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Cassazione Civile 6703/1998 – Transazione su titolo nullo ex art. 1972 cc – Nullità, inesistenza o esaurimento del titolo negoziale rimasto fuori della transazione – Conseguenze

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Sentenza 6703/1998

Transazione su titolo nullo ex art. 1972 cc – Nullità, inesistenza o esaurimento del titolo negoziale rimasto fuori della transazione – Conseguenze

Mentre, ai sensi del secondo comma dell’art. 1972 cod. civ., la transazione fatta relativamente ad un titolo nullo è annullabile e la relativa richiesta è rimessa esclusivamente alla parte che ignorava la causa di nullità del titolo, la nullità o l’inesistenza, o comunque l’esaurimento del preesistente titolo rimasto invece incontroverso e fuori della transazione (cosiddetta transazione “non novativa”), invece determinano, indipendentemente da ogni impugnativa, automaticamente l’inutilità della transazione.

Corte di Cassazione, Sezione 1 civile, Sentenza 10 luglio 1998, n. 6703   (CED Cassazione 1998)

Art. 1972 cc (Transazione su un titolo nullo)

 

 

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO 

Con atto di citazione notificato il 31.10.1988, il Comune di Padova conveniva in giudizio avanti alla Corte di Appello di Venezia i consorti Sc. nonché la locale Amministrazione Provinciale, premettendo:
a)che i predetti consorti erano proprietari di un terreno in Padova;
b) che l’area era ricompresa nel piano di edilizia economica e popolare;
c) che in data 8.6.1987 era stato emesso decreto definitivo di esproprio;
d) che con provvedimento del 7.7.1988, pubblicato sul f.a.l. il 4.10.1988, la Commissione Provinciale di Padova aveva determinato l’indennità definitiva in complessive lire 318.590.000. Tanto premesso, il Comune patavino proponeva opposizione avverso tale determinazione ritenendola eccessiva e comunque censurando la qualificazione dell’area come urbanizzata, onde chiedeva che, accertata la natura agricola del suolo, fosse accertata la giusta indennità.
Con distinti atti di citazione, rispettivamente notificati il 20.6.1989 ed il 7.7.1989, proponevano quindi opposizione alla stessa stima sia Gi., Ne., Lu. e Ma. Sc. nonché Ca. Sb., sia Ag. Sc..
Riunite le cause, all’esito dell’espletamento di consulenza tecnica, il giudice adito, con sentenza n. 43 pubblicata il 16.1.1995, rigettava le domande di determinazione dell’indennità di esproprio, assumendo:
a) che non potesse trovare accoglimento la richiesta avanzata dagli Sc. (diversi dall’Ag. Sc.) e dalla Sb. di declaratoria della cessazione della materia del contendere, atteso che l’oggetto della controversia tra le parti in causa era costituito dall’opposizione alla stima dell’indennità di espropriazione di un unico bene indiviso appartenente a più persone, laddove la proposta di transazione avanzata dal Comune in corso di lite (e consistente nel riconoscimento di un unico importo quale controvalore del bene espropriato) era stata accettata soltanto da una parte degli aventi diritto, persistendo controversia sulla validità o meno di detta accettazione e di quella che da parte del Comune si asseriva essere stata tardivamente manifestata dal condividente Ag. Sc.;
b) che fosse infondata, e dovesse perciò essere rigettata, ogni azione di opposizione alla stima definitiva quante volte risultasse mancante, al momento della decisione, la pronuncia di un legittimo decreto di esproprio (quale presupposto del diritto all’indennità e, quindi, quale condizione dell’azione medesima), laddove, nella specie, il provvedimento di espropriazione dell’area de qua, emesso con decreto del Presidente della Provincia di Padova in data 8.6.1987, era intervenuto vuoi dopo l’inutile decorso dei termini di efficacia fissati con la dichiarazione di pubblica utilità (senza che fosse intervenuta ne’ una valida proroga di tali termini, peraltro non consentita essendo stati superati i termini massimi di legge, ne’ una rinnovazione di detta dichiarazione), vuoi dopo la scadenza del periodo di occupazione d’urgenza.
Avverso la predetta decisione, il Comune di Padova propone ricorso per cassazione, illustrato con memoria, deducendo tre motivi di gravame: non resistono le controparti.

MOTIVI DELLA DECISIONE 

Con il primo motivo di impugnazione, lamenta il ricorrente l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione della decisione della Corte di Venezia in relazione all’art.360, n.3, c.p.c., nonché la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art. 360, n 4, c.p.c., assumendo in particolare che, nella concreta fattispecie, non sussistesse alcun dissenso in ordine alla transazione intervenuta fra esso Comune ed i Signori Gi., Ne., Lu. e Ma. Sc. nonché Ca. Sb., avendo le parti entrambe concluso per l’accertamento dell’intervenuta definizione transattiva della controversia e persistendo dissenso invece relativamente alla posizione dell’Ag. Sc. che aveva successivamente (e, secondo lo stesso Comune, tardivamente) aderito alla transazione, ciò che, tuttavia, non impediva di accertare appunto l’intervenuta transazione e di dichiarare la cessazione della materia del contendere fra le parti che avevano raggiunto una composizione amichevole, non potendo tale transazione ritenersi inficiata dal fatto che ad essa non avesse aderito uno degli espropriati, ovvero l’Ag. Sc., dal momento che l’accordo in questione riguardava posizioni, quali quelle dei medesimi espropriati in ordine alla liquidazione e corresponsione delle indennità espropriative, che ben possono formare oggetto di separata contrattazione e definizione, laddove l’impugnata sentenza ha altresì statuito su di un punto, la validità o meno della transazione come sopra intervenuta tra le parti (escluso l’Ag. Sc.), che non formava oggetto ne’ di contestazione ne’ di domanda giudiziale, onde la violazione dell’art. 112 c.p.c. in relazione all’art.360, n 4, c.p.c…

Il motivo non è fondato.
Conviene premettere come la cessazione della materia del contendere, che ben può essere dichiarata anche d’ufficio ed in sede di legittimità, postula la composizione della lite ed il venir meno, in forza di un accadimento o fatto sopravvenuto, di ogni interesse dei contendenti alla prosecuzione del giudizio, laddove però la situazione in tal modo determinatasi, di perfetta rimozione di ogni ragione di contrasto. non soltanto deve essere chiaramente riconosciuta ed ammessa da tutte le parti interessate (a meno che non sia stata rinunciata l’azione in senso sostanziale) sia per quanto attiene alla sussistenza del fatto medesimo sia per quanto attiene alla sua rilevanza giuridica, con radicale, conseguente eliminazione della controversia (Cass. 576/94; Cass. 4884/96), ma deve altresì essere necessariamente valutata dal giudice circa la propria concreta idoneità a produrre gli indicati effetti sopra l’intero oggetto della lite (Cass. 4792/91; Cass. 9401/93; Cass. 10241/93). Tanto premesso, con rilievo officioso assorbente rispetto alle stesse argomentazioni della sentenza impugnata, la quale pure mostra di aver fatto applicazione del principio (affermato da questa Corte dirimendo il contrasto di giurisprudenza determinatosi a seguito della sentenza n. 8661/92: Cass. Sezioni unite 6635/93; Cass. 4650/97) che vuole necessariamente unitario il giudizio di opposizione alla stima tanto da estendere i propri effetti, nel caso di espropriazione di un bene comune e indiviso tra più soggetti, anche nei confronti dei comproprietari non opponenti o rimasti estranei al giudizio stesso, si osserva come, in realtà, la transazione (di per sè) univocamente intervenuta nel corso della causa di merito tra il Comune di Padova ed i consorti Sc. (nonché la Ca. Sb.) diversi dall’Ag. Sc., quand’anche astrattamente idonea a dirimere ogni ragione di contesa tra le parti contraenti, si palesi, per un verso, nulla, ovvero, per altro verso, inesistente, onde la manifesta inattitudine concreta della medesima a determinare la cessazione della materia del contendere nel caso in esame. Sotto il primo profilo, infatti, giova notare:
a) che, ai sensi del secondo comma dell’art.1966 c.c., la transazione è nulla se i diritti che formano oggetto della lite, per loro natura o per espressa disposizione di legge, sono sottratti alla disponibilità delle parti, laddove, come noto, secondo l’art. 1421 c.c., la nullità del contratto può essere rilevata d’ufficio in
ogni stato e grado del processo, e perciò anche in Cassazione, quante volte, come nella specie, l’accertamento della nullità non involga un’indagine di fatto essendo stati acquisiti tutti gli elementi dai quali possa ricavarsene l’esistenza (Cass. 2515/79;
Cass. 1082/82; Cass. 6418/86), ovvero si chieda in giudizio l’applicazione del contratto medesimo (nel caso concreto, al fine evidentemente di ottenere la declaratoria di cessazione della materia del contendere), senza che, perciò, configurando la sua validità un elemento costitutivo della stessa domanda, sia dato di ravvisare, come già del resto in capo alla pronuncia della Corte di Appello di Venezia, violazione alcuna del principio dispositivo stabilito dall’art. 112 c.p.c. (Cass. 2398/88; Cass. 6358/90; Cass. 5003/93);
b) che, nel sistema delle leggi in materia di espropriazione, è prevista per tutta la fase di liquidazione dell’indennità dovuta all’espropriato, fino alla determinazione definitiva sia in fase amministrativa sia in fase di controllo giudiziario sulla stima amministrativa, una situazione di indisponibilità, posta a tutela, oltre che dell’espropriante (il quale vuole conseguire l’effetto liberatorio collegato al pagamento nei confronti dell’effettivo titolare del diritto reale espropriato), soprattutto dei soggetti ai quali è imposto il sacrificio derivante dall’esproprio e cioè degli effettivi titolari dei diritti reali immobiliari, anche parziari, relativi al bene ablato, i quali hanno modo di far valere le loro ragioni nella fase dello svincolo dell’indennità depositata, dopo che la stessa è divenuta definitiva (Cass. 6635/93, cit.). Sotto il secondo profilo, poi, è da osservare:
a)che la transazione, secondo quanto traspare dal disposto dell’art.1972 c.c., postula una causa giuridica (un “titolo” appunto) della
situazione coinvolta dalla controversia e su cui sorge la lite, ovvero un negozio o un atto o un fatto da cui derivi, costituendola, la situazione medesima;
b) che tale titolo può risultare inficiato da nullità, laddove a questa, siccome propria dei negozi., viene dalla dottrina correntemente assimilata, quanto meno in riferimento agli atti o ai fatti giuridici, l’inesistenza della fonte originaria del rapporto tra le parti anteriore alla transazione ed implicato dalla contesa;
c) che quando la nullità (ovvero l’inesistenza) del titolo non è in questione nel senso che la transazione non riguarda direttamente la nullità stessa (ovvero l’inesistenza stessa), può accadere che la transazione abbia per oggetto l’esecuzione del titolo, concernendo le modalità della situazione che ne deriva, ovvero che abbia per oggetto esattamente quest’ultimo, quante volte la lite lo investa a pieno sebbene la nullità di esso non sia controversa;
d) che, secondo autorevole dottrina, soltanto quest’ultima ipotesi, riconducibile alla figura della transazione c.d. novativa (avente per oggetto la composizione della lite “sul” titolo, cioè sullo stesso fatto costitutivo della situazione giuridica, allora totalmente litigiosa), deve ritenersi contemplata nel secondo comma dell’art.1972 c.c., il quale, a differenza di quanto previsto al primo comma
relativamente alla transazione afferente ad un contratto illecito, sancisce l’annullabilità (e non la nullità) della transazione “fatta relativamente ad un titolo nullo” rimettendone la relativa richiesta “solo alla parte che ignorava la causa di nullità del titolo” (cioè subordinatamente all’esistenza di un errore), mentre, invece, la nullità, o l’inesistenza, o comunque l’esaurimento della fonte preesistente incontroversa e rimasta fuori della transazione (c.d. transazione non novativa, avente per oggetto la composizione di una lite sugli effetti del titolo in cui consiste la situazione giuridica), indipendentemente da un’impugnativa della transazione stessa, ne determina automaticamente l’inutilità, nel senso che questa cade in conseguenza del venir meno del titolo preesistente e che la nullità di questo, come qualunque altra causa per cui il titolo medesimo venga meno, opera alla stregua della mancanza di presupposto della transazione;
e) che, nella specie, la transazione intervenuta in corso di lite tra il Comune di Padova ed i consorti Sc. (diversi dall’Ag. Sc.) e la Ca. Sb., siccome afferente alla determinazione dell’indennità di esproprio dovuta agli interessati, è manifestamente riconducibile nella sfera della transazione non novativa, avendo avuto per oggetto esclusivamente il quantum dovuto agli espropriati, senza cioè minimamente investire o implicare non soltanto la nullità o l’inesistenza del “titolo” costitutivo dell’indennità in parola ma neppure il titolo medesimo in sè e per sè, indipendentemente dalla sua nullità o inesistenza; f) che, tuttavia, con apprezzamento di fatto incensurabile ed incensurato (di per sè) in questa sede, la Corte di Venezia ha accertato la mancanza di un provvedimento ablativo rilevante”, ovvero l’omessa pronuncia di un legittimo decreto di espropriazione il quale costituisce presupposto del diritto all’indennità e quindi “condizione dell’azione” (Cass. 8555/94), onde la manifesta insussistenza del titolo stesso relativamente al quale la transazione in esame è stata conclusa, senza che, del resto, l’accertamento in parola appaia censurabile neppure sotto i profili di cui al secondo ed al terzo motivo del ricorso, atteso che, lungi dall’aver disposto l’annullamento o la revoca del decreto di espropriazione emesso in data 8.6.1987 dal Presidente della Provincia di Padova (in tal caso evidentemente violando il disposto dell’art.4 della legge abolitiva del contenzioso amministrativo), la Corte di Appello di Venezia, dietro apprezzamento officioso pienamente consentitole configurando la sua validità un elemento costitutivo della stessa domanda, si è limitata a conoscere, con efficacia meramente incidentale ed al limitato fine di verificare la sussistenza di una condizione appunto dell’azione di opposizione avverso la stima dell’indennità espropriativa, dell’illegittimità del provvedimento de quo sotto il profilo che attiene al difetto degli stessi presupposti di legge per l’esercizio del relativo potere, tanto da decidere la causa sottoposta al suo esame non tenendo conto del provvedimento medesimo (cioè disapplicandolo) ed in questo unico senso “dichiarandone” l’inesistenza;
g) che, versandosi appunto in materia di transazione non novativa, non può trovare applicazione il richiamato secondo comma dell’art. 1972 e la transazione de qua, siccome afferente ad un titolo (rappresentato da un “rilevante atto espropriativo” dal quale origini il diritto all’indennità di esproprio) addirittura inesistente, è da stimare priva di presupposto e, perciò, inesistente anch’essa, non essendo del resto dubitabile, fuori dei limiti stabiliti appunto dal secondo comma dell’art.1972 c.c., la rilevabilità d’ufficio di siffatta inesistenza, pur in relazione al principio della domanda ed al principio dispositivo delle prove come sopra illustrati. Pertanto, risultando assorbiti il secondo ed il terzo motivo del ricorso, quest’ultimo si palesa destituito di fondamento e va quindi rigettato.
Nulla è a pronunciare sulle spese del presente giudizio, non essendosi costituite le parti controricorrenti.

  1. Q. M.
    La Corte rigetta il ricorso.
    Così deciso in Roma, il 23 febbraio 1998.
    Depositato in Cancelleria il 10 luglio 1998