figli, in godimento o in proprietà, una quota dei beni del fondo.
Se non vi sono figli, si applicano le disposizioni sullo scioglimento della comunione legale. (1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 53 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Artt. 172 – 176 (Abrogati)

Sezione III Della comunione legale

Art. 177. Oggetto della comunione.
Costituiscono oggetto della comunione:
a) gli acquisti compiuti dai due coniugi insieme o separatamente durante il matrimonio, ad esclusione di quelli relativi ai beni personali;
b) i frutti dei beni propri di ciascuno dei coniugi, percepiti e non consumati allo scioglimento della comunione;
c) i proventi dell’attività separata di ciascuno dei coniugi se, allo scioglimento della comunione, non siano stati consumati;
d) le aziende gestite da entrambi i coniugi e costituite dopo il matrimonio.
Qualora si tratti di aziende appartenenti ad uno dei coniugi anteriormente al matrimonio ma gestite da entrambi, la comunione concerne solo gli utili e gli incrementi.

Articolo così sostituito dall’art 56 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 178. Beni destinati all’esercizio di impresa.

I beni destinati all’esercizio dell’impresa di uno dei coniugi costituita dopo il matrimonio e gli incrementi dell’impresa costituita anche precedentemente si considerano oggetto della comunione solo se sussistono al momento dello scioglimento di questa.

Articolo così sostituito dall’art 57 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 179. Beni personali.
Non costituiscono oggetto della comunione e sono beni personali del coniuge:
a) i beni di cui, prima del matrimonio, il coniuge era proprietario o rispetto ai quali era titolare di un diritto reale di godimento;
b) i beni acquisiti successivamente al matrimonio per effetto di donazione o successione, quando nell’atto di liberalità o nel testamento non è specificato che essi sono attribuiti alla comunione;
c) i beni di uso strettamente personale di ciascun coniuge ed i loro accessori;
d) i beni che servono all’esercizio della professione del coniuge, tranne quelli destinati alla conduzione di una azienda facente parte della comunione;
e) i beni ottenuti a titolo di risarcimento del danno nonché la pensione attinente alla perdita parziale o totale della capacità lavorativa;
f) i beni acquisiti con il prezzo del trasferimento dei beni personali sopraelencati o col loro scambio, purché ciò sia espressamente dichiarato all’atto dell’acquisto.
L’acquisto di beni immobili, o di beni mobili elencati nell’articolo 2683, effettuato dopo il matrimonio, è escluso dalla comunione, ai sensi delle lettere c), d) ed f) del precedente comma, quando tale esclusione risulti dall’atto di acquisto se di esso sia stato parte anche l’altro coniuge.

Articolo così sostituito dall’art 58 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 180. Amministrazione dei beni della comunione.
L’amministrazione dei beni della comunione e la rappresentanza in giudizio per gli atti ad essa relativi spettano disgiuntamente ad entrambi i coniugi.
Il compimento degli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, nonché la stipula dei contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento e la rappresentanza in giudizio per le relative azioni spettano congiuntamente ad entrambi i coniugi.

Articolo così sostituito dall’art 59 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 181. Rifiuto di consenso.
Se uno dei coniugi rifiuta il consenso per la stipulazione di un atto di straordinaria amministrazione o per gli altri atti per cui il consenso è richiesto, l’altro coniuge può rivolgersi al giudice per ottenere l’autorizzazione nel caso in cui la stipulazione dell’atto è necessaria nell’interesse della famiglia o dell’azienda che a norma della lettera d) dell’articolo 177 fa parte della comunione.

Articolo così sostituito dall’art 60 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 182. Amministrazione affidata ad uno solo dei coniugi.
In caso di lontananza o di altro impedimento di uno dei coniugi l’altro, in mancanza di procura del primo risultante da atto pubblico o da scrittura privata autenticata, può compiere, previa autorizzazione del giudice e con le cautele eventualmente da questo stabilite, gli atti necessari per i quali è richiesto, a norma dell’articolo 180, il consenso di entrambi i coniugi.
Nel caso di gestione comune di azienda, uno dei coniugi può essere delegato dall’altro al compimento di tutti gli atti necessari all’attività dell’impresa.

Articolo così sostituito dall’art 61 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 183. Esclusione dall’amministrazione.
Se uno dei coniugi è minore o non può amministrare ovvero se ha male amministrato, l’altro coniuge può chiedere di escluderlo dall’amministrazione.
Il coniuge privato dell’amministrazione può chiedere al giudice di esservi reintegrato, se sono venuti meno i motivi che hanno determinato l’esclusione.
La esclusione opera di diritto riguardo al coniuge interdetto e permane sino a quando non sia cessato lo stato di interdizione.

Articolo così sostituito dall’art 62 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 184. Atti compiuti senza il necessario consenso.
Gli atti compiuti da un coniuge senza il necessario consenso dell’altro coniuge e da questo non convalidati sono annullabili se riguardano beni immobili o beni mobili elencati nell’articolo 2683.
L’azione può essere proposta dal coniuge il cui consenso era necessario entro un anno dalla data in cui ha avuto conoscenza dell’atto e in ogni caso entro un anno dalla data di trascrizione. Se l’atto non sia stato trascritto e quando il coniuge non ne abbia avuto conoscenza prima dello scioglimento della comunione l’azione non può essere proposta oltre l’anno dallo scioglimento stesso.
Se gli atti riguardano beni mobili diversi da quelli indicati nel primo comma, il coniuge che li ha compiuti senza il consenso dell’altro è obbligato su istanza di quest’ultimo a ricostituire la comunione nello stato in cui era prima del compimento dell’atto o, qualora ciò non sia possibile, al pagamento dell’equivalente secondo i valori correnti all’epoca della ricostituzione della comunione.

Articolo così sostituito dall’art 63 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 185. Amministrazione dei beni personali del coniuge.
All’amministrazione dei beni che non rientrano nella comunione o nel fondo patrimoniale si applicano le disposizioni dei commi secondo, terzo e quarto dell’articolo 217.

Articolo così sostituito dall’art 64 L. 19.05.1975, n. 151.



Art. 186. Obblighi gravanti sui beni della comunione.
I beni della comunione rispondono:
a) di tutti i pesi ed oneri gravanti su di essi al momento dell’acquisto;
b) di tutti i carichi dell’amministrazione;
c) delle spese per il mantenimento della famiglia e per l’istruzione e l’educazione dei figli e di ogni obbligazione contratta dai coniugi, anche separatamente, nell’interesse della famiglia;
d) di ogni obbligazione contratta congiuntamente dai coniugi. (1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 65 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Art. 187. Obbligazioni contratte dai coniugi prima del matrimonio.
I beni della comunione, salvo quanto disposto nell’articolo 189, non rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio.

Articolo così sostituito dall’art 66 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 188. Obbligazioni derivanti da donazioni o successioni.
I beni della comunione, salvo quanto disposto nell’articolo 189, non rispondono delle obbligazioni da cui sono gravate le donazioni e le successioni conseguite dai coniugi durante il matrimonio e non attribuite alla comunione.

Articolo così sostituito dall’art 67 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 189. Obbligazioni contratte separatamente dai coniugi.
I beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato, rispondono, quando i creditori non possono soddisfarsi sui beni personali, delle obbligazioni contratte, dopo il matrimonio, da uno dei coniugi per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione senza il necessario consenso dell’altro.
I creditori particolari di uno dei coniugi, anche se il credito è sorto anteriormente al matrimonio, possono soddisfarsi in via sussidiaria sui beni della comunione, fino al valore corrispondente alla quota del coniuge obbligato. Ad essi, se chirografari, sono preferiti i creditori della comunione.

Articolo così sostituito dall’art 68 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 190. Responsabilità sussidiaria dei beni personali.
I creditori possono agire in via sussidiaria sui beni personali di ciascuno dei coniugi, nella misura della metà del credito, quando i beni della comunione non sono sufficienti a soddisfare i debiti su di essa gravanti.

Articolo così sostituito dall’art 69 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 191. Scioglimento della comunione.

La comunione si scioglie per la dichiarazione di assenza o di morte presunta, di uno dei coniugi, per l’annullamento, per lo scioglimento o per la cessazione degli effetti civili del matrimonio, per la separazione personale, per la separazione giudiziale dei beni, per mutamento convenzionale del regime patrimoniale, per il fallimento di uno dei coniugi.

Nel caso di separazione personale, la comunione tra i coniugi si scioglie nel momento in cui il presidente del tribunale autorizza i coniugi a vivere separati, ovvero alla data di sottoscrizione del processo verbale di separazione consensuale dei coniugi dinanzi al presidente, purché omologato. L’ordinanza con la quale i coniugi sono autorizzati a vivere separati è comunicata all’ufficiale dello stato civile ai fini dell’annotazione dello scioglimento della comunione. (2)

Nel caso di azienda di cui alla lettera d) dell’articolo 177, lo scioglimento della comunione può essere deciso, per accordo dei coniugi, osservata la forma prevista dall’articolo 162.

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 70, L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Comma inserito dall’art. 2, L. 06.05.2015, n. 55 con decorrenza dal 26.05.2015 ed applicazione ai procedimenti in corso alla data di entrata in vigore della suddetta legge, anche nei casi in cui il procedimento di separazione che ne costituisce il presupposto risulti ancora pendente alla medesima data.



Art. 192. Rimborsi e restituzioni.
Ciascuno dei coniugi è tenuto a rimborsare alla comunione le somme prelevate dal patrimonio comune per fini diversi dall’adempimento delle obbligazioni previste dall’articolo 186.
È tenuto altresì a rimborsare il valore dei beni di cui all’articolo 189, a meno che, trattandosi di atto di straordinaria amministrazione da lui compiuto, dimostri che l’atto stesso sia stato vantaggioso per la comunione o abbia soddisfatto una necessità della famiglia.
Ciascuno dei coniugi può richiedere la restituzione delle somme prelevate dal patrimonio personale ed impiegate in spese ed investimenti del patrimonio comune.
I rimborsi e le restituzioni si effettuano al momento dello scioglimento della comunione; tuttavia il giudice può autorizzarli in un momento anteriore se l’interesse della famiglia lo esige o lo consente.
Il coniuge che risulta creditore può chiedere di prelevare beni comuni sino a concorrenza del proprio credito. In caso di dissenso si applica il quarto comma. I prelievi si effettuano sul denaro, quindi sui mobili e infine sugli immobili.

Articolo è stato così sostituito dall’art 71 L. 19.05.1975, n. 151.

Art. 193. Separazione giudiziale dei beni.
La separazione giudiziale dei beni può essere pronunziata in caso di interdizione o di inabilitazione di uno dei coniugi o di cattiva amministrazione della comunione.
Può altresì essere pronunziata quando il disordine degli affari di uno dei coniugi o la condotta da questi tenuta nell’amministrazione dei beni mette in pericolo gli interessi dell’altro o della comunione o della famiglia, oppure quando uno dei coniugi non contribuisce ai bisogni di questa in misura proporzionale alle proprie sostanze e capacità di lavoro.
La separazione può essere chiesta da uno dei coniugi o dal suo legale rappresentante.
La sentenza che pronunzia la separazione retroagisce al giorno in cui è stata proposta la domanda ed ha l’effetto di instaurare il regime di separazione dei beni regolato nella sezione V del presente capo, salvi i diritti dei terzi.
La sentenza è annotata a margine dell’atto di matrimonio e sull’originale delle convenzioni matrimoniali.

Articolo è stato così sostituito dall’art 72 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 194. Divisione dei beni della comunione.
La divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti uguali l’attivo e il passivo.
Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l’usufrutto su una parte dei beni spettanti all’altro coniuge.

Articolo è stato così sostituito dall’art 73 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 195. Prelevamento dei beni mobili.
Nella divisione i coniugi o i loro eredi hanno diritto di prelevare i beni mobili che appartenevano ai coniugi stessi prima della comunione o che sono ad essi pervenuti durante la medesima per successione o donazione. In mancanza di prova contraria si presume che i beni mobili facciano parte della comunione.

Articolo è stato così sostituito dall’art 74 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 196. Ripetizione del valore in caso di mancanza delle cose da prelevare.
Se non si trovano i beni mobili che il coniuge o i suoi eredi hanno diritto di prelevare a norma dell’articolo precedente essi possono ripeterne il valore, provandone l’ammontare anche per notorietà, salvo che la mancanza di quei beni sia dovuta a consumazione per uso o perimento o per altra causa non imputabile all’altro coniuge.

Articolo è stato così sostituito dall’art 75 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 197. Limiti al prelevamento nei riguardi dei terzi.
Il prelevamento autorizzato dagli articoli precedenti non può farsi, a pregiudizio dei terzi, qualora la proprietà individuale dei beni non risulti da atto avente data certa. E’ fatto salvo al coniuge o ai suoi eredi il diritto di regresso sui beni della comunione spettanti all’altro coniuge nonché sugli altri beni di lui.

Articolo è stato così sostituito dall’art 76 L. 19.05.1975, n. 151.


Artt. 198- 209 (Abrogati)

Sezione IV Della comunione convenzionale

Art. 210. Modifiche convenzionali alla comunione legale dei beni.
I coniugi possono, mediante convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, modificare il regime della comunione legale dei beni purché i patti non siano in contrasto con le disposizioni dell’articolo 161.
I beni indicati alle lettere c), d) ed e) dell’articolo 179 non possono essere compresi nella comunione convenzionale.
Non sono derogabili le norme della comunione legale relative all’amministrazione dei beni della comunione e all’uguaglianza delle quote limitatamente ai beni che formerebbero oggetto della comunione legale.

Articolo è stato così sostituito dall’art 79 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 211. Obbligazioni dei coniugi contratte prima del matrimonio.
I beni della comunione rispondono delle obbligazioni contratte da uno dei coniugi prima del matrimonio limitatamente al valore dei beni di proprietà del coniuge stesso prima del matrimonio che, in base a convenzione stipulata a norma dell’articolo 162, sono entrati a far parte della comunione dei beni.

Articolo è stato così sostituito dall’art 80 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 212 – 214 (Abrogati)

Sezione V Del regime di separazione dei beni

Art. 215. Separazione dei beni.
I coniugi possono convenire che ciascuno di essi conservi la titolarità esclusiva dei beni acquistati durante il matrimonio.

Articolo è stato così sostituito dall’art 83 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 216. (Abrogato)

Art. 217. Amministrazione e godimento dei beni.
Ciascun coniuge ha il godimento e l’amministrazione dei beni di cui è titolare esclusivo.
Se ad uno dei coniugi è stata conferita la procura ad amministrare i beni dell’altro con l’obbligo di rendere conto dei frutti, egli è tenuto verso l’altro coniuge secondo le regole del mandato.
Se uno dei coniugi ha amministrato i beni dell’altro con procura senza l’obbligo di rendere conto dei frutti, egli ed i suoi eredi, a richiesta dell’altro coniuge o allo scioglimento o alla cessazione degli effetti civili del matrimonio, sono tenuti a consegnare i frutti esistenti e non rispondono per quelli consumati.
Se uno dei coniugi, nonostante l’opposizione dell’altro, amministra i beni di questo o comunque compie atti relativi a detti beni risponde dei danni e della mancata percezione dei frutti.

Articolo è stato così sostituito dall’art 85 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 218. Obbligazioni del coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge.
Il coniuge che gode dei beni dell’altro coniuge è soggetto a tutte le obbligazioni dell’usufruttuario.

Articolo è stato così sostituito dall’art 86 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 219. Prova della proprietà dei beni.
Il coniuge può provare con ogni mezzo nei confronti dell’altro la proprietà esclusiva di un bene.
I beni di cui nessuno dei coniugi può dimostrare la proprietà esclusiva sono di proprietà indivisa per pari quota di entrambi i coniugi.

Articolo è stato così sostituito dall’art 87 L. 19.05.1975, n. 151.


Art. 220 – 230 (Abrogati)

Sezione VI Dell’impresa familiare

Art. 230-bis. Impresa familiare.
Salvo che sia configurabile un diverso rapporto, il familiare che presta in modo continuativo la sua attività di lavoro nella famiglia o nell’impresa familiare ha diritto al mantenimento secondo la condizione patrimoniale della famiglia e partecipa agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, in proporzione alla quantità e qualità del lavoro prestato. Le decisioni concernenti l’impiego degli utili e degli incrementi nonché quelle inerenti alla gestione straordinaria, agli indirizzi produttivi e alla cessazione dell’impresa sono adottate, a maggioranza, dai familiari che partecipano all’impresa stessa. I familiari partecipanti all’impresa che non hanno la piena capacità di agire sono rappresentati nel voto da chi esercita la potestà su di essi.
Il lavoro della donna è considerato equivalente a quello dell’uomo.
Ai fini della disposizione di cui al primo comma si intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo; per impresa familiare quella cui collaborano il coniuge, i parenti entro il terzo grado, gli affini entro il secondo.
Il diritto di partecipazione di cui al primo comma è intrasferibile, salvo che il trasferimento avvenga a favore di familiari indicati nel comma precedente col consenso di tutti i partecipi. Esso può essere liquidato in danaro alla cessazione, per qualsiasi causa, della prestazione del lavoro, ed altresì in caso di alienazione dell’azienda. Il pagamento può avvenire in più annualità, determinate, in difetto di accordo, dal giudice.
In caso di divisione ereditaria o di trasferimento dell’azienda i partecipi di cui al primo comma hanno diritto di prelazione sull’azienda. Si applica, nei limiti in cui è compatibile, la disposizione dell’articolo 732.
Le comunioni tacite familiari nell’esercizio dell’agricoltura sono regolate dagli usi che non contrastino con le precedenti norme.

Articolo è stato così sostituito dall’art 89 L. 19.05.1975, n. 151.

 

Art. 230-ter. Diritti del convivente.

Al convivente di fatto che presti stabilmente la propria opera all’interno dell’impresa dell’altro convivente spetta una partecipazione agli utili dell’impresa familiare ed ai beni acquistati con essi nonché agli incrementi dell’azienda, anche in ordine all’avviamento, commisurata al lavoro prestato. Il diritto di partecipazione non spetta qualora tra i conviventi esista un rapporto di società o di lavoro subordinato.

Articolo aggiunto dall’art. 1, comma 46, L. 20.05.2016, n. 76 con decorrenza dal 05.06.2016.

 

Titolo VII – Dello stato di figlio
Capo I – Della presunzione di paternità

Art. 231. Paternità del marito.
Il marito è padre del figlio concepito o nato durante il matrimonio. (1) (2) (3)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) La rubrica del Titolo e del Capo cui appartiene il presente articolo è stata così modificata dall’art. 7 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente così disponeva: “LIBRO PRIMO. Delle persone e della famiglia – TITOLO SETTIMO. Della filiazione – CAPO PRIMO. Della filiazione legittima – SEZIONE PRIMA. Dello stato di figlio legittimo”.

(3) Articolo così sostituito dall’art. 8 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente prevedeva che: “Il marito è padre del figlio concepito durante il matrimonio.”



Art. 232. Presunzione di concepimento durante il matrimonio.
Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o della cessazione degli effetti civili del matrimonio. (3)

La presunzione non opera decorsi trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data della comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente. (1) (2)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 90 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 9 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: 

“Si presume concepito durante il matrimonio il figlio nato quando sono trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio e non sono ancora trascorsi trecento giorni dalla data dell’annullamento, dello scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio.”.


Art. 233. Nascita del figlio prima dei centottanta giorni. ABROGATO

[Il figlio nato prima che siano trascorsi centottanta giorni dalla celebrazione del matrimonio  è reputato legittimo se uno dei coniugi, o il figlio stesso, non ne disconoscono la paternità.] (1) (2) (3)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 91 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

 (3) Il presente articolo è stato abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 234. Nascita del figlio dopo i trecento giorni.
Ciascuno dei coniugi e i loro eredi possono provare che il figlio, nato dopo i trecento giorni dall’annullamento, dallo scioglimento o dalla cessazione degli effetti civili del matrimonio, è stato concepito durante il matrimonio.

Possono analogamente provare il concepimento durante la convivenza quando il figlio sia nato dopo i trecento giorni dalla pronuncia di separazione giudiziale, o dalla omologazione di separazione consensuale, ovvero dalla data di comparizione dei coniugi avanti al giudice quando gli stessi sono stati autorizzati a vivere separatamente nelle more del giudizio di separazione o dei giudizi previsti nel comma precedente.

In ogni caso il figlio può provare di essere stato concepito durante il matrimonio. (1) (2) (3)

(1) Articolo è stato così sostituito dall’art. 92 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Comma così sostituito dall’art. 10, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: “In ogni caso il figlio può proporre azione per reclamare lo stato di legittimo”.



Art. 235. Disconoscimento di paternità. ABROGATO

[L’azione per il disconoscimento di paternità del figlio concepito durante il matrimonio è consentita solo nei casi seguenti:

1) se i coniugi non hanno coabitato nel periodo compreso fra il trecentesimo ed il centottantesimo giorno prima della nascita;

2) se durante il tempo predetto il marito era affetto da impotenza, anche se soltanto di generare;

3) se nel detto periodo la moglie ha commesso adulterio o ha tenuto celata al marito la propria gravidanza e la nascita del figlio. In tali casi il marito è ammesso a provare che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibile con quello del presunto padre, o ogni altro fatto tendente ad escludere la paternità. (2)

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.

L’azione di disconoscimento può essere esercitata anche dalla madre o dal figlio che ha raggiunto la maggiore età in tutti i casi in cui può essere esercitata dal padre.] (1) (3) (4)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 93, L. 19.05.1975, n. 151.

(2) E’ costituzionalmente illegittimo l’art. 235, primo comma, numero 3, del codice civile, nella parte in cui, ai fini dell’azione di disconoscimento della paternità, subordina l’esame delle prove tecniche, da cui risulta “che il figlio presenta caratteristiche genetiche o del gruppo sanguigno incompatibili con quelle del presunto padre”, alla previa dimostrazione dell’adulterio della moglie (C. Cost. 06.07.2006, n. 266).

(3) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(4) Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.


Sezione II – Delle prove della filiazione (1)

(1) La rubrica del Titolo e del Capo cui appartiene il presente articolo è stata così modificata dall’art. 7 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva quanto segue: “LIBRO PRIMO. Delle persone e della famiglia – TITOLO SETTIMO. Della filiazione – CAPO PRIMO. Della filiazione legittima – SEZIONE SECONDA. Delle prove della filiazione legittima”.


Art. 236. Atto di nascita e possesso di stato.
La filiazione [legittima] si prova con l’atto di nascita iscritto nei registri dello stato civile. (2)

Basta, in mancanza di questo titolo, il possesso continuo dello stato di figlio [legittimo]. (2) (1)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 11 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 237. Fatti costitutivi del possesso di stato.
Il possesso di stato risulta da una serie di fatti che nel loro complesso valgono a dimostrare le relazioni di filiazioni e di parentela fra una persona e la famiglia a cui essa pretende di appartenere.

In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti:

che il genitore abbia trattato la persona come figlio ed abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, all’educazione e al collocamento di essa.

che la persona sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali.

che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia. (3) (1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Comma così sostituito dall’art. 12 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“In ogni caso devono concorrere i seguenti fatti:

che la persona abbia sempre portato il cognome del padre che essa pretende di avere;

che il padre l’abbia trattata come figlio e abbia provveduto in questa qualità al mantenimento, alla educazione e al collocamento di essa;

che sia stata costantemente considerata come tale nei rapporti sociali;

che sia stata riconosciuta in detta qualità dalla famiglia.”.

(3) E’ costituzionalmente illegittima la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno (C. cost. 21.12.2016, n. 286).


Art. 238. Atto di nascita conforme al possesso di stato.
Salvo quanto disposto dagli artt. 128, 234, 239, 240 e 244, nessuno può reclamare uno stato contrario a quello che gli attribuiscono l’atto di nascita di figlio legittimo e il possesso di stato conforme all’atto stesso. (4)

[Parimenti non si può contestare la legittimità di colui il quale ha un possesso di stato conforme all’atto di nascita.] (5)

(1) (2) (3) (4)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 94 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) La rubrica del presente articolo è stata così sostituita dall’art. 13 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente:”Atto di nascita conforme al possesso di stato”.

(4) Le parole “233, 234, 235 e 239” del presente comma sono state sostituite dalle seguenti “234, 239, 240 e 244” dall’art. 13 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 

(5) Comma abrogato dall’art. 13 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 239. Reclamo dello stato di figlio.
Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, il figlio può reclamare uno stato diverso.

L’azione di reclamo dello stato di figlio può essere esercitata anche da chi è nato nel matrimonio ma fu iscritto come figlio di ignoti, salvo che sia intervenuta sentenza di adozione.

L’azione può inoltre essere esercitata per reclamare uno stato di figlio conforme alla presunzione di paternità da chi è stato riconosciuto in contrasto con tale presunzione e da chi fu iscritto in conformità di altra presunzione di paternità.

L’azione può, altresì, essere esercitata per reclamare un diverso stato di figlio quando il precedente è stato comunque rimosso.

(1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 14 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva quanto segue:

“(Supposizione di parto o sostituzione di neonato). Qualora si tratti di supposizione di parto o di sostituzione di neonato, ancorché vi sia un atto di nascita conforme al possesso di stato, il figlio può reclamare uno stato diverso, dando la prova della filiazione anche a mezzo di testimoni nei limiti e secondo le regole dell’art. 241 .

Parimenti si può contestare la legittimità del figlio dando anche a mezzo di testimoni, nei limiti e secondo le regole sopra indicati, la prova della supposizione o della sostituzione predette”.


Art. 240. Contestazione dello stato di figlio.
Lo stato di figlio può essere contestato nei casi di cui al primo e secondo comma dell’articolo 239.

(1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 15 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“(Mancanza dell’atto di matrimonio). La legittimità del figlio di due persone, che hanno pubblicamente vissuto come marito e moglie e sono morte ambedue, non può essere contestata per il solo motivo che manchi la prova della celebrazione del matrimonio, qualora la stessa legittimità sia provata da un possesso di stato che non sia in opposizione con l’atto di nascita”.


Art. 241. Prova in giudizio.
Quando mancano l’atto di nascita e il possesso di stato, la prova della filiazione può darsi in giudizio con ogni mezzo.(3)

[Questa prova non può essere ammessa che quando vi è un principio di prova per iscritto  , ovvero quando le presunzioni e gli indizi sono abbastanza gravi da determinare l’ammissione della prova]. (4)

(1) (2) (3)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) La rubrica del presente articolo è stata così modificata dall’art. 16 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: “Prova con testimoni”.

(3) Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 16 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: 

“Prova con testimoni. Quando mancano l’atto di nascita e il possesso di stato, o quando il figlio fu iscritto sotto falsi nomi o come nato da genitori ignoti, la prova della filiazione può darsi col mezzo di testimoni.”.

(4) Comma abrogato dall’art. 16 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 242. Principio di prova per iscritto. ABROGATO
[Il principio di prova per iscritto risulta dai documenti di famiglia, dai registri e dalle carte private del padre o della madre, dagli atti pubblici e privati provenienti da una delle parti che sono impegnate nella controversia o da altra persona, che, se fosse in vita, avrebbe interesse nella controversia.]

(1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Il presente articolo è stato abrogato dall’art. 106 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.



Art. 243. Prova contraria. ABROGATO
[La prova contraria può darsi con tutti i mezzi atti a dimostrare che il reclamante non è figlio della donna che egli pretende di avere per madre, oppure che non è figlio del marito della madre, quando risulta provata la maternità.]

(1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Il presente articolo è stato abrogato dall’art. 106 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 243 Bis. Disconoscimento di paternità

L’azione di disconoscimento di paternità del figlio nato nel matrimonio può essere esercitata dal marito, dalla madre e dal figlio medesimo.

Chi esercita l’azione è ammesso a provare che non sussiste rapporto di filiazione tra il figlio e il presunto padre.

La sola dichiarazione della madre non esclude la paternità.

Il presente articolo è stato inserito dall’art. 17 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Sezione III – Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo dello stato di figlio

Art. 244. Termini dell’azione di disconoscimento.
L’azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio ovvero dal giorno in cui è venuta a conoscenza dell’impotenza di generare del marito al tempo del concepimento.

Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; se prova di aver ignorato la propria impotenza di generare ovvero l’adulterio della moglie al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza.

Se il marito non si trovava nel luogo in cui è nato il figlio il giorno della nascita il termine, di cui al secondo comma, decorre dal giorno del suo ritorno o dal giorno del ritorno nella residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia.

Nei casi previsti dal primo e dal secondo comma l’azione non può essere, comunque, proposta oltre cinque anni dal giorno della nascita.

L’azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio che ha raggiunto la maggiore età. L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

L’azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i quattordici anni ovvero del pubblico ministero o dell’altro genitore, quando si tratti di figlio di età inferiore.

(1) (2)

(1) Il presente articolo prima sostituito dall’art. 95 L. 19.05.1975, n. 151, poi modificato dall’ art. 81, L. 04.05.1983, n. 184 e dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo con sen. C.Cost. 02.05.1985 n. 134 e sen. C.Cost. 14.05.1999 n. 170 è stato da ultimo così sostituito dall’art. 18 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente dispone quanto segue:

“Dell’azione di disconoscimento e delle azioni di contestazione e di reclamo di legittimità.

L’azione di disconoscimento della paternità da parte della madre deve essere proposta nel termine di sei mesi dalla nascita del figlio. (1.1)

Il marito può disconoscere il figlio nel termine di un anno che decorre dal giorno della nascita quando egli si trovava al tempo di questa nel luogo in cui è nato il figlio; dal giorno del suo ritorno nel luogo in cui è nato il figlio o in cui è la residenza familiare se egli ne era lontano. In ogni caso, se egli prova di non aver avuto notizia della nascita in detti giorni, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto notizia. (1.2) (1.3)

L’azione di disconoscimento della paternità può essere proposta dal figlio, entro un anno dal compimento della maggiore età o dal momento in cui viene successivamente a conoscenza dei fatti che rendono ammissibile il disconoscimento.

L’azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto i sedici anni, o del pubblico ministero quando si tratta di minore di età inferiore.”.

(1.1) Comma dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 170/1999 in applicazione dell’art. 27 l. 11 marzo 1953, n. 87, “nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità, nell’ipotesi di impotenza solo di generare di cui al numero 2) dell’art. 235 dello stesso codice, decorra per la moglie dal giorno in cui essa sia venuta a conoscenza dell’impotenza di generare del marito.
(1.2) Il secondo Comma è stato altresì dichiarato costituzionalmente illegittimo con sentenza 134/1985 “nella parte in cui non dispone, per il caso previsto dal n. 3 dell’art. 235 dello stesso codice, che il termine dell’azione di disconoscimento decorra dal giorno in cui il marito sia venuto a conoscenza dell’adulterio della moglie.

(1.3) La stessa Corte ha inoltre dichiarato l’illegittimità costituzionale di questo comma, con sentenza n. 170/1999, “nella parte in cui non prevede che il termine per la proposizione dell’azione di disconoscimento della paternità, nell’ipotesi di impotenza solo di generare, contemplata nel numero 2) dell’art. 235 dello stesso codice, decorra per il marito dal giorno in cui esso sia venuto a conoscenza della propria impotenza di generare.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.



Art. 245. Sospensione del termine.
Se la parte interessata a promuovere l’azione di disconoscimento di paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, la decorrenza del termine indicato nell’articolo 244 è sospesa nei suoi confronti, sino a che duri lo stato di interdizione o durino le condizioni di abituale grave infermità di mente.

Quando il figlio si trova in stato di interdizione ovvero versa in condizioni di abituale grave infermità di mente, che lo renda incapace di provvedere ai propri interessi, l’azione può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del pubblico ministero, del tutore, o dell’altro genitore. Per gli altri legittimati l’azione può essere proposta dal tutore o, in mancanza di questo, da un curatore speciale, previa autorizzazione del giudice.

(1) (2)

(1) Il presente articolo prima sostituito dall’art. 96 L. 19.05.1975, n. 151 poi dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo con sen. C.cost. 25.11.2011, n. 322 è stato da ultimo così sostituito dall’art. 19, comma 1, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva quanto segue:

“Se la parte interessata a promuovere l’azione di disconoscimento della paternità si trova in stato di interdizione per infermità di mente , la decorrenza del termine indicato nell’articolo precedente è sospesa , nei suoi confronti, sino a che dura lo stato di interdizione. L’azione può tuttavia essere promossa dal tutore”.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.


Art. 246. Trasmissibilità dell’azione.
Se il presunto padre o la madre titolari dell’azione di disconoscimento di paternità sono morti senza averla promossa, ma prima che sia decorso il termine previsto dall’articolo 244, sono ammessi ad esercitarla in loro vece i discendenti o gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre, o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

Se il figlio titolare dell’azione di disconoscimento di paternità è morto senza averla promossa sono ammessi ad esercitarla in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di un anno che decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.

Si applicano il sesto comma dell’articolo 244 e l’articolo 245.

(1) (2)

(1) Articolo così sostituito prima dall’art. 97 L. 19.05.1975, n. 151 e poi dall’art. 19, comma 2, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva quanto segue:

“Se il titolare dell’azione di disconoscimento della paternità muore senza averla promossa, ma prima che ne sia decorso il termine, sono ammessi ad esercitarla in sua vece:

1) nel caso di morte del presunto padre o della madre, i discendenti e gli ascendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del presunto padre o della madre, o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo;

2) nel caso di morte del figlio, il coniuge o i discendenti; il nuovo termine decorre dalla morte del figlio o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti.”.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.


Art. 247. Legittimazione passiva.
Il presunto padre, la madre ed il figlio sono litisconsorti necessari nel giudizio di disconoscimento.

Se una delle parti è minore o interdetta, l’azione è proposta in contraddittorio con un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso.

Se una delle parti è un minore emancipato o un maggiore inabilitato, l’azione è proposta contro la stessa assistita da un curatore parimenti nominato dal giudice.

Se il presunto padre o la madre o il figlio sono morti, l’azione si propone nei confronti delle persone indicate nell’articolo precedente o, in loro mancanza, nei confronti di un curatore parimenti nominato dal giudice. (1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 98, L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.


Art. 248. Legittimazione all’azione di contestazione dello stato di figlio. Imprescrittibilità.
L’azione di contestazione dello stato di figlio spetta a chi dall’atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse. (4)

L’azione è imprescrittibile .

Quando l’azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci , si osservano le disposizioni dell’articolo precedente.

Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori.

Si applicano il sesto comma dell’articolo 244 e il secondo comma dell’articolo 245. (5)

(1) (2) (3) (4)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 99 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) La rubrica del presente articolo è stata così sostituita dall’art. 20 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: “Legittimazione all’azione di contestazione della legittimità”.

(4) Comma è stato così sostituito dall’art. 20 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“L’azione per contestare la legittimità spetta a chi dall’atto di nascita del figlio risulti suo genitore e a chiunque vi abbia interesse.”.

(5) Comma aggiunto dall’art. 20 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 249. Legittimazione all’azione di reclamo dello stato di figlio. Imprescrittibilità

L’azione per reclamare lo stato di figlio spetta al medesimo.

L’azione è imprescrittibile.

Quando l’azione è proposta nei confronti di persone premorte o minori o altrimenti incapaci, si osservano le disposizioni dell’articolo 247.

Nel giudizio devono essere chiamati entrambi i genitori.

Si applicano il sesto comma dell’articolo 244 e il secondo comma dell’articolo 245.

(1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 21 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che:

“(Reclamo della legittimità). L’azione per reclamare lo stato legittimo spetta al figlio; ma, se egli non l’ha promossa ed è morto in età minore o nei cinque anni dopo aver raggiunto la maggiore età , può essere promossa dai discendenti di lui.

Essa deve essere proposta contro entrambi i genitori, e, in loro mancanza, contro i loro eredi. L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio”.


LIBRO PRIMO. Delle persone e della famiglia

TITOLO SETTIMO. Dello stato di figlio

CAPO QUARTO. Del riconoscimento dei figli nati fuori dal matrimonio


Art. 250. Riconoscimento.

Il figlio nato fuori del matrimonio può essere riconosciuto, nei modi previsti dall’articolo 254, dalla madre e dal padre, anche se già uniti in matrimonio con altra persona all’epoca del concepimento. Il riconoscimento può avvenire tanto congiuntamente quanto separatamente.

Il riconoscimento del figlio che ha compiuto i quattordici anni anni non produce effetto senza il suo assenso.

Il riconoscimento del figlio che non ha compiuto i quattordici anni non può avvenire senza il consenso dell’altro genitore che abbia già effettuato il riconoscimento.

Il consenso non può essere rifiutato se risponde all’interesse del figlio. Il genitore che vuole riconoscere il figlio, qualora il consenso dell’altro genitore sia rifiutato, ricorre al giudice competente il quale, assunta ogni opportuna informazione e disposto l’ascolto del minore, adotta eventuali provvedimenti temporanei e urgenti al fine di instaurare la relazione, salvo che la difesa del convenuto non sia palesemente fondata. Con la sentenza che tiene luogo del consenso mancante, il giudice adotta i provvedimenti opportuni in relazione all’affidamento e al mantenimento del minore ai sensi dell’articolo 315-bis e al suo cognome ai sensi dell’articolo 262.

Il riconoscimento non può essere fatto dai genitori che non abbiano compiuto il sedicesimo anno di età, salvo che il giudice li autorizzi, valutate le circostanze e avuto riguardo all’interesse del figlio.

     
Art. 251. Autorizzazione al riconoscimento.
Il figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, può essere riconosciuto previa autorizzazione del giudice avuto riguardo all’interesse del figlio e alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.

Il riconoscimento di una persona minore di età è autorizzato dal giudice. (3)

(1) (2)

(1) Articolo così sostituito prima dall’art. 103 L. 19.05.1975, n. 151 e poi dall’art. 1, comma 3, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013. Il testo previgente disponeva quanto segue:

“(Riconoscimento di figli incestuosi). – I figli nati da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela anche soltanto naturale, in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado , ovvero un vincolo di affinità in linea retta, non possono essere riconosciuti dai loro genitori, salvo che questi al tempo del concepimento ignorassero il vincolo esistente tra di loro o che sia stato dichiarato nullo il matrimonio da cui deriva l’ affinità. Quando uno solo dei genitori è stato in buona fede, il riconoscimento del figlio può essere fatto solo da lui.

Il riconoscimento è autorizzato dal giudice , avuto riguardo all’interesse del figlio ed alla necessità di evitare allo stesso qualsiasi pregiudizio.”

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Le parole “tribunale per i minorenni” del presente comma sono state sostituite dalle seguenti “giudice” dall’art. 22 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 252. Affidamento del figlio nato fuori del matrimonio e suo inserimento nella famiglia del genitore.

Qualora il figlio nato fuori del matrimonio di uno dei coniugi sia riconosciuto durante il matrimonio il giudice, valutate le circostanze, decide in ordine all’affidamento del minore e adotta ogni altro provvedimento a tutela del suo interesse morale e materiale. (4)

L’eventuale inserimento del figlio nato fuori del matrimonio nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all’interesse del minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge convivente e degli altri figli che abbiano compiuto il sedicesimo anno di età e siano conviventi, nonché dell’altro genitore che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni cui ciascun genitore deve attenersi. (5)

Qualora il figlio [naturale] sia riconosciuto anteriormente al matrimonio, il suo inserimento nella famiglia [legittima] è subordinato al consenso dell’altro coniuge, a meno che il figlio fosse già convivente con il genitore all’atto del matrimonio o l’altro coniuge conoscesse l’esistenza del figlio [naturale]. (6)

E’ altresì richiesto il consenso dell’altro genitore [naturale] che abbia effettuato il riconoscimento. (6)

In caso di disaccordo tra i genitori, ovvero di mancato consenso degli altri figli conviventi, la decisione è rimessa al giudice tenendo conto dell’interesse dei minori. Prima dell’adozione del provvedimento, il giudice dispone l’ascolto dei figli minori che abbiano compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capaci di discernimento. (7)

(1) (2) (3)

(1) Articolo così sostituito dall’art 104 L. 19 .05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) La rubrica del presente articolo è stata così sostituita dall’art. 23 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: “Affidamento del figlio naturale e suo inserimento nella famiglia legittima”.

(4) La parola “naturale” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti “nato fuori del matrimonio” dall’art. 23 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(5) Il presente comma è stato così modificato dall’art. 23 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: 

“L’eventuale inserimento del figlio naturale nella famiglia legittima di uno dei genitori può essere autorizzato dal giudice qualora ciò non sia contrario all’interesse del minore e sia accertato il consenso dell’altro coniuge e dei figli legittimi che abbiano compiuto il sedicesimo anno di et e siano conviventi, nonché dell’altro genitore naturale che abbia effettuato il riconoscimento. In questo caso il giudice stabilisce le condizioni che il genitore cui il figlio è affidato deve osservare e quelle cui deve attenersi l’altro genitore.”.

(6) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 23 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(7) Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 23 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 253. Inammissibilità del riconoscimento.
In nessun caso è ammesso un riconoscimento in contrasto con lo stato di figlio [legittimo o legittimato] in cui la persona si trova. (2)

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art 105 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 24 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 254. Forma del riconoscimento.
Il riconoscimento del figlio nato fuori del matrimonio è fatto nell’atto di nascita, oppure con una apposita dichiarazione, posteriore alla nascita o al concepimento, davanti ad un ufficiale dello stato civile [o davanti al giudice tutelare] o in un atto pubblico o in un testamento , qualunque sia la forma di questo. (1) (4)

[La domanda di legittimazione di un figlio naturale presentata al giudice o la dichiarazione della volontà di legittimarlo espressa dal genitore in un atto pubblico o in un testamento importa riconoscimento, anche se la legittimazione non abbia luogo.] (5)

(2) (3)

(1) Le parole ” o davanti al giudice tutelare”, citate nel presente comma, sono state soppresse ai sensi del D.Lgs. 19.02.1998 n. 51 in vigore dal 21.03.98 con effetto dal 02.06.99.

(2) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art 106 L. 19.05.1975, n. 151.

(3) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(4) La parola “naturale” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti “nato fuori del matrimonio” dall’art. 25 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(5) Il presente comma è stato abrogato dall’art. 25 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.



Art. 255. Riconoscimento di un figlio premorto.
Può anche aver luogo il riconoscimento del figlio premorto in favore dei suoi discendenti [legittimi e dei suoi figli naturali riconosciuti]. (2)

(1)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 26 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 256. Irrevocabilità del riconoscimento.
Il riconoscimento è irrevocabile. Quando è contenuto in un testamento ha effetto dal giorno della morte del testatore, anche se il testamento è stato revocato.

(1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 107 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.


Art. 257. Clausole limitatrici.
È nulla ogni clausola diretta a limitare gli effetti del riconoscimento.

Art. 258. Effetti del riconoscimento.
Il riconoscimento produce effetti riguardo al genitore da cui fu fatto e riguardo ai parenti di esso. (2)

L’atto di riconoscimento di uno solo dei genitori non può contenere indicazioni relative all’altro genitore. Queste indicazioni, qualora siano state fatte, sono senza effetto.

Il pubblico ufficiale che le riceve e l’ufficiale dello stato civile che le riproduce sui registri dello stato civile sono puniti con l’ammenda [ora: sanzione amministrativa] da euro 20 a euro 82. Le indicazioni stesse devono essere cancellate.

(1)

(1) Articolo sostituito dall’art 108 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Comma così sostituito dall’art. 1, comma 4, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.  Il testo previgente disponeva che: “Il riconoscimento non produce effetti che riguardo al genitore da cui fu fatto, salvo i casi previsti dalla legge”.


Art. 259 – 260 (ABROGATI)

Art. 261. Diritti e doveri derivanti al genitore dal riconoscimento. ABROGATO
[Il riconoscimento comporta da parte del genitore l’assunzione di tutti i doveri e di tutti i diritti che egli ha nei confronti dei figli legittimi].

Articolo abrogato dall’art. 106, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.

Art. 262. Cognome del figlio nato fuori del matrimonio.

Il figlio assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio assume il cognome del padre. (5)

Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio può assumere il cognome del padre aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo a quello della madre.

Se la filiazione nei confronti del genitore è stata accertata o riconosciuta successivamente all’attribuzione del cognome da parte dell’ufficiale dello stato civile, si applica il primo e il secondo comma del presente articolo; il figlio può mantenere il cognome precedentemente attribuitogli, ove tale cognome sia divenuto autonomo segno della sua identità personale, aggiungendolo, anteponendolo o sostituendolo al cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto o al cognome dei genitori in caso di riconoscimento da parte di entrambi.

Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del genitore, previo ascolto del figlio minore, che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento.

(1) (2) (3) (4) 

(1) Il presente articolo, prima sostituito dall’art. 111, L. 19.05.1975, n. 151, poi dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo con sen. C. cost. 23.07.1996, n. 297 è stato da ultimo così modificato dall’art. 27, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che:

“Il figlio naturale assume il cognome del genitore che per primo lo ha riconosciuto. Se il riconoscimento è stato effettuato contemporaneamente da entrambi i genitori il figlio naturale assume il cognome del padre.

Se la filiazione nei confronti del padre è stata accertata o riconosciuta successivamente al riconoscimento da parte della madre, il figlio naturale può assumere il cognome del padre aggiungendolo o sostituendolo a quello della madre.

Nel caso di minore età del figlio, il giudice decide circa l’assunzione del cognome del padre.”

(2) Ai sensi dell’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(4) La rubrica del presente articolo è stata così modificata dall’art. 27, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: “Cognome del figlio”.

(5) E’ costituzionalmente illegittima la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno (C. Cost. 21.12.2016, n. 286).

(6) E’ costituzionalmente illegittimo in via consequenziale, ai sensi dell’art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale), l’art. 262, primo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai genitori, di comune accordo, di trasmettere al figlio, al momento della nascita, anche il cognome materno. (C. Cost. 21.12.2016, n. 286).


Art. 263. Impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità.
Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse.

L’azione è imprescrittibile riguardo al figlio.

L’azione di impugnazione da parte dell’autore del riconoscimento deve essere proposta nel termine di un anno che decorre dal giorno dell’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. Se l’autore del riconoscimento prova di aver ignorato la propria impotenza al tempo del concepimento, il termine decorre dal giorno in cui ne ha avuto conoscenza; nello stesso termine, la madre che abbia effettuato il riconoscimento è ammessa a provare di aver ignorato l’impotenza del presunto padre. L’azione non può essere comunque proposta oltre cinque anni dall’annotazione del riconoscimento.

L’azione di impugnazione da parte degli altri legittimati deve essere proposta nel termine di cinque anni che decorrono dal giorno dall’annotazione del riconoscimento sull’atto di nascita. Si applica l’articolo 245. 

(1) (2)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(2) Articolo così sostituito dall’art. 28 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che:

“Il riconoscimento può essere impugnato per difetto di veridicità dall’autore del riconoscimento, da colui che è stato riconosciuto e da chiunque vi abbia interesse.

L’impugnazione è ammessa anche dopo la legittimazione . L’azione è imprescrittibile .”


Art. 264. Impugnazione da parte del figlio minore.
L’impugnazione del riconoscimento per difetto di veridicità può essere altresì promossa da un curatore speciale nominato dal giudice, assunte sommarie informazioni, su istanza del figlio minore che ha compiuto quattordici anni, ovvero del pubblico ministero o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio, quando si tratti di figlio di età inferiore.”. 

(1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’art 112 L. 19.05.1975, n. 151. e successivamente dall’art. 29 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che:

“(Impugnazione da parte del riconosciuto). Colui che è stato riconosciuto non può, durante la minore età o lo stato d’interdizione per infermità di mente, impugnare il riconoscimento.

Tuttavia il giudice, con provvedimento in camera di consiglio su istanza del pubblico ministero o del tutore o dell’altro genitore che abbia validamente riconosciuto il figlio o del figlio stesso che abbia compiuto il sedicesimo anno di età, può dare l’autorizzazione per impugnare il riconoscimento, nominando un curatore speciale.”.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.


Art. 265. Impugnazione per violenza.
Il riconoscimento può essere impugnato per violenza dall’autore del riconoscimento entro un anno dal giorno in cui la violenza è cessata.

Se l’autore del riconoscimento è minore, l’azione può essere promossa entro un anno dal conseguimento dell’età maggiore.

(1)

(1) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.


Art. 266. Impugnazione del riconoscimento per effetto di interdizione giudiziale.
Il riconoscimento può essere impugnato per l’incapacità che deriva da interdizione giudiziale dal rappresentante dell’interdetto e, dopo la revoca dell’interdizione, dall’autore del riconoscimento, entro un anno dalla data della revoca.

Art. 267. Trasmissibilità dell’azione.
Nei casi indicati dagli artt. 265 e 266, se l’autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l’azione, ma prima che sia scaduto il termine, l’azione può essere promossa dai discendenti, dagli ascendenti o dagli eredi.

Nel caso indicato dal primo comma dell’articolo 263, se l’autore del riconoscimento è morto senza aver promosso l’azione, ma prima che sia decorso il termine previsto dal terzo comma dello stesso articolo, sono ammessi ad esercitarla in sua vece i discendenti o gli ascendenti, entro un anno decorrente dalla morte dell’autore del riconoscimento o dalla nascita del figlio se si tratta di figlio postumo o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti. (1)

Se il figlio riconosciuto è morto senza aver promosso l’azione di cui all’articolo 263, sono ammessi ad esercitarla in sua vece il coniuge o i discendenti nel termine di un anno che decorre dalla morte del figlio riconosciuto o dal raggiungimento della maggiore età da parte di ciascuno dei discendenti. (1)

La morte dell’autore del riconoscimento o del figlio riconosciuto non impedisce l’esercizio dell’azione da parte di coloro che ne hanno interesse, nel termine di cui al quarto comma dell’articolo 263. (1)

Si applicano il sesto comma dell’articolo 244 e l’articolo 245. (1)

(1) Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 30, comma 1, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 268. Provvedimenti in pendenza del giudizio.
Quando è impugnato il riconoscimento, il giudice può dare, in pendenza del giudizio, i provvedimenti che ritenga opportuni nell’interesse del figlio.

Paragrafo  2 – Della dichiarazione giudiziale della paternità e della maternità naturale

Art. 269. Dichiarazione giudiziale di paternità e maternità.
La paternità e la maternità naturale possono essere giudizialmente dichiarate nei casi in cui il riconoscimento è ammesso.
La prova della paternità e della maternità può essere data con ogni mezzo.
La maternità è dimostrata provando la identità di colui che si pretende essere figlio e di colui che fu partorito dalla donna, la quale si assume essere madre.
La sola dichiarazione della madre e la sola esistenza di rapporti tra la madre e il preteso padre all’epoca del concepimento non costituiscono prova della paternità [naturale]. (2)

(1)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art 113 L. 19.058.1975, n. 151.

(2) La parola del presente comma riportata tra parentesi quadre è stata soppressa dall’art. 30 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 270. Legittimazione attiva e termine.
L’azione per ottenere che sia dichiarata giudizialmente la paternità o la maternità [naturale] è imprescrittibile riguardo al figlio. (2)

Se il figlio muore prima di avere iniziato l’azione, questa può essere promossa dai discendenti [legittimi, legittimati o naturali riconosciuti], entro due anni dalla morte. (2)

L’azione promossa dal figlio, se egli muore, può essere proseguita dai discendenti legittimi, legittimati o naturali riconosciuti.

Si applica l’articolo 245. (3)

(1) 

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art 114 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 31 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(3) Il presente comma è stato aggiunto dall’art. 31 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Artt. 271 272 (Abrogati).


Art. 273. Azione nell’interesse del minore o dell’interdetto.
L’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità può essere promossa, nell’interesse del minore, dal genitore che esercita la responsabilità genitoriale prevista dall’art. 316 o dal tutore . Il tutore però deve chiedere l’autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale. (2)

Occorre il consenso del figlio per promuovere o per proseguire l’azione se egli ha compiuto l’età di quattordici anni. (3)

Per l’interdetto l’azione può essere promossa dal tutore previa autorizzazione del giudice.

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 116 L. 19.05.1975 n. 151.

(2) Comma così modificato dall’art. 32 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“L’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità naturale può essere promossa, nell’interesse del minore, dal genitore che esercita la potestà prevista dall’art. 316 o dal tutore . Il tutore però deve chiedere l’autorizzazione del giudice, il quale può anche nominare un curatore speciale”.

(3) La parola “sedici” del presente comma è stata sostituita dalla parola “quattordici” ai sensi dell’art. 32 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 274. Ammissibilità dell’azione.
L’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità naturale è ammessa solo quando concorrono specifiche circostanze tali da farla apparire giustificata. (1) (3)

Sull’ammissibilità il tribunale decide in camera di consiglio con decreto motivato, su ricorso di chi intende promuovere l’azione, sentiti il pubblico ministero e le parti e assunte le informazioni del caso. Contro il decreto si può proporre reclamo con ricorso alla Corte d’appello, che pronuncia anche essa in camera di consiglio.

L’inchiesta sommaria compiuta dal tribunale ha luogo senza alcuna pubblicità e deve essere mantenuta segreta. Al termine dell’inchiesta gli atti e i documenti della stessa sono depositati in cancelleria ed il cancelliere deve darne avviso alle parti le quali, entro quindici giorni dalla comunicazione di detto avviso, hanno facoltà di esaminarli e di depositare memorie illustrative.

Il tribunale, anche prima di ammettere l’azione, può, se trattasi di minore o d’altra persona incapace, nominare un curatore speciale che la rappresenti in giudizio.

(2) (4) (5) (6)

(1) E’ costituzionalmente illegittimo il presente comma nella parte in cui, se si tratta di minore infrasedicenne, non prevede che l’ azione promossa dal genitore esercente la potestà sia ammessa solo quando sia ritenuta dal giudice rispondente all’interesse del figlio (C. cost. 20.07.1990 n. 341).

(2) Articolo così sostituito dall’art 2 L. 23.11.1971, n. 1047.

(3) Comma così sostituito dall’art 117 L. 19.05.1975, n. 151.

(4) E’ costituzionalmente illegittimo l’articolo 274 del codice civile (C. Cost. 10.02.2006, n. 50).


Art. 275. (Abrogato)

Art. 276. Legittimazione passiva.
La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità [naturale] deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in sua mancanza, nei confronti dei suoi eredi. In loro mancanza, la domanda deve essere proposta nei confronti di un curatore nominato dal giudice davanti al quale il giudizio deve essere promosso. (2)

Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse.

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 1, comma 5, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.  Il testo previgente disponeva che: “La domanda per la dichiarazione di paternità o di maternità naturale deve essere proposta nei confronti del presunto genitore o, in mancanza di lui, nei confronti dei suoi eredi. Alla domanda può contraddire chiunque vi abbia interesse”.

(2) La parola del presente comma riportata tra parentesi quadre è stata soppressa dall’art. 33 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Art. 277. Effetti della sentenza.
La sentenza che dichiara la filiazione [naturale] produce gli effetti del riconoscimento . (3)

Il giudice può anche dare i provvedimenti che stima utili per l’affidamento, il mantenimento, l’istruzione e l’educazione del figlio e per la tutela degli interessi patrimoniali di lui. (4)

(1) (2)

(1) Comma così sostituito dall’art 119 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Ai sensi dall’art. 1, comma 11, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013, nel Codice Civile le parole “figli legittimi” e “figli naturali”, ovunque ricorrono, sono sostituite dalla parole “figli”.

(3) La parola del presente comma riportata tra parentesi quadre è stata soppressa dall’art. 34 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(4) La parola “l’affidamento,” del presente comma è stata inserita dall’art. 34 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 278. Autorizzazione all’azione.
Nei casi di figlio nato da persone, tra le quali esiste un vincolo di parentela in linea retta all’infinito o in linea collaterale nel secondo grado, ovvero un vincolo di affinità in linea retta, l’azione per ottenere che sia giudizialmente dichiarata la paternità o la maternità non può essere promossa senza previa autorizzazione ai sensi dell’articolo 251.

(1)

(1) Articolo prima sostituito dall’art 120 L. 19.05.1975, n. 151, poi dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo con sen. C.Cost. 28.11.2002, n. 494 e da ultimo così sostituito dall’art. 35 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“(Indagini sulla paternità o maternità). Le indagini sulla paternità o sulla maternità non sono ammesse nei casi in cui, a norma dell’art. 251, il riconoscimento dei figli incestuosi è vietato.

Possono essere ammesse dal giudice quando vi è stato ratto o violenza carnale nel tempo che corrisponde a quello del concepimento.”

 

Art. 279. Responsabilità per il mantenimento e l’educazione.
In ogni caso in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità, il figlio nato fuori del matrimonio può agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Il figlio nato fuori del matrimonio se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti a condizione che il diritto al mantenimento di cui all’articolo 315-bis , sia venuto meno. (2)

L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell’articolo 251. (3)

L’azione può essere promossa nell’interesse del figlio minore da un curatore speciale nominato dal giudice su richiesta del pubblico ministero o del genitore che esercita la responsabilità genitoriale. (4)

(1)

(1) Articolo sostituito dall’art 121 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Comma così modificato dall’art. 36 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“In ogni caso in cui non può proporsi l’azione per la dichiarazione giudiziale di paternità o di maternità , il figlio naturale può agire per ottenere il mantenimento, l’istruzione e l’educazione. Il figlio naturale se maggiorenne e in stato di bisogno può agire per ottenere gli alimenti”.

(3) Comma così sostituito dall’art. 36 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“L’azione è ammessa previa autorizzazione del giudice ai sensi dell’art. 274”.

(4) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 36 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Sezione II – Della legittimazione dei figli naturali

Art. 280. Legittimazione. ABROGATO
(La legittimazione attribuisce a colui che è nato fuori del matrimonio la qualità di figlio legittimo.
Essa avviene per susseguente matrimonio dei genitori del figlio naturale o per provvedimento del giudice).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 281. Divieto di legittimazione. ABROGATO
(Non possono essere legittimati i figli che non possono essere riconosciuti).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 282. Legittimazione di figli premorti. ABROGATO
(La legittimazione dei figli premorti può anche aver luogo in favore dei loro discendenti legittimi e dei loro figli naturali riconosciuti).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 283. Effetti e decorrenza della legittimazione per susseguente matrimonio. ABROGATO
(I figli legittimati per susseguente matrimonio acquistano i diritti dei figli legittimi dal giorno del matrimonio, se sono stati riconosciuti da entrambi i genitori nell’atto di matrimonio o anteriormente, oppure dal giorno del riconoscimento se questo è avvenuto dopo il matrimonio).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 284. Legittimazione per provvedimento del giudice. ABROGATO
(La legittimazione può essere concessa con provvedimento del giudice soltanto se corrisponde agli interessi del figlio ed inoltre se concorrono le seguenti condizioni:
1) che sia domandata dai genitori stessi o da uno di essi e che il genitore abbia compiuto l’età indicata nel quinto comma dell’articolo 250;
2) che per il genitore vi sia l’impossibilità o un gravissimo ostacolo a legittimare il figlio per susseguente matrimonio;
3) che vi sia l’assenso dell’altro coniuge se il richiedente è unito in matrimonio e non è legalmente separato;
4) che vi sia il consenso del figlio legittimando se ha compiuto gli anni sedici, o dell’altro genitore o del curatore speciale, se il figlio è minore degli anni sedici, salvo che il figlio sia già riconosciuto.
La legittimazione può essere chiesta anche in presenza di figli legittimi o legittimati. In tal caso il presidente del tribunale deve ascoltare i figli legittimi o legittimati, se di età superiore ai sedici anni).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 285. Condizioni per la legittimazione dopo la morte dei genitori. ABROGATO
(Se uno dei genitori ha espresso in un testamento o in un atto pubblico la volontà di legittimare i figli naturali, questi possono, dopo la morte di lui, domandare la legittimazione se sussisteva la condizione prevista nel numero 2) dell’articolo precedente.
In questo caso la domanda deve essere comunicata agli ascendenti, discendenti e coniuge o, in loro mancanza, a due tra i prossimi parenti del genitore entro il quarto grado).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 286. Legittimazione domandata dallo ascendente. ABROGATO
(La domanda di legittimazione di un figlio naturale riconosciuto può in caso di morte del genitore essere fatta da uno degli
ascendenti legittimi di lui, se il genitore non ha comunque espressa una volontà in contrasto con quella di legittimare).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 287. Legittimazione in base alla procura per il matrimonio. ABROGATO
(Nei casi in cui è consentito di celebrare il matrimonio per procura, quando concorrono le condizioni per la legittimazione per susseguente matrimonio la legittimazione dei figli naturali con provvedimento del giudice può essere domandata in base alla procura a contrarre il matrimonio, se questo non poté essere celebrato per la sopravvenuta morte del mandante.
Quando i figli non sono stati riconosciuti, per domandarne la legittimazione è necessario che dalla procura risulti la volontà di riconoscerli o di legittimarli).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 288. Procedura. ABROGATO
(La domanda di legittimazione accompagnata dai documenti giustificativi deve essere diretta al presidente del tribunale nella cui circoscrizione il richiedente ha la residenza.
Il tribunale, sentito il pubblico ministero, accerta la sussistenza delle condizioni stabilite negli articoli precedenti e delibera, in camera di consiglio, sulla domanda di legittimazione.
Il pubblico ministero e la parte possono, entro venti giorni dalla comunicazione, proporre reclamo alla corte d’appello. Questa, richiamati gli atti dal tribunale, delibera in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.
In ogni caso la sentenza che accoglie la domanda è annotata in calce all’atto di nascita del figlio).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 289. Azioni esperibili dopo la legittimazione. ABROGATO
(La legittimazione per provvedimento del giudice non impedisce l’azione ordinaria per la contestazione dello stato di figlio legittimato per la mancanza delle condizioni indicate nel numero 1) dell’articolo 284, negli articoli 285, 286 e 287, ferma restando la disposizione dell’articolo 263.
Se manca la condizione indicata nel numero 3) dell’articolo 284 la contestazione può essere promossa soltanto dal coniuge del quale è mancato l’assenso).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

Art. 290. Effetti e decorrenza della legittimazione per provvedimento del giudice. ABROGATO
(La legittimazione per provvedimento del giudice produce gli stessi effetti della legittimazione per susseguente matrimonio, ma soltanto dalla data del provvedimento e nei confronti del genitore riguardo al quale la legittimazione è stata concessa.
Se il provvedimento interviene dopo la morte del genitore, gli effetti risalgono alla data della morte, purché la domanda di legittimazione non sia stata presentata dopo un anno da tale data).

Articolo abrogato dall’art. 1, comma 10, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

 

Titolo VIII – Dell’adozione di persone maggiori di età
Capo I – Dell’adozione di persone maggiori di età e dei suoi effetti.

Art. 291. Condizioni.
L’adozione è permessa alle persone che non hanno discendenti legittimi o legittimati, che hanno compiuto gli anni trentacinque e che superano almeno di diciotto anni l’età di coloro che essi intendono adottare.
Quando eccezionali circostanze lo consigliano, il tribunale può autorizzare l’adozione se l’adottante ha raggiunto almeno l’età di trent’anni, ferma restando la differenza di età di cui al comma precedente.

La Corte costituzionale con sentenza 19 maggio 1988, n. 557 ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente articolo “nella parte in cui non consente l’adozione a persone che abbiano discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti”.

La stessa Corte costituzionale con sentenza 245/2004 ha dichiarato ilegittimo questo articolo “nella parte in cui non prevede che l’adozione di maggiorenni non possa essere pronunciata in presenza di figli naturali, riconosciuti dall’adottante, minorenni o, se maggiorenni, non consenzienti.

Art. 292. Abrogato

Art. 293. Divieto d’adozione di figli.
I figli non possono essere adottati dai loro genitori.

Le parole “nati fuori del matrimonio” nella rubrica e nel presente comma sono state soppresse dall’art. 37 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

Art. 294. Pluralità di adottati o di adottanti.
È ammessa l’adozione di più persone, anche con atti successivi.
Nessuno può essere adottato da più di una persona, salvo che i due adottanti siano marito e moglie.

Art. 295. Adozione da parte del tutore.
Il tutore non può adottare la persona della quale ha avuto la tutela, se non dopo che sia stato approvato il conto della sua amministrazione, sia stata fatta la consegna dei beni e siano state estinte le obbligazioni risultanti a suo carico o data idonea garanzia per il loro adempimento.

Art. 296. Consenso per l’adozione.
Per l’adozione si richiede il consenso dell’adottante e dell’adottando.

Art. 297. Assenso del coniuge o dei genitori.

Per l’adozione è necessario l’assenso dei genitori dell’adottando e l’assenso del coniuge dell’adottante e dell’adottando, se coniugati e non legalmente separati.

Quando è negato l’assenso previsto dal primo comma, il tribunale, sentiti gli interessati, su istanza dell’adottante, può, ove ritenga il rifiuto ingiustificato o contrario all’interesse dell’adottando, pronunziare ugualmente l’adozione, salvo che si tratti dell’assenso dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del coniuge, se convivente, dell’adottante o dell’adottando. Parimenti il tribunale può pronunziare l’adozione quando è impossibile ottenere l’assenso per incapacità o irreperibilità delle persone chiamate ad esprimerlo. (2)

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art 132 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole“responsabilità genitoriale” dall’art. 37 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014


Art. 298. Decorrenza degli effetti dell’adozione.
L’adozione produce i suoi effetti dalla data del decreto che la pronunzia.
Finché il decreto non è emanato, tanto l’adottante quanto l’adottando possono revocare il loro consenso.
Se l’adottante muore dopo la prestazione del consenso e prima dell’emanazione del decreto, si può procedere al compimento degli atti necessari per l’adozione.
Gli eredi dell’adottante possono presentare al tribunale memorie e osservazioni per opporsi all’adozione.
Se l’adozione è ammessa, essa produce i suoi effetti dal momento della morte dell’adottante.

Art. 299. Cognome dell’adottato.
L’adottato assume il cognome dell’adottante e lo antepone al proprio.

Nel caso in cui la filiazione sia stata accertata o riconosciuta successivamente all’adozione si applica il primo comma. (2)

Se l’adozione è compiuta da coniugi, l’adottato assume il cognome del marito. (4)

Se l’adozione è compiuta da una donna maritata, l’adottato, che non sia figlio del marito, assume il cognome della famiglia di lei.

(1) (3)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 61, L. 04.05.1983, n. 184.

(2) Il presente comma, prima dichiarato in parte costituzionalmente illegittimo con C. cost. 11.05.2001, n. 120 (La Corte ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del presente comma nella parte in cui non prevede che, qualora sia figlio naturale non riconosciuto dai propri genitori, l’adottato possa aggiungere al cognome dell’adottante anche quello originariamente attribuitogli) è stato poi così sostituito dall’art.38, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che:

“L’adottato che sia figlio naturale non riconosciuto dei propri genitori assume solo il cognome dell’adottante. Il riconoscimento successivo all’adozione non fa assumere all’adottato il cognome del genitore che lo ha riconosciuto, salvo che l’adozione sia successivamente revocata. Il figlio naturale che sia stato riconosciuto dai propri genitori e sia successivamente adottato, assume il cognome dell’adottante.”

(3) E’ costituzionalmente illegittima la norma desumibile dagli artt. 237, 262 e 299 del codice civile; 72, primo comma, del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238 (Ordinamento dello stato civile); e 33 e 34 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396 (Regolamento per la revisione e la semplificazione dell’ordinamento dello stato civile, a norma dell’articolo 2, comma 12, della L. 15 maggio 1997, n. 127), nella parte in cui non consente ai coniugi, di comune accordo, di trasmettere ai figli, al momento della nascita, anche il cognome materno. (C. Cost. 21.12.2016, n. 286).

(4) E’ costituzionalmente illegittimo, ai sensi dell’art. 27 della legge n. 87 del 1953, l’art. 299, terzo comma, cod. civ., nella parte in cui non consente ai coniugi, in caso di adozione compiuta da entrambi, di attribuire, di comune accordo, anche il cognome materno al momento dell’adozione. (C. Cost. 21.12.2016, n. 286).

 
Art. 300. Diritti e doveri dell’adottato.
L’adottato conserva tutti i diritti e i doveri verso la sua famiglia di origine, salve le eccezioni stabilite dalla legge.
L’adozione non induce alcun rapporto civile tra l’adottante e la famiglia dell’adottato, né tra l’adottato e i parenti dell’adottante, salve le eccezioni stabilite dalla legge.

Artt. 301 – 303 (Abrogati)

Art. 304. Diritti di successione.
L’adozione non attribuisce all’adottante alcun diritto di successione.
I diritti dell’adottato nella successione dell’adottante sono regolati dalle norme contenute nel libro II.

Art. 305. Revoca dell’adozione.
L’adozione si può revocare soltanto nei casi preveduti dagli articoli seguenti.

Art. 306. Revoca per indegnità dell’adottato.
La revoca dell’adozione può essere pronunziata dal tribunale su domanda dell’adottante, quando l’adottato abbia attentato alla vita di lui o del suo coniuge, dei suoi discendenti o ascendenti, ovvero se si sia reso colpevole verso loro di delitto punibile con pena restrittiva della libertà personale non inferiore nel minimo a tre anni.
Se l’adottante muore in conseguenza dell’attentato la revoca dell’adozione può essere chiesta da coloro ai quali si devolverebbe l’eredità in mancanza dell’adottato e dei suoi discendenti.

Art. 307. Revoca per indegnità dell’adottante.
Quando i fatti previsti dall’articolo precedente sono stati compiuti dall’adottante contro l’adottato, oppure contro il coniuge o i discendenti o gli ascendenti di lui, la revoca può essere pronunciata su domanda dell’adottato.

Art. 308. (Abrogato)

Art. 309. Decorrenza degli effetti della revoca.
Gli effetti dell’adozione cessano quando passa in giudicato la sentenza di revoca.
Se tuttavia la revoca è pronunziata dopo la morte dell’adottante per fatto imputabile all’adottato, l’adottato e i suoi discendenti sono esclusi dalla successione dell’adottante.

Art. 310. (Abrogato)

Capo II – Delle forme dell’adozione di persone di maggiore età

Art. 311. Manifestazione del consenso.
Il consenso dell’adottante e dell’adottando o del legale rappresentante di questo deve essere manifestato personalmente al presidente del tribunale nel cui circondario l’adottante ha residenza.
L’assenso delle persone indicate negli articoli 296 e 297 può essere dato da persona munita di procura speciale rilasciata per atto pubblico o per scrittura privata autenticata.

Art. 312. Accertamenti del tribunale.
Il tribunale, assunte le opportune informazioni, verifica:
1) se tutte le condizioni della legge sono state adempiute;
2) se l’adozione conviene all’adottando.

Art. 313. Provvedimento del tribunale.
Il tribunale, in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero e omessa ogni altra formalità di procedura, provvede con sentenza decidendo di far luogo o non far luogo alla adozione.
L’adottante, il pubblico ministero, l’adottando, entro trenta giorni dalla comunicazione, possono proporre impugnazione avanti la corte d’appello, che decide in camera di consiglio, sentito il pubblico ministero.

Art. 314. Pubblicità.
La sentenza definitiva che pronuncia l’adozione è trascritta a cura del cancelliere del tribunale competente, entro il decimo giorno successivo a quello della relativa comunicazione, da effettuarsi non oltre cinque giorni dal deposito, da parte del cancelliere del giudice dell’impugnazione, su apposito registro e comunicata all’ufficiale di stato civile per l’annotazione a margine dell’atto di nascita dell’adottato.
Con la procedura di cui al primo comma deve essere altresì trascritta ed annotata la sentenza di revoca della adozione, passata in giudicato.
L’autorità giudiziaria può inoltre ordinare la pubblicazione della sentenza che pronuncia l’adozione o della sentenza di revoca nei modi che ritiene opportuni.

Capo III – Dell’adozione speciale (capo abrogato) 

 

    Titolo IX – Della responsabilità genitoriale e dei diritti e doveri del figlio (1)
Capo I – Dei diritti e doveri del figlio (2)

(1) La rubrica del Titolo IX cui appartiene il presente articolo è stata così sostituita prima dall’art. 1, comma 6, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013 e poi dall’art. 7, comma 10, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Si riporta di seguito il testo previgente: “Della potestà dei genitori e dei diritti e doveri del figlio”.

(2) Il Capo I cui appartiene il presente articolo è stato inserito dall’art. 7, comma 11, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 315. Stato giuridico della filiazione.

 Tutti i figli hanno lo stesso stato giuridico

Art. 315 bis. Diritti e doveri del figlio.
Il figlio ha diritto di essere mantenuto, educato, istruito e assistito moralmente dai genitori, nel rispetto delle sue capacità, delle sue inclinazioni naturali e delle sue aspirazioni.

Il figlio ha diritto di crescere in famiglia e di mantenere rapporti significativi con i parenti.

Il figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici, e anche di età inferiore ove capace di discernimento, ha diritto di essere ascoltato in tutte le questioni e le procedure che lo riguardano.

Il figlio deve rispettare i genitori e deve contribuire, in relazione alle proprie capacità, alle proprie sostanze e al proprio reddito, al mantenimento della famiglia finché convive con essa. 

(1)

(1) Articolo inserito dall’art. 1, comma 8, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

 
Art. 316. Responsabilità genitoriale

Entrambi i genitori hanno la responsabilità genitoriale che è esercitata di comune accordo tenendo conto delle capacità, delle inclinazioni naturali e delle aspirazioni del figlio. I genitori di comune accordo stabiliscono la residenza abituale del minore e adottano le scelte relative alla sua istruzione ed educazione. (4)

In caso di contrasto su questioni di particolare importanza, tra le quali quelle relative alla residenza abituale e all’istituto scolastico del figlio minorenne, ciascuno dei genitori può ricorrere senza formalità al giudice indicando i provvedimenti che ritiene più idonei. (4)

Il giudice, sentiti i genitori e disposto l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento, tenta di raggiungere una soluzione concordata e, ove questa non sia possibile, adotta la soluzione che ritiene più adeguata all’interesse del figlio. (4)

Il genitore che ha riconosciuto il figlio esercita la responsabilità genitoriale su di lui. Se il riconoscimento del figlio, nato fuori del matrimonio, è fatto dai genitori, l’esercizio della responsabilità genitoriale spetta ad entrambi.

Il genitore che non esercita la responsabilità genitoriale vigila sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio.


Articolo 316 Bis. Concorso nel mantenimento

I genitori devono adempiere i loro obblighi nei confronti dei figli in proporzione alle rispettive sostanze e secondo la loro capacità di lavoro professionale o casalingo. Quando i genitori non hanno mezzi sufficienti, gli altri ascendenti, in ordine di prossimità, sono tenuti a fornire ai genitori stessi i mezzi necessari affinché possano adempiere i loro doveri nei confronti dei figli.

In caso di inadempimento il presidente del tribunale o il giudice da lui designato, su istanza di chiunque vi ha interesse, sentito l’inadempiente ed assunte informazioni, può ordinare con decreto che una quota dei redditi dell’obbligato, in proporzione agli stessi, sia versata direttamente all’altro genitore o a chi sopporta le spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione della prole.

Il decreto, notificato agli interessati ed al terzo debitore, costituisce titolo esecutivo, ma le parti ed il terzo debitore possono proporre opposizione nel termine di venti giorni dalla notifica.

L’opposizione è regolata dalle norme che disciplinano il procedimento relativo allo stato delle persone, ai minorenni e alle famiglie.

Le parti ed il terzo debitore possono sempre chiedere, con le medesime forme, la modificazione e la revoca del provvedimento.

 

Art. 317. Impedimento di uno dei genitori.
Nel caso di lontananza, di incapacità o di altro impedimento che renda impossibile ad uno dei genitori l’esercizio della responsabilità genitoriale, questa è esercitata in modo esclusivo dall’altro. (2)

La responsabilità genitoriale di entrambi i genitori non cessa a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio; il suo esercizio, in tali casi, è regolato dal capo II del presente titolo. (3)

(1)

(1) Articolo è stato sostituito dall’art 139 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole“responsabilità genitoriale” dall’art. 41 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

(3) Comma così sostituito dall’art. 41 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“La potestà comune dei genitori non cessa quando, a seguito di separazione, di scioglimento, di annullamento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio, i figli vengono affidati ad uno di essi. L’esercizio della potestà è regolato, in tali casi, secondo quanto disposto nell’art. 155”.


Art. 317-bis. Rapporti con gli ascendenti.
Gli ascendenti hanno diritto di mantenere rapporti significativi con i nipoti minorenni.

L’ascendente al quale è impedito l’esercizio di tale diritto può ricorrere al giudice del luogo di residenza abituale del minore affinché siano adottati i provvedimenti più idonei nell’esclusivo interesse del minore. Si applica l’articolo 336, secondo comma.

(1)

(1) Articolo aggiunto dall’art. 140 L. 19.05.1975, n. 151. Articolo poi così sostituito dall’art. 42 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che:

“(Esercizio della potestà). Al genitore che ha riconosciuto il figlio naturale spetta la potestà su di lui.

Se il riconoscimento è fatto da entrambi i genitori, l’esercizio della potestà spetta congiuntamente ad entrambi qualora siano conviventi. Si applicano le disposizioni dell’art. 316. Se i genitori non convivono l’esercizio della potestà spetta al genitore col quale il figlio convive ovvero, se non convive con alcuno di essi, al primo che ha fatto il riconoscimento. Il giudice, nell’esclusivo interesse del figlio, può disporre diversamente; può anche escludere dall’esercizio della potestà entrambi i genitori, provvedendo alla nomina di un tutore.

Il genitore che non esercita la potestà ha il potere di vigilare sull’istruzione, sull’educazione e sulle condizioni di vita del figlio minore”.


Art. 318. Abbandono della casa del genitore.
Il figlio, sino alla maggiore età o all’emancipazione, non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la responsabilità genitoriale né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza il permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare .

(1)

(1) Articolo prima sostituito dall’art. 141 L. 19.05.1975, n. 151 è successivamente così modificato dall’art. 43 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“Il figlio non può abbandonare la casa dei genitori o del genitore che esercita su di lui la potestà né la dimora da essi assegnatagli. Qualora se ne allontani senza il permesso, i genitori possono richiamarlo ricorrendo, se necessario, al giudice tutelare”.


Art. 319. (Abrogato)

Art. 320. Rappresentanza e amministrazione.
I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, rappresentano i figli nati e nascituri, fino alla maggiore età o all’emancipazione, in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore.

Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell’art. 316. (2)

I genitori non possono alienare , ipotecare o dare in pegno i beni pervenuti al figlio a qualsiasi titolo, anche a causa di morte, accettare o rinunziare ad eredità o legati, accettare donazioni , procedere allo scioglimento di comunioni, contrarre mutui o locazioni ultranovennali o compiere altri atti eccedenti la ordinaria amministrazione né promuovere, transigere o compromettere in arbitri giudizi relativi a tali atti, se non per necessità o utilità evidente del figlio dopo autorizzazione del giudice tutelare .

I capitali non possono essere riscossi senza autorizzazione del giudice tutelare, il quale ne determina l’impiego.

L’esercizio di una impresa commerciale non può essere continuato se non con l’autorizzazione del tribunale su parere del giudice tutelare. Questi può consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa, fino a quando il tribunale abbia deliberato sulla istanza.

Se sorge conflitto di interessi patrimoniali tra i figli soggetti alla stessa responsabilità genitoriale, o tra essi e i genitori o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, il giudice tutelare nomina ai figli un curatore speciale. Se il conflitto sorge tra i figli e uno solo dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale, la rappresentanza dei figli spetta esclusivamente all’altro genitore. (3)

(1)

(1) Articolo sostituito dall’art. 143 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Comma così modificato dall’art. 44 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“I genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la potestà, rappresentano i figli nati enascituri in tutti gli atti civili e ne amministrano i beni. Gli atti di ordinaria amministrazione, esclusi i contratti con i quali si concedono o si acquistano diritti personali di godimento, possono essere compiuti disgiuntamente da ciascun genitore. Si applicano, in caso di disaccordo o di esercizio difforme dalle decisioni concordate, le disposizioni dell’art. 316”.

(3) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 44 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 321. Nomina di un curatore speciale.
In tutti i casi in cui i genitori congiuntamente, o quello di essi che esercita in via esclusiva la responsabilità genitoriale, non possono o non vogliono compiere uno o più atti di interesse del figlio, eccedente l’ordinaria amministrazione, il giudice, su richiesta del figlio stesso, del pubblico ministero o di uno dei parenti che vi abbia interesse, e sentiti i genitori, può nominare al figlio un curatore speciale autorizzandolo al compimento di tali atti. (2)

(1)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’ art. 144 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 45 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 322. Inosservanza delle disposizioni precedenti.
Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli del presente titolo possono essere annullati su istanza dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale o del figlio o dei suoi eredi o aventi causa. (2)

(1)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 145 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 46 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 323. Atti vietati ai genitori.
I genitori esercenti la responsabilità genitoriale sui figli non possono, neppure all’asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore. (5)

Gli atti compiuti in violazione del divieto previsto nel comma precedente possono essere annullati su istanza del figlio o dei suoi eredi o aventi causa.

I genitori esercenti la responsabilità genitoriale non possono diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore. (2)

(1)

(1) Il presente articolo è stato così sostituito dall’art. 146 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti “responsabilità genitoriale” dall’art. 47 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 324. Usufrutto legale.
I genitori esercenti la responsabilità genitoriale hanno in comune l’usufrutto dei beni del figlio, fino alla maggiore età o all’emancipazione. (2)

I frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli.

Non sono soggetti ad usufrutto legale:

1) i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro;

2) i beni lasciati o donati al figlio per intraprendere una carriera, un’arte o una professione;

3) i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la responsabilità genitoriale o uno di essi non ne abbiano l’usufrutto: la condizione però non ha effetto per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima ;

4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell’interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la responsabilità genitoriale. Se uno solo di essi era favorevole all’accettazione, l’usufrutto legale spetta esclusivamente a lui. (3)

(1)

(1) Il presente articolo è stato sostituito dall’art. 147 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Comma così modificato dall’art. 48 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: “I genitori esercenti la potestà hanno in comune l’usufrutto dei beni del figlio”.

(3) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole“responsabilità genitoriale” dall’art. 48 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 325. Obblighi inerenti all’usufrutto legale.
Gravano sull’usufrutto legale gli obblighi propri dell’usufruttuario.

Art. 326. Inalienabilità dell’usufrutto legale. Esecuzione sui frutti.
L’usufrutto legale non può essere oggetto di alienazione, di pegno o di ipoteca né di esecuzione da parte dei creditori.
L’esecuzione sui frutti dei beni del figlio da parte dei creditori dei genitori o di quello di essi che ne è titolare esclusivo non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

Art. 327. Usufrutto legale di uno solo dei genitori.
Il genitore che esercita in modo esclusivo la responsabilità genitoriale è il solo titolare dell’usufrutto legale. (2)

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 150 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 49 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 328. Nuove nozze.
Il genitore che passa a nuove nozze conserva l’usufrutto legale, con l’obbligo tuttavia di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione di quest’ultimo.

Art. 329. Godimento dei beni dopo la cessazione dell’usufrutto legale.
Cessato l’usufrutto legale, se il genitore ha continuato a godere i beni del figlio convivente con esso senza procura ma senza opposizione, o anche con procura ma senza l’obbligo di rendere conto dei frutti, egli o i suoi eredi non sono tenuti che a consegnare i frutti esistenti al tempo della domanda.

Art. 330. Decadenza dalla potestà sui figli.
Il giudice può pronunziare la decadenza della responsabilità genitoriale quando il genitore viola o trascura i doveri ad essa inerenti o abusa dei relativi poteri con grave pregiudizio del figlio.

In tale caso, per gravi motivi, il giudice può ordinare l’allontanamento del figlio dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.

(1) (2)

(1) Articolo sostituito dall’art. 152 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” nella rubrica e nel testo del presente articolo è stata sostituita dalle seguenti “responsabilità genitoriale” dall’art. 50 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 331. (Abrogato)

Art. 332. Reintegrazione nella potestà genitoriale.
Il giudice può reintegrare nella responsabilità genitoriale il genitore che ne è decaduto , quando, cessate le ragioni per le quali la decadenza è stata pronunciata, è escluso ogni pericolo di pregiudizio per il figlio.

(1) (2)

(1) Articolo così sostituito dall’ art. 154 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” nella rubrica e nel testo del presente articolo è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 51 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 



Art. 333. Condotta del genitore pregiudizievole ai figli.
Quando la condotta di uno o di entrambi i genitori non è tale da dare luogo alla pronuncia di decadenza prevista dall’articolo 330, ma appare comunque pregiudizievole al figlio, il giudice, secondo le circostanze, può adottare i provvedimenti convenienti e può anche disporre l’allontanamento di lui dalla residenza familiare ovvero l’allontanamento del genitore o convivente che maltratta o abusa del minore.
Tali provvedimenti sono revocabili in qualsiasi momento.

Art. 334. Rimozione dall’amministrazione.
Quando il patrimonio del minore è male amministrato, il tribunale può stabilire le condizioni a cui i genitori devono attenersi nell’amministrazione o può rimuovere entrambi o uno solo di essi dall’amministrazione stessa e privarli, in tutto o in parte, dell’usufrutto legale.
L’amministrazione è affidata ad un curatore, se è disposta la rimozione di entrambi i genitori.

Art. 335. Riammissione nell’esercizio della amministrazione.
Il genitore rimosso dall’amministrazione ed eventualmente privato dell’usufrutto legale può essere riammesso dal tribunale nell’esercizio dell’una o nel godimento dell’altro, quando sono cessati i motivi che hanno provocato il provvedimento.

Art. 336. Procedimento.
I provvedimenti indicati negli articoli precedenti sono adottati su ricorso [c.p.c. 737] dell’altro genitore, dei parenti o del pubblico ministero e, quando si tratta di revocare deliberazioni anteriori, anche del genitore interessato.

Il tribunale provvede in camera di consiglio, assunte informazioni e sentito il pubblico ministero; dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei casi in cui il provvedimento è richiesto contro il genitore, questi deve essere sentito. (2)

In caso di urgente necessità il tribunale può adottare, anche d’ufficio, provvedimenti temporanei nell’interesse del figlio .

Per i provvedimenti di cui ai commi precedenti, i genitori e il minore sono assistiti da un difensore.

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’art. 157, L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Il presente comma è stato così sostituito dall’art. 52, D.lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 336 Bis. Ascolto del minore

Il minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento è ascoltato dal presidente del tribunale o dal giudice delegato nell’ambito dei procedimenti nei quali devono essere adottati provvedimenti che lo riguardano. Se l’ascolto è in contrasto con l’interesse del minore, o manifestamente superfluo, il giudice non procede all’adempimento dandone atto con provvedimento motivato.

L’ascolto è condotto dal giudice, anche avvalendosi di esperti o di altri ausiliari. I genitori, anche quando parti processuali del procedimento, i difensori delle parti, il curatore speciale del minore, se già nominato, ed il pubblico ministero, sono ammessi a partecipare all’ascolto se autorizzati dal giudice, al quale possono proporre argomenti e temi di approfondimento prima dell’inizio dell’adempimento.

Prima di procedere all’ascolto il giudice informa il minore della natura del procedimento e degli effetti dell’ascolto. Dell’adempimento è redatto processo verbale nel quale è descritto il contegno del minore, ovvero è effettuata registrazione audio video.

 

Articolo così inserito dall’art. 53 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 337. Vigilanza del giudice tutelare.
Il giudice tutelare deve vigilare sull’osservanza delle condizioni che il tribunale abbia stabilito per l’esercizio della responsabilità genitoriale e per l’amministrazione dei beni. (2)

(1)

(1) Articolo così sostituito dall’ art. 158 L. 19.05.1975, n. 151.

(2) La parola “potestà” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti “responsabilità genitoriale” dall’art. 54, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154, con decorrenza dal 07.02.2014. 

 

CAPO II – Esercizio della responsabilità genitoriale a seguito di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio ovvero all’esito di procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio

Il Capo II è stato inserito dall’art. 7, comma 12, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.  

 

Articolo 337 Bis. Ambito di applicazione

In caso di separazione, scioglimento, cessazione degli effetti civili, annullamento, nullità del matrimonio e nei procedimenti relativi ai figli nati fuori del matrimonio si applicano le disposizioni del presente capo.

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 337 Ter. Provvedimenti riguardo ai figli

Il figlio minore ha il diritto di mantenere un rapporto equilibrato e continuativo con ciascuno dei genitori, di ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e di conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.

Per realizzare la finalità indicata dal primo comma, nei procedimenti di cui all’articolo 337-bis , il giudice adotta i provvedimenti relativi alla prole con esclusivo riferimento all’interesse morale e materiale di essa. Valuta prioritariamente la possibilità che i figli minori restino affidati a entrambi i genitori oppure stabilisce a quale di essi i figli sono affidati, determina i tempi e le modalità della loro presenza presso ciascun genitore, fissando altresì la misura e il modo con cui ciascuno di essi deve contribuire al mantenimento, alla cura, all’istruzione e all’educazione dei figli. Prende atto, se non contrari all’interesse dei figli, degli accordi intervenuti tra i genitori. Adotta ogni altro provvedimento relativo alla prole, ivi compreso, in caso di temporanea impossibilità di affidare il minore ad uno dei genitori, l’affidamento familiare. All’attuazione dei provvedimenti relativi all’affidamento della prole provvede il giudice del merito e, nel caso di affidamento familiare, anche d’ufficio. A tal fine copia del provvedimento di affidamento è trasmessa, a cura del pubblico ministero, al giudice tutelare.

La responsabilità genitoriale è esercitata da entrambi i genitori. Le decisioni di maggiore interesse per i figli relative all’istruzione, all’educazione, alla salute e alla scelta della residenza abituale del minore sono assunte di comune accordo tenendo conto delle capacità, dell’inclinazione naturale e delle aspirazioni dei figli. In caso di disaccordo la decisione è rimessa al giudice. Limitatamente alle decisioni su questioni di ordinaria amministrazione, il giudice può stabilire che i genitori esercitino la responsabilità genitoriale separatamente. Qualora il genitore non si attenga alle condizioni dettate, il giudice valuterà detto comportamento anche al fine della modifica delle modalità di affidamento.

Salvo accordi diversi liberamente sottoscritti dalle parti, ciascuno dei genitori provvede al mantenimento dei figli in misura proporzionale al proprio reddito; il giudice stabilisce, ove necessario, la corresponsione di un assegno periodico al fine di realizzare il principio di proporzionalità, da determinare considerando:

1) le attuali esigenze del figlio.

2) il tenore di vita goduto dal figlio in costanza di convivenza con entrambi i genitori.

3) i tempi di permanenza presso ciascun genitore.

4) le risorse economiche di entrambi i genitori.

5) la valenza economica dei compiti domestici e di cura assunti da ciascun genitore.

L’assegno è automaticamente adeguato agli indici ISTAT in difetto di altro parametro indicato dalle parti o dal giudice.

Ove le informazioni di carattere economico fornite dai genitori non risultino sufficientemente documentate, il giudice dispone un accertamento della polizia tributaria sui redditi e sui beni oggetto della contestazione, anche se intestati a soggetti diversi.

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 337 Quater. Affidamento a un solo genitore e opposizione all’affidamento condiviso

Il giudice può disporre l’affidamento dei figli ad uno solo dei genitori qualora ritenga con provvedimento motivato che l’affidamento all’altro sia contrario all’interesse del minore.

Ciascuno dei genitori può, in qualsiasi momento, chiedere l’affidamento esclusivo quando sussistono le condizioni indicate al primo comma. Il giudice, se accoglie la domanda, dispone l’affidamento esclusivo al genitore istante, facendo salvi, per quanto possibile, i diritti del minore previsti dal primo comma dell’articolo 337-ter . Se la domanda risulta manifestamente infondata, il giudice può considerare il comportamento del genitore istante ai fini della determinazione dei provvedimenti da adottare nell’interesse dei figli, rimanendo ferma l’applicazione dell’articolo 96 del codice di procedura civile.

Il genitore cui sono affidati i figli in via esclusiva, salva diversa disposizione del giudice, ha l’esercizio esclusivo della responsabilità genitoriale su di essi; egli deve attenersi alle condizioni determinate dal giudice. Salvo che non sia diversamente stabilito, le decisioni di maggiore interesse per i figli sono adottate da entrambi i genitori. Il genitore cui i figli non sono affidati ha il diritto ed il dovere di vigilare sulla loro istruzione ed educazione e può ricorrere al giudice quando ritenga che siano state assunte decisioni pregiudizievoli al loro interesse. 

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 337 Quinquies. Revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli

I genitori hanno diritto di chiedere in ogni tempo la revisione delle disposizioni concernenti l’affidamento dei figli, l’attribuzione dell’esercizio della responsabilità genitoriale su di essi e delle eventuali disposizioni relative alla misura e alla modalità del contributo.

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 337 Sexies. Assegnazione della casa familiare e prescrizioni in tema di residenza

Il godimento della casa familiare è attribuito tenendo prioritariamente conto dell’interesse dei figli. Dell’assegnazione il giudice tiene conto nella regolazione dei rapporti economici tra i genitori, considerato l’eventuale titolo di proprietà. Il diritto al godimento della casa familiare viene meno nel caso che l’assegnatario non abiti o cessi di abitare stabilmente nella casa familiare o conviva more uxorio o contragga nuovo matrimonio. Il provvedi mento di assegnazione e quello di revoca sono trascrivibili e opponibili a terzi ai sensi dell’articolo 2643.

In presenza di figli minori, ciascuno dei genitori è obbligato a comunicare all’altro, entro il termine perentorio di trenta giorni, l’avvenuto cambiamento di residenza o di domicilio. La mancata comunicazione obbliga al risarcimento del danno eventualmente verificatosi a carico del coniuge o dei figli per la difficoltà di reperire il soggetto. 

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 337 Septies. Disposizioni in favore dei figli maggiorenni

Il giudice, valutate le circostanze, può disporre in favore dei figli maggiorenni non indipendenti economicamente il pagamento di un assegno periodico. Tale assegno, salvo diversa determinazione del giudice, è versato direttamente all’avente diritto.

Ai figli maggiorenni portatori di handicap grave si applicano integralmente le disposizioni previste in favore dei figli minori.

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Articolo 337 Octies. Poteri del giudice e ascolto del minore

Prima dell’emanazione, anche in via provvisoria, dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter , il giudice può assumere, ad istanza di parte o d’ufficio, mezzi di prova. Il giudice dispone, inoltre, l’ascolto del figlio minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. Nei procedimenti in cui si omologa o si prende atto di un accordo dei genitori, relativo alle condizioni di affidamento dei figli, il giudice non procede all’ascolto se in contrasto con l’interesse del minore o manifestamente superfluo.

Qualora ne ravvisi l’opportunità, il giudice, sentite le parti e ottenuto il loro consenso, può rinviare l’adozione dei provvedimenti di cui all’articolo 337-ter per consentire che i coniugi, avvalendosi di esperti, tentino una mediazione per raggiungere un accordo, con particolare riferimento alla tutela dell’interesse morale e materiale dei figli.

Articolo inserito dall’art. 55 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.

 

Artt. 338 – 342. (Abrogati)

 

TITOLO NONO-bis.

Ordini di protezione contro gli abusi familiari


Articolo 342 Bis. Ordini di protezione contro gli abusi familiari

Quando la condotta del coniuge o di altro convivente è causa di grave pregiudizio all’integrità fisica o morale ovvero alla libertà dell’altro coniuge o convivente, il giudice, [qualora il fatto non costituisca reato perseguibile d’ufficio] su istanza di parte, può adottare con decreto uno o più dei provvedimenti di cui all’articolo 342 ter. (1) (2)

(1) Articolo aggiunto dall’art. 2, L. 04.04.2001, n. 154, con decorrenza dal 13.05.2001.

(2) Le parole tra parentesi quadre contenute nel presente articolo sono state soppresse dall’art. 1, L. 06.11.2003, n. 304, con decorrenza dal 27.11.2003.

 

Articolo 342 Ter. Contenuto degli ordini di protezione

Con il decreto di cui all’articolo 342 bis il giudice ordina al coniuge o convivente, che ha tenuto la condotta pregiudizievole, la cessazione della stessa condotta e dispone l’allontanamento dalla casa familiare del coniuge o del convivente che ha tenuto la condotta pregiudizievole prescrivendogli altresì ove occorra, di non avvicinarsi ai luoghi abitualmente frequentati dall’istante, ed in particolare al luogo di lavoro, al domicilio della famiglia d’origine, ovvero al domicilio di altri prossimi congiunti o di altre persone ed in prossimità dei luoghi di istruzione dei figli della coppia, salvo che questi non debba frequentare i medesimi luoghi per esigenze di lavoro.

Il giudice può disporre, altresì ove occorra l’intervento dei servizi sociali del territorio o di un centro di mediazione familiare, nonchè delle associazioni che abbiano come fine statutario il sostegno e l’accoglienza di donne e minori o di altri soggetti vittime di abusi e maltrattati; il pagamento periodico di un assegno a favore delle persone conviventi che, per effetto dei provvedimenti di cui al primo comma, rimangono prive di mezzi adeguati, fissando modalità e termini di versamento e prescrivendo, se del caso, che la somma sia versata direttamente all’avente diritto dal datore di lavoro dell’obbligato, detraendola dalla retribuzione allo stesso spettante.

Con il medesimo decreto il giudice, nei casi di cui ai precedenti commi, stabilisce la durata dell’ordine di protezione, che decorre dal giorno dell’avvenuta esecuzione dello stesso. Questa non può essere superiore a un anno e può essere prorogata, su istanza di parte, soltanto se ricorrano gravi motivi per il tempo strettamente necessario. (2) 

Con il medesimo decreto il giudice determina le modalità di attuazione. Ove sorgano difficoltà o contestazioni in ordine all’esecuzione, lo stesso giudice provvede con decreto ad emanare i provvedimenti più opportuni per l’attuazione, ivi compreso l’ausilio della forza pubblica e dell’ufficiale sanitario. (1)

(1) Articolo aggiunto dall’art. 2, L. 04.04.2001, n. 154, con decorrenza dal 13.05.2001.

(2) Le parole “sei mesi” riportate nel presente comma sono state così sostituite dall’art. 10, D.L. 23.02.2009, n. 11 con decorrenza dal 25.02.2009.

 

Titolo X – Della tutela e dell’emancipazione
Capo I – Della tutela dei minori

Art. 343. Apertura della tutela.
Se entrambi i genitori sono morti o per altre cause non possono esercitare la responsabilità genitoriale, si apre la tutela presso il tribunale del circondario dove è la sede principale degli affari e interessi del minore . (1) (3)

Se il tutore è domiciliato o trasferisce il domicilio in altro circondario, la tutela può essere ivi trasferita con decreto del tribunale. (2)

(1) Le parole “la pretura del mandamento” del presente comma sono state così sostituite dalle seguenti parole “il tribunale del circondario” dall’art. 139 D.Lgs. 19.02.1998 n. 51.

(2) La parola “mandamento” del presente comma è stata così sostituita dalla seguente parola “circondario” dall’art. 139 D.Lgs. 19.02.98 n. 51.

(3) La parola “potestà dei genitori” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 56 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Sezione I – Del giudice tutelare

Art. 344. Funzioni del giudice tutelare.
Presso ogni tribunale il giudice tutelare soprintende alle tutele e alle curatele ed esercita le altre funzioni affidategli dalla legge.
Il giudice tutelare può chiedere l’assistenza degli organi della pubblica amministrazione e di tutti gli enti i cui scopi corrispondono alle sue funzioni.

Sezione II – Del tutore e del protutore

Art. 345. Denunzie al giudice tutelare.
L’ufficiale di stato civile, che riceve la dichiarazione di morte di una persona la quale ha lasciato figli in età minore ovvero la dichiarazione di nascita di un figlio di genitori ignoti, e il notaio, che procede alla pubblicazione di un testamento contenente la designazione di un tutore o di un protutore, devono darne notizia al giudice tutelare entro dieci giorni.
Il cancelliere, entro quindici giorni dalla pubblicazione o dal deposito in cancelleria, deve dare notizia al giudice tutelare delle decisioni dalle quali derivi la apertura di una tutela.
I parenti entro il terzo grado devono denunziare al giudice tutelare il fatto da cui deriva l’apertura della tutela entro dieci giorni da quello in cui ne hanno avuto notizia. La denunzia deve essere fatta anche dalla persona designata quale tutore o protutore entro dieci giorni da quello in cui ha avuto notizia della designazione.

Art. 346. Nomina del tutore e del protutore.
Il giudice tutelare, appena avuta notizia del fatto da cui deriva l’apertura della tutela, procede alla nomina del tutore e del protutore.

Art. 347. Tutela di più fratelli.
È nominato un solo tutore a più fratelli e sorelle, salvo che particolari circostanze consiglino la nomina di più tutori. Se vi è conflitto di interessi tra minori soggetti alla stessa tutela, il giudice tutelare nomina ai minori un curatore speciale.

Art. 348. Scelta del tutore.
Il giudice tutelare nomina tutore la persona designata dal genitore che ha esercitato per ultimo la responsabilità genitoriale . La designazione può essere fatta per testamento , per atto pubblico o per scrittura privata autenticata . (2)

Se manca la designazione ovvero se gravi motivi si oppongono alla nomina della persona designata, la scelta del tutore avviene preferibilmente tra gli ascendenti o tra gli altri prossimi parenti o affini del minore, i quali, in quanto sia opportuno, devono essere sentiti.

 Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore, dispone l’ascolto del minore che abbia compiuto gli anni dodici e anche di età inferiore ove capace di discernimento. (3)

In ogni caso la scelta deve cadere su persona idonea all’ufficio, di ineccepibile condotta, la quale dia affidamento di educare e istruire il minore conformemente a quanto è prescritto nell’art. 147.

[Omissis]. (1)

(1) Comma abrogato dall’art 1 R.D.L. 20.01.1944, n. 25 e dall’art 3 D.Lgs.Lgt 14.09.1944, n. 287.

(2) Le parole “potestà dei genitori” del presente comma è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art.57 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 

(3) Comma così sostituito dall’art. 57 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“Il giudice, prima di procedere alla nomina del tutore, deve anche sentire il minore che abbia raggiunto l’età di anni sedici”.


Art. 349. Giuramento del tutore.
Il tutore, prima di assumere l’ufficio, presta davanti al giudice tutelare giuramento di esercitarlo con fedeltà e diligenza.

Art. 350. Incapacità all’ufficio tutelare.
Non possono essere nominati tutori e, se sono stati nominati, devono cessare dall’ufficio:

1) coloro che non hanno la libera amministrazione del proprio patrimonio;

2) coloro che sono stati esclusi dalla tutela per disposizione scritta del genitore il quale per ultimo ha esercitato la responsabilità genitoriale;

3) coloro che hanno o sono per avere o dei quali gli ascendenti, i discendenti o il coniuge hanno o sono per avere col minore una lite, per effetto della quale può essere pregiudicato lo stato del minore o una parte notevole del patrimonio di lui;

4) coloro che sono incorsi nella perdita della responsabilità genitoriale o nella decadenza da essa, o sono stati rimossi da altra tutela;

5) il fallito che non è stato cancellato dal registro dei falliti.

Le parole “potestà dei genitori” del presente articolo è stata sostituita dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 58 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 351. Dispensa dall’ufficio tutelare.
Sono dispensati dall’ufficio di tutore:
1) (Abrogato)
2) il Presidente del Consiglio dei ministri;
3) i membri del Sacro collegio;
4) i Presidenti delle assemblee legislative;
5) i ministri segretari di Stato.
Le persone indicate nei numeri 2, 3 4, e 5 possono far noto al giudice tutelare che non intendono valersi della dispensa.

Art. 352.
Dispensa su domanda.

Hanno diritto di essere dispensati su loro domanda dall’assumere o dal continuare l’esercizio della tutela:
1) i grandi ufficiali dello Stato non compresi nell’articolo precedente;
2) gli arcivescovi, i vescovi e i ministri del culto aventi cura d’anime;
3) Abrogato
4) i militari in attività di servizio;
5) chi ha compiuto gli anni sessantacinque;
6) chi ha più di tre figli minori;
7) chi esercita altra tutela;
8) chi è impedito di esercitare la tutela da infermità permanente;
9) chi ha missione dal Governo fuori della Repubblica o risiede per ragioni di pubblico servizio fuori della circoscrizione del tribunale dove è costituita la tutela.

Art. 353. Domanda di dispensa.
La domanda di dispensa per le cause indicate nell’articolo precedente deve essere presentata al giudice tutelare prima della prestazione del giuramento, salvo che la causa di dispensa sia sopravvenuta.
Il tutore è tenuto ad assumere e a mantenere l’ufficio fino a quando la tutela non sia stata conferita ad altra persona.

Art. 354. Tutela affidata a enti di assistenza.
La tutela dei minori, che non hanno nel luogo del loro domicilio parenti conosciuti o capaci di esercitare l’ufficio di tutore, può essere deferita dal giudice tutelare ad un ente di assistenza nel comune dove ha domicilio il minore o allo ospizio in cui questi è ricoverato. L’amministrazione dell’ente o dell’ospizio delega uno dei propri membri a esercitare la funzione di tutela.
È tuttavia in facoltà del giudice tutelare di nominare un tutore al minore quando la natura o l’entità dei beni o altre circostanze lo richiedono.

Art. 355. Protutore.
Sono applicabili al protutore le disposizioni stabilite per il tutore in questa sezione.
Non si nomina il protutore nei casi contemplati nel primo comma dell’articolo 354.

Art. 356. Donazione o disposizione testamentaria a favore del minore.
Chi fa una donazione o dispone con testamento a favore di un minore, anche se questi è soggetto alla responsabilità genitoriale, può nominargli un curatore speciale per l’amministrazione dei beni donati o lasciati. (1)

Se il donante o il testatore non ha disposto altrimenti, il curatore speciale deve osservare le forme stabilite dagli artt. 374 e 375 per il compimento di atti eccedenti l’ordinaria amministrazione.

Si applica in ogni caso al curatore speciale l’art. 384.

(1) Le parole “potestà dei genitori” del presente comma sono state sostituite dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 59 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Sezione III – Dell’esercizio della tutela

Art. 357. Funzioni del tutore.
Il tutore ha la cura della persona del minore, lo rappresenta in tutti gli atti civili e ne amministra i beni.

Art. 358. Doveri del minore.
Il minore deve rispetto e obbedienza al tutore. Egli non può abbandonare la casa o l’istituto al quale è stato destinato, senza il permesso del tutore.
Qualora se ne allontani senza permesso, il tutore ha diritto di richiamarvelo, ricorrendo, se è necessario, al giudice tutelare.

Art. 359. (Abrogato)

Art. 360. Funzioni del protutore.
Il protutore rappresenta il minore nei casi in cui l’interesse di questo è in opposizione con l’interesse del tutore.
Se anche il protutore si trova in opposizione d’interessi col minore, il giudice tutelare nomina un curatore speciale.
Il protutore è tenuto a promuovere la nomina di un nuovo tutore nel caso in cui il tutore è venuto a mancare o ha abbandonato l’ufficio. Frattanto egli ha cura della persona del minore, lo rappresenta e può fare tutti gli atti conservativi e gli atti urgenti di amministrazione.

Art. 361. Provvedimenti urgenti.
Prima che il tutore o il protutore abbia assunto le proprie funzioni, spetta al giudice tutelare di dare, sia d’ufficio sia su richiesta del pubblico ministero, di un parente o di un affine del minore, i provvedimenti urgenti che possono occorrere per la cura del minore o per conservare e amministrare il patrimonio. Il giudice può procedere occorrendo, alla apposizione dei sigilli, nonostante qualsiasi dispensa.

Art. 362. Inventario.
Il tutore, nei dieci giorni successivi a quello in cui ha avuto legalmente notizia della sua nomina, deve procedere all’inventario dei beni del minore, nonostante qualsiasi dispensa.
L’inventario deve essere compiuto nel termine di trenta giorni, salva al giudice tutelare la facoltà di prorogare il termine se le circostanze lo esigono.

Art. 363. Formazione dell’inventario.
L’inventario si fa col ministero del cancelliere del tribunale o di un notaio a ciò delegato dal giudice tutelare, con l’intervento del protutore e, se è possibile, anche del minore che abbia compiuto gli anni sedici, e con l’assistenza di due testimoni scelti preferibilmente fra i parenti o gli amici della famiglia.
Il giudice può consentire che l’inventario sia fatto senza ministero di cancelliere o di notaio, se il valore presumibile del patrimonio non eccede quindicimila lire.
L’inventario è depositato presso il tribunale.
Nel verbale di deposito il tutore e il protutore ne dichiarano con giuramento la sincerità.

Art. 364. Contenuto dell’inventario.
Nello inventario si indicano gli immobili, i mobili, i crediti e i debiti e si descrivono le carte, note e scritture relative allo stato attivo e passivo del patrimonio, osservando le formalità stabilite nel codice di procedura civile.

Art. 365. Inventario di aziende.
Se nel patrimonio del minore esistono aziende commerciali o agricole, si procede con le forme usate nel commercio o nell’economia agraria alla formazione dell’inventario dell’azienda, con l’assistenza e l’intervento delle persone indicate nell’articolo 363. Questi particolari inventari sono pure depositati presso il tribunale e il loro riepilogo è riportato nell’inventario generale.

Art. 366. Beni amministrati da curatore speciale.
Il tutore deve comprendere nell’inventario generale del patrimonio del minore anche i beni, la cui amministrazione è stata deferita a un curatore speciale. Se questi ha formato un inventario particolare di tali beni, deve rimetterne copia al tutore, il quale lo unirà all’inventario generale.
Il curatore deve anche comunicare al tutore copia dei conti periodici della sua amministrazione, salvo che il disponente l’abbia esonerato.

Art. 367. Dichiarazione di debiti o crediti del tutore.
Il tutore, che ha debiti, crediti o altre ragioni verso il minore, deve esattamente dichiararli prima della chiusura dell’inventario. Il cancelliere o il notaio hanno l’obbligo di interpellarlo al riguardo.
Nel caso di inventario senza opera di cancelliere o di notaio, il tutore è interpellato dal giudice tutelare all’atto del deposito.
In ogni caso si fa menzione dell’interpellazione e della dichiarazione del tutore nell’inventario o nel verbale di deposito.

Art. 368. Omissione della dichiarazione.
Se il tutore, conoscendo il suo credito o le sue ragioni, espressamente interpellato non li ha dichiarati, decade da ogni suo diritto.
Qualora, sapendo di essere debitore, non abbia dichiarato fedelmente il proprio debito, può essere rimosso dalla tutela.

Art. 369. Deposito di titoli e valori.
Il tutore deve depositare il denaro, i titoli di credito al portatore e gli oggetti preziosi esistenti nel patrimonio del minore presso un istituto di credito designato dal giudice tutelare, salvo che questi disponga diversamente per la loro custodia.
Non è tenuto a depositare le somme occorrenti per le spese urgenti di mantenimento e di educazione del minore e per le spese di amministrazione.

Art. 370. Amministrazione prima dell’inventario.
Prima che sia compiuto l’inventario, l’amministrazione del tutore deve limitarsi agli affari che non ammettono dilazione.

Art. 371. Provvedimenti circa l’educazione e l’amministrazione.
Compiuto l’inventario, il giudice tutelare, su proposta del tutore e sentito il pro tutore, delibera:

1) sul luogo dove il minore deve essere cresciuto e sul suo avviamento agli studi o all’esercizio di un’arte, mestiere o professione, disposto l’ascolto dello stesso minore che abbia compiuto gli anni dieci e anche di età inferiore ove capace di discernimento e richiesto, quando opportuno, l’avviso dei parenti prossimi; (1)

2) sulla spesa annua occorrente per il mantenimento e l’istruzione del minore e per l’amministrazione del patrimonio, fissando i modi d’impiego del reddito eccedente;

3) sulla convenienza di continuare ovvero alienare o liquidare le aziende commerciali, che si trovano nel patrimonio del minore, e sulle relative modalità e cautele.

Nel caso in cui il giudice stimi evidentemente utile per il minore la continuazione dell’esercizio dell’impresa, il tutore deve domandare l’autorizzazione del tribunale. In pendenza della deliberazione del tribunale il giudice tutelare può consentire l’esercizio provvisorio dell’impresa.

(1) Il presente numero è stato così sostituito dall’art. 60 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“1) sul luogo dove il minore deve essere allevato e sul suo avviamento agli studi o all’esercizio di un’arte, mestiere o professione, sentito lo stesso minore se ha compiuto gli anni dieci, e richiesto, quando è opportuno, l’avviso dei parenti prossimi e del comitato di patronato dei minorenni”.


Art. 372. Investimento di capitali.
I capitali del minore devono, previa autorizzazione del giudice tutelare, essere dal tutore investiti:
1) in titoli dello Stato o garantiti dallo Stato;
2) nell’acquisto di beni immobili posti nella Repubblica (1);
3) in mutui garantiti da idonea ipoteca sopra i beni posti nella Repubblica (1); o in obbligazioni emesse da pubblici istituti autorizzati a esercitare il credito fondiario;
4) in depositi fruttiferi presso le casse postali o presso altre casse di risparmio o monti di credito su pegno. Il giudice, sentito il tutore e il protutore, può autorizzare il deposito presso altri istituti di credito, ovvero, per motivi particolari, un investimento diverso da quelli sopra indicati.

Art. 373. Titoli al portatore.
Se nel patrimonio del minore si trovano titoli al portatore, il tutore deve farli convertire in nominativi, salvo che il giudice tutelare disponga che siano depositati in cauta custodia.

Art. 374. Autorizzazione del giudice tutelare.
Il tutore non può senza l’autorizzazione del giudice tutelare:
1) acquistare beni, eccettuati i mobili necessari per l’uso del minore, per la economia domestica e per l’amministrazione del patrimonio;
2) riscuotere capitali, consentire alla cancellazione di ipoteche o allo svincolo di pegni, assumere obbligazioni, salvo che queste riguardino le spese necessarie per il mantenimento del minore e per l’ordinaria amministrazione del suo patrimonio;
3) accettare eredità o rinunciarvi, accettare donazioni o legati soggetti a pesi o a condizioni;
4) fare contratti di locazione d’immobili oltre il novennio o che in ogni caso si prolunghino oltre un anno dopo il raggiungimento della maggiore età;
5) promuovere giudizi, salvo che si tratti di denunzie di nuova opera o di danno temuto, di azioni possessorie o di sfratto e di azioni per riscuotere frutti o per ottenere provvedimenti conservativi.

Art. 375. Autorizzazione del tribunale.
Il tutore non può senza l’autorizzazione del tribunale:
1) alienare beni, eccettuati i frutti e i mobili soggetti a facile deterioramento;
2) costituire pegni o ipoteche;
3) procedere a divisioni o promuovere i relativi giudizi;
4) fare compromessi e transazioni o accettare concordati.
L’autorizzazione è data su parere del giudice tutelare.

Art. 376. Vendita di beni.
Nell’autorizzare la vendita dei beni, il tribunale determina se debba farsi all’incanto o a trattative private, fissandone in ogni caso il prezzo minimo.
Quando nel dare l’autorizzazione il tribunale non ha stabilito il modo di erogazione o di reimpiego del prezzo, lo stabilisce il giudice tutelare.

Art. 377. Atti compiuti senza l’osservanza delle norme dei precedenti articoli.
Gli atti compiuti senza osservare le norme dei precedenti articoli possono essere annullati su istanza del tutore o del minore o dei suoi eredi o aventi causa.

Art. 378. Atti vietati al tutore e al protutore.
Il tutore e il protutore non possono, neppure all’asta pubblica, rendersi acquirenti direttamente o per interposta persona dei beni e dei diritti del minore.
Non possono prendere in locazione i beni del minore senza l’autorizzazione e le cautele fissate dal giudice tutelare.
Gli atti compiuti in violazione di questi divieti possono essere annullati su istanza delle persone indicate nell’articolo precedente, ad eccezione del tutore e del protutore che li hanno compiuti.
Il tutore e il protutore non possono neppure diventare cessionari di alcuna ragione o credito verso il minore.

Art. 379. Gratuità della tutela.
L’ufficio tutelare è gratuito.
Il giudice tutelare tuttavia, considerando l’entità del patrimonio e le difficoltà dell’amministrazione, può assegnare al tutore un’equa indennità. Può altresì, se particolari circostanze lo richiedono, sentito il protutore, autorizzare il tutore a farsi coadiuvare nell’amministrazione, sotto la sua personale responsabilità da una o più persone stipendiate.

E’ manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale dell’art 379, secondo comma, nella parte in cui non prevede a favore del tutore, che presta al suo pupillo assistenza personale particolarmente gravosa, l’indennità che la detta norma prevede a favore del tutore in considerazione delle difficoltà dell’amministrazione del patrimonio.

Art. 380. Contabilità dell’amministrazione.
Il tutore deve tenere regolare contabilità della sua amministrazione e renderne conto ogni anno al giudice tutelare.
Il giudice può sottoporre il conto annuale all’esame del protutore e di qualche prossimo parente o affine del minore.

Art. 381. Cauzione.
Il giudice tutelare tenuto conto della particolare natura ed entità del patrimonio, può imporre al tutore di prestare una cauzione, determinandone l’ammontare e le modalità. Egli può anche liberare il tutore in tutto o in parte dalla cauzione che avesse prestata.

Art. 382. Responsabilità del tutore e del protutore.
Il tutore deve amministrare il patrimonio del minore con la diligenza del buon padre di famiglia. Egli risponde verso il minore di ogni danno a lui cagionato violando i propri doveri.
Nella stessa responsabilità incorre il protutore per ciò che riguarda i doveri del proprio ufficio.

Sezione IV – Della cessazione del tutore dall’ufficio

Art. 383. Esonero dall’ufficio.
Il giudice tutelare può sempre esonerare il tutore dall’ufficio qualora l’esercizio di esso sia al tutore soverchiamente gravoso e vi sia altra persona atta a sostituirlo.

Art. 384. Rimozione e sospensione del tutore.
Il giudice tutelare può rimuovere dall’ufficio il tutore che si sia reso colpevole di negligenza o abbia abusato dei suoi poteri, o si sia dimostrato inetto nell’adempimento di essi, o sia divenuto immeritevole dell’ufficio per atti anche estranei alla tutela, ovvero sia divenuto insolvente.
Il giudice non può rimuovere il tutore se non dopo averlo sentito o citato; può tuttavia sospenderlo dall’esercizio della tutela nei casi che non ammettono dilazioni.

Sezione V – Del rendimento del conto finale

Art. 385. Conto finale.
Il tutore che cessa dalle funzioni deve fare subito la consegna dei beni e deve presentare nel termine di due mesi il conto finale dell’amministrazione al giudice tutelare. Questi può concedere una proroga.

Art. 386. Approvazione del conto.
Il giudice tutelare invita il protutore, il minore divenuto maggiore o emancipato, ovvero, secondo le circostanze, il nuovo rappresentante legale a esaminare il conto e a presentare le loro osservazioni.
Se non vi sono osservazioni, il giudice che non trova nel conto irregolarità o lacune lo approva; in caso contrario nega l’approvazione.
Qualora il conto non sia stato presentato o sia impugnata la decisione del giudice tutelare, provvede l’autorità giudiziaria nel contraddittorio degli interessati.

Art. 387. Prescrizione delle azioni relative alla tutela.
Le azioni del minore contro il tutore e quelle del tutore contro il minore relative alla tutela si prescrivono in cinque anni dal compimento della maggiore età o dalla morte del minore. Se il tutore ha cessato dall’ufficio e ha presentato il conto prima della maggiore età o della morte del minore, il termine decorre dalla data del provvedimento col quale il giudice tutelare pronunzia sul conto stesso.
Le disposizioni di quest’articolo non si applicano all’azione per il pagamento del residuo che risulta dal conto definitivo.

Art. 388. Divieto di convenzioni prima dell’approvazione del conto.
Nessuna convenzione tra il tutore e il minore divenuto maggiore può aver luogo prima che sia decorso un anno dall’approvazione del conto della tutela. (1)
La convenzione può essere annullata su istanza del minore o dei suoi eredi o aventi causa.

Art. 389. Registro delle tutele.
Nel registro delle tutele, istituito presso ogni giudice tutelare, sono iscritti a cura del cancelliere l’apertura e la chiusura della tutela, la nomina, l’esonero e la rimozione del tutore o del protutore, le risultanze degli inventari e dei rendiconti e tutti i provvedimenti che portano modificazioni nello stato personale o patrimoniale del minore.
Dell’apertura e della chiusura della tutela il cancelliere dà comunicazione entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per l’annotazione in margine all’atto di nascita del minore.

Capo II – Dell’emancipazione

Art. 390. Emancipazione di diritto.
Il minore è di diritto emancipato col matrimonio.

Art. 391. (Abrogato)

Art. 392. Curatore dell’emancipato.
Curatore del minore sposato con persona maggiore di età è il coniuge.
Se entrambi i coniugi sono minori di età, il giudice tutelare può nominare un unico curatore, scelto preferibilmente fra i genitori.
Se interviene l’annullamento per una causa diversa dall’età, o lo scioglimento o la cessazione degli effetti civili del matrimonio o la separazione personale, il giudice tutelare nomina curatore uno dei genitori, se idoneo all’ufficio, o, in mancanza, altra persona. Nel caso in cui il minore contrae successivamente matrimonio, il curatore lo assiste altresì negli atti previsti nell’articolo 165.

Art. 393. Incapacità o rimozione del curatore.
Sono applicabili al curatore le disposizioni degli articoli 348, ultimo comma, 350 e 384.

Art. 394. Capacità dell’emancipato.
L’emancipazione conferisce al minore la capacità di compiere gli atti che non eccedono l’ordinaria amministrazione.
Il minore emancipato può con l’assistenza del curatore riscuotere i capitali sotto la condizione di un idoneo impiego e può stare in giudizio sia come attore sia come convenuto.
Per gli altri atti eccedenti l’ordinaria amministrazione, oltre il consenso del curatore, è necessaria l’autorizzazione del giudice tutelare. Per gli atti indicati nell’articolo 375 l’autorizzazione, se curatore non è il genitore, deve essere data dal tribunale su parere del giudice tutelare.
Qualora nasca conflitto di interessi fra il minore e il curatore, è nominato un curatore speciale a norma dell’ultimo comma dell’articolo 320.

Art. 395. Rifiuto del consenso da parte del curatore.
Nel caso in cui il curatore rifiuta il suo consenso, il minore può ricorrere al giudice tutelare, il quale, se stima ingiustificato il rifiuto, nomina un curatore speciale per assistere il minore nel compimento dell’atto, salva, se occorre, l’autorizzazione del tribunale.

Art. 396. Inosservanza delle precedenti norme.
Gli atti compiuti senza osservare le norme stabilite nell’articolo 394 possono essere annullati su istanza del minore o dei suoi eredi o aventi causa.
Sono applicabili al curatore le disposizioni dell’articolo 378.

Art. 397. Emancipato autorizzato all’esercizio di un’impresa commerciale.
Il minore emancipato può esercitare un’impresa commerciale senza l’assistenza del curatore, se è autorizzato dal tribunale, previo parere del giudice tutelare e sentito il curatore.
L’autorizzazione può essere revocata dal tribunale su istanza del curatore o d’ufficio, previo, in entrambi i casi, il parere del giudice tutelare e sentito il minore emancipato.
Il minore emancipato, che è autorizzato all’esercizio di una impresa commerciale, può compiere da solo gli atti che eccedono l’ordinaria amministrazione, anche se estranei all’esercizio dell’impresa.

Art. 398 – 399 (Abrogati)

    Titolo XI – Dell’affiliazione e dell’affidamento

Art. 400. Norme regolatrici dell’assistenza dei minori.
L’assistenza dei minori è regolata oltre che dalle leggi speciali dalle norme del presente titolo.

Art. 401. Limiti di applicazione delle norme.
Le disposizioni del presente titolo si applicano anche ai minori che sono figli di genitori non conosciuti, ovvero figli naturali riconosciuti dalla sola madre che si trovi nell’impossibilità di provvedere al loro allevamento.
Le stesse disposizioni si applicano ai minori ricoverati in un istituto di pubblica assistenza o assistiti da questo per il mantenimento, l’educazione o la rieducazione, ovvero in istato di abbandono materiale o morale.

Art. 402. Poteri tutelari spettanti agli istituti di assistenza.
L’istituto di pubblica assistenza esercita i poteri tutelari sul minore ricoverato o assistito, secondo le norme del titolo X, capo I di questo libro, fino a quando non si provveda alla nomina di un tutore, e in tutti i casi nei quali l’esercizio della responsabilità genitoriale o della tutela sia impedito. Resta salva la facoltà del giudice tutelare di deferire la tutela all’ente di assistenza o all’ospizio, ovvero di nominare un tutore a norma dell’art. 354.

Nel caso in cui il genitore riprenda l’esercizio della responsabilità genitoriale, l’Istituto deve chiedere al giudice tutelare di fissare eventualmente limiti o condizioni a tale esercizio.

(1) Le parole “potestà dei genitori” del presente articolo sono state sostituite dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 62 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 403. Intervento della pubblica autorità a favore dei minori.

Quando il minore è moralmente o materialmente abbandonato o si trova esposto, nell’ambiente familiare, a grave pregiudizio e pericolo per la sua incolumità psicofisica e vi è dunque emergenza di provvedere, la pubblica autorità, a mezzo degli organi di protezione dell’infanzia, lo colloca in luogo sicuro, sino a quando si possa provvedere in modo definitivo alla sua protezione.

La pubblica autorità che ha adottato il provvedimento emesso ai sensi del primo comma ne dà immediato avviso orale al pubblico ministero presso il tribunale per i minorenni, nella cui circoscrizione il minore ha la sua residenza abituale; entro le ventiquattro ore successive al collocamento del minore in sicurezza, con l’allontanamento da uno o da entrambi i genitori o dai soggetti esercenti la responsabilità genitoriale, trasmette al pubblico ministero il provvedimento corredato di ogni documentazione utile e di sintetica relazione che descrive i motivi dell’intervento a tutela del minore.

Il pubblico ministero, entro le successive settantadue ore, se non dispone la revoca del collocamento, chiede al tribunale per i minorenni la convalida del provvedimento; a tal fine può assumere sommarie informazioni e disporre eventuali accertamenti. Con il medesimo ricorso il pubblico ministero può formulare richieste ai sensi degli articoli 330 e seguenti.

Entro le successive quarantotto ore il tribunale per i minorenni, con decreto del presidente o del giudice da lui delegato, provvede sulla richiesta di convalida del provvedimento, nomina il curatore speciale del minore e il giudice relatore e fissa l’udienza di comparizione delle parti innanzi a questo entro il termine di quindici giorni. Il decreto è immediatamente comunicato al pubblico ministero e all’autorità che ha adottato il provvedimento a cura della cancelleria. Il ricorso e il decreto sono notificati entro quarantotto ore agli esercenti la responsabilità genitoriale e al curatore speciale a cura del pubblico ministero che a tal fine può avvalersi della polizia giudiziaria.

All’udienza il giudice relatore interroga liberamente le parti e può assumere informazioni; procede inoltre all’ascolto del minore direttamente e, ove ritenuto necessario, con l’ausilio di un esperto. Entro i quindici giorni successivi il tribunale per i minorenni, in composizione collegiale, pronuncia decreto con cui conferma, modifica o revoca il decreto di convalida, può adottare provvedimenti nell’interesse del minore e qualora siano state proposte istanze ai sensi degli articoli 330 e seguenti dà le disposizioni per l’ulteriore corso del procedimento. Il decreto è immediatamente comunicato alle parti a cura della cancelleria. (2)

Entro il termine perentorio di dieci giorni dalla comunicazione del decreto il pubblico ministero, gli esercenti la responsabilità genitoriale e il curatore speciale possono proporre reclamo alla corte d’appello ai sensi dell’articolo 739 del codice di procedura civile. La corte d’appello provvede entro sessanta giorni dal deposito del reclamo.

Il provvedimento emesso dalla pubblica autorità perde efficacia se la trasmissione degli atti da parte della pubblica autorità, la richiesta di convalida da parte del pubblico ministero e i decreti del tribunale per i minorenni non intervengono entro i termini previsti. In questo caso il tribunale per i minorenni adotta i provvedimenti temporanei e urgenti nell’interesse del minore.

Qualora il minore sia collocato in comunità di tipo familiare, quale ipotesi residuale da applicare in ragione dell’accertata esclusione di possibili soluzioni alternative, si applicano le norme in tema di affidamento familiare.

 

Titolo XII – Delle misure di protezione delle persone prive in tutto od in parte di autonomia
Capo I – Dell’amministrazione di sostegno

Art. 404. Amministrazione di sostegno.
La persona che, per effetto di una infermità ovvero di una menomazione fisica o psichica, si trova nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, può essere assistita da un amministratore di sostegno, nominato dal giudice tutelare del luogo in cui questa ha la residenza o il domicilio.

Art. 405. Decreto di nomina dell’amministratore di sostegno. Durata dell’incarico e relativa pubblicità.
Il giudice tutelare provvede entro sessanta giorni dalla data di presentazione della richiesta alla nomina dell’amministratore di sostegno con decreto motivato immediatamente esecutivo, su ricorso di uno dei soggetti indicati nell’articolo 406.
Il decreto che riguarda un minore non emancipato può essere emesso solo nell’ultimo anno della sua minore età e diventa esecutivo a decorrere dal momento in cui la maggiore età è raggiunta.
Se l’interessato è un interdetto o un inabilitato, il decreto è esecutivo dalla pubblicazione della sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione.
Qualora ne sussista la necessità, il giudice tutelare adotta anche d’ufficio i provvedimenti urgenti per la cura della persona interessata e per la conservazione e l’amministrazione del suo patrimonio. Può procedere alla nomina di un amministratore di sostegno provvisorio indicando gli atti che è autorizzato a compiere.
Il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno deve contenere l’indicazione:
1) delle generalità della persona beneficiaria e dell’amministratore di sostegno;
2) della durata dell’incarico, che può essere anche a tempo indeterminato;
3) dell’oggetto dell’incarico e degli atti che l’amministratore di sostegno ha il potere di compiere in nome e per conto del beneficiario;
4) degli atti che il beneficiario può compiere solo con l’assistenza dell’amministratore di sostegno;
5) dei limiti, anche periodici, delle spese che l’amministratore di sostegno può sostenere con utilizzo delle somme di cui il beneficiario ha o può avere la disponibilità;
6) della periodicità con cui l’amministratore di sostegno deve riferire al giudice circa l’attività svolta e le condizioni di vita personale e sociale del beneficiario.
Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, il giudice tutelare può prorogarlo con decreto motivato pronunciato anche d’ufficio prima della scadenza del termine.
Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno, il decreto di chiusura ed ogni altro provvedimento assunto dal giudice tutelare nel corso dell’amministrazione di sostegno devono essere immediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro. Il decreto di apertura dell’amministrazione di sostegno e il decreto di chiusura devono essere comunicati, entro dieci giorni, all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita del beneficiario. Se la durata dell’incarico è a tempo determinato, le annotazioni devono essere cancellate alla scadenza del termine indicato nel decreto di apertura o in quello eventuale di proroga.

Art. 406. Soggetti.
Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno può essere proposto dallo stesso soggetto beneficiario, anche se minore, interdetto o inabilitato, ovvero da uno dei soggetti indicati nell’articolo 417.
Se il ricorso concerne persona interdetta o inabilitata il medesimo è presentato congiuntamente all’istanza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione davanti al giudice competente per quest’ultima.
I responsabili dei servizi sanitari e sociali direttamente impegnati nella cura e assistenza della persona, ove a conoscenza di fatti tali da rendere opportuna l’apertura del procedimento di amministrazione di sostegno, sono tenuti a proporre al giudice tutelare il ricorso di cui all’articolo 407 o a fornirne comunque notizia al pubblico ministero.

Art. 407. Procedimento.
Il ricorso per l’istituzione dell’amministrazione di sostegno deve indicare le generalità del beneficiario, la sua dimora abituale, le ragioni per cui si richiede la nomina dell’amministratore di sostegno, il nominativo ed il domicilio, se conosciuti dal ricorrente, del coniuge, dei discendenti, degli ascendenti, dei fratelli e dei conviventi del beneficiario.
Il giudice tutelare deve sentire personalmente la persona cui il procedimento si riferisce recandosi, ove occorra, nel luogo in cui questa si trova e deve tener conto, compatibilmente con gli interessi e le esigenze di protezione della persona, dei bisogni e delle richieste di questa.
Il giudice tutelare provvede, assunte le necessarie informazioni e sentiti i soggetti di cui all’articolo 406; in caso di mancata comparizione provvede comunque sul ricorso. Dispone altresì, anche d’ufficio, gli accertamenti di natura medica e tutti gli altri mezzi istruttori utili ai fini della decisione.
Il giudice tutelare può, in ogni tempo, modificare o integrare, anche d’ufficio, le decisioni assunte con il decreto di nomina dell’amministratore di sostegno.
In ogni caso, nel procedimento di nomina dell’amministratore di sostegno interviene il pubblico ministero.

Art. 408. Scelta dell’amministratore di sostegno.
La scelta dell’amministratore di sostegno avviene con esclusivo riguardo alla cura ed agli interessi della persona del beneficiario. L’amministratore di sostegno può essere designato dallo stesso interessato, in previsione della propria eventuale futura incapacità, mediante atto pubblico o scrittura privata autenticata. In mancanza, ovvero in presenza di gravi motivi, il giudice tutelare può designare con decreto motivato un amministratore di sostegno diverso. Nella scelta, il giudice tutelare preferisce, ove possibile, il coniuge che non sia separato legalmente, la persona stabilmente convivente, il padre, la madre, il figlio o il fratello o la sorella, il parente entro il quarto grado ovvero il soggetto designato dal genitore superstite con testamento, atto pubblico o scrittura privata autenticata.
Le designazioni di cui al primo comma possono essere revocate dall’autore con le stesse forme.
Non possono ricoprire le funzioni di amministratore di sostegno gli operatori dei servizi pubblici o privati che hanno in cura o in carico il beneficiario.
Il giudice tutelare, quando ne ravvisa l’opportunità, e nel caso di designazione dell’interessato quando ricorrano gravi motivi, può chiamare all’incarico di amministratore di sostegno anche altra persona idonea, ovvero uno dei soggetti di cui al titolo II al cui legale rappresentante ovvero alla persona che questi ha facoltà di delegare con atto depositato presso l’ufficio del giudice tutelare, competono tutti i doveri e tutte le facoltà previste nel presente capo.

Art. 409. Effetti dell’amministrazione di sostegno.
Il beneficiario conserva la capacità di agire per tutti gli atti che non richiedono la rappresentanza esclusiva o l’assistenza necessaria dell’amministratore di sostegno.
Il beneficiario dell’amministrazione di sostegno può in ogni caso compiere gli atti necessari a soddisfare le esigenze della propria vita quotidiana.

Art. 410. Doveri dell’amministratore di sostegno.
Nello svolgimento dei suoi compiti l’amministratore di sostegno deve tener conto dei bisogni e delle aspirazioni del beneficiario.
L’amministratore di sostegno deve tempestivamente informare il beneficiario circa gli atti da compiere nonché il giudice tutelare in caso di dissenso con il beneficiario stesso. In caso di contrasto, di scelte o di atti dannosi ovvero di negligenza nel perseguire l’interesse o nel soddisfare i bisogni o le richieste del beneficiario, questi, il pubblico ministero o gli altri soggetti di cui all’articolo 406 possono ricorrere al giudice tutelare, che adotta con decreto motivato gli opportuni provvedimenti.
L’amministratore di sostegno non è tenuto a continuare nello svolgimento dei suoi compiti oltre dieci anni, ad eccezione dei casi in cui tale incarico è rivestito dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dagli ascendenti o dai discendenti.

Art. 411. Norme applicabili all’amministrazione di sostegno.
Si applicano all’amministratore di sostegno, in quanto compatibili, le disposizioni di cui agli articoli da 349 a 353 e da 374 a 388. I provvedimenti di cui agli articoli 375 e 376 sono emessi dal giudice tutelare.
All’amministratore di sostegno si applicano altresì, in quanto compatibili, le disposizioni degli articoli 596, 599 e 779.
Sono in ogni caso valide le disposizioni testamentarie e le convenzioni in favore dell’amministratore di sostegno che sia parente entro il quarto grado del beneficiario, ovvero che sia coniuge o persona che sia stata chiamata alla funzione in quanto con lui stabilmente convivente.
Il giudice tutelare, nel provvedimento con il quale nomina l’amministratore di sostegno, o successivamente, può disporre che determinati effetti, limitazioni o decadenze, previsti da disposizioni di legge per l’interdetto o l’inabilitato, si estendano al beneficiario dell’amministrazione di sostegno, avuto riguardo all’interesse del medesimo ed a quello tutelato dalle predette disposizioni. Il provvedimento è assunto con decreto motivato a seguito di ricorso che può essere presentato anche dal beneficiario direttamente.

Art. 412. Atti compiuti dal beneficiario o dall’amministratore di sostegno in violazione di norme di legge o delle disposizioni del giudice.
Gli atti compiuti dall’amministratore di sostegno in violazione di disposizioni di legge, od in eccesso rispetto all’oggetto dell’incarico o ai poteri conferitigli dal giudice, possono essere annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del pubblico ministero, del beneficiario o dei suoi eredi ed aventi causa.
Possono essere parimenti annullati su istanza dell’amministratore di sostegno, del beneficiario, o dei suoi eredi ed aventi causa, gli atti compiuti personalmente dal beneficiario in violazione delle disposizioni di legge o di quelle contenute nel decreto che istituisce l’amministrazione di sostegno.
Le azioni relative si prescrivono nel termine di cinque anni. Il termine decorre dal momento in cui è cessato lo stato di sottoposizione all’amministrazione di sostegno.

Art. 413. Revoca dell’amministrazione di sostegno.
Quando il beneficiario, l’amministratore di sostegno, il pubblico ministero o taluno dei soggetti di cui all’articolo 406, ritengono che si siano determinati i presupposti per la cessazione dell’amministrazione di sostegno, o per la sostituzione dell’amministratore, rivolgono istanza motivata al giudice tutelare.
L’istanza è comunicata al beneficiario ed all’amministratore di sostegno.
Il giudice tutelare provvede con decreto motivato, acquisite le necessarie informazioni e disposti gli opportuni mezzi istruttori.
Il giudice tutelare provvede altresì, anche d’ufficio, alla dichiarazione di cessazione dell’amministrazione di sostegno quando questa si sia rivelata inidonea a realizzare la piena tutela del beneficiario. In tale ipotesi, se ritiene che si debba promuovere giudizio di interdizione o di inabilitazione, ne informa il pubblico ministero, affinché vi provveda. In questo caso l’amministrazione di sostegno cessa con la nomina del tutore o del curatore provvisorio ai sensi dell’articolo 419, ovvero con la dichiarazione di interdizione o di inabilitazione.

Capo II
Della interdizione, della inabilitazione e della incapacità naturale


Art. 414. Persone che possono essere interdette.
Il maggiore di età e il minore emancipato, i quali si trovano in condizioni di abituale infermità di mente che li rende incapaci di provvedere ai propri interessi, sono interdetti quando ciò è necessario per assicurare la loro adeguata protezione.

Art. 415. Persone che possono essere inabilitate.
Il maggiore di età infermo di mente, lo stato del quale non è talmente grave da far luogo all’interdizione, può essere inabilitato.
Possono anche essere inabilitati coloro che, per prodigalità o per abuso abituale di bevande alcoliche o di stupefacenti, espongono sé o la loro famiglia a gravi pregiudizi economici.
Possono infine essere inabilitati il sordomuto e il cieco dalla nascita o dalla prima infanzia, se non hanno ricevuto un’educazione sufficiente, salva l’applicazione dell’articolo 414 quando risulta che essi sono del tutto incapaci di provvedere ai propri interessi.

Art. 416. Interdizione e inabilitazione nell’ultimo anno di minore età.
Il minore non emancipato può essere interdetto o inabilitato nell’ultimo anno della sua minore età. L’interdizione o l’inabilitazione ha effetto dal giorno in cui il minore raggiunge l’età maggiore.

Art. 417. Istanza d’interdizione o di inabilitazione.
L’interdizione o l’inabilitazione possono essere promosse dalle persone indicate negli articoli 414 e 415, dal coniuge, dalla persona stabilmente convivente, dai parenti entro il quarto grado, dagli affini entro il secondo grado, dal tutore o curatore ovvero dal pubblico ministero.  

Se l’interdicendo o l’inabilitando si trova sotto la responsabilità genitoriale o ha per curatore uno dei genitori, l’interdizione o l’inabilitazione non può essere promossa che su istanza del genitore medesimo o del pubblico ministero. (1)

(4) Le parole “potestà dei genitori” del presente comma sono state sostituite dalle seguenti parole “responsabilità genitoriale” dall’art. 63, D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 


Art. 418. Poteri dell’autorità giudiziaria.
Promosso il giudizio di interdizione, può essere dichiarata anche d’ufficio l’inabilitazione per infermità di mente.
Se nel corso del giudizio d’inabilitazione si rivela l’esistenza delle condizioni richieste per l’interdizione, il pubblico ministero fa istanza al tribunale di pronunziare l’interdizione, e il tribunale provvede nello stesso giudizio, premessa l’istruttoria necessaria.
Se nel corso del giudizio di interdizione o di inabilitazione appare opportuno applicare l’amministrazione di sostegno, il giudice, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione del procedimento al giudice tutelare. In tal caso il giudice competente per l’interdizione o per l’inabilitazione può adottare i provvedimenti urgenti di cui al quarto comma dell’articolo 405. (1)

Art. 419. Mezzi istruttori e provvedimenti provvisori.
Non si può pronunziare l’interdizione o l’inabilitazione senza che si sia proceduto all’esame dell’interdicendo o dell’inabilitando.
Il giudice può in questo esame farsi assistere da un consulente tecnico. Può anche d’ufficio disporre i mezzi istruttori utili ai fini del giudizio, interrogare i parenti prossimi dell’interdicendo o inabilitando e assumere le necessarie informazioni.
Dopo l’esame, qualora sia ritenuto opportuno, può essere nominato un tutore provvisorio all’interdicendo o un curatore provvisorio all’inabilitando.

Art. 420. (Abrogato)


Art. 421. Decorrenza degli effetti dell’interdizione e dell’inabilitazione.
L’interdizione e l’inabilitazione producono i loro effetti dal giorno della pubblicazione della sentenza, salvo il caso previsto dall’articolo 416.

Art. 422. Cessazione del tutore e del curatore provvisorio.
Nella sentenza che rigetta l’istanza d’interdizione o d’inabilitazione, può disporsi che il tutore o il curatore provvisorio rimanga in ufficio fino a che la sentenza non sia passata in giudicato.

Art. 423. Pubblicità.
Il decreto di nomina del tutore o del curatore provvisorio e la sentenza d’interdizione o d’inabilitazione devono essere immediatamente annotati a cura del cancelliere nell’apposito registro e comunicati entro dieci giorni all’ufficiale dello stato civile per le annotazioni in margine all’atto di nascita.

Art. 424. Tutela dell’interdetto e curatela dell’inabilitato.
Le disposizioni sulla tutela dei minori e quelle sulla curatela dei minori emancipati si applicano rispettivamente alla tutela degli interdetti e alla curatela degli inabilitati.
Le stesse disposizioni si applicano rispettivamente anche nei casi di nomina del tutore provvisorio dell’interdicendo e del curatore provvisorio dell’inabilitando a norma dell’articolo 419. Per l’interdicendo non si nomina il protutore provvisorio.
Nella scelta del tutore dell’interdetto e del curatore dell’inabilitato il giudice tutelare individua di preferenza la persona più idonea all’incarico tra i soggetti, e con i criteri, indicati nell’articolo 408. (1)

Art. 425. Esercizio dell’impresa commerciale da parte dell’inabilitato.
L’inabilitato può continuare l’esercizio dell’impresa commerciale soltanto se autorizzato dal tribunale su parere del giudice tutelare. L’autorizzazione può essere subordinata alla nomina di un institore.

Art. 426. Durata dell’ufficio.
Nessuno è tenuto a continuare nella tutela dell’interdetto o nella curatela dell’inabilitato oltre dieci anni, ad eccezione del coniuge, della persona stabilmente convivente, degli ascendenti o dei discendenti. (1)

Art. 427. Atti compiuti dall’interdetto e dall’inabilitato.
Nella sentenza che pronuncia l’interdizione o l’inabilitazione, o in successivi provvedimenti dell’autorità giudiziaria, può stabilirsi che taluni atti di ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’interdetto senza l’intervento ovvero con l’assistenza del tutore, o che taluni atti eccedenti l’ordinaria amministrazione possano essere compiuti dall’inabilitato senza l’assistenza del curatore. (1)
Gli atti compiuti dall’interdetto dopo la sentenza di interdizione possono essere annullati su istanza del tutore, dell’interdetto o dei suoi eredi o aventi causa. Sono del pari annullabili gli atti compiuti dall’interdetto dopo la nomina del tutore provvisorio, qualora alla nomina segua la sentenza di interdizione.
Possono essere annullati su istanza dell’inabilitato o dei suoi eredi o aventi causa gli atti eccedenti l’ordinaria amministrazione fatti dall’inabilitato, senza l’osservanza delle prescritte formalità, dopo la sentenza d’inabilitazione o dopo la nomina del curatore provvisorio, qualora alla nomina sia seguita l’inabilitazione.
Per gli atti compiuti dall’interdetto prima della sentenza d’interdizione o prima della nomina del tutore provvisorio si applicano le disposizioni dell’articolo seguente.

Art. 428. Atti compiuti da persona incapace d’intendere o di volere.
Gli atti compiuti da persona che, sebbene non interdetta, si provi essere stata per qualsiasi causa, anche transitoria, incapace d’intendere o di volere al momento in cui gli atti sono stati compiuti possono essere annullati su istanza della
persona medesima o dei suoi eredi o aventi causa, se ne risulta un grave pregiudizio all’autore.
L’annullamento dei contratti non può essere pronunziato se non quando, per il pregiudizio che sia derivato o possa derivare alla persona incapace d’intendere o di volere o per la qualità del contratto o altrimenti, risulta la malafede dell’altro contraente.
L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui l’atto o il contratto è stato compiuto.
Resta salva ogni diversa disposizione di legge.

Art. 429. Revoca dell’interdizione e dell’inabilitazione.
Quando cessa la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione, queste possono essere revocate su istanza del coniuge, dei parenti entro il quarto grado o degli affini entro il secondo grado, del tutore dell’interdetto, del curatore dell’inabilitato o su istanza del pubblico ministero.
Il giudice tutelare deve vigilare per riconoscere se la causa dell’interdizione o dell’inabilitazione continui. Se ritiene che sia venuta meno, deve informarne il pubblico ministero.
Se nel corso del giudizio per la revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione appare opportuno che, successivamente alla revoca, il soggetto sia assistito dall’amministratore di sostegno, il tribunale, d’ufficio o ad istanza di parte, dispone la trasmissione degli atti al giudice tutelare.

Art. 430. Pubblicità.
Alla sentenza di revoca dell’interdizione o dell’inabilitazione si applica l’articolo 423.

Art. 431. Decorrenza degli effetti della sentenza di revoca.
La sentenza che revoca l’interdizione o l’inabilitazione produce i suoi effetti appena passata in giudicato.
Tuttavia gli atti compiuti dopo la pubblicazione della sentenza di revoca non possono essere impugnati se non quando la revoca è esclusa con sentenza passata in giudicato.

Art. 432. Inabilitazione nel giudizio di revoca dell’interdizione.
L’autorità giudiziaria che, pur riconoscendo fondata l’istanza di revoca dell’interdizione, non crede che l’infermo abbia riacquistato la piena capacità, può revocare l’interdizione e dichiarare inabilitato l’infermo medesimo.
Si applica anche in questo caso il primo comma dell’articolo precedente.
Gli atti non eccedenti l’ordinaria amministrazione, compiuti dall’inabilitato dopo la pubblicazione della sentenza che revoca l’interdizione, possono essere impugnati solo quando la revoca è esclusa con sentenza passata in giudicato.

 

Titolo XIII – Degli alimenti

Art. 433. Persone obbligate
All’ obbligo di prestare gli alimenti sono tenuti, nell’ordine:

1) il coniuge;

2) i figli, anche adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi; (2)

3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi; gli adottanti; (3)

4) i generi e le nuore;

5) il suocero e la suocera;

6) i fratelli e le sorelle germani o unilaterali, con precedenza dei germani sugli unilaterali.

(1)

(1) Articolo sostituito dall’art 168, L. 19.05.1975, n. 151.

(2) Il presente numero è stato così sostituito dall’art. 64 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“2) i figli legittimi o legittimati o naturali o adottivi, e, in loro mancanza, i discendenti prossimi, anche naturali”.

(3) Il presente numero è stato così sostituito dall’art. 64 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. Il testo previgente disponeva che: 

“3) i genitori e, in loro mancanza, gli ascendenti prossimi, anche naturali; gli adottanti”.


Art. 434. Cessazione dell’obbligo tra affini.
L’obbligazione alimentare del suocero e della suocera e quella del genero e della nuora cessano:
1) quando la persona che ha diritto agli alimenti è passata a nuove nozze;
2) quando il coniuge, da cui deriva l’affinità, e i figli nati dalla sua unione con l’altro coniuge e i loro discendenti sono morti.

Art. 435. (Abrogato)


Art. 436. Obbligo tra adottante e adottato.
L’adottante deve gli alimenti al figlio adottivo con precedenza sui genitori [legittimi o naturali] di lui.

Le parole del presente comma riportate tra parentesi quadre sono state soppresse dall’art. 65 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014.


Art. 437. Obbligo del donatario.
Il donatario è tenuto, con precedenza su ogni altro obbligato, a prestare gli alimenti al donante, a meno che si tratti di donazione fatta in riguardo di un matrimonio o di una donazione rimuneratoria.


Art. 438. Misura degli alimenti.
Gli alimenti possono essere chiesti solo da chi versa in istato di bisogno e non è in grado di provvedere al proprio mantenimento.
Essi devono essere assegnati in proporzione del bisogno di chi li domanda e delle condizioni economiche di chi deve somministrarli. Non devono tuttavia superare quanto sia necessario per la vita dell’alimentando, avuto però riguardo alla sua posizione sociale.
Il donatario non è tenuto oltre il valore della donazione tuttora esistente nel suo patrimonio.

Art. 439. Misura degli alimenti tra fratelli e sorelle.
Tra fratelli e sorelle gli alimenti sono dovuti nella misura dello stretto necessario.
Possono comprendere anche le spese per l’educazione e l’istruzione se si tratta di minore.

Art. 440. Cessazione, riduzione e aumento.
Se dopo l’assegnazione degli alimenti mutano le condizioni economiche di chi li somministra o di chi li riceve, l’autorità giudiziaria provvede per la cessazione, la riduzione o l’aumento, secondo le circostanze. Gli alimenti possono pure essere ridotti per la condotta disordinata o riprovevole dell’alimentato.
Se, dopo assegnati gli alimenti, consta che uno degli obbligati di grado anteriore è in condizione di poterli somministrare, l’autorità giudiziaria non può liberare l’obbligato di grado posteriore se non quando abbia imposto all’obbligato di grado anteriore di somministrare gli alimenti.

Art. 441. Concorso di obbligati.
Se più persone sono obbligate nello stesso grado alla prestazione degli alimenti, tutte devono concorrere alla prestazione stessa, ciascuna in proporzione delle proprie condizioni economiche.
Se le persone chiamate in grado anteriore alla prestazione non sono in condizioni di sopportare l’onere in tutto o in parte, l’obbligazione stessa è posta in tutto o in parte a carico delle persone chiamate in grado posteriore.
Se gli obbligati non sono concordi sulla misura, sulla distribuzione e sul modo di somministrazione degli alimenti, provvede l’autorità giudiziaria secondo le circostanze.

Art. 442. Concorso di aventi diritto.
Quando più persone hanno diritto agli alimenti nei confronti di un medesimo obbligato, e questi non è in grado di provvedere ai bisogni di ciascuna di esse, l’autorità giudiziaria dà i provvedimenti opportuni, tenendo conto della prossimità della parentela e dei rispettivi bisogni, e anche della possibilità che taluno degli aventi diritto abbia di conseguire gli alimenti da obbligati di grado ulteriore.

Art. 443. Modo di somministrazione degli alimenti.
Chi deve somministrare gli alimenti ha la scelta di adempiere questa obbligazione o mediante un assegno alimentare corrisposto in periodi anticipati, o accogliendo e mantenendo nella propria casa colui che vi ha diritto.
L’autorità giudiziaria può però, secondo le circostanze, determinare il modo di somministrazione.
In caso di urgente necessità l’autorità giudiziaria può altresì porre temporaneamente l’obbligazione degli alimenti a carico di uno solo tra quelli che vi sono obbligati, salvo il regresso verso gli altri.

Art. 444. Adempimento della prestazione alimentare.
L’assegno alimentare prestato secondo le modalità stabilite non può essere nuovamente richiesto, qualunque uso l’alimentando ne abbia fatto.

Art. 445. Decorrenza degli alimenti.
Gli alimenti sono dovuti dal giorno della domanda giudiziale o dal giorno della costituzione in mora dell’obbligato, quando questa costituzione sia entro sei mesi seguita dalla domanda giudiziale.

Art. 446. Assegno provvisorio.
Finché non sono determinati definitivamente il modo e la misura degli alimenti, il presidente del tribunale può, sentita l’altra parte, ordinare un assegno in via provvisoria ponendolo, nel caso di concorso di più obbligati, a carico anche di uno solo di essi, salvo il regresso verso gli altri.

Art. 447. Inammissibilità di cessione e di compensazione.
Il credito alimentare non può essere ceduto.
L’obbligato agli alimenti non può opporre all’altra parte la compensazione, neppure quando si tratta di prestazioni arretrate.

Art. 448. Cessazione per morte dell’obbligato.
L’obbligo degli alimenti cessa con la morte dell’obbligato, anche se questi li ha somministrati in esecuzione di sentenza.

 

Art. 448 bis. Cessazione per decadenza dell’avente diritto dalla responsabilità genitoriale sui figli

Il figlio, anche adottivo, e, in sua mancanza, i discendenti prossimi non sono tenuti all’adempimento dell’obbligo di prestare gli alimenti al genitore nei confronti del quale è stata pronunciata la decadenza dalla responsabilità genitoriale e, per i fatti che non integrano i casi di indegnità di cui all’articolo 463, possono escluderlo dalla successione. 

(1) (2)

(1) Il presente articolo è stato inserito dall’art. 1, comma 9, L. 10.11.2012, n. 219 con decorrenza dal 01.01.2013.

(2) La parola “potestà” nella rubrica e nel testo del presente articolo è stata sostituita dalle seguenti “responsabilità genitoriale” dall’art. 66 D.Lgs. 28.12.2013, n. 154 con decorrenza dal 07.02.2014. 

 

Titolo XIV – Degli atti dello stato civile

Art. 449. Registri dello stato civile.
I registri dello stato civile sono tenuti in ogni comune in conformità delle norme contenute nella legge sull’ordinamento dello stato civile.

Art. 450. Pubblicità dei registri dello stato civile.
I registri dello stato civile sono pubblici.
Gli ufficiali dello stato civile devono rilasciare gli estratti e i certificati che vengono loro domandati con le indicazioni dalla legge prescritte.
Essi devono altresì compiere negli atti affidati alla loro custodia le indagini domandate dai privati.

Art. 451. Forza probatoria degli atti.
Gli atti dello stato civile fanno prova, fino a querela di falso, di ciò che l’ufficiale pubblico attesta essere avvenuto alla sua presenza o da lui compiuto.
Le dichiarazioni dei comparenti fanno fede fino a prova contraria.
Le indicazioni estranee all’atto non hanno alcun valore.

Art. 452. Mancanza, distruzione o smarrimento di registri.
Se non si sono tenuti i registri o sono andati distrutti o smarriti o se, per qualunque altra causa, manca in tutto o in parte la registrazione dell’atto, la prova della nascita o della morte può essere data con ogni mezzo.
In caso di mancanza, di distruzione totale o parziale, di alterazione o di occultamento accaduti per dolo del richiedente, questi non è ammesso alla prova consentita nel comma precedente.

Art. 453. Annotazioni.
Nessuna annotazione può essere fatta sopra un atto già iscritto nei registri se non è disposta per legge ovvero non è ordinata dall’autorità giudiziaria.

Art. 454. (Abrogato)

Art. 455. Efficacia della sentenza di rettificazione.
La sentenza di rettificazione non può essere opposta a quelli che non concorsero a domandare la rettificazione, ovvero non furono parti in giudizio o non vi furono regolarmente chiamati.